Lo smart working aiuta a migliorare la qualità del lavoro?

Work-life-balance: l’equilibrio tra lavoro e vita privata.

Se questo equilibrio era inizialmente focalizzato sugli aspetti quantitativi del lavoro, nel giro di poco tempo ha assunto un senso più ampio, andando ad abbracciare anche gli aspetti qualitativi.

Il cambiamento si è intensificato grazie alla pandemia, che ha velocizzato dei processi che erano già in atto, introducendo delle variabili non ancora così utilizzate, come lo smart working.

Nel giro di pochissimo tempo gran parte della popolazione mondiale ha provato i benefici ma anche i lati negativi dello smart working, come la solitudine e l’invasione del lavoro nella sfera privata, che sembrava non avere più confini e orari.

L’esperienza ha condotto aziende e lavoratori ad interrogarsi sul futuro del mercato del lavoro e dell’organizzazione del lavoro. Sono comparsi i cosiddetti nomadi digitali, le persone che fanno del lavoro da remoto un vero e proprio stile di vita, oltre a nuove modalità di interazione con i colleghi e ad una nuova gestione dei rapporti nelle gerarchie.

Il concetto stesso di leadership è andato in crisi, grazie al cambiamento organizzativo e culturale, inizialmente imposto da situazioni di necessità e ora desiderato dalla gran parte dei lavoratori.

Sostenibilità lavorativa

Ma prima di capire come affrontare questa nuova epoca lavorativa, ci dobbiamo interrogare sul concetto di sostenibilità.

Ancora prima della pandemia, il concetto di equilibrio era giunto nella cultura del lavoro, ma i tempi non erano ancora maturi per trovare il modo adatto per modificare un sistema così radicato nella nostra cultura lavorativa.

Nemmeno la tecnologia sembrava pronta ad affrontare questo salto culturale. Ma il 2020 è sembrato un momento perfetto per questa cominciare questa transizione. Infatti, l’imposizione del lockdown ha creato le condizioni adatte per testare questi cambiamenti.

Cambiamenti inizialmente sofferti, poi inevitabilmente gestiti, accettati e alla fine apprezzati. Lo smart working oggi è desiderato dall’80% dei lavoratori, più attenti alla qualità del lavoro.

Work-life-balance è, innanzitutto, equilibrio quantitativo. Ci riferiamo all’orario, alle pause e agli straordinari. Tutto questo è soggetto ad una specifica normativa, dato che ha, da sempre, rappresentato un punto delicato da regolamentarizzare, al fine di prevenire sfruttamenti e abusi da parte dei datori di lavoro.

La pandemia ha posto l’accento sull’accoppiata vita privata – lavoro. Sembrava che non ci fossero più confini: si lavorava da casa, più di prima, senza orari o giorni liberi, senza relax e senza hobby. Il lavoro aveva invaso lo spazio familiare, in senso fisico ed emotivo.

Ed è così che entra in gioco il diritto alla disconnessione, formalmente normato: parliamo del diritto di spegnere telefoni e computer e di non rispondere continuamente a mail e messaggi. Il concetto di quantità, dunque, ha cominciato ad inglobare anche quello di qualità.

Migliorare la qualità di vita migliora la qualità del lavoro

Oggi, la qualità dipende anche da dove e come viene erogato il lavoro, dalla formula che mette insieme i momenti da remoto e quelli in presenza. Soprattutto per i pendolari e per quelli che hanno vissuto nelle grandi città, avere la possibilità di lavorare, almeno in alcuni momenti, da remoto, potrebbe cambiare la loro qualità di vita, oltre a quella del lavoro.

Evitare di fare code in auto ogni giorno, impiegare il proprio tempo in lunghissimi spostamenti, la difficoltà di trovare parcheggio, prendere i mezzi pubblici: evitare tutto questo significare andare a ridurre i livelli di stress.

A tutto questo possiamo aggiungere anche il risparmio economico, la riduzione dell’inquinamento e del rischio di incidenti, ma anche il guadagno del tempo da dedicare a sé stessi e alla famiglia, oltre al guadagno delle ore di sonno.

Oggi il lavoro è liquido, sia per quanto riguarda le modalità di erogazione, ma anche per quanto concerne i luoghi e i contenuti. «La mia vita comincia alle ore 18» era una classica frase che si sentiva pronunciare in passato, ma che oggi comincia a perdere senso, dato che il lavoro sta diventando parte della vita delle persone e un luogo in cui una persona può crescere e realizzarsi.

Che cosa stanno facendo le aziende

Sono cambiamenti epocali, che promuovono mutamenti nell’organizzazione del lavoro, delle location e dei contenuti. Se un tempo l’organizzazione dei luoghi di lavoro era finalizzata soltanto alla prestazione lavorativa, oggi si comincia a comprendere che il cambiamento culturale del mondo del lavoro necessita di cambiamenti organizzativi, culturali e gestionali da parte della stessa azienda.

Ma quali sono le principali soluzioni che il mondo delle aziende sta adottando per l’innovazione del lavoro?

  1. Riduzione degli orari di lavoro: si prova a ridurre l’orario del lavoro, accorciando la settimana lavorativa. Dunque, si comincia a puntare verso il risultato, e non sulla quantità. Nel nord Europa, sembra che gli esperimenti in materia abbiano dimostrato un aumento di più del 30% della produttività, di fronte alla riduzione dell’orario lavorativo;
  2. Concedere lo smart working: molto richiesto e apprezzato da lavoratori e aziende è il lavoro ibrido. Nelle offerte di lavoro, infatti, comincia ad essere presenta la formula 4+1, 3+2, 2+3. Nel mondo del web e dell’informatica si parla anche di smart working al 100%. Alcune aziende consentono agevolazioni per le lavoratrici madri, situazioni con difficoltà familiare e altre situazioni specifiche;
  3. Riorganizzare le location: le novità organizzative e culturali prevedono anche la ricalibrazione della logistica interna. Molte strutture stanno rivisitando completamente l’organizzazione degli interni, con nuove aree per il relax, sale riunione, mense, ma anche spazi per pensare e isolarsi;
  4. Team building: l’aspetto motivazionale, oggi, è centrale. Persone più motivate e felici, che lavorano in armonia e sinergia, stanno meglio e producono di più. Per questo si sta ricorrendo ad attività di coaching e team building, al fine di creare momenti di coesione e condivisione.

Per concludere, possiamo affermare che lo stesso concetto di lavoro, la sua quantità, la sua qualità e la realizzazione personale sono tutti in fase di ridefinizione, in un’ottica di maggior sostenibilità e di miglior integrazione work-life.

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Un disegno di legge per istituire due Albi Speciali per laureati e praticanti

Nel marzo del 2020, su 470.000 professionisti che hanno deciso di richiedere il bonus da 600 euro, 140.00 erano avvocati. Parliamo di più della metà degli iscritti alla Cassa. Partendo da queste premesse, il senatore di FI Zanettin , con il suo DL 179 intende modificare la legge n.247 del 31 dicembre 2012.

