Processi decisionali automatizzati e consenso informato: la giurisprudenza va oltre il GDPR

Processi decisionali automatizzati e consenso informato: la giurisprudenza va oltre il GDPR

Il GDPR è un punto di riferimento normativo per quanto riguarda la tutela dei dati personali. Dalla sua introduzione la giurisprudenza ne ha allargato i confini, dovendo affrontare lo sviluppo delle tecnologie digitali e l’uso sempre più ampio dell’intelligenza artificiale e di processi decisionali automatizzati.

I LIMITI DEL GDPR AI PROCESSI DECISIONALI AUTOMATIZZATI

Gli scenari indetti posti dallo sviluppo tecnologico pongono numerose questioni legate alla privacy, alle quali le istituzioni nazionali ed europee cercano di dare risposte normative in grado di tutelare maggiormente gli utenti e responsabilizzare i titolari del trattamento dei dati.

Tra le questioni più rilevanti vi è l’uso a fini decisionali di sistemi automatizzati basati sull’intelligenza artificiale.

A tal proposito, l’art.22 del GDPR impone che i cittadini non vengano sottoposti a decisioni basate unicamente sul sistemi automatizzati che producano effetti giuridici o che incidano significativamente sulla loro persona. L’articolo considera tuttavia delle eccezioni: casi in cui questo genere di trattamento sia indispensabile ai fini della stipula di un contratto, se è autorizzato dal diritto dell’Unione o dello Stato membro, se si basa sul consenso esplicito dell’interessato.

Il nodo centrale è proprio il consenso, che per essere valido deve essere informato.

CONSENSO INFORMATO: ALCUNE SENTENZE

I rapporto tra consenso informato e processi decisionali automatizzati è stato oggetto di alcune sentenze interessanti.

Una di queste è la sentenza n. 8472 del 13 dicembre 2019 con la quale il Consiglio di Stato, rifacendosi al GDPR, ha ribadito la necessità di garantire alcuni principi in caso di processi decisionali automatizzati. La sentenza si riferiva all’uso di un algoritmo da parte del MIUR per l’assegnazione dei docenti nelle scuole superiori.

I principi da garantire in caso di uso di algoritmi sono:
– la conoscibilità: gli utenti sottoposti al sistema di valutazione devono essere messi a conoscenza dell’algoritmo adottato da enti pubblici;
– la non-esclusività: alla decisione basta sull’algoritmo deve affiancarsi una valutazione umana;
– la non discriminazione: il titolare del trattamento deve minimizzare i rischi che l’algoritmo produca valutazioni errate o effetti discriminatori.

Nel caso del MIUR, per i giudici l’uso dell’algoritmo non risultava conforme a tali principi.

Più recentemente, anche la Cassazione si è espressa in materia con l’ordinanza n. 14381/2021.
La Corte è stata chiamata in causa dal Garante della Privacy che aveva presentato ricorso contro una sentenza del Tribunale di Roma che ne aveva ridimensionato un provvedimento legato a un servizio di rating reputazionale basato sull’intelligenza artificiale.

La Cassazione ha sottolineato quanto sia indispensabile che una valutazione automatizzata avvenga dopo aver ottenuto il consenso informato da parte degli utenti.
Ne consegue che non può essere ritenuto valido un consenso che non si basi su una informazione preventiva idonea, cioè che spieghi anche il funzionamento dell’algoritmo utilizzato.

“non può logicamente affermarsi che l’adesione a una piattaforma da parte dei consociati comprenda anche l’accettazione di un sistema automatizzato, che si avvale di un algoritmo, per la valutazione oggettiva di dati personali, laddove non siano resi conoscibili lo schema esecutivo in cui l’algoritmo si esprime e gli elementi all’uopo considerati”.

IL FUTURO

L’uso di processi decisionali automatizzati è ancora agli albori ma è indubbio che diventerà sempre più frequente. Gli ambiti di applicazione sono infatti numerosissimi, con tutti i pro e i contro che ciò comporta. Nei prossimi anni vedremo quindi crescere il numero di sentenze in materia, sempre con l’art.22 del GDPR sullo sfondo, ma con sviluppi che al momento non possiamo immaginare del tutto.

Vuoi rendere il tuo studio o la tua azienda in regola con il GDPR? Scopri la i servizi Privacy di Servicematica.

