Diventa avvocato a 82 anni: «Voglio essere d’aiuto ai più deboli»

Non si è mai troppo vecchi per reinventare sé stessi. Questa è la storia di Michele Campanile, che ad 82 anni d’età diventa avvocato, dopo 40 anni passati in cattedra come insegnante di storia e filosofia in un liceo classico di Foggia.

Nel 2007 l’uomo va in pensione, ed è allora che decide di riprendere in mano i vecchi libri di diritto, accantonati dopo la laurea in Giurisprudenza conseguita 57 anni fa. «Il diritto è sempre stato una mia passione», rivela l’uomo.

Una passione che, per motivi lavorativi, ha dovuto accantonare. Campanile racconta a Repubblica: «Avevo famiglia, e avevo bisogno di lavoro. Appena laureato ho conseguito l’abilitazione in filosofia e storia e così mi sono messo a insegnare fino al 2007. Una volta in pensione sono tornato alla giurisprudenza».

Dunque, niente notti insonni, niente lauree in tempi record. L’uomo, comunque, non nasconde di aver riscontrato difficoltà nel rimettersi a studiare, dopo tanti anni di lontananza dai libri. «Un vero e proprio sacrificio, ma studiando sono tornato con la mente a quando ero ragazzo».

La figlia, avvocata a Bologna, l’ha supportato durante il suo percorso, ma soprattutto «mi ha spronato negli studi». Con dedizione e forza di volontà Campanile ha raggiunto il suo obiettivo, svolgendo il praticantato in uno Studio Legale e superando l’esame di abilitazione per diventare avvocato.

Lunedì 3 aprile, Campanile ha prestato giuramento a Foggia, nell’aula della Corte d’Assise, davanti ad amici, nuovi colleghi e consiglio dell’ordine. Con lui le figlie, la moglie Rosa e i nipoti.

L’uomo non si accontenta del semplice titolo, poiché è intenzionato ad esercitare la professione: ma non per guadagnare. «Voglio aiutare la gente. Ho una pensione, posso vivere con quella e per il resto voglio prestare assistenza a chi non può permettersi un avvocato».

«Non mi illudo di avere una grande clientela», conclude, «ma voglio aprire uno studio con mia figlia Luigia che già lavora a Bologna e gli anni che mi restano voglio dedicarli a chi ha bisogno e alla professione. Voglio soprattutto essere d’aiuto ai più deboli».

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Avvocato, sai come gestire le emozioni?

Siamo esseri umani: dunque, siamo esseri emotivi, che vivono generando emozioni. Tuttavia, un conto è riconoscere e gestire le emozioni, un altro è lasciarsi completamente travolgere da queste.

Per esempio, pensiamo al caso in cui un automobilista ci sorpassa sulla destra, cominciando a suonare il clacson e a gesticolare. Non importa che reazione abbiamo: l’unica cosa certa, oggettiva, è che una persona ci ha sorpassato a destra. Sarà la nostra reazione interna a determinare la nostra personale realtà, quella oggettiva.

Ad ogni reazione che sceglieremo di avere seguirà un determinato tipo di emozione. Dunque, stiamo deliberatamente scegliendo che cosa provare, che cosa pensare. In sostanza, scegliamo quale realtà vivere.

Ci interfacciamo con la realtà esterna per quel siamo e pensiamo, e non per come effettivamente stanno le cose. Dobbiamo imparare a gestire le emozioni per capire come gestire eventi, persone e rapporti, senza lasciarsi travolgere da questi.

Affrontare le difficoltà

Capita a tutti, nella vita, di affrontare situazioni scomode: ma il superamento degli ostacoli fa parte del nostro personale processo evolutivo. Senza le difficoltà incontrate in passato non saremmo chi siamo oggi, vero?

Ma lo sai perché hai trasformato quelle difficoltà che hai incontrato lungo il cammino in risultati positivi? Perché avevi ben saldo, nella tua mente, ciò che volevi raggiungere, ecco perché! Sei sempre stato fedele alla meta da raggiungere, senza farti abbattere da nessuno.

Ti ricordi quando dovevi imparare a guidare? Sei riuscito a riprogrammare mente e corpo al fine di guidare: è questa l’operazione che hai ripetuto per qualsiasi traguardo raggiunto.

Tuttavia, sono in molti a lasciarsi travolgere da quello che accade intorno a loro, dimenticando che l’importante non è ciò che accade, ma il modo in cui si reagisce a quel che accade.

Praticare la meditazione per gestire le emozioni

La nostra intelligenza, o meglio, la nostra intelligenza emotiva, ci aiuta a riconoscere e a gestire le emozioni, poiché ognuna di esse potrebbe offrire un nuovo punto di vista dal quale imparare cose nuove.

Ci sono molte strategie per gestire al meglio le proprie emozioni. Una di queste è la meditazione, ovvero, la capacità di allontanarsi dai propri pensieri, per concentrarsi sul presente e sulla respirazione.

Hai presente quei bambini che si perdono mentre giocano, senza accorgersi del tempo che scorre e di tutto quello che accade intorno a loro? Bene: questo è il chiaro esempio di una persona che sta meditando.

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Tutte le volte che ti concentri, che metti tutta la tua attenzione su un obiettivo per lungo tempo, concentrandoti solo su quello: lì stai meditando. E’ lì che cominci ad incanalare tutte le tue energie in un’unica direzione.

Tutta questa concentrazione ti consente di attivare la mente inconscia, per osservare le emozioni per ciò che sono, ovvero, energie che possiamo accogliere, oppure rifiutare. Nel momento in cui riusciamo a zittire la nostra mente, nella quiete, accederemo ad una diversa consapevolezza: quella del nostro inconscio.

Ti va di fare un piccolo esercizio?

Prova a mettere nero su bianco i tuoi desideri, che in realtà sono i tuoi obiettivi di vita. Scrivi al massimo 3 obiettivi a breve, medio e lungo termine.

