Come organizzare la scrivania per lavorare meglio

Tutto comincia dalla scrivania. Quella di Albert Einstein era nota per la grande quantità di libri, documenti e appunti. Una confusione che non preoccupava il premio Nobel, tanto che un giorno disse: «Se una scrivania in disordine è segno di una mente disordinata, di cosa sarà segno allora una scrivania vuota?».

Pregiudizi 

Non è affatto vero che i geni, prima di arrivare alle loro idee rivoluzionarie, vivessero nel caos, ma questa visione della scrivania come simbolo di creatività non si adatta bene all’ambiente lavorativo, che sia in smart working o in ufficio. Un tavolo curato, gradevole e funzionale facilita il benessere e l’attività lavorativa.

Sabrina Toscani, fondatrice di Organizzare Italia, ha detto che è necessario «per la nostra mente dedicare un’area chiara e ufficialmente rivolta al lavoro in termini di spazio e di tempo, per evitare la sovrapposizione con la vita privata e domestica».

Una scrivania tanto bella quanto efficiente

Il primo consiglio «è quindi di dedicare un tavolo o una scrivania che possa accogliere nel migliore dei modi, quindi in una posizione con sufficiente luce, con spazio necessario per sedersi in maniera ergonomica e lavorare al computer rispettando gli appoggi corretti di mani, braccia, gambe e piedi. L’area dovrebbe inoltre essere sgombra per poter ospitare pensieri, creatività, flusso di lavoro».

Continua: «Qualsiasi cosa superflua e non utile a questi fini rischia di ostacolare un modo fluido e organizzato di lavorare. Quindi la cosa migliore è tenere a portata di mano solo ciò che serve e allontanare ciò che può prendere la nostra attenzione in maniera non funzionale».

Creare una scrivania tanto bella quanto efficiente ha più impatti: essere accolti in un’area gradevole e funzionale crea uno stato d’animo migliore al fine di affrontare al meglio una giornata di lavoro. L’area di lavoro così organizzata, soprattutto in un ambiente domestico, assume un valore ufficiale per tutti.

L’impatto, a livello mentale, di un buon setting organizzativo, influenza direttamente i comportamenti e il modo di lavorare. Dunque, sia che si segua uno stile metodico, sia che si segua uno stile più creativo, è necessario avere il giusto spazio per mettere in campo abilità e talenti, che nella confusione potrebbero andar persi o non essere valorizzati.

Il decluttering

Hai mai sentito il termine “decluttering”? Letteralmente, significa “eliminare ciò che ingombra”; è una pratica che può essere utilizzata in qualsiasi ambito della propria vita, e si sposa perfettamente con il voler far ordine sulla propria scrivania.

Non è il semplice gettare le cose che non servono più: è una vera e propria filosofia di pensiero, che aiuta ad eliminare tutto quello che è superfluo, ma riorganizzando le idee e focalizzandosi sui propri obiettivi.

Ma come organizzare la scrivania, seguendo il decluttering? Per prima cosa, sgombra completamente la scrivania e pulisci il piano di lavoro con un panno umido. Dopodiché, potrai cominciare ad eliminare tutto quello che non ti è utile. Sono veramente necessari tre block notes? O te ne basta soltanto uno?

Raccogli tutti i fogli sparsi: getta quelli inutili (oppure mettili da parte per riutilizzarli), mentre gli altri puoi riordinarli in cartelline apposite, suddividendoli per categorie.

Poi, comincia a sistemare i vari dispositivi elettronici e gli accessori, dato che sono gli elementi più importanti. Scegli pochi accessori, ma utili, come una lampada da tavolo, un organizzatore e un portapenne.

Le buone abitudini

La scrivania incarna la tua postazione di lavoro: dovrai, dunque, muoverti agevolmente. Ci dovrà essere uno spazio libero, dove collocare il pc e il mouse da utilizzare in piena comodità.

Tutti utilizzano un computer: per questo potresti ritrovarti sommerso da fili vari. La soluzione è quella di utilizzare delle scatole portacavi. Ce ne sono di diversi materiali e colori, dunque potrai scegliere quella che preferisci a seconda delle tue esigenze o gusti personali.

Ma non dimentichiamoci la pulizia: pulisci e spolvera almeno ogni due o tre giorni. Una scrivania pulita e in ordine aiuterà ad iniziare la giornata di lavoro con la mente sgombra da distrazioni e ostacoli.

E se vuoi evitare di generare di nuovo il caos nel giro di poco tempo, prendi l’abitudine di rimettere a posto subito gli oggetti ogni volta che li riutilizzi. All’inizio potrebbe sembrarti qualcosa di noioso, ma una volta che entra a far parte della tua routine ti semplificherà il processo di riordino.

Gli oggetti che non possono mancare sulla scrivania

Lampada da tavolo

Necessaria e immancabile, una lampada da tavolo aiuta a rendere funzionale la scrivania ma anche a decorarla. Scegline una dal design minimale per preservare un senso d’ordine. Ma soprattutto, scegli lampadine con toni caldi, per ottenere un’atmosfera rilassata, che non appesantisca gli occhi.

Organizer

Uno degli oggetti più utili per organizzare una scrivania è l’organizer. È una piccola struttura, di solito di legno, che è formata di più scompartimenti e livelli. All’interno c’è di tutto: forbici, post-it, tutto quello che è necessario per svolgere le tue attività.

Un altro oggetto immancabile è il portapenne, che puoi creare anche dando sfogo alla tua creatività: puoi dipingere un vecchio barattolo o una scatola delle scarpe. Certamente l’organizer può contenere anche delle penne, ma chi lavora in ufficio sa benissimo quanto sia fondamentale avere a portata di mano una penna per prendere appunti.

Organizer per cassetti

Mentre organizzi la tua scrivania non puoi non prendere in considerazione anche i cassetti. Non sono semplicemente un luogo dove buttare le cose che non servono più: devono essere organizzati secondo logica.

Il compito potrebbe risultarti più semplice se utilizzi dei divisori, per suddividere documenti, fascicoli e altro per categorie, in modo tale da sapere sempre dove trovarli.

Bacheche

Se lo spazio a disposizione è poco, sfrutta le pareti. Puoi fissare una bacheca, o un pannello portautensili dove agganciare i contenitori utili per lo svolgimento delle tue mansioni. Ma puoi anche appendere i fogli e i post-it che restano sparsi per la scrivania.

Piccole decorazioni

Non dimenticare che la tua scrivania ha bisogno di un po’ di leggerezza. Trova lo spazio per qualche foto o cartolina, oppure scrivi sulla bacheca qualche frase motivazionale, per darti una scossa nei momenti più stressanti.

Se ami la natura, potresti mettere una piantina per donare quel tocco verde al tuo angolo di lavoro: oltre a migliorare la qualità dell’aria, allevierà anche tutte le tensioni intorno a te.

Un ultimo consiglio importante è sistemare la scrivania tutte le sere, prima di tornare a casa (o se sei già a casa, prima di andare sul divano). Bastano meno di cinque minuti per evitare che si riformi velocemente il caos. Il giorno dopo, la tua mente sarà ovviamente più leggera, favorendo la concentrazione e il rendimento.

——————————–

LEGGI ANCHE:

VPN: che cos’è e perché è così importante per la nostra sicurezza

I social che piacciono alla destra americana

 

Gli errori che ti fanno perdere clienti

Errore n.1: non ascoltare

La professione dell’avvocato, sotto certi aspetti, potrebbe essere paragonata a quella del medico. Prima di fare una diagnosi, infatti, il medico deve ascoltare con molta attenzione il paziente, analizzando a fondo i sintomi e successivamente elaborando una prima diagnosi.

Sei un avvocato – dunque, il tuo ruolo sarà quello di aiutare a risolvere i problemi legali di quelle persone che hanno deciso di rivolgersi a te. Come pensi di poterlo fare, se non presti attenzione al cliente, ai suoi problemi e ai risultati che spera di ottenere?

La prima parola d’ordine è empatia: devi metterti nei panni del tuo assistito, per cercare di comprendere le sue difficoltà, ma soprattutto le sue aspettative. Al tempo stesso non dovresti lasciarti coinvolgere emotivamente, in quanto questo potrebbe alterare la tua capacità di giudizio.

Errore n.2: essere poco professionali

Il cliente sta mettendo nelle tue mani dei pezzi della sua vita, e si rivolge proprio a te per avere un parere ma soprattutto un’assistenza specializzata.

Per questo si senterà al sicuro se avrà a che fare con qualcuno che gli ispira fiducia e competenza. Si sentirà in pericolo, invece, se avrà la sensazione di aver a che fare con un ciarlatano. Anche se tutti gli avvocati sono liberi professionisti, certamente non tutti sono professionali!

Un avvocato professionale è qualcuno che porta a termine il suo dovere a regola d’arte, con puntualità, correttezza, precisione e responsabilità. In parole povere: «L’avvocato deve esercitare l’attività professionale con indipendenza, lealtà, correttezza, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza» (art. 9 del Codice Deontologico).