——–

LEGGI ANCHE:

Riconoscimento facciale per individuare clienti pregiudicati. Scatta la sanzione

Microsoft: basta password, l’autenticazione si fa via app

Bonus pubblicità 2021: cos’è e come ottenerlo

Solo per il 2021, la richiesta per il bonus pubblicità va presentata dal 1° al 31 ottobre

Il bonus pubblicità è un’agevolazione in forma di credito d’imposta, rivolta alle imprese e lavoratori autonomi che effettuano investimenti in campagne pubblicitarie sulla stampa quotidiana e periodica e sulle emittenti televisive radiofoniche locali, analogiche o digitali. Nato nel 2018, con determinate caratteristiche, la sua proroga del 2021-2022, presenta alcune importanti variazioni. In particolare, le istruzioni rese note lo scorso 24 settembre ci fanno capire che, a causa del Covid, per il solo 2021 la finestra temporale di presentazione della domanda slitta ad Ottobre; e questa non è la sola novità, andiamo a vedere nello specifico che cosa cambia.

Bonus pubblicità 2021: come cambia il credito d’imposta riconosciuto per investimenti pubblicitari

Il bonus pubblicità viene inizialmente istituito con il decreto legge n. 50/ 2017, e si rivolge “A decorrere dall’anno 2018, alle imprese e lavoratori autonomi che effettuano investimenti in campagne pubblicitarie sulla stampa quotidiana e periodica e sulle emittenti televisive radiofoniche locali, analogiche o digitali il cui valore superi almeno l’1 per cento gli analoghi investimenti […] nell’anno precedente, è attribuito un contributo, sotto forma di credito d’imposta , pari al 75 per cento del valore incrementale degli investimenti effettuati, elevato al 90 per cento nel caso di microimprese, piccole e medie imprese e start up innovative, nel limite massimo complessivo di spesa stabilito ai sensi del comma 3”.

 

 

Dalla norma sopra citata emerge che il bonus pubblicità costituisce sostanzialmente un credito d’imposta. Tuttavia, nella sua proroga del 2021-2022 tale beneficio si applica “nella misura unica del 50% del valore degli investimenti pubblicitari […], entro il limite massimo di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021 e 2022”. Da notare che per ottenere tale agevolazione attualmente non è richiesto alcun presupposto dell’incremento minimo dell’1% dell’investimento pubblicitario, rispetto all’investimento dell’anno precedente.

Come accedere al bonus pubblicità 2021

Il DPCM n.90 del 16 maggio 2018, all’articolo 5 disciplina la procedura di accesso al bonus pubblicità. In esso si specifica che i soggetti interessati ad avvalersi di detto beneficio fiscale devono presentare una comunicazione telematica come da modello e indicazione del Dipartimento per l’Informazione e l’editoria in un arco temporale compreso tra il 1° marzo ed il 31 marzo di ciascun anno.

Tuttavia, è importante sottolineare che, a causa del Covid, lo scorso 24 settembre sono state rese pubbliche le nuove istruzioni di presentazione della domanda per avere accesso al bonus pubblicità. Quindi: ”Per il solo anno 2021, la comunicazione per l’accesso al credito d’imposta” è presentata nel periodo compreso tra il 1° ed il 31 ottobre 2021. Restano comunque valide le comunicazioni telematiche trasmesse nel periodo compreso tra il 1° ed il 31 marzo 2021, sulle quali il calcolo per la determinazione del credito d’imposta sarà automaticamente effettuato sulla base delle intervenute disposizioni normative relative all’anno 2021.”

Ora, la comunicazione per accedere al bonus pubblicità deve essere presentata “al Dipartimento per l’lnformazione e l’Editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri, utilizzando i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle entrate:

  • direttamente, da parte dei soggetti abilitati ai servizi telematici dell’Agenzia delle entrate;
  • tramite una società del gruppo, se il richiedente fa parte di un gruppo societario, ai sensi dell’articolo 3, comma 2-bis, del D.P.R. n. 322 del 1998;
  • tramite gli intermediari abilitati indicati nell’articolo 3, comma 3, del D.P.R. n. 322 del 1998 (professionisti, associazioni di categoria, Caf, altri soggetti).”

Va detto che per accedere ai servizi telematici dell’Agenzia è necessario utilizzare lo SPID, le credenziali Entratel o Fisconline rilasciate dall’Agenzia delle Entrate o la Carta Nazionale dei Servizi.

