limite 30.000 caratteri

Il limite dei 30.000 caratteri a tutela del giusto processo

Il limite dei 30.000 caratteri per gli atti da presentare al Consiglio Stato non è solo un modo per rendere la lettura degli stessi più agevole, ma anche uno strumento a tutela del giusto processo.

È lo stesso Consiglio di Stato a sottolinearlo con l’ordinanza n. 9365/2021.

A PROPOSITO DEL LIMITE DIMENSIONALE DEGLI ATTI

Va ricordato che, secondo l’art. 13-ter delle norme di attuazione del c.p.a., i giudici sono tenuti a esaminare solo i contenuti presenti entro il limite dimensionale stabilito dal decreto del presidente del Consiglio di Stato n.167 del 22 dicembre 2016.

Questo limite è fissato a 30.000 caratteri, circa 15 pagine.

Tutto ciò che va oltre questo limite può non essere considerato dai giudici.

Dall’ordinanza, si deduce però che il limite possa essere superato ma solo nel caso di vicende complesse o che riguardino questioni di interesse economico o sociale.

PERCHÈ IL LIMITE DEI 30.000 CARATTERI TUTELA IL GIUSTO PROCESSO

Il giusto processo è descritto dall’art.111 della Costituzione.

Nell’ordinanza, il Consiglio di Stato illustra come il limite dei 30.000 caratteri favorisca il rispetto di questo principio.
Si legge:

“- ciascuna Sezione del Consiglio di Stato, non contemplando il nostro ordinamento processuale alcun meccanismo di filtro (a differenza della stragrande maggioranza delle Supreme Corti europee), ogni settimana deve scrutinare nel merito un numero elevatissimo di cause (nell’ordine delle centinaia), ciascuna delle quali (salvo che gli avvocati non compaiano o vi rinuncino) è ammessa alla discussione orale;
– in questo contesto, la redazione di scritti chiari e sintetici, in grado cioè di selezionare in modo competente le sole questioni (di fatto e di diritto) rilevanti al fine del decidere, è dirimente per l’assunzione di decisioni approfondite e consapevoli;
– la brevità dell’atto processuale (in termini di caratteri, pagine e battute) è appunto lo strumento attraverso il quale il legislatore ha inteso vincolare le parti a quello sforzo di “sintesi” giuridica della materia controversa, sul presupposto che l’intellegibilità dell’atto (e quindi la giustizia della decisione) è grandemente ostacolata da esposizioni confuse e causidiche;
– in assenza (e aspettando) l’introduzione di meccanismi deflattivi, al fine di amministrare nel migliore modo possibile una imponente mole di contenzioso, il servizio giustizia, in quanto “risorsa scarsa”, ha bisogno della collaborazione dell’intero ceto giuridico.”

La conclusione a cui giunge è che la sinteticità degli atti non è un “mero canone orientativo della condotta delle parti” ma una regola vera e propria funzionale al rispetto del giusto processo, in particolare dal punto di vista della ragionevole durata.

 

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Procura alle liti con sottoscrizione illeggibile: valida o no?

Se non è possibile decifrare la firma, la procura alle liti può essere considerata valida? Con l’ordinanza n. 6426/2021, pubblicata il 9 marzo 2021, la Corte di Cassazione si è espressa sulla validità o meno della procura alle liti in caso di sottoscrizione illeggibile.

SOTTOSCRIZIONE ILLEGGIBILE, IL CASO

Il ricorso di una società contro l’Agenzia delle Entrate viene dichiarato inammissibile dalla Commissione Tributaria Provinciale a causa dell’illeggibilità della sottoscrizione del mandato conferito al legale e la mancanza del nome e della qualità del mandante.

Successivamente il ricorso viene però accolto dalla Commissione Tributaria Regionale.
La Commissione rileva che la sottoscrizione illeggibile non è rilevante, poiché la firma è riconducibile al soggetto che aveva svolto la funzione di amministratore unico prima della procedura della liquidazione, diventando poi il liquidatore.

L’Agenzia delle Entrate ricorre e la questione giunge in Cassazione.