Errore n.3: utilizzare troppi tecnicismi

Utilizzare tecnicismi fini a se stessi per comunicare con un cliente non serve a nulla.

Il nostro rapporto con il cliente dovrà farci aspirare al massimo della serietà e professionalità, ma dimostrarsi troppo lontani dalla parte assistita potrebbe essere controproducente, proprio a partire dal linguaggio che utilizziamo.

Quando parliamo con il nostro dottore non vogliamo sentire dei termini incomprensibili che non riescono a rispondere al perché dei sintomi. Siamo dei semplici pazienti che hanno bisogno di una risposta comprensibile, e non di altre domande.

Un buon avvocato riesce a leggere la realtà, a tradurla in “legalese” e successivamente a rielaborarla per chi non conosce i termini giuridici.

Errore n.4: non fornire informazioni al cliente

Informare un cliente è, per prima cosa, un dovere. L’avvocato deve fornire informazioni chiare al cliente, sia nel momento dell’assunzione dell’incarico, sia durante l’esecuzione dello stesso. Ma oltre ad essere un dovere, è anche una manifestazione di buon senso.

È l’avvocato, infatti, ad essere l’unico responsabile della strategia di difesa. Una scelta errata potrebbe tradursi in un’importante negligenza professionale, in caso di assenza del “consenso informato” dell’assistito.

Se un cliente viene informato passo dopo passo, è certamente un cliente che si fida, e che consiglierà sicuramente l’avvocato a conoscenti e ad amici. Sicuramente tornerà da quell’avvocato quando ne avrà bisogno.

Errore n.5: fidarsi del cliente

Sembra l’esatto contrario di quanto detto precedentemente. Eppure, è un’accortezza doverosa, che dovrebbe assumere ogni professionista di qualsiasi ambito.

Ora, spetta a noi capire che cosa ci sta raccontando il cliente, che cosa vorrebbe ottenere e che cosa potrebbe aver omesso. Un’omissione potrebbe essere stata fatta in mala fede – ma anche in buona fede.

Tuttavia, se conosciamo più elementi sarà semplice svolgere il proprio incarico. Bisognerà semplicemente assicurarsi che il cliente dica tutto.

Errore n.6: inviare documenti sbagliati

Potrebbe essere banale, ma è necessario prestare attenzione sia al contenuto dei documenti, sia alla gestione di tali documenti. Ogni scritto dovrà essere necessariamente perfetto dal punto di vista sintattico, grammaticale e contenutistico.

Sbagliare un nome, un conteggio, un dato anagrafico o commettere errori grammaticali potrebbero danneggiare tantissimo la propria reputazione e il portafoglio. Ma prestiamo attenzione anche alla parte gestionale: abbiamo depositato la copia definitiva oppure la bozza, che conteneva molti errori?

Errore n.7: dimenticare le scadenze

Un cliente si fida del suo avvocato, dato che non se ne intende né di cavilli legali né di scadenze giuridiche. Il mondo del diritto per i non addetti ai lavori sembra un mondo tenebroso e oscuro, che noi dobbiamo illuminare per evitare che i clienti ne vengano danneggiati.

Una delle cose peggiori, inaccettabili agli occhi del cliente, è lasciar scadere un termine perentorio. Come spiegare, infatti, che il nostro assistito ha perso ogni possibilità di impugnare una multa o di richiedere un risarcimento perché abbiamo dimenticato la scadenza? Oppure che ci si è sbagliati?

Cosa dovremmo fare, per evitare queste situazioni? Un consiglio è quello di abbandonare l’agenda cartacea per servirsi di un gestionale dotato di agenda digitale, che calcoli e fissi automaticamente le scadenze, come Service1.

A proposito, sai che è disponibile anche la nuova app Giustizia Servicematica, l’unica app per smartphone con la quale possiamo avere tutto il mondo del Processo Civile Telematico a portata di click? Dai un’occhiata un po’ qui, se non ci credi.

Errore n.8: non essere presenti online

Al giorno d’oggi, non avere un sito web è come andare a cavallo al posto di prendere l’aereo. Se non sei online non esisti, c’è poco da fare. Soprattutto se non hai un cognome rinomato e sei alle prime armi.

Incaricare uno specialista per creare il tuo sito web è un ottimo passo verso il successo. Pensiamoci bene: da dove arrivano i clienti? Fino a 10 anni fa il canale principale era il passaparola e le Pagine Bianche. Ma oggi? A chi ci rivolgiamo per trovare qualsiasi cosa?

Semplice, ad Internet! Quindi, se la tua attività professionale non è sul web, è come se non esistesse. Il tuo sito deve essere semplice, intuitivo, con le foto dei collaboratori dello studio. Dai un volto alla tua professione!

Inserisci dei contenuti interessanti, spiega quali sono i servizi che offri e qual è la vision e la mission del tuo studio. Dunque, spiega quello che sai fare e come lo sai fare. Lo studio legale è un’attività, che deve vendere.

Errore n.9: circondarsi di collaboratori sbagliati

L’avvocato non lavora da solo. Ha bisogno di avvalersi di risorse umane affidabili, per dare qualità, credibilità e continuità al proprio operato.

È fondamentale scegliere con molta cura tutti i componenti del team, ognuno con il suo ruolo e la sua esperienza professionale. E soprattutto con qualità umane che contribuiscono alla buona riuscita dell’attività dello studio.

Un’ottima assistenza in segreteria significa avere un ottimo bigliettino da visita con colleghi e clienti. Se un praticante è preparato, motivato e stimolato, diventerà una preziosa risorsa nel supporto alle attività. Un collega esperto e specializzato ci può aiutare nella riuscita di una pratica complessa.

 

È normale commettere errori: siamo esseri umani, non siamo perfetti. È importante, tuttavia, avere cognizione degli errori che potrebbero impattare sulla clientela, ma che si possono prevenire facilmente con semplici accortezze.

——————————–

LEGGI ANCHE:

Le novità di Servicematica presentate al XXXV Congresso Nazionale Forense

Come attrarre nuovi clienti

Come aumentare il fatturato di uno studio legale?

LinkedIn è il social perfetto per un avvocato

 

Affrontare i clienti difficili con il principio 90/10

Avvocato, ti è mai capitato di avere un cliente difficile? Maleducato, aggressivo, che fornisce poche informazioni; oppure che sparisce magicamente, parla male di noi e si lamenta. O, ancora, sembra sempre indeciso e non sa cosa vuole.

Come gestisci, di solito, clienti del genere? Ma soprattutto, come potresti evitare di farti inglobare in dinamiche negative e restare intrappolato in un’escalation selvaggia di aggressività?

Il nostro pensiero influenza la realtà che ci circonda: se pensiamo che il cliente sia un rompiscatole, ti comporterai di conseguenza, trattandolo come tale.

Il principio 90/10

Dunque, la prima regola da seguire per gestire i clienti difficili è non considerarli come tali!

A tal proposito, hai mai sentito parlare del principio 90/10 di Stephen Covey? In sostanza, quello che accade nella nostra vita dipende principalmente da noi. Almeno per il 90% degli eventi, rispetto agli imprevisti che non superano il 10%.

Ma anche davanti a questo 10%, tutto ciò che ne deriva dipende sempre dalle nostre reazioni. Chiunque potrà fermarsi a riflettere, dominando i suoi impulsi e condizionando positivamente la sua vita e le sue relazioni.

Dunque: ci sono cose nella vita che inevitabilmente accadono. Non abbiamo controllo, per esempio, sul ritardo del treno, sul semaforo rosso o su un temporale improvviso. Possiamo, però, scegliere come reagire di fronte a queste situazioni, determinando il 90% di quello che succede dopo.

Una tazzina di caffè

Covey fa un esempio pratico del principio 90/10, in cui tutti si possono identificare.

Sei seduta/o a tavola per fare colazione, quando per sbaglio tua figlia ti rovescia sulla camicia una tazzina di caffè. Non puoi controllare il rovesciamento del caffè (10%), anche se la tua reazione andrà a determinare tutto quello che succederà dopo (90%).

Ti arrabbi con tua figlia, ti metti ad urlare e lei comincia a piangere. Poi te la prendi con il tuo partner, perché ha messo la tazzina del caffè troppo vicino al bordo della tavola. Vai a cambiarti la camicia, e quanto torni in cucina trovi tua figlia ancora in lacrime. Per questo motivo perde il pulmino per andare a scuola e il tuo partner va a lavorare nervoso.

Ora dovrai accompagnare tua figlia a scuola con la tua macchina. Ma è tardissimo! Arriverai in ritardo anche a lavoro! Ti metti in macchina e spingi sull’acceleratore, e per questo il vigile ti ferma e ti fa una multa per eccesso di velocità. Arrivi a scuola di tua figlia con un quarto d’ora di ritardo. Lei scende dalla macchina e non ti saluta.