Inoltre, all’Agenzia occorre inviare dal 1° al 31 gennaio successivo la Dichiarazione sostitutiva, relativa agli investimenti effettuati. Lo scopo è di dichiarare che gli investimenti indicati nella sopra descritta comunicazione per l’accesso al credito d’imposta, sono realizzati nell’anno agevolato e soddisfano i requisiti richiesti dalla legge.

Come utilizzare il bonus pubblicità 2021

Il credito d’imposta derivante dall’ottenimento del bonus pubblicità è utilizzabile solo in compensazione. Quindi:

– innanzitutto è necessario presentare apposita istanza al Dipartimento per l’informazione e l’editoria presso la Presidenza del Consiglio dei ministri;

– ricevute le domande, il Dipartimento per l’informazione e l’Editoria forma un elenco dei soggetti che hanno fatto richiesta per beneficiare del credito di imposta, indicando anche l’eventuale percentuale provvisoria di riparto (se le risorse non sono sufficienti) e l’importo che in teoria è fruibile da ogni soggetto dopo l’investimento incrementale.

L’ammontare del credito, che può essere fruito concretamente ed effettivamente dopo l’accertamento relativo agli investimenti effettuati, è disposto con provvedimento del Dipartimento stesso e pubblicato sul relativo sito istituzionale https://informazioneeditoria.gov.it/it/

– infine, una volta che il credito d’imposta viene ufficialmente riconosciuto ai beneficiari, costoro possono utilizzarlo solo in compensazione, a partire da quinto giorno lavorativo successivo alla pubblicazione dell’elenco dei soggetti ammessi, presentando il modello F24 attraverso i servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate, indicando come codice tributo 6900.

 

LEGGI ANCHE:

Come funziona il bonus pubblicità 2020

Bonus rottamazione Tv 2021

codice comunicazioni elettroniche

Il nuovo codice delle comunicazioni elettroniche. Di cosa si tratta?

Correva l’anno 2003 quando fu presentato il codice delle comunicazioni elettroniche. Sono passati 8 anni, l’innovazione tecnologica ha fatto passi in avanti, i mezzi digitali a nostra disposizione sono aumentati e il quadro offerto dal quel codice non è più attuale.

Lo sviluppo di un nuovo codice delle comunicazioni elettroniche segue la direttiva europea (UE) 2018/1972, recepita in ritardo dall’Italia (la scadenza prevista era il 21 dicembre 2020).

Il nuovo codice ha l’obiettivo di garantire una connettività che sia di qualità, la concorrenza fra gli operatori, la realizzazione del mercato interno e aumentare le tutele a favore degli utenti.

IL CODICE DELLE COMUNICAZIONI ELETTRONICHE: LO SCHEMA DI DECRETO

Lo schema di decreto legislativo con cui l’Italia recepisce la direttiva europea è attualmente al vaglio delle istituzioni e prevede alcuni interessanti disposizioni.

Durata dei contratti ridotta e diritto di recesso

I vincoli nel caso contratti di telefonia e internet scendono da 24 a 12 mesi, mentre il termine per il diritto di recesso in caso di modifica unilaterale da parte della società erogatrice sale da 30 a 60 giorni.

Sanzioni Agcom aumentate

Le sanzioni Agcom in caso di violazioni gravi da parte degli operatori possono arrivare fino al 5% del loro fatturato.

Costi delle frequenze

I costi amministrativi e dei contributi per le frequenze per i grandi operatori salgono del 50% rispetto ai costi attuali.
I piccoli utilizzatori godranno di costi di accesso alle frequenze più bassi.

Banda larga come servizio universale

Potersi abbonare a un servizio adeguatamente veloce accessibile ovunque e a costi contenuti viene considerato un diritto.

OPPORTUNITÀ E RISCHI

Il nuovo codice delle comunicazioni elettroniche rende meno rigidi i vincoli contrattuali e impone un sistema sanzionatorio che disincentiva determinate condotte da parte degli operatori del settore.

Ci sono però dei rischi. Queste garanzie, pensate per tutelare gli utenti finali, potrebbero infatti trasformarsi in un boomerang per gli stessi.

Per esempio, la riduzione a 12 mesi dei vincoli contrattuale potrebbe portare a un aumento delle rate, mentre l’aumento dei costi e dei contributi e la mancata definizione delle condotte soggette a sanzione, unita alla scarsa digitalizzazione del nostro paese, potrebbero disincentivare gli operatori dal fare investimenti.

Insomma, il codice sulle comunicazioni elettroniche va assolutamente recepito ma la sua realizzazione pratica richiede ulteriori analisi.