Tale proposta prevede la riforma dell’esame e l’istituzione di due sbocchi professionali intermedi rispetto al conseguimento del titolo di avvocato. In particolar modo, si vorrebbe istituire un albo speciale degli ausiliari, nel quale i laureati in giurisprudenza potranno svolgere un’attività qualificata e retribuita, sotto la supervisione e la guida di un avvocato.

Leggiamo nel DL: «L’iscrizione all’albo speciale degli ausiliari può essere chiesta al consiglio dell’ordine da chi, in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito a seguito di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, ha un rapporto di lavoro subordinato con un soggetto esercente la professione legale, in forma personale, associata o societaria».

Con lo scopo di valorizzare il praticantato, e a condizione che vengano superate le verifiche intermedie, verrà istituito un ulteriore albo speciale dei consulenti legali. Spiega Zanettin: «Si tratta di una figura professionale intermedia fra l’ausiliario e l’avvocato», e per accedervi bisogna avere un rapporto di lavoro subordinato con un soggetto che esercita la professione.

Lo scopo è quello di «tutelare coloro che intendano operare nell’ambito giudiziario come professionisti retribuiti, ma che, valutando anche la situazione del mercato, non intendano avviare un proprio studio legale».

Il testo interviene sull’esame di Stato mediante l’introduzione di una prova preselettiva unica nazionale. Per chi supera tale prova, si prevede l’inizio dell’esame vero e proprio che verrà suddiviso in una prova scritta e una prova orale.

Nella prova selettiva ci saranno cento quesiti a risposta multipla. Per superarla si dovrà conseguire il punteggio minimo che corrisponde a 70 risposte corrette.

Nella prova scritta è prevista la redazione di un atto giudiziario. Il candidato potrà scegliere fra diritto privato, penale e amministrativo. Si svolgerà senza l’ausilio dei codici commentati. La prova orale, invece, oltre all’illustrazione della prova scritta, prevederà cinque diverse materie, tra le quali ne troviamo una di natura procedurale.

Tra le materie obbligatorie, oltre all’ordinamento e alla deontologia forense, troviamo diritto dell’UE, diritto costituzionale e i principi di organizzazione e gestione di uno Studio o Ufficio legale. Dunque, sarà necessario conoscere regolamenti, procedure, codici di condotta, disposizioni di legge, norme sulla riservatezza dei dati personali, di previdenza e antiriciclaggio.

Alla prova orale sono ammessi i candidati che hanno raggiunto un punteggio di 35 punti, con un voto non inferiore a 6 dalla parte di ogni componente della commissione. Saranno giudicati idonei i candidati con punteggio minimo di 150 punti e non inferiore a 30 punti per ogni materia.

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Chatbot per Studi Legali: sì o no?

Nel settembre del 2022, David Wakeling, il responsabile del gruppo di innovazione dei mercati di uno Studio Legale londinese, si è imbattuto in Harvey, uno strumento di intelligenza artificiale generativa interamente dedicato al settore legale.

Lo strumento è stato sviluppato dalla ormai conosciutissima società OpenAI. Alcuni avvocati di questo Studio Legale avrebbero dovuto utilizzare il servizio per riuscire a rispondere a delle semplici domande giuridiche, per redigere documenti e per inviare alcuni messaggi ai clienti.

La sperimentazione, inizialmente limitata, si è allargata nel giro di pochissimo tempo. Infatti, ben 3500 dipendenti dei 43 uffici dell’azienda in questione hanno cominciato ad utilizzare lo strumento, al quale hanno rivolto più di 40mila domande.

L’inizio di un cambiamento di paradigma

Oggi lo Studio Legale ha cominciato una partnership con il servizio, al fine di integrare Harvey in tutta l’azienda. Un avvocato su quattro dello Studio Legale in questione usa lo strumento di Ai ogni giorno, mentre l’80% lo utilizza una volta al mese. Inoltre, l’azienda comunica che ci sono anche altri Studi che cominciano ad utilizzare lo strumento.

La diffusione dell’intelligenza artificiale e l’eventualità che riesca a rivoluzionare il settore legale sono stati annunciati più volte nel passato. Tuttavia, grazie al recente boom degli strumenti di Ai generativa, come ChatGpt, gli avvocati si stanno lasciando andare a queste tecnologie, come Wakeling: «Penso che sia l’inizio di un cambiamento di paradigma: credo che questa tecnologia si adatti molto al settore legale».

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La tecnologia potrebbe essere perfetta per il settore legale, che comincia a fare sempre più affidamento su documenti standardizzati.

Lilian Edwards, docente di diritto, innovazione e società alla Newcastle University spiega: «Applicazioni legali come la creazione di contratti, passaggi di proprietà o licenze in realtà sono un’area relativamente sicura in cui impiegare ChatGpt e i suoi cugini».

Continua: «La generazione automatizzata di documenti legali è un’area in crescita da decenni, perché gli studi legali possono attingere a grandi quantità di modelli altamente standardizzati e banche di precedenti su cui basare la generazione di documenti, rendendo i risultati molto più prevedibili rispetto alla maggior parte dei testi prodotti liberamente».

Ma i problemi relativi alle creazioni dell’Ai generativa cominciano già a farsi sentire. In primo luogo, si è notato come questi strumenti si inventino delle cose di sana pianta. È un aspetto che rappresenta un problema non indifferente in ambito di ricerche online; in campo giuridico, invece, potrebbe determinare la differenza tra il successo e il fallimento, comportando anche una notevole perdita economica.

Gabriel Pereyra, fondatore e CEO di Harvey, ha dichiarato che l’intelligenza artificiale mette a disposizione una serie di sistemi capaci di rilevare e prevenire queste “allucinazioni”. «I nostri sistemi sono stati messi a punto per i casi d’uso legali su enormi insieme di dati legali, il che riduce notevolmente le allucinazioni rispetto ai sistemi esistenti».

Supervisione dei risultati

In ogni caso, Harvey è incappato in alcuni errori, e lo Studio Legale è dovuto ricorrere ad un programma di gestione del rischio collegato alla tecnologia. Commenta Wakeling: «Dobbiamo fornire servizi professionali del livello più alto. Non possiamo permettere che delle allucinazioni contaminino le consulenze legali».

Gli avvocati che utilizzano Harvey si ritrovano davanti ad un elenco di regole per utilizzare correttamente lo strumento. Quella più importante è la supervisione dei risultati. «Bisogna convalidare tutto ciò che esce dal sistema. Va controllato tutto».

Wakeling dice di essere rimasto molto colpito dalle abilità che Harvey ha manifestato in campo di traduzione. Il sistema, infatti, sembra cavarsela bene anche in materia di diritto tradizionale. Nonostante ciò, sembrerebbe avere delle difficoltà quando si deve occupare di nicchie specifiche, ed è qui che manifesta la maggior parte delle allucinazioni.

Ottimismo moderato

Alcuni avvocati hanno parlato con Wired US e hanno dichiarato di essere cautamente ottimisti per quanto riguarda l’integrazione dell’Ai all’interno della loro professione. Per esempio, l’avvocato Sian Ashton sostiene che: «E’ sicuramente una cosa molto interessante, senza dubbio indicativa delle fantastiche innovazioni che stanno avvenendo all’interno del settore legale».