L’AdE, fra e viarie, sostiene la violazione dell’art.83 c.p.c. poiché il ricorso originario è stato considerato ammissibile nonostante gli atti del fascicolo processuale non presentassero alcuna prova dell’esistenza del conferimento della procura alle liti al difensore e di elementi da cui dedurre l’identità del sottoscrittore.

LA DECISIONE DELLA CASSAZIONE

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso, ribadendo che: “l’illeggibilità della firma del conferente la procura alla lite, apposta in calce od a margine dell’atto con il quale sta in giudizio una società esattamente indicata con la sua denominazione, è irrilevante non solo quando il nome del sottoscrittore risulti dal testo della procura stessa o dalla certificazione d’autografia resa dal difensore ovvero dal testo di quell’atto, ma anche quando detto nome sia con certezza desumibile dall’indicazione di una specifica funzione o carica, che ne renda identificabile il titolare per il tramite dei documenti di causa o delle risultanze del registro delle imprese”.

La Corte ha inoltre sottolineato che al Processo Tributario si applicano i principi previsti dall’art. 182 c.p.c. Ciò è valido anche in presenza della norma speciale di cui all’art. 18, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 “per cui il difetto di legittimazione processuale della persona fisica che agisca in rappresentanza organica di un altro soggetto può essere sanato, in ogni stato e grado del giudizio (e, dunque, anche in appello), con efficacia retroattiva, rispetto agli atti processuali già compiuti, a seguito della costituzione in causa del soggetto dotato dell’effettiva rappresentanza, che manifesti la volontà, anche tacita, di ratificare la condotta difensiva del falsus procurator”.

 

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Quale indirizzo PEC è valido ai fini processuali?

L’unico indirizzo PEC valido ai fini processuali è quello che l’avvocato ha indicato al Consiglio dell’Ordine di appartenenza.
A stabilirlo è la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 3685/2021.

PEC E DOMICILIO DIGITALE

La Cassazione ha dovuto pronunciarsi su un ricorso tra i cui motivi figurava anche una notificazione invita all’indirizzo PEC del difensore della parte ricorrente, anziché presso il domicilio eletto con il deposito del ricorso. Secondo il ricorrente, tale indirizzo PEC era stato indicato solo per comunicazioni e non per le notificazioni.

La Cassazione rigetta i ricorso e giustifica la decisione basandosi su precedenti orientamenti in materia di notificazione al difensore.
In particolare, si rifà al concetto di “domicilio digitale”( art. 16-sexies, d.l.179 del 18 ottobre 2012, che corrisponde all’indirizzo PEC che l’avvocato comunica al Consiglio dell’Ordine di appartenenza (L. n. 114 del 2014).

Il Codice dell’Amministrazione Digitale (d.lgs. n. 82/2005) definisce il domicilio digitale come «un indirizzo elettronico eletto presso un servizio di posta elettronica certificata o un servizio elettronico di recapito certificato qualificato, come definito dal regolamento (UE) 23 luglio 2014 n. 910 del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno e che abroga la direttiva 1999/93/CE […], valido ai fini delle comunicazioni elettroniche aventi valore legale».

Non si tratta solo di un indirizzo PEC ma di un recapito digitale che imprese, professionisti e cittadini indicano alla Pubblica Amministrazione per la ricezione di comunicazioni che, sebbene digitali, hanno piena valenza legale.

INDIRIZZO PEC VALIDO AI FINI PROCESSUALI

Dalla sentenza si evince che:

  • il difensore non ha più l’obbligo di indicare negli atti di parte il suo indirizzo PEC,
  • l’indirizzo PEC dell’avvocato è legato al suo codice fiscale,
  • ll difensore è obbligato a indicare negli atti il proprio codice fiscale. Ciò permette l’individuazione univoca dell’utente SICID, nonché di risalire all’indirizzo PEC tramite il registro INI-PEC,
  • il difensore non può indicare un altro indirizzo PEC diverso da quello comunicato al Consiglio dell’Ordine di appartenenza,
  • la domiciliazione ex lege presso la cancelleria è prevista solo quando non è possibile inviare le comunicazioni o le notificazioni della cancelleria o delle parti private presso il domicilio telematico per cause imputabili al destinatario. Unica eccezione è il giudizio di Cassazione, per il quale la domiciliazione ex lege presso la cancelleria della Corte di Cassazione è possibile se il difensore non ha eletto domicilio nel comune di Roma o non ha indicato il proprio indirizzo PEC;

Per tutti questi motivi, l’unico indirizzo PEC valido ai fini processuali è quello indicato al Consiglio dell’Ordine. Non è possibile riconoscere alcuna validità ad altri indirizzi di posta elettronica.