Dopodiché, non dovrai far altro che rileggere i tuoi obiettivi di vita più volte al giorno, soffermandoti su ognuno di essi ed esprimendo gratitudine per il risultato finale raggiunto, emozionandoti come se ogni cosa fosse già avvenuta.

Le immagini che si creeranno nella tua mente e la gratitudine che proverai, per il tuo inconscio saranno qualcosa di effettivamente reale. In questo modo si getteranno i semi per una nuova realtà che si manifesterà.

Vuoi trovarti al posto giusto nel momento giusto? Bene: potrai ritrovarti effettivamente in questa situazione soltanto se sei la persona giusta, ovvero, qualcuno che ha bene in mente ciò che vuole.

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Ma a che cosa serve trascrivere i propri obiettivi per vivere anticipatamente le sensazioni che si proveranno? A definire una chiara destinazione emotiva. Ogni qual volta che spunteranno nuove emozioni, la nostra bussola interiore saprà con certezza verso dove puntare.

Infatti, se vogliamo gestire le emozioni, dovremmo comprendere quelle che preferiamo provare, giusto? Questo è il segreto per gestire al meglio le proprie emozioni. Al contrario, chi non è in grado di fronteggiare gli eventi si lascia completamente travolgere dall’emotività.

Se ci proiettiamo all’esterno, tutto consisterà nel creare e ricreare chi siamo ma anche tutto il mondo che ci circonda. Se ci concentriamo, invece, sulla realtà che vogliamo manifestare, tale realtà non potrà far altro che manifestarsi anche all’esterno.

Organizzare il tempo e il lavoro per gestire le emozioni

Ci sono molte cose che ci aiutano a gestire al meglio le emozioni, e una di queste è l’organizzazione del tempo e del lavoro. Service1 ti aiuta proprio in questo: avrai la possibilità di accedere alla tua agenda fascicoli, alle scadenze termini e alle tue udienze anche da smartphone grazie a Giustizia Servicematica e all’integrazione col PDA.

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A Padova è stata rinnovata la sperimentazione, avviata nel 2022, dello “Sportello di Ascolto: prevenzione del burnout e sviluppo del benessere personale e professionale degli Avvocati

Può capitare, infatti, di ritrovarsi in un momento difficile, durante l’esercizio della professione forense. Gestire i clienti e i rapporti con i colleghi non sono cose così semplici; per non parlare dei rapporti con uffici giudiziari e magistrati.

Ci si potrebbe chiedere, addirittura, se abbiamo fatto la scelta giusta, e se l’esercizio della libera professione fa veramente per noi. Ecco: nel corso degli ultimi anni questi pensieri si sono moltiplicati, visto il numero elevato di cancellazioni dall’Albo.

Ma prima di perdere qualsiasi speranza, e soprattutto prima di prendere una decisione così drastica, sarebbe meglio interrogarsi su alcuni sentimenti, per comprendere se siamo di fronte ad uno sconforto temporaneo, oppure a un disagio permanente.

Avvocati nella top ten dei lavori soggetti a burn-out

Il Progetto alla base dello sportello riguarda uno spazio dedicato all’ascolto dell’Avvocato e del disagio psicologico che incontra durante l’esercizio della professione. Ma lo sportello funge anche da prevenzione, in ottica di una cronicizzazione di tale disagio, individuando, al tempo stesso, il giusto percorso per la sua risoluzione.

Lo Sportello di Ascolto non vuole imporsi in quanto spazio psicoterapeutico nel quale vengono affrontati problemi personali esterni rispetto alla propria attività lavorativa, ma in quanto occasione per contrastare lo stress lavorativo causato dalla professione forense.

Secondo alcuni recenti studi, la professione forense è stata inserita nella top ten delle professioni che rischiano il burn-out, ovvero, una sindrome che svuota le energie psichiche, con ricadute sulla sfera emotiva, ridotta realizzazione personale e depersonalizzazione. Tutte cose che tendono a verificarsi nelle professioni che hanno un alto impatto relazionale.

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Lo Sportello vorrebbe aiutare i professionisti nel definire e circoscrivere il disagio provato, individuandone le cause e stabilendo gli interventi necessari al fine di prevenire oppure fronteggiare correttamente il disagio. In questo modo, l’avvocato sarà aiutato nel processo di individuazione delle sue risorse personali, che lo aiuteranno a gestire le criticità.

Inoltre, si vuole sensibilizzare l’opinione pubblica e gli operatori del diritto su una sofferenza non abbastanza riconosciuta, e sulle complessità delle implicazioni psicologiche e relazionali delle professioni forensi.

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Lo sportello nasce grazie alla collaborazione tra la Sezione di Padova di AIGA – Associazione Italiana Giovani Avvocati e SIPAP – Società Italiana Psicologi Area Professionale, con il Patrocinio dell’Ordine degli Avvocati di Padova.

Dichiara Pierluigi Policastro, presidente di SIPAP: «Siamo orgogliosi di essere parte di questa importante iniziativa rivolta al mondo dell’Avvocatura e SIPAP metterà a disposizione del progetto la propria esperienza organizzativa e un team selezionato dai propri associati che vantano una decennale esperienza nel mondo della psicologia legata agli ambiti lavorativi e professionali. Si tratta di un gruppo ristretto di professionisti psicologi che hanno contribuito attivamente allo sviluppo dell’iniziativa, dott.ssa Laura Baccaluva, dott.ssa Monica Dimonte, dott. Andrea Petromilli, pronti ad essere integrati con altri componenti in base alla quantità di richieste che riceveremo».

AIGA Padova, nel corso degli ultimi anni, ha inserito nella propria offerta anche uno spazio per il benessere psicologico e fisico del professionista. Durante gli eventi formativi che sono stati organizzati dall’Associazione sono stati affrontati alcuni temi, come la relazione cliente-avvocato, la gestione dello stress, il burn-out, una nutrizione corretta e l’importanza della gestione delle sfide della professione.

Temi attuali, che non possiamo più ignorare.