EUROPA SEMPRE PIÙ DIGITALE

Il codice si inserisce in un ampio progetto sulla connettività proposto dalla Commissione europea ancora nel settembre 2016.

Il progetto prevede che entro il 2025 la connettività gigabit raggiunga le scuole, le imprese medie e grandi e i principali enti pubblici. Si vuole poi offrire una connettività di almeno 100 Mb al secondo per le famiglie e la copertura 5G nelle aree urbane e lungo le principali vie di trasporto terrestre.

L’Europa riconosce pertanto la necessità di “incentivare gli investimenti nelle reti a banda larga ad alta velocità” e di favorire “l’attuazione di politiche più ampie nei settori culturale, occupazionale, ambientale, della coesione sociale, urbanistico e dell’assetto del territorio”.

Servicematica è l’informatica per studi legali e aziende. Scopri i tutti i nostri prodotti.

——–

LEGGI ANCHE:

Sprint alla digitalizzazione, fibra ottica in crescita in Italia ed Europa

Microsoft: basta password, l’autenticazione si fa via app

Impugnazione dell’ avviso bonario di pagamento del contributo unificato: legittimo o no?

Impugnazione dell’avviso bonario di pagamento del contributo unificato: legittimo o no?

Dopo aver depositato un ricorso ex art. 700 c.p.c., contenente una richiesta di risarcimento danni il cui valore era però risultato maggiore rispetto a quanto dichiarato nell’atto, un avvocato riceve da parte della cancelleria l’avviso bonario di pagamento di una somma dovuta a titolo di contributo unificato.

L’avvocato ritenere illegittima l’istanza e ricorre innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale.

L’amministrazione contesta la conclusione dall’avvocato ricorrente, sostenendo la non opponibilità dell’avviso bonario, a partire dall’elencazione degli atti impugnabili presente nell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992.

La Commissione Tributaria Provinciale dà torto all’avvocato, rilevando come il valore della causa fosse “indeterminabile” e, di conseguenza, la richiesta della cancelleria fosse legittima.

La sentenza della Commissione Tributaria Provinciale viene confermata dalla Commissione Tributaria Regionale. Anch’essa ritiene che l’avviso bonario sia un atto non impugnabile e che rinvii “a separato e successivo provvedimento la determinazione di sanzione relativa al ritardato pagamento“.

Ma l’avvocato non ci sta e porta la questione in Corte di Cassazione.

AVVISO DI PAGAMENTO BONARIO DEL CONTRIBUTO UNIFICATO: LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE

A differenza dei giudici tributari la Corte di Cassazione dà ragione all’avvocato e ne accoglie il ricorso originario, rinviandolo alla Commissione Tributaria Regionale di provenienza in diversa composizione.

La decisione della Cassazione nasce dalle seguenti osservazioni, contenute nell’ordinanza n. 22971/2021 del 17 agosto 2021.

1) È vero che l’elenco degli atti impugnabili presente nell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 va considerato tassativo, ma va anche interpretato in senso estensivo, considerando le norme costituzionali a tutela del contribuente e del buon andamento della pubblica amministrazione. Va anche considerato l’ampliamento della giurisdizione tributaria avvenuto con la legge n. 448 del 2001.

2) Al contribuente è riconosciuta la facoltà “di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che, con l’esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è naturaliter preordinato l’invito bonario al pagamento, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’art. 19 citato”.

3) L’impugnazione di un atto non indicato dall’art. 19, d.lgs. n. 546 del 1992 da parte del contribuente rappresenta una facoltà e non un onere. Pertanto, il fatto che lo stesso non venga esercitato non preclude, al contribuente, la possibilità di procedere all’impugnazione con l’atto successivo.

4) “Sono qualificabili come avvisi di accertamento o di liquidazione, impugnabili ai sensi dell’art. 19. d.lgs. n. 546 del 1992, tutti gli atti con cui l’Amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita, ancorché tale comunicazione non si concluda con una formale intimazione di pagamento sorretta dalla prospettazione in termini brevi dell’attività esecutiva, bensì con un invito bonario a versare quanto dovuto, non assumendo alcun rilievo la mancanza della formale dizione “avviso di liquidazione” o “avviso di pagamento” o la mancata indicazione del termine o della forma da osservare per l’impugnazione o della commissione tributaria competente, le quali possono al più dar luogo ad un vizio dell’atto o renderlo inidoneo a far decorrere il predetto termine, o anche giustificare la rimessione in termini del contribuente per errore scusabile“.