Tuttavia, continua l’avvocato, «si tratta di uno strumento ancora agli albori, e mi chiedo se faccia molto di più che fornire documenti già disponibili in azienda o tramite servizi di abbonamento».

Per Daniel Sereduick, invece, un avvocato di Parigi specializzato nella protezione dei dati personali, l’intelligenza artificiale generativa continuerà ad essere utilizzata soltanto per il lavoro di base. «La stesura di documenti legali può essere un’attività ad alta intensità che l’Ai sembra essere in grado di affrontare abbastanza bene. I contratti, le polizze e gli altri documenti legali tendono ad essere normativi, quindi le capacità dell’Ai di raccogliere e sintetizzare le informazioni possono fare gran parte del lavoro».

Ma i risultati che produce una piattaforma di Ai dovranno essere attentamente esaminati: «Parte dell’esercizio della professione legale consiste nel comprendere le circostanze particolari del cliente, quindi raramente i risultati saranno ottimali».

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Sereduick dice anche che, se da un lato i risultati dell’Ai dovranno venire monitorati con attenzione, gli input potrebbero risultare altrettanto impegnativi in termini di gestione. «I dati inviati ad un’Ai possono diventare parte del modello dei dati e/o dei dati di addestramento, e ciò violerebbe molto probabilmente gli obblighi di riservatezza nei confronti dei clienti e i diritti di protezione dei dati e della privacy delle persone».

Questo problema è particolarmente sentito in Europa, nel quale l’utilizzo di questa tipologia di Ai potrebbe anche violare i principi del Gdpr, il regolamento che disciplina la quantità dei dati delle persone che le aziende possono raccogliere ed elaborare.

È probabile che all’interno del quadro del Gdpr gli Studi Legali necessitino di una base giuridica solida, al fine di inserire i dati personali dei clienti all’interno di uno strumento di Ai generativa come Harvey, ma anche di contratti che vadano a disciplinare il trattamento di questi dati da parte dei gestori degli strumenti di Ai.

In Europa, l’Ai Act tenta di regolamentare rigorosamente l’utilizzo dell’intelligenza artificiale. In Italia, per esempio, all’inizio di febbraio, il Garante è intervenuto al fine di impedire ad un chatbot, Replika, l’utilizzo dei dati personali degli utenti.

Secondo Wakeling l’intelligenza artificiale, nel suo Studio «farà davvero la differenza in termini di produttività ed efficienza». Piccoli compiti, che di solito rubano minuti preziosi nella giornata dell’avvocato, infatti, potrebbero essere affidati all’Ai.

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Cosa stanno facendo le aziende per garantire la parità di genere?

Che cosa si intende con gender gap?

Spesso utilizzata in maniera inappropriata, l’espressione gender gap definisce la disparità di genere e il divario lavorativo, economico e politico che esiste tutt’ora tra il genere femminile e quello maschile, ma anche ad altre differenze di genere non attribuibili soltanto al classico binomio donna/uomo.

Ancora oggi, in Italia e nel resto del mondo, ci sono pregiudizi che entrambi i generi (ma soprattutto quello femminile) sono tenuti a sopportare, con le conseguenti differenze, talvolta abissali, per quanto riguarda le opportunità lavorative, oltre a quelle relative al divario retributivo, alla parità di ruoli e alle ore lavorate.

Gender Gap vs Gender Equality

Se gender gap indica le differenze tra i generi, l’espressione gender equality, invece, sottolinea il concetto di uguaglianza tra il mondo femminile e quello maschile.

Queste tematiche, negli ultimi anni, hanno assunto rilevanza a livello politico, sociale e nel mondo del business. La motivazione iniziale era collegata al rispetto della dignità dell’essere umano, in generale, senza far distinzione di alcun tipo e genere.

Tuttavia, un po’ alla volta, il tema ha cominciato a diventare sempre più di interesse pubblico, diventando un caposaldo attorno al quale costruire una società e un mondo del lavoro più sano. Sostanzialmente, la differenza di genere non deve essere una fonte di divario, ma di complementarietà, forza e opportunità.

Anche il World Economic Forum, l’appuntamento economico-sociale più importante dell’anno, si è dotato di un Global Gender Gap Index. Parliamo di uno studio completo con l’elaborazione di un rapporto finale, che viene pubblicato tutti gli anni e che riporta i dati del divario di genere.

Vengono considerati i seguenti indici: situazione economica e opportunità lavorative, salute e sopravvivenza, istruzione, ed infine, partecipazione alla vita politica

Lo studio valuta, secondo una scala che va da 0 a 100, l’attuale divario di genere e la sua evoluzione nel corso del tempo. Nell’ultimo rapporto, quello del 2022, riporta che a livello mondiale il divario di genere è stato colmato per una percentuale corrispondente al 68%.

Tuttavia, il trend dimostra anche che per un’effettiva gender equality ci vorranno almeno altri 132 anni.

Nessun Paese in tutto il mondo è riuscito a raggiungere al 100% la parità di genere. In generale, l’Islanda si piazza al primo posto tra i paesi in cui il divario risulta meno accentuato, con un 91% di parità di genere. L’Italia, ahimè, non si piazza bene né nella classifica mondiale, dato che si trova al 63esimo posto, e nemmeno nella classifica UE (14esimo posto).

Divario retributivo

Per quanto riguarda il divario retributivo tra il genere femminile e quello maschile, l’indice fa riferimento allo stipendio lordo medio, a parità di funzioni e ruoli lavorativi.

Secondo gli ultimi dati, in Italia questo divario si attesta intorno al 13%, con una media europea del 16,3%. Sono dati che vanno letti e interpretati all’interno di considerazioni più ampie, e non alla lettera.

Il problema, infatti, non è soltanto la differenza retributiva a parità del proprio ruolo sul lavoro, ma anche che alcune posizioni ai vertici sono riservate quasi esclusivamente agli uomini. Inoltre, la percentuale di donne disoccupate continua ad essere maggiore rispetto a quella maschile.

Considerando anche questi altri fattori, possiamo osservare che il gap cresce ancora di più, arrivando al 44% in Italia, su una media europea del 40%. È opportuno considerare anche che la pandemia sembra aver amplificato tale divario.

Quali sono le cause del gender gap?

L’Italia, nonostante sia uno dei Paesi maggiormente industrializzati in tutto il mondo, ha molteplici cause che possono essere ricondotte a questo divario, come, per esempio:

  • un numero minore di donne che lavorano in ambito technology, che attualmente è tra i campi maggiormente in crescita nel mercato;
  • sospensione o interruzione di carriera a causa della maternità;
  • sospensione o interruzione di carriera a causa di ruoli di assistenza a familiari in difficoltà (caregiver);
  • dimissioni volontarie per conciliare meglio vita lavorativa e privata;
  • pregiudizi durante le fasi di selezione, soprattutto verso le lavoratrici più giovani.