Come accedere allo Sportello

Per poter accedere allo Sportello bisogna compilare l’apposito form online disponibile cliccando su questo link. Basterà compilare un questionario indicando le proprie difficoltà percepite. In tal modo, gli psicologi potranno procedere a una prima valutazione del disagio percepito dal professionista.

Successivamente, l’interessato verrà contattato al fine di fissare il primo colloquio, al quale seguirà un incontro di follow-up per stabilire se il cambiamento ottenuto è funzionale al benessere dell’avvocato o se il professionista dovrà essere indirizzato verso un supporto psicologico maggiormente strutturato.

Gli incontri avverranno privatamente, negli studi professionali degli psicologi. I dati personali degli aderenti verranno raccolti direttamente da SIPAP con la massima privacy. Per il momento, il servizio è riservato ad Avvocati e Praticanti del Foro di Padova, ma presto il servizio verrà diffuso in tutti i Fori interessati.

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Avvocato, sei abituato alla gratitudine?

Tutti i giorni, sulle spalle degli avvocati ricadono molti problemi altrui: liti tra vicini, questioni condominiali, problemi amministrativi, familiari o tributari. Tutto ciò necessita di essere affrontato con passione, competenza e capacità di immedesimarsi nell’altro.

Ed ecco perché diviene necessario sviluppare la gratitudine. La gratitudine potrebbe essere definita come un sentimento di ringraziamento e di riconoscimento verso qualcuno che ci ha fatto del bene. Di solito è un sentimento reciproco, poiché c’è una sinergia tra chi fa e chi riceve del bene.

Per esempio, i clienti dell’avvocato dovrebbero essergli grati, poiché si tratta di un professionista capace di mettere in atto la propria professionalità e le proprie conoscenze, al fine di risolvere problemi di altre persone, così come farebbe con i suoi problemi personali.

A sua volta, l’avvocato dovrà essere riconoscente, in quanto riceve l’onorario, ma anche e soprattutto perché riceve la piena fiducia delle persone che, nonostante i periodi delicati delle loro vite, decidono di affidarsi proprio a lui, e non ad altri presenti sul mercato.

Tuttavia, la gratitudine non è qualcosa di così semplice da provare, dato che la nostra vita frenetica rende abbastanza difficile trovare il tempo per maturare questo sentimento importante. Si pensa spesso che tutto sia dovuto, si difendono i diritti e si perdono di vista i doveri.

Secondo il coach e motivatore Anthony Robbins, la mancanza di gratitudine rende le persone povere, dato che, a prescindere da quanto posseduto, non si è capaci di apprezzare pienamente il valore di quello che si ha. Ma soprattutto delle persone che ci sono accanto, visto che si è sempre infelici e insoddisfatti, e di conseguenza, poveri.

La gratitudine è qualcosa di positivo, che permette di affrontare e superare gli ostacoli della quotidianità, che si ripresentano ogni giorno. È per questo che la gratitudine diviene un’abitudine da creare e che si manifesta in maniera molto semplice: basta una stretta di mano, un saluto cordiale, un bel sorriso.

Non è semplice, per un avvocato, conquistare la gratitudine di un cliente. Spesso, infatti, si fa la conoscenza delle persone nei momenti peggiori della loro vita. Qualsiasi avvocato vorrebbe soddisfare tutte le richieste dei clienti, vorrebbe vederli andare via felici, ma non è così semplice, dato che non tutto dipende dalla capacità o dalla volontà di un professionista.

Molto, infatti, dipende da tutto il sistema giudiziario, che vede le cancellerie piene di lavoro, senza che a questo occorra un’ottimale gestione del servizio.

A loro volta, i giudici hanno elevati carichi pendenti, e non sono capaci, a livello materiale, di istruire una causa nel giro di poco tempo. Aggiungiamo anche altri intoppi, come l’indisposizione dei testimoni o di altro: i clienti, nonostante l’insieme di tutti questi fattori, si interfacciano principalmente con l’avvocato. È su di lui, dunque, che verranno scaricate tutte le tensioni.

Ed è per questo che bisognerebbe esercitarsi alla comprensione e alla gratitudine, con un reale percorso di introspezione, che fa diventare la gratitudine una vera e propria abitudine. I clienti devono riuscire a capire quanto potrebbe essere duro il lavoro dell’avvocato, che non soltanto dovrà rappresentare gli interessi dei vari clienti, perché dovrà interfacciarsi tutti i giorni con professionisti altrettanto agguerriti.

La situazione potrebbe essere veramente stressante, e per questo potrebbero trovare un amico nell’avvocato, alla quale ci si può rivolgere anche semplicemente per un consiglio. Sempre più spesso, infatti, si va dall’avvocato anche soltanto per chiedere se un’attività da intraprendere è legale, o, comunque, qual è il giusto percorso per evitare errori legali.

Si va dall’avvocato per affrontare aspetti intimi della propria vita privata: l’avvocato è lì, pronto ad ascoltare. Dunque, per questo, la gratitudine, nei suoi confronti, dovrebbe diventare un’abitudine.

La gratitudine per la digitalizzazione

Gli avvocati, invece, dovrebbero sicuramente essere molto grati di avere a disposizione un sistema molto più rapido e che permette di risparmiare tempo, consentendo di seguire più attività processuali e di avere più guadagni.

In particolar modo, la digitalizzazione segna la fine dell’epoca in cui i praticanti venivano inviati, a mo’ di piccioni viaggiatori, tra diverse cancellerie, per riuscire a depositare e prelevare atti. Tutte queste fasi oggi possono essere gestite direttamente online, senza la necessità di fare la fila, di prendere l’auto e di andare in tribunale per motivi burocratici. Un vero e proprio risparmio economico.

Ma il vero affare è un gestionale completo, funzionale ed evoluto, come Service1.

 

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La Facoltà di Giurisprudenza e la salute mentale dell’avvocato

La professione dell’avvocato è estremamente stressante. Sembra che gli avvocati sperimentino degli elevati livelli di stress, problemi di salute mentale e di alcolismo. Sono indubbiamente condizioni costose per il sistema giuridico, che vanno ad influenzare negativamente le capacità di servire i clienti.