5) Sul contribuente ricade l’interesse, ex art.100 c.p.c., a chiarire la sua posizione e a invocare una tutela giurisdizionale di controllo della legittimità sostanziale della pretesa o dei connessi mossi dall’est pubblico.

Servicematica è l’informatica per studi legali e aziende. Scopri i tutti i nostri prodotti.

——–

LEGGI ANCHE:

Minori, separazioni e divorzi: nasce il Tribunale della Famiglia

Decreto ingiuntivo: messaggi WhatsApp sono prova

caricabatterie-per-cellulare

Caricabatterie universali per tablet e cellulari

I parlamentari europei chiedono alla Commissione di agire per un caricabatterie universale

Già da anni, noi tutti ci destreggiamo tra i diversi cavi dei caricabatterie distinguendo necessariamente ora quelli del tablet, ora quelli dello smartphone. Certamente, soprattutto per chi si ritrova ad aver a che fare quotidianamente con più apparecchiature elettroniche (pensiamo in particolare a studi professionali o liberi professionisti) si tratta di una scomodità di non poco conto. Non solo: tale molteplicità di soluzioni caricabatterie rappresenta anche un problema a livello di inquinamento, di rifiuti elettronici e di spreco di materie prime. Per questi motivi, i parlamentari europei stanno insistendo per ottenere un caricabatterie universale per tutti.

Caricabatterie universale per il problema dei rifiuti elettronici

“Nell’ultimo decennio, il Parlamento europeo ha spinto la Commissione a presentare una proposta su un caricatore universale al fine di affrontare il problema dei rifiuti elettronici […]”. Ed in effetti, l’impulso parte addirittura nel 2014, quando lo stesso Parlamento Europeo sostiene l’utilità di un caricabatterie comune per tutti i cellulari. Tuttavia, se inizialmente si agiva durante le negoziazioni della direttiva Radio Equipment (RED), ora la tecnica è di agire attraverso relazioni di iniziativa, risoluzioni e domande rivolte ai commissari.

 

 

In effetti, Anna Cavazzini (Verdi/SLE, Germania) afferma che “Le apparecchiature elettriche ed elettroniche continuano ad alimentare uno dei flussi di rifiuti in più rapida crescita nell’UE. [Perciò] E’ particolarmente importante che le norme proposte si applichino non solo agli smartphone ma anche ai tablet e ad altri dispositivi mobili […]”. Per altro, considerando i rapidi sviluppi tecnologici degli ultimi anni, la Commissione avrebbe già perso molto tempo.

Ora, a sentire la stessa Cavazzini, il Parlamento lavorerà su questa proposta legislativa. E verrà fatto il possibile per garantire un’agevole cooperazione con la Commissione ed il Consiglio, per raggiungere un accordo che vada a beneficio tanto dei consumatori europei quanto dell’industria. Il punto è costituito dagli obiettivi del Green Deal europeo: snodo fondamentale per attenuare l’impatto climatico.

 

LEGGI ANCHE:

Bando contributi per strumenti informatici per avvocati

Passaporto vaccinale, il Parlamento Europeo accelera

 

 

tribunale della famiglia servicematica

Minori, separazioni e divorzi: nasce il Tribunale della Famiglia

Il Tribunale della Famiglia sarà dedicato a tutte le questioni legate ai minorenni e, ovviamente, alle famiglie. Un emendamento per la sua istituzione è stato presentato pochi giorni fa in Commissione Giustizia al Senato.

UN TRIBUNALE AD HOC PER VELOCIZZARE I PROCESSI

L’emendamento al d.d.l. sulla riforma del processo civile che introduce il Tribunale della Famiglia è stato proposto da Fiammetta Modena (Fi), Anna Rossomando (Pd) e Julia Unterberger (Svp). Il nuovo tribunale si occuperà di separazioni, divorzi, e di tutte le fattispecie al momento affidate al Tribunale dei Minori.

La proposta si inserisce all’interno del quadro riformativo del diritto di famiglia, che comprende anche l’introduzione di un rito unico in materia di persone, minorenni e famiglie. La proposta di un rito unico ha accesso un dibattito che ha portato a numerosi subemendamenti. La volontà è, in ogni caso, quella di velocizzare e rendere più efficaci i processi, e rafforzare le tutele dei minori, soprattutto quelli che hanno subito o assistito a violenze.