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PAT, Processo Amministrativo Telematico: aggiornate le regole

PAT, Processo Amministrativo Telematico: aggiornate le regole

Il Segretariato Generale della Giustizia Amministrativa ha aggiornato le regole tecnico-operative del PAT, Processo Amministrativo Telematico. Le nuove regole rimarranno valide fino alla fine dell’attuale periodo emergenziale. 

Il decreto contenente gli aggiornamenti alle regole tecnico-operative del PAT è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale l’11 gennaio 2021.

Il decreto “Regole tecnico-operative per l’attuazione del processo amministrativo telematico, nonché per la sperimentazione e la graduale applicazione dei relativi aggiornamenti” va a sostituire il precedente del maggio 2020 e decorre dal 16 gennaio.

PAT, GLI AGGIORNAMENTI ALLE REGOLE

Diamo ora una panoramica delle principali regole per il Processo Amministrativo Telematico durante il periodo di emergenza sanitaria:

  • – nel caso sia necessaria la discussione orale, le udienze pubbliche e camerali del PAT si svolgeranno da remoto tramite videoconferenza;
  • – se l’istanza di discussione orale è proposta da una sola parte, la segreteria comunica alle altre parti l’avvenuto deposito dell’istanza;
  • – in caso di discussione da remoto, la segreteria comunica agli avvocati data e ora del collegamento con almeno un giorno di anticipo. La segreteria si impegna a calendarizzare le discussioni nel modo più opportuno per ridurre i tempi di attesa;
  • – la comunicazione di data e ora è accompagnata dal link con cui sarà possibile accedere ala discussione, dall’informativa sulla privacy e al trattamento dei dati personali;
  • – per partecipare alla discussione da remoto è necessario che difensori e parti siano dotati di dispositivi e software correttamente funzionanti;
  • – i magistrati devono utilizzare esclusivamente i dispositivi forniti loro dal Segretariato Generale della Giustizia Amministrativa e accedere al collegamento da remoto utilizzando la propria email istituzionale;
  • – è vietata la registrazione delle discussioni;
  • – è vietato l’uso della funzione di messaggistica istantanea presente nel software di videoconferenza e di tutti gli strumenti che permettano di memorizzare quanto viene espresso durante l’udienza o la camera di consiglio;
  • – le parti hanno a disposizione:
    7 minuti di tempo per l’istanza cautelare e nei riti dell’accesso, del silenzio, del decreto ingiuntivo, dell’ottemperanza e in negli altri riti speciale non espressamente menzionati nel comma specifico del decreto;
    10 minuti nel rito ordinario, in quello abbreviato comune (art. 119 c.p.a.), in quello sui contratti pubblici (art. 120 e ss. c.p.a.) e nei riti elettorali;
  • – il numero di difensori che assistono le parti non incide sul numero di minuti a disposizione. Il Presidente può però ampliare o ridurre i tempi in base al numero di soggetti difesi, della natura e della complessità della controversia e alle pause necessarie.

Condividiamo il link al testo completo del decreto “Regole tecnico-operative per l’attuazione del processo amministrativo telematico, nonché per la sperimentazione e la graduale applicazione dei relativi aggiornamenti“.

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Così come chiesto dall’ANM al Min. Bonafede, le norme emergenziali sono state prorogate fino al 30 aprile 2021 anche per il settore della Giustizia.

NORME EMERGENZIALI PER RIDURRE LE OCCASIONI DI CONTAGIO

La proroga delle norme emergenziali fa riferimento a quanto contenuto nell’articolo 1, comma 1, del D.L. 19/2020 che aveva inizialmente fissato la fine dell’emergenza al 31 gennaio 2021, anche per la giustizia.