Tutte queste cause limitano l’accesso alle posizioni di vertice alle donne, portandole anche a non partecipare continuativamente alla vita aziendale, con più contratti part-time e congedi parentali. Inoltre, alimentano i pregiudizi (anche personali) sulla propria carriera che le spingono a rinunciare volontariamente al loro posto di lavoro.

Cosa possono fare le aziende in 10 punti

Ogni azienda adotta le politiche più appropriate al proprio stile e al proprio valore e in linea con le proprie necessità organizzative. Ma sono le persone fisiche come HR manager, CEO e Direttori Generali, tuttavia, che fanno la differenza in base alla propria sensibilità sull’argomento.

Ma quali sono le azioni effettive che un’azienda dovrebbe adottare al fine di ridurre il più possibile o eliminare completamente la gender gap?

  1. Politiche di sostegno alla maternità, partendo dallo smart working sino ad arrivare al bonus asilo o all’implementazione di asili interni;
  2. Personalizzazione dei percorsi di carriera, che tengano presente delle esigenze delle lavoratrici-madri;
  3. Maggior sostegno alla leadership femminile, assicurando anche posizioni di vertice a figure femminili che sono state formate adeguatamente;
  4. Parità a livello retributivo, basandosi su criteri meritocratici condivisi e trasparenti;
  5. Gestione meritocratica dei colloqui in fase di selezione;
  6. Gestire la privacy interna in modo tale che le varie informazioni possano diventare fonte indiretta o diretta della disparità di genere;
  7. Coinvolgere attivamente le persone nei progetti, senza alcuna preclusione a livello di genere;
  8. Azioni concrete che garantiscono a tutti, donne incluse, benessere lavorativo;
  9. Dare un buon esempio da parte delle persone che occupano posizioni al vertice;
  10. Sensibilizzare e diffondere a qualsiasi livello la cultura della gender equality.

Tutto questo porta a maggiori e migliori performance, maggior produttività, innovazione e flessibilità, favorendo anche un miglior clima aziendale che porta, inevitabilmente, al benessere per i singoli ma anche per l’azienda in generale.

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L’Italia, il paese delle (finte) partite IVA

In Italia, ci sono più lavoratori autonomi rispetto ai dipendenti: parliamo del 21,8% dei lavoratori, mentre in Europa corrisponderebbero al 14,5%. Si pensi che in Francia la media scende al 12,6% e in Germania addirittura all’8,8%.

Nel nostro Paese i lavoratori autonomi sono per il 24% uomini; le donne, invece, sarebbero soltanto il 15% delle partite IVA. In generale, è interessante osservare come la maggior incidenza delle partite IVA riguarda le persone scarsamente qualificate e quelle altamente qualificate. Infatti, da un lato abbiamo avvocati e architetti, mentre dall’altro professioni che non hanno bisogno di particolari titoli di studio.

Il problema principale, tuttavia, è quelle delle finte partite IVA. Ci sono lavoratori autonomi, infatti, che hanno orari da dipendente e lavorano in studio o azienda, ma non hanno accesso ai benefici del lavoro dipendente.

Il fenomeno si riscontra molto, per esempio, tra gli architetti. Esiste una pagina Instagram, il Riordine degli Architetti, che riporta le difficoltà che incontrano gli architetti per riuscire ad entrare negli studi come lavoratori dipendenti, e che proprio per questo non possono far altro che optare per l’apertura della partita IVA.

Questo non riguarda soltanto i piccoli studi di provincia, ma anche quelli più rinomati, che sulla carta presentano pochi dipendenti, anche se nelle presentazioni online vantano tantissimi collaboratori.

Dipendenti ma con partita IVA

Ma non è la partita IVA in sé ad essere un problema. Infatti, troviamo tantissimi lavoratori autonomi capaci di avere successo, sia dal punto di vista economico quanto da quello professionale.

Sono le false partite IVA a inglobare tutti gli aspetti peggiori dei due mondi. Da un lato, infatti, troviamo le remunerazioni basse e la mancanza di autonomia per i dipendenti. Dall’altra, ci scontriamo con l’assenza di tutele.

Gli autonomi, contrariamente ai dipendenti, con i clienti hanno un approccio a portfolio. Spesso, chi vuole diventare autonomo fatica a costruire questa rete di contatti. Il sistema quindi diviene estremamente competitivo, talvolta senza vie d’uscita, causando ansia, stress e in generale un peggioramento della salute mentale.

Nonostante i problemi, la partita IVA continua a godere di discreta popolarità, soprattutto tra i più giovani.

Secondo un recente sondaggio svolto sui neodiplomati, la maggior parte dei giovani punta ad un lavoro autonomo, oppure ad un’esperienza imprenditoriale. Soltanto il 25% dei neodiplomati punta ad un lavoro dipendente.

Da una parte è certamente apprezzabile che i giovani vogliano intraprendere una carriera da lavoratore autonomo; tuttavia, al tempo stesso, ci dobbiamo chiedere se il trend sia figlio di una determinata narrazione oppure di una valutazione oggettiva del mondo del lavoro in Italia.

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Il Processo Civile Telematico risolverà tutti i problemi della Giustizia Italiana?

La Corte dei Conti, con la relazione sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, ha dichiarato che il processo civile telematico è uno strumento utile, anche se la digitalizzazione riesce a ridurre soltanto in parte la durata dei processi.

Le procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie svolgono un ruolo fondamentale contro la giustizia lumaca. Le novità introdotte dal PNRR, per la Corte dei Conti, sono apprezzabili, anche se la digitalizzazione dei processi «è un processo lungo e laborioso».

Il professor Eugenio Dalmotto, associato di Diritto processuale civile dell’Università di Torino, sottolinea la centralità della figura dell’avvocato in questo periodo storico caratterizzato dalle riforme.

«Condivido quanto sostiene la Corte dei Conti. Il processo civile telematico non comporta un abbattimento dei tempi di trattazione del processo, ma porta altri benefici. In primo luogo razionalizza e alleggerisce il lavoro delle cancellerie, con l’aggiunta di una riduzione complessiva dei i costi. Il lavoro diventa più rapido per i cancellieri con gli avvocati che svolgono gran parte del lavoro».

Continua: «Prendiamo, ad esempio, l’iscrizione a ruolo. Un tempo era necessario mandare qualcuno in cancelleria con il fascicolo, c’era un impiegato che lo riceveva, controllava la regolarità dell’iscrizione e svolgeva altre operazioni. Oggi l’iscrizione a ruolo viene fatta dal computer dell’avvocato ed è questo che fa tutto».

Vale lo stesso discorso «per le notifiche che possono essere svolte tutte dallo studio legale con la PEC. La prospettiva, molto futura, potrebbe essere quella di disporre di applicazioni di intelligenza artificiale tali da aiutare i giudici nella redazione delle bozze delle sentenze, nella verifica della regolarità dei presupposti processuali. Tutto questo però mi sembra ancora molto lontano, collocato in un futuro remoto».