Il Sole 24 Ore riporta il commento di Fiammetta Modena:

«Del tribunale della famiglia si parla da anni e anche in commissione gli emendamenti di quasi tutti i gruppi prevedevano l’istituzione di questo tribunale.
L’emendamento è frutto della riunificazione delle modifiche chieste, con diverse formulazioni, da tutti i gruppi, che apre la porta, con una legge delega, all’istituzione del tribunale della famiglia. […]
L’intento è quello di restituire la sensibilità necessaria per le questioni importanti nell’ambito della famiglia, razionalizzandole. Accendendo un faro sulle vicende più specifiche dei minori, la soluzione ha il merito di unificare un mondo, non di farne prevalere uno».

COME FUNZIONA IL TRIBUNALE DELLA FAMIGLIA

Il nuovo Tribunale della Famiglia sarà composto da sezioni distrettuali, presso le Corti d’Appello, e da sezioni circondariali, presso i Tribunali ordinario.

Le competenze saranno diverse.
Sulle sezioni distrettuali ricadranno quelle civili, penali e di sorveglianza, fino a oggi di affidate al Tribunale per i Minori. Alle sezioni circondariali verranno cedute le questioni in ambito civile, comprese quelle di competenza del Tribunale ordinario in materia di stato e capacità delle persone (a esclusione di cittadinanza, famiglia, unioni civili, convivenze, minori, i procedimenti di competenza del giudice tutelare, i risarcimenti del danno endofamiliare).

Le decisioni delle sezioni circondariali saranno impugnabili innanzi alle sezioni distrettuali. Le decisioni di quest’ultime saranno appellabili innanzi alla Corte di Cassazione.

L’emendamento contempla una fase di transizione propedeutica all’operatività del nuovo Tribunale della Famiglia, il cui termine è fissato al 31 dicembre 2024.

Servicematica è l’informatica per studi legali e aziende. Scopri i tutti i nostri prodotti.

——–

LEGGI ANCHE:

Avvocati: dove pagano i contributi se guadagnano poco

Contestazione della parcella dell’avvocato


LEGGI ANCHE

Foglieni che parla dal palco

Foglieni (AIGA): “Introdurre compenso minimo inderogabile per giovani avvocati”

Dal 26 al 28 settembre a Napoli il Congresso nazionale dell’associazione.

Lockdown: risarcimento di mille euro per un minore chiuso in casa

La regione Sicilia deve risarcire un minore che è rimasto chiuso in casa nel periodo del lockdown con mille euro. Tale reclusione è stata imposta…

concorso forestali sicilia

Concorso per 46 forestali annullato per conflitto d’interesse

La Regione Sicilia ha dovuto annullare l’esito del concorso per l’assunzione di 46 agenti del corpo forestale organizzato lo scorso ottobre. Inoltre, ha dichiarato decaduta…

smart-working-brunetta

Stop allo smart working per i lavoratori pubblici

Dal 15 ottobre i lavoratori pubblici tornano in presenza. A stabilirlo, il Dpcm firmato da Draghi

“La modalità ordinaria di lavoro nelle Pubbliche amministrazioni dal 15 ottobre torna ad essere quella in presenza”. A stabilirlo, il Presidente del Consiglio, Mario Draghi in un apposito Dpcm. Resta comunque centrale il presupposto che “il ritorno in presenza avvenga in condizioni di sicurezza, nel rispetto delle misure anti Covid”.

Brunetta: Smart working, la legge entro un mese

Con il nuovo decreto, si conclude lo smart working come modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nell’amministrazione pubblica. Così, e a chiarirlo è lo stesso Renato Brunetta, ministro della Funzione Pubblica “si apre l’era di una nuova normalità […]”. Ed in effetti, lo stesso Brunetta già aveva avvertito che successivamente al decreto, lo smart working sarebbe stato ridotto al massimo al 15%.

 

 

Infatti, tale decreto impone l’obbligo di green pass per tutti i lavoratori, rendendo possibile la riorganizzazione negli uffici. Comunque, si tratta di un cambiamento che avverrà gradualmente: innanzitutto, riaprono gli sportelli aperti al pubblico attualmente chiusi, con la possibilità di usufruire dei servizi su prenotazione, onde evitare code o assembramenti. Inoltre, entro il 31 gennaio 2022, tutte le amministrazioni devono presentare il Piano integrato di attività e organizzazioni contenente il Pola (Piano organizzativo del lavoro agile), che definisce quali dipendenti possono continuare con il lavoro da casa e quali invece tornano obbligatoriamente in ufficio.