Arrivi a lavoro, finalmente, ma in ritardo di 20 minuti. Ti accorgi anche che nella fretta hai dimenticato anche la ventiquattrore a casa. Ma non è finita qui, perché la giornata continua sempre peggio.

Non vedi l’ora che tutto finisca, ma quando arrivi a casa trovi il gelo: nessuno ti rivolge nemmeno lo sguardo, sono tutti arrabbiati con te e non hanno intenzione di parlarti. La tua giornata è stata così disastrosa per colpa del caffè? Per colpa di tua figlia? O per colpa tua?

Reazioni diverse

Tutta la tua giornata è dipesa dal modo in cui hai reagito dopo che tua figlia ti ha rovesciato addosso la tazzina del caffè. Dunque, bastano pochi secondi per rovinare una giornata intera.

Ma se la tua reazione fosse stata diversa, cosa sarebbe successo? Tua figlia ti rovescia addosso la tazzina del caffè, non ti arrabbi ma le dici: «Non preoccuparti, magari cerca di essere un po’ più attenta».

Quindi vai a cambiarti la camicia e nel frattempo tua figlia va a prendere il pulmino. Il tuo partner va a lavorare serenamente e tu arrivi in ufficio puntuale. Uno scenario completamente differente, quindi. E tutto questo soltanto perché hai reagito in maniera diversa ad una semplice tazzina del caffè sulla camicia!

Basta veramente poco

Potremmo fare molti esempi di come le nostre reazioni influiscano in maniera decisiva e fondamentale sugli eventi della nostra vita. Basta pensare a tutte le volte in cui abbiamo reagito male e il nostro atteggiamento ha condizionato in maniera negativa la nostra giornata, influenzando anche l’umore delle persone intorno a noi.

Sei in ritardo e sei rimasto bloccato nel traffico? Ti puoi innervosire, cominciare a urlare come un pazzo e a suonare il clacson. Oppure potresti accendere lo stereo e canticchiare una canzone.

Alle volte una reazione sbagliata potrebbe avere conseguenze disastrose: basta veramente poco per evitare molte tensioni o complicazioni. Possiamo decidere come comportarci di fronte a qualsiasi evento, in quanto siamo noi gli unici padroni delle nostre reazioni. Decidiamo noi come controllare i nostri pensieri o dove dirigere la nostra attenzione.

Ogni tanto basta soltanto cambiare il modo in cui osserviamo le cose. Che cosa c’è di positivo nel caffè che macchia tua camicia bianca preferita? Cosa c’è di positivo in un cliente rompiscatole? Nulla, ma tu puoi decidere che tipo di reazione avere, determinando il 90% di ciò che accadrà in seguito.

——————————–

LEGGI ANCHE:

L’importanza della tutela dei minori online

I giornalisti contro la riforma Cartabia

parlare in pubblico

Come affrontare la paura di parlare in pubblico?

Sono molte le persone che per via della loro professione devono parlare di fronte ad un pubblico. Una buona parte di queste persone si lascia prendere dal panico, entrando in uno stato d’ansia che fa tremare la voce, sudare molto e provare confusione mentale.

Ognuno è diverso e potrebbe accusare sintomi diversi, anche se tutti sono collegati ad un’esplosione di panico, che ha radice nel terrore di parlare davanti a molte persone.

Nessuno è escluso

Anche il grande Cicerone confessò di aver molta paura quando parlava davanti al pubblico – dunque, ci troviamo di fronte ad una fobia che non risparmia nessuno. Ma quali sono le cause di questa sensazione spiacevole? E quali rimedi possiamo mettere in atto per vincere la nostra paura?

In molti casi, l’ansia da prestazione si trasforma in un vero e proprio attacco di panico, con tutte le conseguenze che ne potrebbero derivare. Se non si trova un rimedio, questa condizione potrebbe addirittura addirittura cronicizzarsi. Infatti, come qualsiasi altra paura, anche questa potrebbe radicarsi talmente nel profondo da condizionare negativamente la vita di una persona.

Sono molti i pensieri che ci pervadono quando dobbiamo parlare in pubblico: mi esprimerò bene? Verrò frainteso? Darò una bella immagine di me? Il public speaking diventa un esame, dove il pubblico incarna un grande giudice che ci valuta severamente.

Impara a riconoscere la paura

Se quando parli di fronte a molte persone le tue mani cominciano a tremare e a sudare, arrossisci, non sai come muovere le mani, il tuo cuore batte velocemente, ti sembra di aver dimenticato tutto il discorso, la tua bocca diventa asciutta, ti manca il fiato… beh, soffri decisamente di paura di parlare in pubblico.

Tutto questo si rivela ancor più negativo se la tua carriera e i tuoi successi dipendono quasi del tutto dal parlare in pubblico. Frequentare dei corsi di public speaking potrebbe esserti di grande aiuto: potresti parlare davanti a tante persone con gran successo, grazie alle giuste tecniche di respirazione e ad un adeguata preparazione.

Alcuni suggerimenti utili

Ma vediamo insieme alcuni suggerimenti per affrontare la paura di parlare in pubblico.

Parlare in pubblico

Sembra paradossale, ma affrontare il pubblico prima di tenere un discorso è il migliore degli esercizi da fare. Tutto questo diventerà progressivamente abitudine, e dopo le prime incertezze verranno resettati tutti i timori, per guadagnare quell’autostima necessaria per sentirsi sicuri di sé.

È possibile anche cercare online gli indirizzi delle associazioni locali che trattano i temi che più vi interessano e partecipare alle loro riunioni per prendere la parola. Qualsiasi occasione dev’essere sfruttata: fate finta che sia una palestra dove allenarsi un po’.

Preparare il discorso

Una parte fondamentale del public speaking è la preparazione in anticipo del discorso, magari ripetendolo un paio di volte. Potresti cominciare con l’argomento che conosci meglio, per poi suddividere il tutto in: presentazione, parte centrale e chiusura. Sarebbe bene non imparare il discorso a memoria; meglio una scaletta da seguire con le keyword evidenziate.

Respirare

Potrebbe apparire superfluo, ma gli esercizi di respirazione si rivelano molto utili prima di cominciare un discorso davanti ad un pubblico. Esistono tecniche precise, di origine orientale, tutte basate sul respiro diaframmatico, che aiutano a calmare la tensione.

Spontaneità

Non preoccupatevi se commetterete un errore durante il discorso. Sarebbe semplicemente un segno di spontaneità che dimostrerà il vostro lato umano. Questo permette al pubblico di empatizzare con voi, che di conseguenza acquisirete più credibilità. Basterà bere un goccio d’acqua, sorridere alla platea e continuare a parlare.

Semplifica il discorso, senza memorizzarlo

Oltre a suddividere il discorso in tre parti, opta per una struttura lineare per evitare di cadere nell’errore di uscire fuori tema ma cercando di esporre i concetti fondamentali anche con termini diversi.

Conoscere la propria voce

E parlare lentamente: se parliamo troppo velocemente, le persone non assimileranno nulla del nostro discorso, perché noteranno soltanto l’ansia del voler finire il più presto possibile.

Parlare in maniera frenetica non fa respirare correttamente e provocherà una certa tachicardia che aumenta l’ansia. Appena ti rendi conto di quanto stai andando veloce, respira, bevi un sorso d’acqua e continua con più calma.

Un’altra cosa che potrebbe risultare utile è conoscere la propria intonazione di voce: prova a registrarti con il telefono per capire come appare il tuo timbro di voce e per essere consapevole di eventuali errori da correggere.

Postura e gestualità

Molto importante, oltre alla voce, anche la postura, che dovrà essere tutt’altro che chiusa. Allarga le braccia e cerca di essere disinvolto per dare l’impressione agli altri, ma soprattutto a te stesso, di non avere paura del giudizio del pubblico. Se non hai modo di esercitarti di fronte ad una videocamera, chiedi ad un tuo familiare di assistere alla prova e di riferirti le impressioni.

Non prendere le critiche come critiche

Ricorda che le critiche arrivano a tutti. E se arrivano, non vederle come offese ma come opportunità per migliorarti. Lavora su di te e modifica quello che ostacola i tuoi successi.

Dedica più tempo alle tecniche di rilassamento, che potrai fare anche soltanto per pochi minuti al giorno. Una sorta di training autogeno, in grado di sradicare l’ansia da prestazione che ti colpisce proprio nel momento in cui devi parlare in pubblico.

Una buona tecnica è visualizzare in anticipo come potrebbe essere il tuo intervento. Immagina di suscitare un fortissimo applauso da parte del pubblico, un consenso totale dalla platea. Allontanerai l’ansia, giorno dopo giorno!

Come per tutti i traguardi da raggiungere, è necessaria costanza nell’esercizio. Non cadere nell’errore di credere che siano necessarie un paio d’ore per risolvere il problema. Non demordere: la perseveranza ti aiuterà nella realizzazione dell’impresa e nell’acquisire la certezza di aver vinto sulle tue paure.