Il vero problema «delle durate processuali non è dato dall’inadeguatezza del rito attuale, bensì dal collo di bottiglia creato dai provvedimenti in uscita. Alla fine le cause devono essere decise. Per scrivere più sentenze, dopo lo studio del fascicolo e la redazione delle motivazioni, occorrono più giudici».

Tutto questo ragionamento funge da premessa al fine di sottolineare l’importanza delle procedure Alternative Dispute Resolution (Adr). Per Dalmotto sono «la soluzione per diminuire il numero di cause che debbono essere decise e per fare andare più veloci le altre. In questo contesto gli strumenti di giustizia alternativa sono preziosi».

«Mi riferisco al potenziamento della conciliazione, della mediazione, della negoziazione assistita, con l’aggiunta dell’arbitrato, che potrebbero realizzarsi riconoscendo il gratuito patrocinio. Il gratuito patrocinio è però riconosciuto solo nei casi in cui la mediazione o la negoziazione assistita è obbligatoria e non quando volontaria».

Sempre secondo Dalmotto, è necessario incentivare l’accesso all’Adr. «Se io sono un non abbiente, di sicuro non mi rivolgerò alla giustizia alternativa, ma andrò davanti al giudice. Altro aspetto, a mio avviso rilevante, è quello degli incentivi fiscali. Sono riconosciuti fino ad un certo limite, ma nulla è previsto nella negoziazione assistita. Manca un incentivo ad andare in quella direzione».

Avvalersi «della mediazione, della negoziazione assistita o dell’arbitrato» evita l’affollamento dei Tribunali, consentendo allo Stato «di ottenere un risparmio. Prevedere delle agevolazioni fiscali per le procedure Adr sarebbe una soluzione utile con immediata efficacia. Un istituto che il precedente ministro della Giustizia non ha considerato è stato l’arbitrato di continuazione o di trasferimento, secondo il quale una causa già incardinata può continuare sotto forma di arbitrato. È un istituto previsto in una legge di alcuni anni fa sulla degiurisdizionalizzazione».

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Grandi Dimissioni: un fenomeno in crescita

Sono sempre di più le persone che scelgono di lasciare il lavoro per diverse ragioni. È un fenomeno globale che cresce sempre più, e che sta prendendo piede anche nel nostro paese.

Si tratta del Great Resignation, letteralmente Grandi Dimissioni, e si stima che più di un lavoratore su due stia cercando un nuovo lavoro o che comincerà a farlo. Questo è quanto emerge dal Randstad Workmonitor, indagine semestrale condotta in 34 paesi.

Insoddisfazione vs felicità personale

Le motivazioni di questo esodo silenzioso sono svariate: potrebbero riguardare l’incapacità del proprio datore di lavoro di soddisfare le ambizioni lavorative e professionali, la scarsa flessibilità, oppure la mancanza di corrispondenza tra i propri valori e quelli dell’azienda.

Si tratta di un fenomeno caratterizzato da un aumento progressivo del numero delle dimissioni dei lavoratori dipendenti dal proprio lavoro. Alla base di tutto questo troviamo un senso d’insoddisfazione: per molti, le proprie esigenze lavorative non riescono ad essere completamente appagate, dunque cercano nuove opportunità di crescita altrove.

La scelta di cambiare lavoro riguarda soprattutto i giovani della Gen Z, che riconoscono che la loro priorità è la felicità personale, non il lavoro. Il fenomeno è collegato al desiderio dei più giovani di cogliere migliori opportunità, anche all’estero.

Disoccupati, ma felici

Il 29% dei lavoratori italiani è alla ricerca attiva di un nuovo impiego. Globalmente, l’Italia è al terzo posto nella classifica di questo nuovo trend. La percentuale sale al 38% se consideriamo soltanto la fascia d’età 25-34.

Il 36% dei lavoratori italiani ha già lasciato il proprio lavoro per l’incompatibilità con la vita privata. Il 38% dei lavoratori ha dichiarato che se il lavoro gli impedisse di godersi la vita, sarebbe disposto a lasciare il proprio lavoro.

Il 32% dei dipendenti preferirebbe essere disoccupato piuttosto che infelice a livello lavorativo. Tra le cause del great resignation troviamo l’insoddisfazione (47%), la demotivazione (34%) e la mancanza di condivisione degli obiettivi (30%).

Le aziende ne risentono

Le aziende, ovviamente, risentono negativamente del fenomeno. Si registra, per esempio, sovraccarico di lavoro, desiderio di emulazione, perdita di punti di riferimento e demotivazione.

Dunque, per evitare complicazioni, molte aziende cercano di mettere in atto azioni al fine di trattenere le risorse. Parliamo di percorsi di formazione, momenti di ascolto e di condivisione delle problematiche, maggior attenzione alle relazioni interne e cambi di mansione.

Under e over 40

I giovani con meno di 40 anni si riconoscono direttamente nel fenomeno delle grandi dimissioni. Queste persone affermano che la decisione di cambiare sia stata dettata proprio dalla ricerca della crescita professionale, unitamente al desiderio di ricomporre i pezzi della propria vita.

I lavoratori con più di 40 anni, invece, vedono il fenomeno dall’esterno, senza sentirsi direttamente chiamati in causa. Riconoscono, tuttavia, la perdita di talenti importanti nell’azienda, e soprattutto comprendono le difficoltà nell’assunzione di nuove figure adeguate.

Le motivazioni principali

Le motivazioni economiche giocano un ruolo importante nella decisione di cercare un nuovo lavoro. Nell’ultimo anno, infatti, soltanto il 19% dei lavoratori ha ricevuto un aumento di stipendio. Siamo al penultimo posto, in questo senso, nella classifica globale.

Siamo all’ultimo posto, invece, per quanto riguarda la distribuzione di benefit, flessibilità e smart working. Ci sono, tuttavia, ragioni ancora più profonde all’origine del great resignation.

Il fenomeno è dovuto in particolar modo ai più giovani, che affermano che il datore di lavoro non è in grado di soddisfare pienamente la realizzazione personale. Il lavoro, per il 48% degli intervistati, non è in grado di offrire uno scopo, mentre il 60% dice che la vita privata è molto più importante rispetto a quella professionale.

Scusa, ma non siamo sulla stessa lunghezza d’onda

Un’ulteriore motivazione che spinge i lavoratori a lasciare il proprio lavoro è il fatto di non sentirsi sulla stessa lunghezza d’onda tra i propri valori e quelli dell’azienda. Spesso si tratta di temi ambientali o sociali: il 38% non accetta di lavorare in un’azienda che non si impegna in tal senso.

Anche il ruolo della scarsa flessibilità non scherza. Le aziende non offrono flessibilità di orario e luogo, e in molti decidono di lasciare l’impiego perché non consente il lavoro da remoto.

Un altro tasto dolente è l’incapacità delle aziende di assecondare a pieno le ambizioni professionali. Tra i bisogni formativi più “richiesti” troviamo lo sviluppo di competenze tecniche, delle soft skills e la formazione digitale.

Opportunità, non problemi

Nel mondo odierno, le aziende devono prestare più attenzione alla vita privata dei dipendenti.