L’idea di fondo è di uno “smart working vero, strutturato, ancorato a obiettivi e monitoraggio dei risultati”. Dunque, si tratta di far tesoro dell’esperienza emergenziale per riprendere in sicurezza ed efficienza dei servizi. Nello specifico, il lavoro agile dovrebbe essere limitato a “processi e attività di lavoro previamente individuati dalle amministrazioni, per i quali sussistano i necessari requisiti organizzativi e tecnologici per operare con tale modalità”. L’accordo sullo smart working sarà individuale ed andranno concordati la durata, le giornate di lavoro da casa ed il luogo. Infine, l’accesso alla possibilità del lavoro agile dovrebbe essere facilitato per che ha figli minori di tre anni o disabili, e per lavoratori con disabilità.

LEGGI ANCHE:

Come funziona l’infortunio in Smart Working?

Uso personale di computer aziendali. L’altra faccia dello smart working

bollette-elettricità-gas-rincaro-autunno-quanto-si-paga

Aumento bollette 2021: quanto pagheremo e quanto si risparmia con il decreto

Il decreto elimina gli oneri del gas per tutti e dell’elettricità per le famiglie. Per una bolletta dell’elettricità salita a 140 euro, lo sconto è di 13. Dieci euro in meno per il gas.

Arriva dal Consiglio dei Ministri il varo del decreto che taglia in parte i rincari delle bollette di elettricità e gas per il 2021. Tuttavia, l’intervento del Governo non limita completamente gli aumenti del contro dell’energia previsti per il prossimo primo ottobre, se non per le famiglie meno abbienti, cioè quelle che percepiscono il bonus sociale (3 milioni di nuclei). Infatti, per tutti gli altri l’incremento viene limitato per un terzo del totale. Quindi, c’è da chiedersi: quanto risparmieranno le famiglie in totale?

Rincari bollette: sconto di 13 euro per l’elettricità, 10 per il gas

Per ridurre al minimo gli oneri di sistema, il governo stanzia circa 2 miliardi e mezzo, di cui 2 solo per la bolletta della luce. 480 milioni sono per il taglio degli oneri generali sulla bolletta del gas. Inoltre, a questi fondi si aggiungono 450 milioni in rinforzo al bonus sociale (che quest’anno va in automatico agli aventi diritto, basta aver presentato la Dichiarazione Unica Sostitutiva e richiesto l’Isee per altri servizi. Secondo i calcoli dell’Arera, in tutto si tratta di 3 milioni di famiglie potenzialmente interessate (2,5 milioni lo sarebbero anche per il gas). Quindi, i parametri per lo sconto rimangono inalterati: nuclei entro gli 8.265 euro, nuclei con almeno 4 figli a carico e Isee inferiore a 20.000 euro, infine titolari di Reddito o pensione di cittadinanza.

 

 

Ora, il decreto garantisce ai 26 milioni di clienti domestici e 6 milioni di piccole aziende un risparmio di un terzo rispetto agli incrementi energetici attesi. Dunque, il 40% per le utenze della luce, il 30% per il gas, come ricorda oggi La Stampa. Allora, su una bolletta della luce che da 100 passa a 140 euro, lo sconto è di circa 13 euro. Invece, per il gas, una bolletta che da 100 passa a 130 euro verrà abbassata di circa 10 euro.

E’ importante ricordare che nel quadro degli interventi messi in atto per bloccare i rialzi in arrivo il 1° ottobre, è previsto anche il taglio dell’Iva sul gas “per usi civili e industriali”, fino a dicembre. In questo caso, l’imposta è del 10% entro i primi 480 Smc consumati, oltre sale al 22%.

 

LEGGI ANCHE:

Decreto sostegni: professionisti e partite iva

Decreto sostegni e bonus famiglie 2021

 

riconoscimento facciale servicematica

Riconoscimento facciale per individuare clienti pregiudicati. Scatta la sanzione

Che il riconoscimento facciale stia prendendo sempre più piede si capisce anche dalla crescente attenzione che le autorità per la tutela della privacy dimostrano verso il tema.

Avvertimenti e sanzioni verso aziende colpevoli di farne un uso illecito non mancano. Un caso recente riguarda un supermercato spagnolo.