——————————–

LEGGI ANCHE:

Avvocato, la tua password è veramente sicura?

Per i ventenni di oggi è meglio essere disoccupati che infelici

burn-out

Avvocato, sai prevenire il burn-out?

Il termine burn-out viene tradotto letteralmente come “bruciato”, “esaurito”, “scoppiato”. La prima apparizione del termine risale al 1930, e si utilizzava per indicare l’incapacità di un atleta, dopo alcuni successi, di mantenere o di ottenere ulteriori risultati.

Il termine è stato riproposto nel 1975 in ambito socio-sanitario: una psichiatra americana utilizzò il termine per definire una sindrome con dei sintomi riconducibili ad una patologia comportamentale, nell’ambito delle professioni con elevata implicazione relazionale.

Il burn-out nelle “helping professions”

Nel 1997, alcuni studi condotti dall’avv. Manlio Merolla hanno ricondotto la sindrome da burn-out anche in ambito forense e nelle “helping professions”. Quest’ultime sono professioni finalizzate all’aiuto, che si basano sul contatto interumano e che sfruttano le capacità personali in maggior misura rispetto alle abilità tecniche.

Queste figure hanno una duplice fonte di stress: quello personale e quello della persona che stanno aiutando. Se non trattati in maniera opportuna, è probabile che queste persone comincino un processo di “logoramento” o di “decadenza psicofisica”, a causa della mancanza di energie e dall’incapacità di gestire lo stress accumulato.

Sono professioni “high touch”, ovvero ad alto contatto con la sofferenza. Il contatto emotivo potrebbe essere talmente forte, da rivelarsi insostenibile. Senza adeguate misure di prevenzione si arriva inevitabilmente al burn-out, ovvero ad una «sindrome caratterizzata da esaurimento emozionale, depersonalizzazione e riduzione delle capacità personali».

Le cause generiche del fenomeno possono essere:

  • lavorare in strutture gestite male;
  • scarsa o inadeguata retribuzione;
  • organizzazione del lavoro disfunzionale/patologica;
  • svolgere mansioni frustranti o inadeguate;
  • insufficiente autonomia decisionale;
  • sovraccarichi di lavoro.

Simile allo stress, ma in ambito lavorativo

Il termine stress (sforzo, tensione) è stato adottato per descrivere una particolare sindrome, che caratterizza una risposta aspecifica dell’organismo a tutto quello che lo costringe a sforzarsi di adattarsi ad una particolare situazione.

Gli stressors (gli agenti stressanti) possono essere fisici, biologici, chimici o psico-sociali, e determinano stress in quanto:

  • troppo intensi ed eccessivi;
  • insoliti;
  • agiscono per troppo tempo.

Se gli stressors eccedono rispetto alle capacità personali di risposta adattiva, verranno prodotte delle manifestazioni morbose. Il fenomeno del burn-out è simile allo stress, ma si manifesta esclusivamente in ambito lavorativo.

Tre categorie di disturbi

Il burn out è il risultato dello stress. Uno stress che fa sentire una persona senza alcuna via d’uscita. Nervosismo, apatia, irrequietezza, cinismo, indifferenza: questi sono alcuni dei sintomi tipici del burn-out.

Tali manifestazioni comportamentali e psicologiche possono essere raggruppate in tre categorie di disturbi:

  • esaurimento emotivo: un sentimento in cui ci si sente emotivamente svuotati, annullati dal proprio lavoro e con un inaridimento emotivo nel rapporto con le altre persone;
  • depersonalizzazione: atteggiamento di allontanamento e rifiuto nei confronti di chi richiede una prestazione professionale o cura;
  • ridotta realizzazione personale: percezione di essere inadeguati sul luogo di lavoro, perdita di autostima e sensazione di insuccesso in ambito lavorativo.
  • super caricamento emotivo: categoria specifica riservata ai professionisti in ambito forense, che riguarda il sentimento di far propri gli inaridimenti emotivi e le esperienze negative dei propri assistiti.

Giovani avvocati vs professionisti affermati

Questa situazione spesso conduce la persona ad abusare di alcool, fumo o psicofarmaci e in ambito forense in un farsi eccessivo di carico di lavoro, senza alcun limite di tempo. Chiaramente, intervengono numerose variabili individuali, fattori sociali, ambientali e lavorativi.

Tra i giovani avvocati si rileva una frustrazione sia a livello economico sia legata alla scarsa preparazione pratica ad affrontare le problematiche che si presentano. Per i professionisti affermati, invece, i sintomi del burn-out sono collegati al peso delle responsabilità nella gestione del lavoro, che diventa man mano più complesso e difficile.

L’esplosione emotiva dei clienti si trasforma in sfoghi in ambito familiare, coniugale ed emozionale.

Le fasi del burn-out

Il burn-out potrebbe essere paragonato ad un virus dell’anima: è sottile, penetrante ed invisibile. Generalmente, segue quattro fasi.

Prima fase (entusiasmo idealistico)

È caratterizzata dalle motivazioni che inducono gli operatori a scegliere un lavoro di tipo assistenziale, come diritto minorile, diritto di famiglia o diritto del lavoro. Si vuole migliorare il mondo, se stessi, avere una sicurezza a livello di impiego e svolgere un lavoro prestigioso. Ma sotto sotto si potrebbe voler esercitare una forma di controllo e potere sugli altri.

Alla base di tutto questo troviamo un certo grado di difficoltà nel leggere in maniera adeguata la realtà. Esiste, infatti, una logica secondo la quale trovare una soluzione ad una situazione difficile non dipende dalla natura della situazione ma dalle proprie capacità. Questo vuol dire che se un problema non viene risolto, significa che non ne eravamo all’altezza.

Seconda fase (stagnazione)

Il professionista continua a lavorare, ma si rende conto che il lavoro non lo soddisfa. I risultati del suo impegno diventano sempre più inconsistenti, passando dall’enorme investimento iniziale ad un disimpegno graduale. Il sentimento di delusione avanza sempre più, determinando un atteggiamento di chiusura verso l’ambiente di lavoro e verso i colleghi.

Terza fase (frustrazione)

Il pensiero che tormenta l’operatore è quello di non essere più in grado di aiutare nessuno, accompagnato da una profonda sensazione di inutilità e di non saper rispondere ai bisogni reali dell’utenza. Il vissuto dell’operatore diventa un vissuto di perdita, di crisi creativa, di svotamento e di smarrimento dei valori che si consideravano fondamentali.

Una persona frustrata potrebbe diventare aggressiva, verso sé stessa o verso gli altri, e mettere in atto comportamenti di fuga, come allontanamenti ingiustificati, pause prolungate, assenze frequenti per malattia.

Quarta fase (apatia)

Il disimpegno emozionale che segue la frustrazione, che determina il passaggio dall’empatia all’apatia va a costituire la quarta fase, dove si assiste ad una morte professionale.

In questi casi ognuno di noi dovrà attingere dalle sue risorse interne, come l’intelligenza emotiva e la creatività, che permettono di gestire al meglio le difficoltà di tutti i giorni.

La creatività potrebbe fornirci nuovi spunti per reagire a dei periodi difficili e a dei ritmi troppo intensi di lavoro. Un atteggiamento positivo nei confronti della vita in generale favorisce il giusto atteggiamento con il quale affrontare i problemi che emergono a lavoro.

Sfruttiamo la nostra intelligenza emotiva

Incontrare i bisogni reali dell’utenza/clientela spinge il professionista a dimenticare e a trascurare i propri bisogni e le proprie motivazioni. E come abbiamo visto, questo si trasforma in una sensazione di disagio e di impotenza.

L’impossibilità di aiutare favorisce l’insorgenza di dubbi nei confronti delle proprie capacità. L’operatore, che partiva da una forte idealizzazione della propria professione, sperimenta dapprima la frustrazione e successivamente il burn-out.

Qui entrano in azione la capacità personali, come empatia, capacità di adattamento, autocontrollo, fiducia in sé stessi, gestione del lavoro e capacità di costruzione di relazioni efficienti. Entra in gioco, dunque, l’intelligenza emotiva, la capacità delle persone di affrontare le difficoltà della vita.

Non isoliamoci

Bisogna provare ad ascoltarsi, a guardare dentro sé e a recuperare le proprie motivazioni e i propri desideri. Anche perché il burn-out è un virus contagioso, che si propaga velocemente tra un membro dell’équipe all’altro e dall’équipe agli utenti.

Il burn-out può essere curato soltanto con cambiamenti radicali nella vita professionale dell’operatore. Ovviamente, è fondamentale cercare l’aiuto di professionisti ma soprattutto è necessario evitare di isolarsi, cercare il sostegno della famiglia, degli amici e dei conoscenti.

Anche le tecniche di rilassamento e alcune attività sportive potrebbero far ritrovare un’energia necessaria per superare un momento così delicato.

Lavoriamo sulla prevenzione

Si deve, invece, intervenire sempre a livello preventivo in ambito formativo. L’operatore deve essere facilitato nel riconoscimento delle variabili interne ed esterne di rischio che esistono nelle professioni di aiuto.