È importante rivolgere l’attenzione verso un buon work life balance, con flessibilità negli orari e nei luoghi di lavoro, per attrarre i talenti più giovani nel mercato. Smart working. Permessi agevolati, part-time per i neo-genitori e orari flessibili: si combatte così la great resignation.

I dipendenti devono sentirsi valorizzati e assecondati nelle loro ambizioni di crescita professionale. È necessario considerare il fenomeno da un altro punto di vista, ovvero non come un problema ma come opportunità.

Marco Ceresa, amministrazione delegato di Randstad spiega che «sarà una grande sfida per le aziende, che in una situazione di carenza di talenti devono ripensare il loro approccio per attrarre e trattenere il personale».

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Spear phishing: che cos’è e come possiamo difenderci

Lo spear phishing è una particolare tipologia di truffa, con la quale i cybercriminali spingono le vittime a rivelare informazioni sensibili. I truffatori ottengono l’accesso ai dati attraverso link o allegati malevoli, che, se aperti, installano dei malware nel pc della vittima.

Si distingue dal generico phishing a causa della natura mirata dell’attacco. Infatti, questi attacchi corrispondono all’invio di messaggi molto personalizzati, confezionati appositamente per una persona avvalendosi delle informazioni della vittima disponibili online.

Più le mail sono ricche di dettagli, più risultano credibili agli occhi delle vittime.

Mail scritte su misura

Le mail, quindi, vengono scritte su misura per ogni vittima. Chi attacca potrebbe fingersi un sostenitore di una causa condivisa, oppure spacciarsi per qualcuno che la vittima conosce; o ancora, utilizzare tecniche di social engineering.

Un esempio potrebbe essere qualcosa del tipo:

Ciao Paola! Vista la tua gran passione per i vini rossi di annata, non dovresti assolutamente perdere la fiera del vino di questo weekend a cui parteciperà anche Anna.

Nel messaggio ci sarà il link falsificato o compromesso del sito web della “fiera del vino”.

Phishing e spear phishing: quali sono le differenze

Sia il phishing che lo spear phishing hanno l’obiettivo di spingere le vittime a rivelare le proprie informazioni sensibili. Il secondo, però, richiede più sforzo da parte dei truffatori, dato che per creare una mail credibile dovranno fare accurate ricerche su una vittima.

Le campagne di phishing, invece, non hanno obiettivi specifici. I truffatori potrebbero infatti creare una mail molto generica da parte di PayPal, per esempio, senza sapere se l’utente abbia o meno un account PayPal.

Lo spoofing

Durante una campagna di phishing, un truffatore invierà molte mail ad una lunga lista di indirizzi, sapendo che soltanto una piccola parte degli utenti cadrà vittima nella trappola. Il dominio utilizzato per inviare i messaggi sembra molto simile a quello ufficiale dell’azienda per la quale si spacciano i cybercriminali.

Un attacco phishing potrebbe basarsi sullo spoofing (email finte). I server mail, infatti, vengono utilizzati per manipolare il dominio del mittente per far apparire la mail come proveniente dal sito vero e proprio.

Oggi lo spoofing è meno pericoloso, perché è stato concepito il DMARC (Domain-based Message Authentication, Reporting & Conformance) che rileva e blocca questo tipo di mail.

Aggirare le misure di sicurezza

Le vittime degli attacchi di spear phishing potrebbero effettuare bonifici molto alti intestati ai criminali o divulgare le credenziali di accesso per la rete aziendale.

Adottare l’autenticazione a due fattori e/o sistemi di rilevamento delle intrusioni si rivela molto utile per contenere i danni di queste operazioni criminali. Tuttavia, potrebbero subentrare anche metodi che aggirano queste misure di sicurezza, come l’installazione di malware sulla rete aziendale e l’utilizzo di credenziali rubate per esfiltrare i dati (data breach).

I criminali, una volta in possesso delle credenziali di accesso, possono anche decidere di mantenere la loro presenza sulla rete della vittima per mesi, prima di essere finalmente scoperti. Quando la compromissione esce allo scoperto, l’azienda dovrà correre ai ripari e risanare la vulnerabilità.

Brand noti che generano fiducia

Mai sottovalutare il rischio di diventare vittima di spear phishing soltanto perché pensate che la vostra azienda sia troppo piccola per ricevere questo tipo di attenzioni. I cybercriminali sanno benissimo che le aziende più piccole hanno anche risorse limitate da investire per la sicurezza informatica. Proprio per questo sono facilmente prese di mira.

Di solito vengono utilizzati nomi di brand noti, che generano fiducia nelle vittime, come PayPal, Google, Amazon e Microsoft. Per esempio, alcuni attacchi phishing sfruttano il nome di Google e Microsoft per informare i clienti che hanno vinto dei soldi da loro, e che per ricevere quei soldi dovranno inviare un piccolo anticipo per coprire i costi della spedizione.

Google di solito filtra molto bene questi messaggi, ma capita che gli utenti se li ritrovino lo stesso sulla propria mail. Questi messaggi, in una rete aziendale, dovrebbero essere messi immediatamente in quarantena.

Esempi di spear phishing

Vediamo insieme alcuni esempi di spear phishing:

  1. Un finto cliente insoddisfatto si lamenta di un recente acquisto. Il truffatore invita la vittima ad aprire un link che riporta ad un sito malevolo identico in tutto e per tutto a quello dell’azienda, dove il dipendente inserirà le proprie credenziali di accesso;
  2. Una mail o un sms vi avvisa che il conto in banca è stato compromesso. Per rimediare bisogna cliccare un link che collega alla finta pagina della banca dove inserire le proprie credenziali;
  3. Un finto fornitore informa la vittima del fatto il suo account sta per essere disattivato oppure è in scadenza. Dunque, per mantenerlo attivo sarà necessario cliccare sul link fornito;
  4. Un chiaro tentativo di spear phishing sono le richieste di inviare o donare denaro a qualche gruppo o ente;
  5. Prima di pagare una fattura, assicuratevi che sia dovuta. I truffatori infatti utilizzano il nome di aziende vere e proprie, con tanto di partita IVA falsa per ingannare la vittima.

La sicurezza parte dalle persone

I casi riportati di spear phishing e di phishing, dal 2020, sono aumentati tantissimo. Circa il 74% delle aziende americane ha subito un attacco phishing, e il 96% degli attacchi sono stati realizzati via mail.

Alla fine, la cosa fondamentale è adottare una strategia di sicurezza che si basa sulle persone. Bisogna, infatti, considerare il rischio individuale che rappresenta ogni singolo utente per la sicurezza della vostra azienda. Provate a capire in che modo un dipendente potrebbe essere preso di mira, in base a quali dati di accesso ha a sua disposizione o se è già stato vittima di truffe simili in passato.

La formazione dei vostri dipendenti è indispensabile: devono essere in grado di segnalare e individuare email sospette. Una formazione regolare, accompagnata anche dalla simulazione degli attacchi di phishing, potrebbe fermare molti attacchi veri e propri.

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Carlo Nordio: chi è veramente il nuovo Guardasigilli?

Carlo Nordio: chi è veramente il nuovo Guardasigilli?