VIDEOSORVEGLIANZA E RICONOSCIMENTO FACCIALE. IL CASO DEL SUPERMERCATO SPAGNOLO

L’AEPD, il corrispettivo iberico del nostro garante per la privacy, ha sanzionato una catena di supermercati per aver utilizzato il proprio sistema di videosorveglianza con riconoscimento facciale al fine di raccogliere dati biometrici che, incrociati con una banca dati esterna, permettevano di capire se il cliente avesse problemi con la giustizia. In caso di esito positivo, il sistema faceva scattare un allarme che avvisava il personale di sicurezza di bloccare l’accesso al cliente.

Migliaia di clienti, nonché gli stessi dipendenti, sono stati sottoposti a tale controllo per mesi, senza saperne nulla, fino all’intervento del garante.

NESSUNA BASE GIURIDICA

L’indagine dell’AEPD ha rilevato che la condotta della catena di supermercati non fosse compatibile con quanto indicato all’art.9 del GDPR sul trattamento di categorie particolari di dati personali.

Inoltre, l’azienda non ha rispettato in alcun modo i principi di trasparenza, necessità, proporzionalità e minimizzazione dei dati.

Ancor meno, l’utilizzo del riconoscimento facciale ha rispettato il concetto di privacy by design indicato all’art.25 del GDPR, ovvero l’obbligo per le aziende di avviare i propri progetti adottando fin da subito tutte le misure tecniche e organizzative per la tutela dei dati personali dei soggetti coinvolti.

Infine, la valutazione d’impatto sulla protezione dei dati è risultata insufficiente, poiché non considerava i rischi legati al trattamento dei dati biometrici dei dipendenti.

LA SANZIONE

Con Procedimento N. PS/00120/2021 il garante per la privacy spagnolo ha imposto alla catena di supermercati una sanzione di 3.150.000 euro. L’azienda ha rinunciato alla possibilità di fare ricorso e ha preferito procedere al pagamento, godendo di una riduzione a 2,5 milioni di euro.

Vuoi rendere il tuo studio o la tua azienda in regola con il GDPR? Scopri la i servizi Privacy di Servicematica.

——–

LEGGI ANCHE:

Violazione della privacy e danno non patrimoniale. Il risarcimento non è scontato

Il Garante della Privacy apre 3 istruttorie per uso dei droni a Roma e a Bari

il-ritorno-dell-indennita-da-quarantena

Il ritorno dell’indennità da quarantena

Il Consiglio dei Ministri vuole reintrodurre un fondo per l’indennità da quarantena

Potrebbe ritornare l’indennità da quarantena: l’annuncio è di Andrea Orlando e risale a qualche giorno fa. Sarebbero nuovi fondi, di circa 900 milioni di euro, rivolti a quei lavoratori costretti a rimanere a casa per un contatto con un positivo al Covid. Ora, la misura potrebbe essere inserita nel decreto per bloccare il rincaro delle bollette della luce.

Nuova indennità Covid per quarantena: chi ne ha diritto

La prima indennità di quarantena da Covid-19 risale ad inizio pandemia, quindi al 2020, ed è stata finanziata con 663 milioni di euro. Tuttavia, si tratta di un provvedimento non rinnovato per l’annualità 2021, ad eccezione dei lavoratori fragili e solo con una copertura di 282 milioni. Dunque, il motivo del mancato rifinanziamento sarebbe, come è facilmente intuibile, la mancanza di bacino economico da cui attingere per le risorse.

 

 

Quindi, c’è da chiedersi: da dove arriva questa nuova possibilità? Dai risparmi sugli aiuti anti-Covid, in particolare dal tiraggio inferiore alle attese dei contributi a fondo perduto alle imprese. Infatti, si tratta degli stessi risparmi che costituiranno la gran parte della copertura anche per l’intervento sulle bollette: tra i 3 ed i 4 miliardi.

In effetti, lo stesso ministro del lavoro Orlando si era impegnato personalmente per trovare una soluzione al problema rifinanziamento quarantena. Così, la possibilità inizia ad intravvedersi all’orizzonte, però previe specifiche condizioni: sorveglianza attiva con permanenza domiciliare fiduciaria. Infine, il rifinanziamento del congedo parentale al 50% per chi ha figli in Dad sarebbe ancora molto in forse.

 

LEGGI ANCHE:

Covid-19: il vaccino non è sperimentale

COVID: il congedo parentale in caso di figli in quarantena

 

Iso 27017
Iso 27018
Iso 9001
Iso 27001
Iso 27003
Acn
RDP DPO
CSA STAR Registry
PPPAS
Microsoft
Apple
vmvare
Linux
veeam
0
    Prodotti nel carrello
    Il tuo carrello è vuoto