Alla base dell’elevato livello di stress ci sono cause complesse, anche se, secondo alcuni studi, i fattori che fanno precipitare la salute mentale cominciano ad agire durante il periodo dell’università.

La Facoltà di Giurisprudenza, infatti, viene associata a diverse fonti di stress, a causa delle sue caratteristiche e della sua struttura, come, per esempio, il carico di lavoro impegnativo e l’ambiente troppo competitivo.

Gli studenti di giurisprudenza competono l’uno con l’altro per voto, tirocini, onori e lavori. La competitività e l’aggressività degli altri studenti, inoltre, contribuiscono ad aggiungere altro stress.

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Nel 1986 è stata condotta una ricerca su 320 ex studenti di giurisprudenza dell’Università dell’Arizona. Si è scoperto che gli studenti che entravano nella facoltà di giurisprudenza avevano meno sintomi, e, se presenti, erano meno gravi in confronto ai colleghi del terzo anno di giurisprudenza.

All’inizio del loro percorso, gli studenti avevano sintomi simili a quelle della popolazione generale, mentre già alla fine del primo anno di Università si notavano sintomi più gravi.

Più si andava avanti con il percorso accademico, più i sintomi aumentavano significativamente. Gli studenti del terzo anno, per esempio, riportavano maggior ostilità e depressione rispetto a quelli del secondo anno.

Se all’inizio degli studi la percentuale di studenti con depressione oscillava tra i 3 e il 9%, nella primavera del primo anno si attestava al 32% e al 40% nella primavera del terzo anno. Questi dati suggeriscono che gli avvocati sperimentano problemi di salute mentale più alti rispetto al resto della popolazione generale.

Gli studenti di legge, infatti, sono sani quanto la popolazione normale, ma durante gli studi la situazione sembra peggiorare e spesso, dopo l’Università non migliora più.

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Che cosa si intende con gender gap?

Spesso utilizzata in maniera inappropriata, l’espressione gender gap definisce la disparità di genere e il divario lavorativo, economico e politico che esiste tutt’ora tra il genere femminile e quello maschile, ma anche ad altre differenze di genere non attribuibili soltanto al classico binomio donna/uomo.

Ancora oggi, in Italia e nel resto del mondo, ci sono pregiudizi che entrambi i generi (ma soprattutto quello femminile) sono tenuti a sopportare, con le conseguenti differenze, talvolta abissali, per quanto riguarda le opportunità lavorative, oltre a quelle relative al divario retributivo, alla parità di ruoli e alle ore lavorate.

Gender Gap vs Gender Equality

Se gender gap indica le differenze tra i generi, l’espressione gender equality, invece, sottolinea il concetto di uguaglianza tra il mondo femminile e quello maschile.

Queste tematiche, negli ultimi anni, hanno assunto rilevanza a livello politico, sociale e nel mondo del business. La motivazione iniziale era collegata al rispetto della dignità dell’essere umano, in generale, senza far distinzione di alcun tipo e genere.

Tuttavia, un po’ alla volta, il tema ha cominciato a diventare sempre più di interesse pubblico, diventando un caposaldo attorno al quale costruire una società e un mondo del lavoro più sano. Sostanzialmente, la differenza di genere non deve essere una fonte di divario, ma di complementarietà, forza e opportunità.

Anche il World Economic Forum, l’appuntamento economico-sociale più importante dell’anno, si è dotato di un Global Gender Gap Index. Parliamo di uno studio completo con l’elaborazione di un rapporto finale, che viene pubblicato tutti gli anni e che riporta i dati del divario di genere.

Vengono considerati i seguenti indici: situazione economica e opportunità lavorative, salute e sopravvivenza, istruzione, ed infine, partecipazione alla vita politica

Lo studio valuta, secondo una scala che va da 0 a 100, l’attuale divario di genere e la sua evoluzione nel corso del tempo. Nell’ultimo rapporto, quello del 2022, riporta che a livello mondiale il divario di genere è stato colmato per una percentuale corrispondente al 68%.

Tuttavia, il trend dimostra anche che per un’effettiva gender equality ci vorranno almeno altri 132 anni.

Nessun Paese in tutto il mondo è riuscito a raggiungere al 100% la parità di genere. In generale, l’Islanda si piazza al primo posto tra i paesi in cui il divario risulta meno accentuato, con un 91% di parità di genere. L’Italia, ahimè, non si piazza bene né nella classifica mondiale, dato che si trova al 63esimo posto, e nemmeno nella classifica UE (14esimo posto).

Divario retributivo

Per quanto riguarda il divario retributivo tra il genere femminile e quello maschile, l’indice fa riferimento allo stipendio lordo medio, a parità di funzioni e ruoli lavorativi.

Secondo gli ultimi dati, in Italia questo divario si attesta intorno al 13%, con una media europea del 16,3%. Sono dati che vanno letti e interpretati all’interno di considerazioni più ampie, e non alla lettera.

Il problema, infatti, non è soltanto la differenza retributiva a parità del proprio ruolo sul lavoro, ma anche che alcune posizioni ai vertici sono riservate quasi esclusivamente agli uomini. Inoltre, la percentuale di donne disoccupate continua ad essere maggiore rispetto a quella maschile.

Considerando anche questi altri fattori, possiamo osservare che il gap cresce ancora di più, arrivando al 44% in Italia, su una media europea del 40%. È opportuno considerare anche che la pandemia sembra aver amplificato tale divario.

Quali sono le cause del gender gap?

L’Italia, nonostante sia uno dei Paesi maggiormente industrializzati in tutto il mondo, ha molteplici cause che possono essere ricondotte a questo divario, come, per esempio:

  • un numero minore di donne che lavorano in ambito technology, che attualmente è tra i campi maggiormente in crescita nel mercato;
  • sospensione o interruzione di carriera a causa della maternità;
  • sospensione o interruzione di carriera a causa di ruoli di assistenza a familiari in difficoltà (caregiver);
  • dimissioni volontarie per conciliare meglio vita lavorativa e privata;
  • pregiudizi durante le fasi di selezione, soprattutto verso le lavoratrici più giovani.