Le misure hanno come obiettivo il contenimento dei contagi tramite una riduzione delle occasioni di assembramento. Ne deriva quindi la necessità di una limitazione alla presenza fisica del personale all’interno degli uffici pubblici «fatte comunque salve le attività indifferibili e l’erogazione dei servizi essenziali prioritariamente mediante il ricorso a modalità di lavoro agile».

CONSEGUENZE SULLA GIUSTIZIA

Per la Giustizia ciò significa che si proseguirà seguendo le misure già in adozione.
Tra queste:

– i processi d’appello e quelli davanti alla Corte di Cassazione si svolgono in modalità cartolare, salvo istanza delle parti per l’udienza in presenza;

– gli atti possono essere depositati via PEC;

– le indagini preliminari possono essere svolte usufruendo delle tecnologie da remoto, soprattutto per i colloqui con la persona offesa, la persona sottoposta alle indagini, i consulenti o gli esperti di cui si avvale il pm, o la polizia giudiziaria;

– il deposito di memorie e documenti per la conclusione delle indagini viene eseguito tramite il portale del processo penale telematico;

– le udienze civili e penali per le quali sarebbe ammessa presenza del pubblico, vengono ora celebrate a porte chiuse;

– il processo d’appello avviene in modalità scritta, con la Camera di consiglio da remoto e lo scambio di documenti al posto della presenza fisica di avvocati e pubblici ministeri;

– è conferma la sospensione della prescrizione e dei termini di custodia cautelare nei procedimenti penali.

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Nomi di fantasia nelle sentenze: meglio degli omissis?

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La sentenza n. 1134/2020 emessa dal Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia assume particolare rilevanza per la scelta linguistica di sostituire gli omissis con nomi di fantasia.

È il Consiglio stesso a introdurre questa scelta nella premessa alla sentenza:

“Prima di procedere alla esposizione dei fatti il Collegio ritiene opportuno disporre che per ragioni di privacy i nominativi di alcune parti processuali e gli estremi della sentenza appellata e del provvedimento impugnato – dati che verranno oscurati a cura della Segreteria (salvo, s’intende, che nella versione integrale della presente sentenza, non ostensibile) – vengano sostituiti con pseudonimi, segni grafici o espressioni letterali, che ne impediscano la identificazione”.

LE MOTIVAZIONI A FAVORE DELL’USO DI NOMI DI FANTASIA NELLE SENTENZE

Il Consiglio ritiene che l’uso di omissis, iniziali o termini tecnici come ‘attore’ e ‘convenuto’ possano rendere difficile la lettura e la comprensione delle sentenze, soprattutto quando le parti sono molteplici e non tutte processuali.

Al contrario, sostituire i nomi reali con nomi di fantasia rende le sentenze più scorrevoli e permette di capire meglio le vicende processuali.  Come si legge nella sentenza: “dal momento infatti che le decisioni giudiziarie svolgono anche la funzione di orientare le scelte successive e di dare vita a una prassi, curare la chiarezza linguistica delle sentenze è assolutamente doveroso”.

E LA PRIVACY?

La normativa sulla privacy prescrive semplicemente che i nomi dei soggetti coinvolti nel giudizio vengano celati per evitare qualsiasi danno alla loro immagine, ma non vieta affatto l’uso di nomi di fantasia, segni grafici, espressioni letterali .
Anzi, questo espediente si rivelerebbe ancor più idoneo a tutelare la privacy: basti pensare all’uso delle iniziali di nome e cognome che, nel caso di cittadini residenti in centri urbani di piccole dimensioni, potrebbe portare comunque al loro riconoscimento.

L’uso di nomi di fantasia nelle sentenze risulta dunque favorevole sotto diversi punti di vista. Vedremo col tempo se l’orientamento del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia prenderà piede o rimarrà un’eccezione.