Carlo Nordio è riuscito a convincere anche Silvio Berlusconi. Il leader di Forza Italia, infatti, avrebbe voluto Maria Elisabetta Alberti Casellati alla Giustizia, ma Nordio si è presentato al colloquio attitudinale a Villa Grande, superandolo alla grande.

Il pellegrinaggio non è piaciuto alle toghe, anche se è servito a raggiungere lo scopo. Nordio, infatti, ha ottenuto la poltrona più alta di via Arenula.

Il nuovo ministro della giustizia del governo Meloni è un ex pm famoso per le sue posizioni, malviste da una buona parte dei suoi colleghi. Durante la campagna elettorale ha detto di volere la separazione delle carriere, il ritorno dell’immunità parlamentare e della prescrizione, ed è nemico della legge Severino. Vorrebbe ridurre le intercettazioni, poiché a suo dire costano troppo.

Posizioni più morbide dopo la campagna elettorale

Le prime dichiarazioni fatte dopo il giuramento al Quirinale rispecchiano invece posizioni più morbide. La separazione delle carriere «è nel nostro programma, ne sono profondamente convinto, perché è consustanziale al processo accusatorio che ha introdotto Vassalli 40 anni fa, ma credo che in questo momento sia più importante concentrarsi sull’aspetto pratico cioè l’implementazione degli organici, la velocizzazione dei processi, insomma rendere la giustizia più efficiente».

I primi provvedimenti ai quali ha intenzione di lavorare sono «l’attuazione piena del codice Vassalli, un codice firmato da una medaglia d’argento della Resistenza e in prospettiva la revisione del codice penale firmato da Mussolini, ancora in vigore e di cui nessuno parla».

Continua: «Ma visto che la prima emergenza è quella economica, a breve bisogna intervenire in quella parte della giustizia che aiuti la ripresa economica e cioè velocizzare i tempi». L’obiettivo della velocizzazione dei tempi della giustizia piace a tutti. Da qualche tempo, Nordio parla di «riforme meno divisive, perché nessuno può essere contrario a una velocizzazione dei processi».

Ma in che modo il nuovo guardasigilli riuscirà laddove molti altri hanno fallito? Il processo di velocizzazione della giustizia «passa attraverso una forte depenalizzazione e quindi una riduzione dei reati». Nordio introduce nel dibattito, dunque, il tema delle depenalizzazioni.

Tema sul quale la sua coalizione non si è mai esposta. Dovremmo capire, dunque, quali sono i reati che intende depenalizzare: i piccoli reati minori o i reati amministrativi dei colletti bianchi?

Chi è Carlo Nordio

Nato a Treviso 75 anni fa, Nordio è in magistratura dal 1977 ed è l’esponente più anziano del nuovo esecutivo. Ha trascorso a Venezia la sua carriera in toga e ha condotto l’inchiesta sulle Brigate Rosse Venete.

Negli anni ’90 ha conquistato notorietà grazie alle indagini sulle tangenti delle Coop Rosse. In quel periodo, polemizza con i colleghi milanesi che si occupano di Mani Pulite.

Nel 2017 è andato in pensione, e ha cominciato ad avvicinarsi sempre più alle posizioni di centrodestra. Ha attaccato le riforme dei 5 stelle e ha sostenuto i referendum della giustizia promossi dal leader della Lega Matteo Salvini.

Nordio si è dimostrato favorevole ai quesiti che FdI non appoggiava, come, per esempio, quello contro la legge Severino. Questo punto non è stato inserito tra le sue priorità, ma il neo guardasigilli crede che la legge anticorruzione deve essere limitata.

Nonostante la differenza di vedute, Giorgia Meloni lo ha indicato come candidato al Quirinale, prima di eleggerlo alla camera e di riuscire a farlo diventare Ministro della Giustizia.

I limiti della riforma Cartabia

Nordio prenderà il posto di Marta Cartabia, autrice di riforme che hanno modificato molto le regole del processo penale. Ma che cosa ne pensa sull’improcedibilità, ovvero il meccanismo in grado di uccidere i processi se non si concludono entro un certo lasso di tempo in Appello? «Con la ministra Cartabia a breve avremo un incontro. La sua riforma andava nella direzione assolutamente giusta, ma aveva dei limiti».

Spiega il neo ministro che la vecchia maggioranza politica non ne consentiva l’attuazione vera e propria, poiché era composta da giustizialisti, non garantisti.

Oggi ci sono idee decisamente diverse. Dunque, risulta evidente che Nordio abbia intenzione di intervenire anche sulle riforme della giustizia Cartabia.

Gli auguri al nuovo Guardasigilli

Al nuovo ministro sono arrivati molti auguri dagli addetti ai lavori: dal Consiglio Nazionale Forense, dall’Anm ma anche da David Ermini, vicepresidente uscente del Csm.

Sono arrivati anche appelli da magistrati come Nicola Gratteri: «Mi auguro che il nuovo ministro della Giustizia faccia il contrario di quello che ha fatto il governo uscente che ci ha lasciato riforme che – contrariamente a quanto richiesto dall’Europa – rallentano la definizione dei processi dato che già mancano 1600 magistrati».

Gratteri ha fornito all’ex collega anche consigli non richiesti: «Sarebbe auspicabile aumentare l’età pensionabile dei magistrati su base volontaria da 70 fino a 75 anni. Questa è una cosa che si può fare anche dopodomani. Un’altra cosa che il governo Meloni può fare da subito è fermare l’emorragia dei fuori ruolo, ci sono in giro 250 magistrati per Ministeri, sarebbe il caso che almeno la metà tornasse a scrivere sentenze o a fare indagini».

La lotta alla mafia

Fuori dal mondo della magistratura, invece, realtà come l’associazione Wikimafia definiscono il nuovo ruolo di Nordio come un «pessimo segnale per la lotta alla mafia». L’associazione creata a Milano ricorda come durante la campagna elettorale il nuovo guardasigilli abbia avanzato la proposta di risparmiare sulle intercettazioni ambientali e telefoniche, e investire quei soldi nelle assunzioni dei cancellieri.

A chi lo accusava di indebolire la lotta alla mafia aveva risposto: «Se si crede che i mafiosi parlino al telefono, si ha della mafia una visione infantile».

Scrive l’associazione antimafia: «Le affermazioni di Nordio denotano una scarsa conoscenza delle indagini antimafia più recenti, soprattutto al Nord. Senza le intercettazioni, molte cose che oggi sappiamo sulla più potente organizzazione mafiosa al mondo, la ‘ndrangheta, non le sapremmo».

L’associazione ricorda che tra i vari dossier che il nuovo ministro troverà sul suo tavolo in via Arenula ci sarà quello sull’ergastolo ostativo. Senza la riforma che il precedente Parlamento ha deciso di affossare, infatti, i boss delle stragi avrebbero la possibilità di ritornare in libertà, anche senza la collaborazione con la magistratura.