Tutte queste cause limitano l’accesso alle posizioni di vertice alle donne, portandole anche a non partecipare continuativamente alla vita aziendale, con più contratti part-time e congedi parentali. Inoltre, alimentano i pregiudizi (anche personali) sulla propria carriera che le spingono a rinunciare volontariamente al loro posto di lavoro.

Cosa possono fare le aziende in 10 punti

Ogni azienda adotta le politiche più appropriate al proprio stile e al proprio valore e in linea con le proprie necessità organizzative. Ma sono le persone fisiche come HR manager, CEO e Direttori Generali, tuttavia, che fanno la differenza in base alla propria sensibilità sull’argomento.

Ma quali sono le azioni effettive che un’azienda dovrebbe adottare al fine di ridurre il più possibile o eliminare completamente la gender gap?

  1. Politiche di sostegno alla maternità, partendo dallo smart working sino ad arrivare al bonus asilo o all’implementazione di asili interni;
  2. Personalizzazione dei percorsi di carriera, che tengano presente delle esigenze delle lavoratrici-madri;
  3. Maggior sostegno alla leadership femminile, assicurando anche posizioni di vertice a figure femminili che sono state formate adeguatamente;
  4. Parità a livello retributivo, basandosi su criteri meritocratici condivisi e trasparenti;
  5. Gestione meritocratica dei colloqui in fase di selezione;
  6. Gestire la privacy interna in modo tale che le varie informazioni possano diventare fonte indiretta o diretta della disparità di genere;
  7. Coinvolgere attivamente le persone nei progetti, senza alcuna preclusione a livello di genere;
  8. Azioni concrete che garantiscono a tutti, donne incluse, benessere lavorativo;
  9. Dare un buon esempio da parte delle persone che occupano posizioni al vertice;
  10. Sensibilizzare e diffondere a qualsiasi livello la cultura della gender equality.

Tutto questo porta a maggiori e migliori performance, maggior produttività, innovazione e flessibilità, favorendo anche un miglior clima aziendale che porta, inevitabilmente, al benessere per i singoli ma anche per l’azienda in generale.

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Come inserire una nuova risorsa all’interno dello Studio Legale?

Tutte le più grandi aziende si basano sulle risorse umane: grandi imprenditori come Leonardo del Vecchio, Adriano Olivetti ed Enzo Ferrari si sono basati su questo principio.

Oggi, le risorse umane sono diventate capitale umano, un reale investimento da parte di aziende e studi legali. Questo investimento prevede alcune fasi importanti: prima di tutto, la selezione delle risorse migliori, e successivamente l’inserimento di tali risorse nello studio, facendo sì che queste manifestino il loro talento.

La fase di selezione

La prima fase di selezione è molto delicata. Infatti, non è soltanto lo studio a selezionare il candidato, ma anche il candidato deve selezionare lo studio.

In questo processo entrano in gioco fattori economici e logistici, ma anche fattori ambientali, come il clima che si respira nello studio, valoriali, sociali, di work-life balance, prospettive di crescita e carriera.

La selezione, partendo anche dalla descrizione del lavoro e arrivando al colloquio, che sia in presenza oppure online, dovrebbe tener conto di tutti questi aspetti, che andranno definiti, affrontati e condivisi sin dalle prime fasi del colloquio.

On-boarding: l’ingresso nello Studio

Per rendere un risorsa umana un reale capitale per un’azienda, bisogna porre l’accento sull’efficacia della selezione, che dovrà essere in grado di individuare, nella marea di candidati, quelli che sono effettivamente in linea con le esigenze e con lo stile dello studio.

Tuttavia, non è da escludere nemmeno il modo in cui avviene l’ingresso della risorsa, e tutte le condizioni in cui verrà collocata al fine di dare il massimo delle sue potenzialità.

Parliamo di una fase delicata, quella dell’on boarding. È un’espressione che nasce dall’idea che un’azienda o uno studio legale sia una nave, su cui far salire i vari collaboratori, ognuno con il suo ruolo e la sua funzione.

Ogni collaboratore dovrà contribuire alla navigazione dello studio, per renderlo più efficiente e competitivo rispetto alle altre navi che navigheranno nello stesso mare. L’efficienza delle risorse non dipenderà soltanto dalle caratteristiche personali, ma anche dalle condizioni lavorative in cui si ritroverà.

Ogni persona, se inserita nel giusto contesto, riuscirà a sviluppare talenti e a sentirsi abbastanza motivato da crescere e dare il meglio. In caso contrario, ovvero se ci si ritrova in un contesto o ambiente disincentivante e molto rigido, si finirà per perdersi lungo il cammino.

Il processo d’inserimento di una risorsa umana nello studio legale potrebbe determinare le sue performance e la sua intera carriera lavorativa.

Il mentoring: prendere per mano i nuovi arrivati

Qual è il primo step del procedimento d’inserimento di una nuova risorsa nello studio legale?

Che la nuova risorsa sia un giovane o un professionista con molta esperienza, ci troveremo sempre di fronte ad una persona che entra in un nuovo contesto, fatto di persone con regole, abitudini e prassi.

Dietro ogni ruolo c’è una persona, con il suo carattere, le sue emozioni, i suoi talenti e i suoi limiti. In qualsiasi studio si creano relazioni, dinamiche, amicizie e invidie. È normale.

La nuova risorsa dovrà essere accompagnata per mano in questo mondo, per comprendere al meglio le dinamiche del nuovo contesto in cui andrà ad inserirsi. Non dovrà mai sentirsi come un “pesce fuor d’acqua”, evitando così di farla entrare in conflitto con i colleghi, portandola alla demotivazione e all’ansia.