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Casella PEC piena? Ecco quando la notificazione di un atto è perfezionata


Casella PEC piena? Ecco quando la notificazione di un atto è perfezionata

Con la sentenza n. 14216 dell’11 maggio 2020 la Corte di Cassazione, terza sezione penale, chiarisce che la notificazione di un atto via posta elettronica certificata può ritenersi perfezionata anche quando la casella mail di destinazione risultasse piena.

Più volte in passato le sezioni civili della Cassazione hanno affermato il principio secondo cui il perfezionamento della notificazione di un atto a un soggetto obbligato per legge ad avere un proprio indirizzo PEC la cui casella però risulti piena si ha con la ricevuta che attesta tale stato della casella.

Il messaggio in cui si comunica che la casella PEC del destinatario è piena è equiparabile alla ricevuta di avvenuta consegna poiché il mancato download nella casella PEC piena è causato dalla mancata manutenzione della stessa da parte del destinatario/proprietario. (Cass. civ., Sez. 6-3, n. 3164 dell’11/02/2020; Cass. civ., Sez. 5, sent. n. 7029 del 21/32018; Cass. civ., Sez. L, sent. n. 13532 del 20/05/2019).

Nel caso oggetto della sentenza, la cancelleria della Corte aveva trasmesso l’avviso di fissazione dell’udienza via PEC al difensore di ufficio di uno degli imputati, vedendosi poi restituire il messaggio con l’avviso che la casella del destinatario risultava piena.
Il ricorso da parte dell’imputato è stato dichiarato inammissibile anche in considerazione di quanto detto poco sopra a proposito dell’equipollenza tra il messaggio di avvenuta consegna e quello di ‘casella piena’.

Nella sentenza, la Cassazione fa presente che l’art. 16, comma 4 del D.L. n.179 del 18 ottobre 2012 (convertito con modificazioni dalla L. n. 221 del 17 dicembre 2012) permette che la notificazione a persone diverse dall’imputato sia effettuata per mezzo di posta PEC (art. 148 c.p.p., comma 2 bis) e che l’ art. 20, comma 5, del D.M. n. 44 del 2011 stabilisce che «il soggetto abilitato esterno è tenuto a dotarsi di servizio automatico di avviso dell’imminente saturazione della propria casella di posta elettronica certificata e a verificare la effettiva disponibilità dello spazio disco a disposizione».

L’insegnamento da trarre da questa sentenza è di prestare massima attenzione alla propria casella PEC al fine di evitare che risulti piena e non possa ricevere messaggi importanti le cui conseguenze potrebbero davvero essere rilevanti.

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Le regole tecniche per l'udienza da remoto nel processo amministrativo

Le regole tecniche per l’udienza da remoto nel processo amministrativo

udienza da remoto nel processo amministrativo
Sul sito di Giustizia Amministrativa sono state pubblicare le regole tecniche che introducono l’udienza da remoto nel processo amministrativo telematico. Tali regole saranno effettive a partire dal 30 maggio 2020.

Lo scopo delle linee guida non è creare un processo amministrativo completamente digitalizzato, ma permettere di attraversare questo momento di emergenza per ripristinare, dopo il 31 luglio (termine fissato dal decreto  Cura Italia”) le modalità ordinarie di svolgimento dei processi. 

QUANDO È DISPOSTA L’UDIENZA DA REMOTO

Come riportato in un articolo di Il Dubbio, l’udienza da remoto nel processo amministrativo può essere disposta:
– su richiesta congiunta delle parti,
– su richiesta di una o alcune parti,
– dal Presidente del collegio.

Se nessuno ne fa richiesta, si procede con il processo cartolare i cui atti scritti devono essere depositati fino a due giorni liberi prima dell’udienza.

LE REGOLE PER L’UDIENZA DA REMOTO NEL PROCESSO AMMINISTRATIVO 

Riportiamo alcuni elementi delle regole tecniche per l’udienza da remoto nel processo amministrativo.