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Come organizzare la scrivania per lavorare meglio

Tutto comincia dalla scrivania. Quella di Albert Einstein era nota per la grande quantità di libri, documenti e appunti. Una confusione che non preoccupava il premio Nobel, tanto che un giorno disse: «Se una scrivania in disordine è segno di una mente disordinata, di cosa sarà segno allora una scrivania vuota?».

Pregiudizi 

Non è affatto vero che i geni, prima di arrivare alle loro idee rivoluzionarie, vivessero nel caos, ma questa visione della scrivania come simbolo di creatività non si adatta bene all’ambiente lavorativo, che sia in smart working o in ufficio. Un tavolo curato, gradevole e funzionale facilita il benessere e l’attività lavorativa.

Sabrina Toscani, fondatrice di Organizzare Italia, ha detto che è necessario «per la nostra mente dedicare un’area chiara e ufficialmente rivolta al lavoro in termini di spazio e di tempo, per evitare la sovrapposizione con la vita privata e domestica».

Una scrivania tanto bella quanto efficiente

Il primo consiglio «è quindi di dedicare un tavolo o una scrivania che possa accogliere nel migliore dei modi, quindi in una posizione con sufficiente luce, con spazio necessario per sedersi in maniera ergonomica e lavorare al computer rispettando gli appoggi corretti di mani, braccia, gambe e piedi. L’area dovrebbe inoltre essere sgombra per poter ospitare pensieri, creatività, flusso di lavoro».

Continua: «Qualsiasi cosa superflua e non utile a questi fini rischia di ostacolare un modo fluido e organizzato di lavorare. Quindi la cosa migliore è tenere a portata di mano solo ciò che serve e allontanare ciò che può prendere la nostra attenzione in maniera non funzionale».

Creare una scrivania tanto bella quanto efficiente ha più impatti: essere accolti in un’area gradevole e funzionale crea uno stato d’animo migliore al fine di affrontare al meglio una giornata di lavoro. L’area di lavoro così organizzata, soprattutto in un ambiente domestico, assume un valore ufficiale per tutti.

L’impatto, a livello mentale, di un buon setting organizzativo, influenza direttamente i comportamenti e il modo di lavorare. Dunque, sia che si segua uno stile metodico, sia che si segua uno stile più creativo, è necessario avere il giusto spazio per mettere in campo abilità e talenti, che nella confusione potrebbero andar persi o non essere valorizzati.

Il decluttering

Hai mai sentito il termine “decluttering”? Letteralmente, significa “eliminare ciò che ingombra”; è una pratica che può essere utilizzata in qualsiasi ambito della propria vita, e si sposa perfettamente con il voler far ordine sulla propria scrivania.

Non è il semplice gettare le cose che non servono più: è una vera e propria filosofia di pensiero, che aiuta ad eliminare tutto quello che è superfluo, ma riorganizzando le idee e focalizzandosi sui propri obiettivi.

Ma come organizzare la scrivania, seguendo il decluttering? Per prima cosa, sgombra completamente la scrivania e pulisci il piano di lavoro con un panno umido. Dopodiché, potrai cominciare ad eliminare tutto quello che non ti è utile. Sono veramente necessari tre block notes? O te ne basta soltanto uno?

Raccogli tutti i fogli sparsi: getta quelli inutili (oppure mettili da parte per riutilizzarli), mentre gli altri puoi riordinarli in cartelline apposite, suddividendoli per categorie.

Poi, comincia a sistemare i vari dispositivi elettronici e gli accessori, dato che sono gli elementi più importanti. Scegli pochi accessori, ma utili, come una lampada da tavolo, un organizzatore e un portapenne.

Le buone abitudini

La scrivania incarna la tua postazione di lavoro: dovrai, dunque, muoverti agevolmente. Ci dovrà essere uno spazio libero, dove collocare il pc e il mouse da utilizzare in piena comodità.

Tutti utilizzano un computer: per questo potresti ritrovarti sommerso da fili vari. La soluzione è quella di utilizzare delle scatole portacavi. Ce ne sono di diversi materiali e colori, dunque potrai scegliere quella che preferisci a seconda delle tue esigenze o gusti personali.

Ma non dimentichiamoci la pulizia: pulisci e spolvera almeno ogni due o tre giorni. Una scrivania pulita e in ordine aiuterà ad iniziare la giornata di lavoro con la mente sgombra da distrazioni e ostacoli.

E se vuoi evitare di generare di nuovo il caos nel giro di poco tempo, prendi l’abitudine di rimettere a posto subito gli oggetti ogni volta che li riutilizzi. All’inizio potrebbe sembrarti qualcosa di noioso, ma una volta che entra a far parte della tua routine ti semplificherà il processo di riordino.

Gli oggetti che non possono mancare sulla scrivania

Lampada da tavolo

Necessaria e immancabile, una lampada da tavolo aiuta a rendere funzionale la scrivania ma anche a decorarla. Scegline una dal design minimale per preservare un senso d’ordine. Ma soprattutto, scegli lampadine con toni caldi, per ottenere un’atmosfera rilassata, che non appesantisca gli occhi.

Organizer

Uno degli oggetti più utili per organizzare una scrivania è l’organizer. È una piccola struttura, di solito di legno, che è formata di più scompartimenti e livelli. All’interno c’è di tutto: forbici, post-it, tutto quello che è necessario per svolgere le tue attività.

Un altro oggetto immancabile è il portapenne, che puoi creare anche dando sfogo alla tua creatività: puoi dipingere un vecchio barattolo o una scatola delle scarpe. Certamente l’organizer può contenere anche delle penne, ma chi lavora in ufficio sa benissimo quanto sia fondamentale avere a portata di mano una penna per prendere appunti.

Organizer per cassetti

Mentre organizzi la tua scrivania non puoi non prendere in considerazione anche i cassetti. Non sono semplicemente un luogo dove buttare le cose che non servono più: devono essere organizzati secondo logica.

Il compito potrebbe risultarti più semplice se utilizzi dei divisori, per suddividere documenti, fascicoli e altro per categorie, in modo tale da sapere sempre dove trovarli.

Bacheche

Se lo spazio a disposizione è poco, sfrutta le pareti. Puoi fissare una bacheca, o un pannello portautensili dove agganciare i contenitori utili per lo svolgimento delle tue mansioni. Ma puoi anche appendere i fogli e i post-it che restano sparsi per la scrivania.

Piccole decorazioni

Non dimenticare che la tua scrivania ha bisogno di un po’ di leggerezza. Trova lo spazio per qualche foto o cartolina, oppure scrivi sulla bacheca qualche frase motivazionale, per darti una scossa nei momenti più stressanti.

Se ami la natura, potresti mettere una piantina per donare quel tocco verde al tuo angolo di lavoro: oltre a migliorare la qualità dell’aria, allevierà anche tutte le tensioni intorno a te.

Un ultimo consiglio importante è sistemare la scrivania tutte le sere, prima di tornare a casa (o se sei già a casa, prima di andare sul divano). Bastano meno di cinque minuti per evitare che si riformi velocemente il caos. Il giorno dopo, la tua mente sarà ovviamente più leggera, favorendo la concentrazione e il rendimento.

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Servicematica

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