Secondo una ricerca del 2005 pubblicata su “Avvenire Medico”, il 65% di coloro che fanno poca formazione comportamentale e professionale afferma che il lavoro ha peggiorato la qualità della propria vita. Sono pochi i professionisti, infatti, che possiedono strumenti idonei ad affrontare autonomamente la sindrome di burn-out.

Alcuni consigli

Come prima cosa, sarebbe meglio privilegiare la qualità del tempo passato davanti al pc, contro la quantità. Bisogna imparare a limitare le comunicazioni al di fuori dell’orario di lavoro, evitando di inviare mail e stabilendo dei confini precisi.

In generale:

  • rispettate le vostre esigenze (cibo, moto, sonno, ecc) e riposatevi a sufficienza;
  • riducete la velocità;
  • non pretendete troppo da voi stessi: fissate degli obiettivi ragionevoli;
  • se la mole di lavoro è troppa, definite delle priorità o delegate ad altri alcune mansioni;
  • chiedete sostegno al vostro superiore, alle risorse umane o ai colleghi. Se necessario, cercate assistenza medica/psicologica.

——————————–

LEGGI ANCHE:

Aggressione in aula bunker a Mestre: ferito un membro della “Nuova Mala del Brenta”

Ai magistrati non piacciono i nuovi tribunali per i minorenni

Organizza al meglio la tua mail per risparmiare tempo

Non ci sono dubbi: le mail sono uno strumento utile per la comunicazione. Tuttavia, potrebbero assorbire molto tempo, se gestite in maniera disorganizzata. Potrebbero, infatti, farti perdere traccia di progetti importanti che devono essere affrontati in maniera urgente.

Individua la strategia migliore

Se usate in maniera appropriata, le mail rappresentano uno strumento di comunicazione veloce e utile. Ma esiste il rischio di restare sopraffatti dalla grande quantità di posta elettronica che si riceve e alla quale si deve rispondere.

Una scrupolosa gestione delle mail potrebbe semplificare di gran lunga il tuo lavoro. Per questo è necessario individuare un’opportuna strategia per gestire le mail in maniera produttiva.

La gestione corretta delle mail ti fa risparmiare tempo e allontanare lo stress. Una casella di posta organizzata male, invece, alimenta alcuni timori personali, come non essere abbastanza veloce o non rispondere a problemi importanti.

Quando controllare le mail

La posta elettronica deve essere organizzata in modo tale da semplificare tutto il lavoro, senza sprofondare nella confusione.

Ci sono alcune strategie che potrebbero migliorare la gestione delle mail. Una di questa è controllare la casella di posta in momenti prestabiliti della giornata, come prima della pausa pranzo o a fine giornata.

Al mattino si è più concentrati, infatti il nostro cervello è fresco e riposato. Questo picco di efficienza dura per 2 o 3 ore al massimo – anche se la maggior parte delle persone non supera 1 ora e 30 minuti. Non è esattamente consigliato, quindi, aprire la casella di posta di primo mattino. Impiegare 30 o 45 minuti per rispondere alle mail significa ridurre moltissimo la nostra concentrazione, sino al 30%.

Cosa “inquina” il nostro cervello

La casella postale, poi, alimenta continuamente preoccupazioni, rabbia e paure che “inquinano” il nostro cervello, alterandone le prestazioni. Forse sarebbe meglio utilizzare le prime due ore della giornata per lavorare sulle attività che hanno maggior priorità. Potresti rispondere alle mail dopo un lungo periodo di lavoro, o nel momento della giornata dove energia e creatività sono al minimo.

Potresti essere preoccupato che colleghi o clienti si infastidiscano se non rispondi velocemente alle mail. Se così fosse, basterà spiegare con tranquillità che hai cominciato a controllare la tua casella di posta soltanto in determinati orari, e che per le urgenze possono chiamarti o scriverti su WhatsApp.

La regola dei due minuti

Utilizza la regola dei due minuti: se pensi che una mail richieda meno di due minuti per la lettura e per una risposta, allora leggila e rispondi subito, anche se non ha la massima priorità.

Se le mail richiedono un tempo superiore ai due minuti, pianifica il compito sul tuo calendario. La maggior parte dei programmi di posta elettronica ti permette di contrassegnare o di evidenziare i messaggi che richiedono una risposta. Utilizza questa funzione tutte le volte che puoi.

Guarda nella tua casella di posta elettronica: quante mail ci sono? Quante sono veramente utili? Spesso ci sono tantissimi messaggi che non vengono cancellati. Forse è ora di cominciare a farlo!

Alcune raccomandazioni

  1. Presta attenzione prima di aderire alle newsletter, con lo scopo di restare informati sulle novità o sulle offerte. Alcune ti permetteranno sicuramente di ottenere le informazioni necessarie – ma la maggior parte delle volte si riceveranno messaggi inutili;
  2. Isola la casella di posta, eliminando la modalità continua: infatti, sapere che è arrivato un nuovo messaggio potrebbe farti accumulare stress. Il segnale acustico che arriva quando si riceve una mail fa scattare nella mente un’immensità di scenari. Chi sarà? Il capo, un cliente o un collega? Ovviamente i pensieri non si fermeranno, fino a quanto non avrai controllato la nuova mail;
  3. Imposta il tuo software di posta elettronica affinché tu riceva i messaggi soltanto in alcuni orari. Se il software non ti consente di attivare questa opzione, disattiva le notifiche sonore e visive.

——————————–

LEGGI ANCHE:

Immagini generate da intelligenze artificiali: a chi appartengono?

Multe salate per chi usa Google Analytics 3

Avvocato, visualizza i tuoi obiettivi per raggiungere ciò che vuoi

Nessun essere umano può vivere senza obiettivi, che siano a breve o a lungo termine. Ma qualsiasi tipo di obiettivo può essere raggiunto soltanto quando si adottano le tecniche giuste.

Ognuno è diverso, quindi non esiste una formula magica assoluta. Visualizzare gli obiettivi, però, è il passo più importante per crescere ed evolvere (e aumentare i profitti).

Tipologie di traguardi

Già da studente avrai avuto a che fare con la visualizzazione di obiettivi. Nella facoltà di giurisprudenza, infatti, avrai compreso quanto è importante fissare un traguardo e trovare un modo per raggiungerlo nel modo migliore.

Magari aspiravi al massimo dei voti: 30 e lode agli esami e 110 in sede di laurea. Queste sono visualizzazioni di obiettivi – che possono essere raggiunti soltanto con una buona strategia.

Da quel 110 avrai sicuramente visualizzato un altro obiettivo: quello di fare carriera. Un buon voto di laurea, infatti, permette di accedere ai concorsi pubblici e offre opportunità di collaborazione con i migliori studi legali.

Scommetto che sei sempre stato abituato a fissare nella tua mente i progetti che vorresti realizzare, e hai imparato ad adottare le tecniche migliori per raggiungere vari step. L’unica cosa che è cambiata, nel corso del tempo, è la tipologia di traguardo che vorresti raggiungere.

Arrivare al traguardo

Gli esseri umani vivono di obiettivi, certo, ma per arrivare al traguardo è comunque necessario pensare ad una strategia.

Gli obiettivi sono formati da quattro elementi: come, dove, quando e perché. La relazione tra questi fattori fa in modo che l’obiettivo prefissato venga raggiunto in modo ottimale e senza troppi sforzi.

Tutti siamo capaci di avere desideri, ma non tutti sono in grado di definire un traguardo finale da raggiungere. Tutti possono aspirare a qualcosa, ma non tutti pensano a come ottenere quella cosa.

Il tuo obiettivo è creare uno studio indipendente? È un traguardo comune per molti avvocati, ma hai mai pensato a quali strategie adottare? Dove vuoi raggiungere questo traguardo? In questa città? Nella tua regione, in Italia o all’estero?

Obiettivi a breve e a lungo termine

Fissare un traguardo fa parte della nostra vita quotidiana. Pensare di fare la spesa entro la fine della giornata, per esempio, è un obiettivo di breve termine. Gli obiettivi di lungo periodo, invece, vanno dai 5 ai 10 anni e consentono di realizzare un proposito compiendo piccoli passi.

Ma perché è così importante visualizzare gli obiettivi, che siano di breve o lungo termine? Il motivo è che ti permettono di agire con sicurezza, affrontando i vari ostacoli che si presentano nel corso del tempo.

In tutte le strade ci sono difficoltà che potrebbero rappresentare una perdita di energia, di soldi e di risorse. Per questo motivo dovresti pensare ad una strategia, per non farti cogliere impreparato al primo imprevisto.

Tutti gli obiettivi possono essere raggiunti, certo, ma non senza sforzi. L’importante è ottimizzare le risorse!

Prendiamo spunto dall’attività di un imprenditore

La parte più importante è come visualizzare l’obiettivo. Prendiamo esempio dall’attività di un imprenditore.