Nella prima fase dell’inserimento un soggetto diventerà un mentore per il nuovo entrato, facendogli, in tal modo, da guida. Questo è il processo del mentoring, dove si prende per mano la risorsa per mostrarle l’organizzazione dello studio, gli aspetti salienti del lavoro, tutte le procedure e gli strumenti da utilizzare, aiutandola anche a comprendere relazioni e dinamiche.

Dunque il mentore fa, e la nuova risorsa ascolta, guarda, prende appunti. Il principio alla base di tutto questo è l’apprendimento per imitazione. Il nuovo entrato, in questo modo, si sentirà curato, apprenderà tutto quello che è necessario che apprenda evitando che commetta errori, che spesso creano equivoci e attriti.

Il tutoring: poniamoci accanto alla nuova risorsa

Durante la seconda fase “ci si sporca le mani”. Il mentore, qui, si trasforma in tutor, ovvero una persona che non si pone davanti, ma accanto alla nuova risorsa.

Adesso “il nuovo collaboratore fa le cose, e il tutor lo corregge”. Infatti, se non si fanno le cose, sbagliando, non si impara nulla. La teoria fine a se stessa è inutile nel saper fare.

Dunque, la nuova risorsa si metterà alla prova, mentre il tutor lo correggerà, spiegandogli anche perché e come rimediare. Questa pratica porta velocemente la nuova risorsa ad imparare direttamente sul campo, diventando così autonoma.

La delega: testare la propria autonomia sul campo

Dopo la fase del tutoring finisce la prima parte del processo d’inserimento. Ora, anche se la nuova risorsa è stata messa nella condizione di agire, non è ancora completamente autonoma.

Ed ecco che le verranno delegate alcune attività, perimetrate e di breve durata, in modo tale che la persona riesca a verificare direttamente sul campo il suo livello d’autonomia.

In questa fase, si dovranno fissare riunioni di confronto per riuscire a monitorare il lavoro, ma anche eventuali difficoltà che il nuovo collega sta incontrando.

Continuiamo a fare incontri di verifica

L’ultimo step dell’inserimento della nuova risorsa prevede la fase di autonomia.

È vero che non si finisce mai di imparare, quindi per un po’ di tempo è consigliato continuare a fare degli incontri di verifica, in cui è possibile confrontarsi e capire se le cose funzionano per il meglio.

Tale procedura è molto semplice da comprendere, ma di solito non viene eseguita, che sia per mancanza di tempo, di cultura o di personale. Tuttavia, permetterebbe di evitare situazioni di conflitto, inefficienze, turnover e demotivazione.

Senza tutto questo, lasceremo la nuova risorsa in balìa degli eventi: i primi a rimetterci, saremmo proprio noi.

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Non ci sono più giudici togati che vogliono fare i giudici tributari

Strategie digitali per costruire un business forte

Nonostante la crisi, crescere è sempre possibile. Tutti i cambiamenti scatenati dall’emergenza e le nuove sfide che imprese e professionisti stanno affrontando dopo la spinta inflazionistica ci portano inevitabilmente a chiederci come fare, oggi, a costruire un business forte in questa nuova epoca digitale.

Cerchiamo di capire quali sono le opportunità che ci offre una buona strategia digitale, e quali potrebbero essere gli investimenti intelligenti che ci fanno crescere e distinguere dalla concorrenza, in questo scenario in continua evoluzione.

Il mondo ormai è cambiato, e di conseguenza anche il mercato globale. La pandemia, l’aumento dei prezzi, le instabilità geopolitiche, l’inflazione e l’incertezza economica hanno reso più difficile stabilire delle connessioni solide con collaboratori e clienti.

Le aziende e i professionisti che sono riusciti a crescere, nonostante la crisi e le incertezze, hanno investito in una strategia, capace di stare al passo con l’avanzamento tecnologico. Si è dimostrato, in tal senso, che non è necessario fare affidamento soltanto sulle cose fatte in precedenza, perché è necessario stare sempre sull’attenti, trovando nuovi metodi di collaborazione e nuovi approcci, senza ritrovarsi ad improvvisare all’ultimo minuto.

Strategie digitali e opportunità da cogliere

L’inflazione ha alimentato alcune incertezze economiche, che hanno spinto aziende e professionisti ad affacciarsi con molta cautela al futuro. Alcuni hanno preferito fermarsi, per aspettare che passasse la tempesta.

In questo scenario, tuttavia, alcuni marketers hanno visto opportunità da cogliere assolutamente. I cambiamenti, infatti, favoriscono la crescita, per aumentare le proprie quote di mercato. Per farlo, hanno investito in strategie digitali.

Per gli esperti, combinare i vantaggi dei canali digitali con strategie proprie di un business consentono non soltanto di fare in modo che il pubblico venga coinvolto su tutte le piattaforme, ma addirittura di espandersi.

Infatti, in un mondo dove le persone trascorrono la maggior parte del loro tempo online, risulta fondamentale che professionisti e aziende implementino strategie di crescita digitale, e considerino anche come sfruttare al massimo i loro punti di forza.

Attenzione, perché un’ottima strategia di crescita digitale non consiste soltanto nell’impostare campagne social per attendere like, commenti e condivisioni. Se eseguita nel modo corretto, una strategia digitale migliora il traffico del sito, aumenta richieste di consulenza, fidelizza i vecchi clienti e raggiunge nuovi potenziali clienti.

Una buona strategia di crescita digitale si rivela necessaria per tracciare, prevedere e pianificare gli obiettivi di crescita. Bisogna, nello specifico:

  • tracciare le aree del digitale capaci di fornire massima crescita e valore;
  • individuare il target online e selezionare i canali per l’implementazione;
  • pianificare approcci e allineare la strategia ai requisiti di crescita quando avviata;
  • adeguarsi continuamente, garantendo risultati capaci di soddisfare le previsioni.

Oggi, grazie ai mezzi che le nuove tecnologie mettono a nostra disposizione, è possibile profilare e costruire un pubblico online in diversi modi e diverse piattaforme, seguendo le abitudini di navigazione e le ricerche degli utenti. Tutto questo consente la programmazione di contenuti specifici, al momento giusto e al posto giusto.

Nessuna azienda può separare nettamente business e tecnologia in quest’epoca fatta di streaming, con sempre meno contatti fisici e sempre più contatti virtuali. È giunto il momento di riconoscere la priorità all’innovazione digitale in quanto strategia di crescita.

Tuttavia, le occasioni di guadagno e sviluppo, come le sfide tecnologiche, devono essere affrontate con l’approccio più corretto. Trattare il digitale come investimento di secondo livello non può più essere un’opzione. Professionisti e aziende dovrebbero assolutamente abbracciare la tecnologia per renderla una priorità.

La chiave per un business di successo

La trasformazione digitale ha subito uno sprint a causa della pandemia. Per esempio, telemedicina e didattica a distanza sono stati adottati sempre più, andando anche al di là delle aspettative.

Tuttavia, l’imprevedibilità del futuro e i cambiamenti incalzanti ai quali andiamo incontro ci spingono a pensare che nei prossimi anni si possano creare ma anche distruggere grandi aziende, mentre queste lottano per mantenere alto l’interesse dei propri clienti.

Dunque, lo stanziamento di finanziamenti annuali per lo sviluppo tecnologico potrebbe veramente fare la differenza.

Adeguarsi, rinnovarsi, cogliere opportunità al volo: in questo modo non soltanto possiamo crescere, ma anche distinguerci dalla concorrenza. L’attuale evoluzione tecnologica è la seconda più grande trasformazione che ci guiderà nel futuro. Quindi puntare verso l’innovazione tecnologica si rivela la chiave per la creazione di un forte business in un nuovo mondo digitale.

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Non dare il massimo per dare il massimo: la regola dell’85%

Avvocato, hai mai sentito parlare della regola dell’85%?

La regola è nata da Carl Lewis, il cosiddetto Figlio del Vento. Lewis, detentore di record di velocità su pista, fino a metà gara era in netto svantaggio.

In molti potrebbero pensare che Lewis fosse uno che partiva lento e recuperava successivamente, dando un grande sprint nella seconda metà della gara. Osservando bene le gare, invece, si è notato che Lewis non modificava stile e parametri, ed era sempre rilassato.

Mentre gli altri deceleravano perché avevano bruciato ed esaurito tutte le forze, Lewis li sovrastava, dominando la corsa in maniera rilassata. Non dava, quindi, il suo 100%, ma soltanto l’85% delle sue energie. Ma lo faceva dall’inizio alla fine, senza mai calare.

Non dare il massimo potrebbe essere una paradossale regola di vita, che ci consente di dare… il massimo! Il ragionamento potrebbe sembrare irrazionale, è vero, ma c’è una motivazione dietro tutto questo.

Nel mondo del lavoro, dare sempre il 100% predispone al burnout. Oltre a non essere umanamente possibile dare costantemente il 100%, nel momento in cui non ci riusciremo cadremo nell’insoddisfazione. E se anche riuscissimo a dare sempre il massimo, rischieremmo di diventare come uno degli avversari di Lewis, che arrivavano ad un punto in cui dovevano per forza decelerare.

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Con il metodo dell’85% non otterremo il massimo dei risultati; ma è sicuramente il metodo più saggio per salvaguardare e conservare le energie. In questo modo, quando sarà il momento di dare il 100%, saremo prontissimi.

Non è un semplice cambio di prospettiva, ma un trucco mentale altamente determinante. Con la regola dell’85% si lavora sulla continuità, e non sui picchi prestazionali.

Questo metodo non si adatta soltanto al mondo sportivo ma è perfetto anche per il mondo del lavoro. Se pretendiamo sempre il massimo da noi stessi, finiremo inevitabilmente per bruciare tutte le nostre risorse: abbiamo tutti un limite!

Qualsiasi motore si fonde se va al massimo. Ma soltanto i motori che non girano sempre al massimo conservano le loro energie per andare al massimo nel momento in cui serve.

Se non se ne ha l’abitudine, non è semplice andare al massimo. Ma fare qualcosina in meno rispetto a ciò che la tua mente ti dice di fare non è un tradimento verso se stessi, ma un buon metodo per tagliare il traguardo dei 100 metri.

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Come far crescere lo Studio Legale?

Avere in mente un progetto preciso significa anche avere in mente come raggiungerlo. Non ci sono obiettivi senza pianificazioni di base che consentono di realizzare un progetto nel più breve tempo possibile.

Obiettivi e pianificazione sono due concetti collegati tra loro. Quando manca uno, l’altro è insufficiente, e non ci sarebbe modo di raggiungere alcun traguardo.

Per far crescere uno studio legale, dunque, sono necessari focus e obiettivi. Ma quali step dobbiamo seguire per realizzare un’attività di successo?

Le difficoltà dell’avvocato

Tra gli studenti di giurisprudenza, la professione più ambita è quella dell’avvocato. Ma il giovane laureato che intraprende la strada dell’avvocatura ignora le difficoltà che incontrerà nel suo percorso.

Ne verrà a conoscenza durante il praticantato, quando capirà di essere uno tra i tanti tirocinanti che hanno il sogno di diventare un avvocato di successo. Inoltre, una volta acquisita l’abilitazione, l’avvocato incontrerà altri ostacoli, questa volta dovuti alla burocrazia eccessiva del mondo legale.

I costi per la gestione di uno studio in proprio sono alti, e per affermarsi nel mondo degli avvocati non serve soltanto avere ottime conoscenze e un curriculum da paura. Le difficoltà che di solito incontra un avvocato sono una concorrenza eccessiva, limitazioni alla professione e una deontologia che non si lascia sfuggire la possibilità di trasformare l’avvocatura in una professione manageriale.

L’avvocato finisce a dover reinterpretare la propria professione. Tutto parte dal focus, dall’individuazione di un interesse su cui riporre la massima attenzione. Ma per trasformare un focus in realtà bisogna avere in mente il piano da seguire: ecco che entra in gioco la visualizzazione.