Quando avvia un’azienda, l’imprenditore crea un business plan, ovvero un piano strategico. Ci sono diverse variabili da prendere in considerazione, alle quali dobbiamo aggiungere le risorse di cui disponiamo per raggiungere il nostro obiettivo.

Un imprenditore analizza il mercato per capire se la sua attività avrà successo tra i clienti. Studia ciò che desiderano i consumatori, le loro aspirazioni e il modo in cui si comportano. Soltanto dopo aver capito se il suo progetto è fattibile, allora lo tradurrà nel concreto.

Gli obiettivi relativi alla sua attività si ottengono soltanto in un modo: minimizzando i costi e aumentando i profitti. L’imprenditore strutturerà l’azienda nel modo migliore per riuscire nel suo intento e per avvalersi dell’aiuto di esperti che lo supportino in tutte le scelte.

Dovrà sempre essere presente in azienda, metterci del proprio, e continuare a studiare e a pianificare per superare l’obiettivo finale. Si deve reinventare, diventare economista, commercialista, legale, amministratore delegato, stratega e socio.

Sì, ma nel concreto cosa dovrebbe fare un avvocato?

Un avvocato non avrà le stesse esigenze di un imprenditore, e i suoi obiettivi saranno diversi. Tuttavia, l’avvocato può trarre spunto dal mondo dell’imprenditoria per visualizzare i propri obiettivi e strategie.

Tutti gli avvocati aspirano al meglio per la loro attività e sperano che possa diventare un punto di riferimento per i clienti. L’obiettivo, nel complesso, è quello di creare una brand identity che corrisponda a serietà, affidabilità, professionalità e competenza. Per creare tutto questo lavorerà sodo, ottenendo successi giorno dopo giorno.

Un buon punto di partenza è l’approccio con i clienti. C’è chi cerca un avvocato paziente e chi preferisce una persona agguerrita, che non si faccia molti scrupoli. I clienti non sono tutti uguali, e non sono uguali nemmeno le loro esigenze. Tuttavia, le necessità di ogni cliente devono essere soddisfatte, e per questo bisognerà studiare di continuo.

Il mercato concorrenziale viene sostituito dai problemi dei clienti, e le scelte del consumatore diventano il livello di soddisfazione di chi si rivolge all’avvocato. Per analizzare costi e profitti si devono analizzare le risorse messe a disposizione e gli investimenti che il legale affronta al fine di migliorarsi. Un professionista non investe in un nuovo prodotto, ma utilizza risorse per aggiornarsi, migliorarsi e per studiare.

Tutto questo tenendo a mente il suo obiettivo finale: creare un nome che venga riconosciuto dappertutto. In questo obiettivo troviamo anche altri traguardi, come l’apertura del proprio Studio, la fondazione di una società versatile e la specializzazione in un settore.

Per arrivare a questo, un avvocato dovrà analizzare i risultati che ottiene, per migliorarsi laddove trova qualche défaillance. Soltanto in questo modo si potrà avere una visualizzazione completa del traguardo che si intende raggiungere.

Teniamo sempre bene a mente, però, che umiltà e empatia possono aiutarci parecchio nel raggiungere i nostri obiettivi.

——————————–

LEGGI ANCHE:

Se Keanu Reeves ti chiede 20mila euro, probabilmente è un Deepfake

Sei un leader o un capo?

Avvocato, impara a dire di no

Saper dire di no potrebbe rappresentare un problema anche per l’avvocato migliore del mondo.

Magari non ti piace una pratica, che presenta sin dal principio alcune insidie di grande entità che non intendi affatto sorvolare. Oppure potresti essere sovraccaricato di lavoro, da non riuscire a permetterti di prendere altri impegni. Le richieste di un cliente non si adattano alla tua metodologia, o magari uno dei punti di difesa è in aperto contrasto con le tue ideologie.

Esistono tantissime valide motivazioni per le quali un avvocato potrebbe trovarsi in difficoltà. Ma ricorda: non devi dire per forza di sì!

Trovare le parole giuste

Quando ci troviamo nell’ambito dei lavoratori professionisti, rifiutare un incarico sembra un’impresa difficile. Magari si pensa che un rifiuto potrebbe impattare negativamente sulla propria professione. Un cliente, insoddisfatto a causa di un rifiuto, potrebbe mettere in giro voci poco veritiere o sconsigliare l’avvocato ad amici e parenti.

Per evitare queste spiacevoli conseguenze, bisognerebbe accompagnare un no a delle motivazioni esaurienti, affinché il cliente capisca che il rifiuto serve per prevenire eventuali rischi. Ma come trovare le parole giuste?

Impariamo con i no

Il cervello umano, per natura, registra e assorbe di più i fatti negativi rispetto a quelli positivi.

Pensiamo al no categorico che un genitore impone ai propri figli. Si vuole mettere in allerta il bambino, ma per fargli comprendere che l’azione che sta per compiere potrebbe metterlo in pericolo. Il rifiuto, in questo caso, diventa uno strumento di apprendimento, che resta nella memoria per più tempo rispetto a qualcosa di positivo.

Proviamo ad applicare questa strategia anche nel lavoro. Se ci troviamo in una situazione dove risulta necessario dire di no, e non adottiamo le tecniche più corrette per dirlo, il nostro cliente ricorderà il rifiuto per molto tempo e in modo negativo. Se nel futuro avrà bisogno di tutela legale, non si rivolgerà di certo a noi!

Perché diciamo sempre di sì

Per evitare che da un no nascano delle situazioni difficili da controllare, spesso i professionisti decidono di nascondere quello che vogliono veramente per assecondare ogni richiesta del cliente.

Ma cos’è che spinge una persona a dire sempre di sì?

  1. La prima motivazione riguarda il carattere e l’attitudine personale di un avvocato. A livello professionale, un legale dovrebbe fornire sostegno e supporto. Se si nega l’aiuto, potrebbero nascere dei sensi di colpa;
  2. diciamo di sì per evitare di sembrare maleducati. Un rifiuto potrebbe veicolare un messaggio negativo, e per questo i professionisti decidono di essere gentili e cortesi, andando contro la propria ideologia;
  3. si cerca di evitare ogni conflitto;
  4. si pensa che un sì potrebbe portare automaticamente ad essere apprezzati dagli altri, migliorando in tal modo la reputazione di avvocato;
  5. quando si rifiuta qualcosa si rifiuta un’opportunità  (ma un’opportunità non sfocia obbligatoriamente in qualcosa di positivo);
  6. spesso si accettano tutti gli incarichi per evitare di rovinare o estinguere rapporti lavorativi, soprattutto con i clienti storici.

Assertività e passività

Cerchiamo di capire qual è la differenza tra persona assertiva e persona passiva, analizzando le eventuali ripercussioni a livello lavorativo.

Una persona assertiva, mentre svolge il suo lavoro, non teme il giudizio degli altri e ha le idee ben chiare sulla sua etica professionale. Per questo si sente libera di prendere tutte le sue decisioni in completa autonomia.

Un avvocato assertivo dimostra di avere principi ben saldi, che non possono essere in alcun modo sradicati. Non verrà mai visto come un avvocato altezzoso, ma come una persona coerente e corretta con sé stessa e con in suoi principi.

Il legale passivo, invece, mostrerà massima disponibilità al cliente, anche se non vuole o non ne ha il tempo. Potrebbe sembrare un atteggiamento produttivo, ma a lungo andare creerà dei gravi problemi al rapporto lavorativo. Potrebbe, inoltre, nascondere poca autostima.

Analizziamo i nostri principi e le nostre idee

Focalizziamoci ora sui passi utili per imparare a dire di no ai clienti. È un percorso che parte dall’interno, e può essere portato a termine soltanto dopo un’attenta analisi delle proprie convinzioni e delle proprie idee.

Chiediti: quali sono le tue esigenze? Cosa ti ha spinto a voler diventare avvocato? Quali sono le cause per cui ti vuoi battere? Quali insidie non riesci a superare?

Devi ricordare a te stesso l’obiettivo originario della tua professione. Devi tornare alle origini per renderti conto che spesso ti sei ritrovato a dire di sì solo per far contento un cliente, mettendo te stesso e tutte le tue convinzioni in secondo piano.

Dire di no non è una cosa così grave! Se lo dici, significa che hai una buona motivazione per farlo. Tutto ciò che ne deriva non dovrà essere per forza qualcosa di negativo.

Scegliamo le parole giuste per dire di no

Scegliere le parole giuste da dire è un passaggio fondamentale, per evitare fraintendimenti e tensioni. Diciamo le frasi con fermezza ma con rispetto e gentilezza, assieme ad un tono sereno e pacato.

Mostriamoci interessati al caso, per far capire al cliente che il motivo del rifiuto non è una presa di posizione a priori, ma un’attenta analisi di diversi fattori che andrebbero ad incidere negativamente sul tuo modus operandi o sull’esito positivo della causa.