Come funziona la visualizzazione

Immaginiamo, per esempio, di dover partire per un viaggio di piacere: il focus sarà la pianificazione della vacanza. Visualizzeremo come fare la vacanza, quale mezzo di trasporto utilizzare, quanti soldi spendere, dove andare a dormire e quali tappe seguire.

Dunque, avremo puntato la nostra attenzione all’obiettivo vacanza, dove avremo individuato il vero focus del progetto. Tutta l’organizzazione rappresenta la visualizzazione che abbiamo avuto del nostro viaggio, dove ogni cosa viene definita attentamente senza lasciare nulla al caso.

Focus e organizzazione vanno a braccetto: l’assenza di uno o l’inadeguatezza dell’altro potrebbe portarci lontano dal raggiungimento dei nostri obiettivi.

Come definire il focus?

Se hai un’attività in proprio e non sei associato con altri professionisti, l’obiettivo è sicuramente far crescere il tuo studio legale. Magari ti vedi in un ufficio più grande, in un loft al centro della città, con postazioni destinate ai tuoi futuri collaboratori.

Ci sarà molto lavoro da svolgere, e la maggior parte di esso verrà delegato ad un team fidato. Il tuo compito sarà fare quello che hai sempre sognato, ovvero l’avvocato con la A maiuscola: assistere i clienti, riceverli in ufficio, gestire l’attività ma senza occuparti necessariamente di tutte le incombenze.

Il tempo a tua disposizione, in altri termini, non sarà dedicato al controllo delle fatture, a mettere in ordine l’archivio, a prendere appuntamenti e a inoltrare email. Il tempo che avrai a tua disposizione sarà dedicato alla tua passione vera e propria, e lo gestirai in modo tale da dimostrare tutta la tua competenza e professionalità.

Il focus di un avvocato che vuole far crescere il suo studio legale è l’attenzione particolare riposta nella creazione di un’attività professionale efficiente ed efficace.

Tutto è al suo posto, tutti hanno il proprio compito e si lavora in gruppo se lo richiedono le circostanze. Anche se tutti hanno il proprio ruolo, nel complesso sarete una società legale, magari con una particolare specializzazione giuridica.

Non è un traguardo particolarmente difficile da raggiungere. Alcuni dei tuoi colleghi, infatti, hanno già fatto il grande passo. Quello che manca è la visualizzazione della strada da percorrere per raggiungere questo obiettivo.

Bisogna cercare di capire che cosa effettivamente si desidera fare della propria attività. Pensa al tuo lavoro tra qualche anno, e focalizzati su dove vorresti essere e cosa vorresti fare.

Magari stai assistendo un cliente molto importante, oppure stai collaborando con un’azienda che ha richiesto aiuto proprio al tuo studio al fine di trattare una data situazione. Significa che stai pensando alla tua crescita e a quella dello studio legale.

Magari vorresti specializzarti in qualcosa che non possono offrire i tuoi colleghi, perché solo tu la sai proporre. Quindi, i tuoi servizi saranno impeccabili, e il mercato ti conoscerà come una vera e propria identità di marchio.

Chi parlerà di te si riferirà al tuo studio legale come se stesse parlando con una grande azienda. L’idea ti rende felice soltanto al pensiero, ma come realizzarla?

Visualizzare un obiettivo

Una cosa è sognare, un’altra è far sì che i sogni diventino realtà. Per far sì che questo accada è necessario visualizzare come fare per raggiungere gli obiettivi.

Una volta stabilito il focus e incentrato tutto l’interesse e le attenzioni a riguardo bisognerà essere orientati agli step da seguire per tagliare il traguardo. Ci si dovrà organizzare, trovare le giuste risorse e scegliere la strada più adatta per evitare perdite inutili.

Nulla potrà essere realizzato senza soldi ed energie. Tranne nel caso in cui non arrivi un colpo di fortuna: in quel caso le uniche risorse da impiegare saranno la produttività e un ottimo investimento in denaro.

La produttività è tale se lavorando otteniamo un profitto che aumenta, oppure aumentando il carico di lavoro complessivo. Pensa, inoltre, alla gestione del tuo tempo e considera le volte in cui riesci a concludere un lavoro entro i tempi prestabiliti. Nel caso in cui tu abbia dei ritardi, cerca di capire dove sprechi tempo prezioso e cerca di trovare il modo di riparare questa falla.

Una volta risparmiato tempo, comprenderai come procedere all’aumento del carico di lavoro. Come fare a conquistare la fiducia di un cliente importante senza competenze per rispondere alle sue esigenze? Lavorare di più significa migliorarsi, crescere, fare esperienza e distinguersi.

Studio legale: focus e visualizzazione

Focus e visualizzazione per uno studio legale significano molto. Permettono di creare il proprio spazio nella concorrenza: quando un avvocato si prefissa l’obiettivo di far crescere il proprio lavoro, non soltanto sta migliorando la qualità della propria vita, ma fornisce un’utilità sociale non indifferente.

Sono elementi che in uno studio legale significano molto, non soltanto per quanto riguarda il profitto. Un ufficio che mira a far crescere la propria attività misurerà il proprio rendiconto in termini di reputazione e di brand identity.

Se uno studio legale offre servizi mirati, avrà più possibilità di determinare la propria attività con un certo spessore. Non crescerà soltanto l’ufficio come portafogli clienti e come immobile, ma anche il know-how di chi fa parte dello studio.

La crescita di uno studio è collegata alla crescita professionale e personale dell’avvocato, che si ritroverà un domani a dare un senso alla propria attività. Se è un lavoro che si fa con passione e con l’intenzione di un’evoluzione professionale, tutta la società ne trarrà guadagno.

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Servicematica

Nel corso degli anni SM - Servicematica ha ottenuto le certificazioni ISO 9001:2015 e ISO 27001:2013.
Inoltre è anche Responsabile della protezione dei dati (RDP - DPO) secondo l'art. 37 del Regolamento (UE) 2016/679. SM - Servicematica offre la conservazione digitale con certificazione AGID (Agenzia per l'Italia Digitale).

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