Spiega bene le motivazioni che ti hanno portata/o a non accettare l’incarico. Ma cerca, comunque, di suggerire delle alternative.

Impara a dire di no!

Saper dire di no ti fa guadagnare rispetto: il cliente vedrà in te un avvocato sincero, che merita una considerazione in più rispetto ad altri. Se un rifiuto viene ben motivato, metterà in luce la tua determinazione e la tua forte personalità, qualità che ti permettono di svolgere molto bene il tuo lavoro.

Sembrerai molto affidabile, perché analizzi dettagliatamente un caso e accetti soltanto se decidi che per te è fattibile portare a termine il compito. Dire di no giova alla tua persona, perché andrai a impegnare le tue energie nelle cose che meglio ti riescono.

Non lasciarti intimorire dalle richieste che ti vengono fatte. Tieni sempre ben saldi i tuoi ideali e impara a dire di no!

——————————–

LEGGI ANCHE:

WhatsApp è una minaccia per la nostra privacy?

Smart Toys: attenzione alla privacy dei più piccoli

Legal Design: comunicare concetti complessi in maniera semplice

Con Legal Design non intendiamo un trattamento estetico dei testi legali. Ci troviamo di fronte ad un vero e proprio metodo di redazione di comunicazioni legali che potrebbe metterci al riparo da sanzioni a causa della poca chiarezza da parte delle autorità di controllo.

Ma prima di comprendere che cos’è il Legal Design, capiamo che cosa non è.

Che cosa non è il Legal Design

Nell’immaginario comune è una tecnica strettamente legata all’utilizzo di icone, immagini ed elementi visivi. Ma il Legal Design non è l’aggiunta di un’immagine di copertina in un contratto, o l’inserimento di illustrazioni tra una clausola e l’altra. Soprattutto se tali immagini non sono pertinenti a ciò che è contenuto nel documento e che non ne chiariscono il contenuto.

L’obiettivo del Legal Design non è la progettazione di documenti che sono appaganti dal punto di vista estetico. Certo, questo potrebbe essere uno degli effetti, ma non è assolutamente il fine.

Che cos’è

Stiamo parlando di una metodologia multidisciplinare e “human-centered”, che utilizza gli strumenti del design per la creazione di servizi legali, documenti legali e per la comunicazione di concetti giuridici complessi in modo semplice ed efficace.

Nata a Standford, la disciplina ha il fine di rendere il processo legale orientato al cliente. È l’utente a trovarsi al centro della comunicazione giuridica, come consumatore finale di norme, obblighi di legge e sentenze.

Dunque, l’obiettivo principale del Legal Design è rendere un concetto immediato e comprensibile, utilizzando principi e strumenti del design. Si interviene soltanto alla fine sul layout del documento, sul linguaggio e sulla componente visiva.

Perché utilizzare il Legal Design

Il Legal Design lavora molto sulla semplificazione del testo, che può avvenire attraverso l’utilizzo di icone e diagrammi, che rendono il messaggio fluido e immediato.

Immagini, diagrammi e flussi possono essere utilizzati per la rappresentazione delle norme e dei vari provvedimenti legislativi (le cosiddette “visual law”). Oppure, processi giuridici molto complessi possono essere tradotti in testi e immagini.

Ma perché dovremmo utilizzare il design all’interno del mondo legale? Dal punto di vista accademico e della ricerca, il Legal Design crea un miglior accesso alla giustizia, grazie alla semplificazione (ma non alla banalizzazione) di concetti giuridici complessi, favorendone la divulgazione.

Quali sono i vantaggi

Miglior comunicazione delle informazioni

Con il Legal design si possono creare dei documenti semplici da leggere, che comunicano informazioni legali complesse. Un’efficace comunicazione delle varie informazioni legali migliora il rapporto con i dipartimenti interni, diminuendo le richieste di chiarimenti e la necessità di followup.

Migliora i processi interni

Nella stesura delle procedure interne questa tecnica semplifica l’accesso alle varie informazioni, garantendone l’applicazione. Per esempio, pensiamo alle varie procedure in ambito di privacy e compliance, dove le informazioni devono essere sempre disponibili e comprensibili per tutti.

Le attività da svolgere in caso di violazione dei dati personali sono lunghe e complesse, e sono scritte in “legalese”, con una fruibilità che si limita al dipartimento legale. La “legal visualisation”, invece, consente una fruizione in maniera diretta da parte di tutte le funzioni interessate, riducendo anche il rischio che vengano messe in pratica delle azioni sbagliate (che potrebbero comportare sanzioni).

Migliora la compliance normativa

All’interno del sistema legislativo troviamo più volte un invito finalizzato alla chiarezza e alla trasparenza nei confronti degli utenti finali e dei consumatori. Troviamo due esempi nel Codice del Consumo e nel GDPR, il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati Personali.

Il Codice del Consumo raccomanda che le clausole che ci sono nei contratti rivolti al consumatore debbano essere redatte «in modo chiaro e comprensibile». L’Art. 12 del GDPR, per quanto riguarda la privacy, prevede che le informazioni che devono essere fornite agli interessati (l’informativa sulla privacy), debbano essere comprensibili e accessibili, adottando un linguaggio semplice e chiaro.

Le informazioni devono essere fornite insieme ad icone standardizzate, per fornire in maniera intelligibile e leggibile una visione generale del trattamento previsto. Il Legal Design diviene uno strumento di conformità normativa, per ridurre il rischio di sanzioni da parte delle varie autorità di controllo.

Uno degli esempi più immediati per comprendere che cos’è il legal design è la segnaletica stradale: ogni segnale è immediato, univoco, sintetico e leggibile da tutti.

I principi del Legal Design

Margaret Hagan, una delle “madri” del Legal Design, ha teorizzato ben sei principi che possiamo riassumere così:

Principio n.1: responsabilizzare gli utenti dei servizi legali

La maggior parte delle persone vorrebbe maggiori input e supervisione del processo. Vorrebbero un rapporto di collaborazione con il proprio avvocato. Il Legal Design aiuta a comprendere che cosa sta succedendo e a trovare la strategia più corretta per affrontare la situazione. Proprio per questi motivi è importante fornire agli utenti strumenti per comprendere il sistema legale.

Principio n.2: l’informazione legale è un viaggio finalizzato alla responsabilizzazione dei viaggiatori

È importante mostrare ad una persona come funziona il sistema, passo dopo passo. Bisognerebbe far finta di trovarsi in un gioco da tavolo, dove sono chiari i vari percorsi e i punti di inizio e di arrivo. Utilizzare la metafora del viaggio aiuta a far comprendere all’utente cosa succede, dove si sta andando e i vari ruoli assunti.

Principio n.3: è importante che ci sia collaborazione tra il cliente e l’avvocato

Gli avvocati, in passato, si consideravano come “adulti” e i clienti come “bambini”, nascondendo loro dettagli importanti. Tuttavia, secondo vari studi e ricerche, le persone vorrebbero essere più partecipi nella propria difesa. Vorrebbero comprendere le opzioni e le strategie per supervisionare il lavoro del proprio avvocato.

Principio n.4: è importante fornire il quadro generale della situazione

In questo modo, le persone comprendono il contesto e i motivi per cui si sta lavorando in un determinato modo.

Principio n.5: comunica in modo semplice, e comunica l’essenziale 

Le persone vorrebbero conoscere la strategia migliore per la loro situazione, ma ricorda di non scaricare tutte le scelte sull’utente finale.

Principio n.6: le persone dovrebbero personalizzare la propria esperienza

Non a tutti piace ricevere le informazioni nello stesso identico modo. Qualcuno è più visivo, ad altri piace leggere: nel Legal Design le informazioni sono rese disponibili in diverse modalità, tenendo conto di tutti i tipi di utenza. Poster, documenti, brochure, siti Web, report, social, WhatsApp, e così via: raggiungi i tuoi target e presenta i tuoi contenuti nel formato più adeguato.

——————————–

LEGGI ANCHE:

Facebook può sospendere gli account degli utenti no-vax?

Chi c’è veramente dietro agli attacchi informatici alle nostre aziende di energia?

L’abito non fa il monaco, e la toga non fa l’avvocato

Se entriamo in un tribunale all’ora di punta assisteremo ad una sfilata di abiti da lavoro. Una mise sobria ed elegante, infatti, esprime autorevolezza e professionalità. Ma l’abito non fa il monaco, e la toga non fa l’avvocato. Il modo di vestire, quindi, non rende né migliore né peggiore un avvocato.

Il fascino dell’avvocato

Quello che affascina il mondo dell’avvocatura è certamente l’intraprendenza e la voglia di sentirsi dei supereroi che difendono i più deboli. Capita, però, che qualcuno rimanga affascinato anche dalla possibilità di sfoggiare degli abiti da sogno.

La convinzione che l’avvocato sia un influencer dell’alta moda proviene dal mondo del cinema e della televisione, un mondo che ci propone l’immagine di un professionista molto attento a ciò che indossa.

Ovviamente, l’avvocato non è qualcuno che sa abbinare scarpe, borsa e cintura a seconda dei colori di stagione. L’avvocato è molto di più di quello che si vede esternamente. È il frutto di un vestito cucito durante lunghi anni di lavoro su di sé.

Cosa significa essere avvocato

Essere un avvocato significa essere onesti con i propri clienti. L’obiettivo di un professionista non è quello di difendere una persona indifendibile. La difesa, infatti, è una strategia che applica in modo equo il diritto e l’interpretazione della legge.

Secondo l’articolo 10 del Codice Deontologico Forense, un avvocato deve adempiere fedelmente al mandato, tutelando l’interesse dalla parte assistita nel pieno rispetto della Costituzione. È lo stesso codice ad affermare che il professionista dovrebbe osservare i doveri di dignità, probità e decoro, anche al di fuori del lavoro.

Questi attributi, se ben vestiti, calzano meglio di un paio di scarpe all’ultima moda.

Evitare secondi fini

Un avvocato non deve rinunciare all’astuzia, ma sicuramente dovrebbe evitare secondi fini, che vanno oltre il semplice difendere l’assistito. La prospettiva di una buona retribuzione, inoltre, potrebbe far perdere di vista l’obiettivo principale per cui si sceglie di diventare avvocato.

La dignità è un accessorio che l’avvocato indossa quotidianamente: significa rispettare sé stessi e il ruolo rivestito nella società. Può sembrare un lavoro semplice, ma non è una sfida a chi guadagna di più. O a chi riesce a vincere grazie ai sotterfugi.

Bisogna essere coraggiosi

La professione dell’avvocato è una missione: bisogna avere la stoffa giusta per diventare un buon legale. Per diventare avvocato non serve soltanto un supporto economico per riuscire ad affrontare il praticantato: bisogna avere pazienza ed essere coraggiosi.

Il coraggio si dimostra anche e soprattutto nei confronti dei clienti: non sapere chi varcherà le porte dello studio non piace a molti professionisti, che spesso, seguono dei casi a malincuore. Un cliente potrebbe essere colui che subisce un’ingiustizia, ma potrebbe anche essere il carnefice, che necessita di una tutela adeguata fino a quando non verrà decisa la sua pena.

Le pene, secondo la Costituzione, dovrebbero avere un ruolo rieducativo. Il colpevole, infatti, è tale soltanto in presenza di una condanna definitiva. Tutelare una persona responsabile di un qualche reato richiede molto coraggio, lo stesso coraggio richiesto nella capacità di rifiutare un incarico che non rispetta i propri principi morali.

Le soddisfazioni arrivano soltanto se si possiede un certo livello di testardaggine

È necessaria anche la tenacia per riuscire a portare a termine il proprio lavoro e per affrontare la quotidianità. Un avvocato non può garantire sempre soddisfazione (soprattutto economica). Molti dati statistici dimostrano che i professionisti che abbandonano la carriera legale sono sconfortati dalle varie difficoltà che incontrano nel loro percorso lavorativo.

Ma le soddisfazioni arrivano soltanto se si possiede un certo livello di testardaggine, per perseguire i propri obiettivi, consapevoli che sacrifici e rinunce sono all’ordine del giorno. La pazienza va a braccetto con la tenacia: un vero avvocato lo sa molto bene.

La pazienza non assume la forma dell’avvocato che si siede alla scrivania, in attesa che qualcuno entri nel suo ufficio. La pazienza è l’avvocato che, mentre attende una sentenza, si aggiorna, studia e acquisisce nuove conoscenze.

La professione forense sta evolvendo

Il curriculum di un avvocato è costellato di vittorie, collaborazioni, riconoscimenti e talvolta pubblicazioni.

Libri e riviste giuridiche sono pieni di articoli scritti dai migliori professionisti, che offrono spunti molto utili per tutti quelli che sono alle prime armi. Ma sono le competenze, l’esperienza e la versatilità a qualificare un professionista.

La competenza è un requisito essenziale che contraddistingue gli avvocati. Un professionista, infatti, oggi può specializzarsi in due tra i dieci settori che sono stati individuati dal Decreto sulle Specializzazioni Forensi.

La specializzazione è un parere espresso dal CNF e dal Consiglio di Stato riguardo le competenze dimostrate da un professionista. L’esito favorevole consente all’avvocato di essere specialista di un determinato comparto, ovvero di essere in grado di fornire un’assistenza adeguata in caso di bisogno.

Tutto questo serve a garantire dei servizi sempre più personalizzati e dotati di una qualifica elevata nei confronti delle persone che ne fanno richiesta. Oggi si può chiedere un’assistenza specifica anche nell’ambito dell’informatica.

È evidente, dunque, che la professione forense sta evolvendo (in meglio).

Le skills di un professionista

L’esperienza si costruisce giorno dopo giorno, grazie alla perseveranza di chi vuole imparare mettendosi in gioco con il proprio lavoro. L’avvocato si reinventa, e diventa un professionista che possiede differenti abilità (skills).

Si acquisisce esperienza accantonando la paura, imparando ad avere coraggio anche in situazioni improbabili. Per questo un professionista è disposto alle collaborazioni, alle trasferte e ad affrontare realtà che spesso sono molto diverse fra loro. L’esperienza conta molto per quanto riguarda la reputazione del professionista: non per vantarsene, ma per utilizzarla nelle giuste occasioni.

Viva la versatilità

La versatilità è una caratteristica necessaria quando l’avvocato deve fronteggiare una crisi senza eguali, o in caso di un’altissima concorrenza tra Studi a suon di parcelle ribassate. Il professionista si reinventa, chiaramente rispettando le normative del settore, diventando consulente, docente, assistente, coach o redattore.

Apre un blog, scrive testi, si fa conoscere sul mercato presentandosi nel modo più professionale possibile. Un professionista si reinventa anche con le consulenze online o con l’assistenza nella redazione di contratti.

Insomma, la versatilità diventa un modo per riuscire a rivalutare una professione che non garantisce sempre soddisfazioni immediate, ma che potrebbe regalare tanto a sé stessi e agli altri. Competenze, versatilità ed esperienze valgono molto di più di un bel curriculum che manca di capacità trasversali.

La responsabilità della toga

Nelle aule di un tribunale, giudici e avvocati indossano la toga, una veste che trasmette professionalità, autorevolezza e senso del dovere. Indossare una toga significa ritrovarsi all’improvviso ad avere nelle proprie mani un grande potere sul destino delle persone.

Trattandosi di diritto e di legge, si entra in un settore in cui terzietà, imparzialità, fiducia e lealtà camminano di pari passo. A questo possiamo unire anche la condotta incorruttibile e impeccabile di chi entra in una Corte.

Vestire una toga non è una cosa semplice: chi la indossa deve rispecchiare i requisiti di integrità, indipendenza, integrità e correttezza della professione forense. Tutto questo prende il nome di reputazione, che si costruisce attraverso un duro lavoro fatto di sacrifici e rinunce.

Il Codice Deontologico dovrebbe portare l’avvocato a salvaguardare la propria reputazione durante il lavoro e al di fuori dell’attività professionale. Se un avvocato non si attiene ai vari doveri stabiliti dal Codice, non ha diritto di indossare una toga con dignità. L’avvocato, prima di essere un professionista, è un uomo e carne ed ossa, che come tutti è soggetto a fragilità e debolezze.

Abbracciare i propri valori

Tutto questo non significa rinunciare alla propria vita per una carriera invidiabile, anzi. Significa abbracciare dei valori spesso non condivisi dalla gente comune.

Optare per questi valori significa farli propri anche nel quotidiano, abbandonando anche gli ideali sociali e morali che sono stati acquisiti a scuola, attraverso le simpatie politiche, con gli affetti o con l’esperienza.

Fare l’avvocato non significa abbandonare sé stessi. Significa anche avere ripercussioni positive sul carattere e sulla personalità di una persona. Una persona che studia assume un atteggiamento accorto e prevenuto, che aiuterà nell’affrontare gli ostacoli senza ricorrere a secondi fini. Chi indossa una toga deve dimostrare di esserne all’altezza, ancor prima di esserne capace.

——————————–

LEGGI ANCHE:

Google Analytics è illegale? Ecco come stanno cambiando le cose in Europa

Come difendersi dai malware?

Servicematica

Nel corso degli anni SM - Servicematica ha ottenuto le certificazioni ISO 9001:2015 e ISO 27001:2013.
Inoltre è anche Responsabile della protezione dei dati (RDP - DPO) secondo l'art. 37 del Regolamento (UE) 2016/679. SM - Servicematica offre la conservazione digitale con certificazione AGID (Agenzia per l'Italia Digitale).

Iso 27017
Iso 27018
Iso 9001
Iso 27001
Iso 27003
Agid
RDP DPO
CSA STAR Registry
PPPAS
Microsoft
Apple
vmvare
Linux
veeam
0
    Prodotti nel carrello
    Il tuo carrello è vuoto