La definizione dell’udienza

Nei casi in cui viene decisa la discussione da remoto, è la segreteria a comunicare agli avvocati, almeno un giorno libero prima della trattazione, il giorno e l’ora del collegamento in videoconferenza, avendo cura di gestire il calendario delle udienze così da evitare tempi di attesa.
Nella comunicazione saranno presenti il link all’udienza, l’avviso sul trattamento dei dati personali anche da parte del gestore della piattaforma,

Il dispositivo e le modalità

Il Presidente del collegio decide l’ammissione o l’esclusione dei difensori o delle altre parti all’udienza, e gestisce la funzione audio per concedere a questi la parola.

Il dispositivo utilizzato per partecipare all’udienza da remoto deve rispettare alcuni requisiti specificati negli allegati alle regole.
All’udienza, il Presidente del collegio e il segretario verificano la funzionalità del collegamento, le presenze e illustrano le modalità di accertamento dell’identità dei soggetti partecipanti e la loro libera volontà di dar corso all’udienza da remoto.

Prima della discussione, i difensori delle parti o le parti che agiscono in proprio dichiarano che non vi sono soggetti non autorizzati in ascolto o in visione dell’udienza o della camera di consiglio.

Se il collegamento dovesse essere impossibile per motivi tecnici, il Presidente del collegio decidere cosa fare ai sensi degli articoli 39 del codice del processo amministrativo, 11 delle disposizioni di attuazione al codice del processo amministrativo e 127 del codice di procedura civile.

I partecipanti hanno il divieto di registrare le udienze pubbliche, camerali e della camera di consiglio da remoto tenuta dai soli magistrati per la decisione degli affari.

Vige anche il divieto di utilizzare la messaggistica istantanea (chat) interna alle piattaforme per l’udienza da remoto.

Infine, è vietato l’uso di qualsiasi strumento o funzione che permettano di memorizzare le dichiarazioni dei partecipanti.

Tempi concessi per gli interventi

Gli interventi delle parti devono rispettare i seguenti tempi massimi:
a) in sede di discussione dell’istanza cautelare e nei riti dell’accesso, del silenzio, del decreto ingiuntivo, dell’ottemperanza e, in ogni altro rito speciale non espressamente menzionato nel presente comma: 7 minuti;
b) nel rito ordinario, nel rito abbreviato comune di cui all’articolo 119 del codice del processo amministrativo, nel rito sui contratti pubblici di cui agli articoli 120 e seguenti del codice del processo amministrativo, nei riti elettorali: 10 minuti.

I tempi indicati riguardano la singola parte, indipendentemente dal numero dei suoi difensori.
Il Presidente del collegio può però ridurre o espandere i tempi di intervento in relazione al numero dei soggetti difesi, la natura e la complessità della controversia.

Per approfondire, vi invitiamo a leggere i documenti ufficiali sulle regole tecniche dell’udienza da remoto nel processo amministrativo.

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La digitalizzazione della Giustizia ha subito una forte e inaspettata accelerazione durante gli ultimi mesi caratterizzati dall’epidemia da COVID-19.
Una digitalizzazione un po’ forzata e caotica.

La Fase 2 della Giustizia, iniziata oggi 12 maggio 2020, sta avvenendo con alcune difficoltà, generata soprattutto dall’assenza di linee guida nazionali.
Il risultato è che ogni ufficio giudiziario ha ora le proprie regole, diverse da quelle degli altri. Come l’ha definita l’OCF: “una vera babele“. 

Ma oltre ai problemi organizzativi legati al rispetto delle misure di contenimento, c’è poi una marcata serie di problemi tecnici. Giusto per fare un esempio: se, da un lato, si vuole favorire lo smart working per garantire il distanziamento sociale ed evitare gli assembramenti, dall’altro, il personale amministrativo non ha ancora modo di poter accedere in remoto ai fascicoli e ai registri.

La digitalizzazione della Giustizia, con le sue incertezze e le sue potenzialità, ha suscitato un discreto dibattito fra coloro che sostengono che sia un bene e altri che la percepiscono come una minaccia.

IL PASSATO E IL FUTURO DELLA DIGITALIZZAZIONE DELLA GIUSTIZIA

La digitalizzazione della Giustizia non è certo una novità di questo periodo.

Già nel Piano d’azione in materia di Giustizia elettronica europea del 2009 si suggeriva l’uso della videoconferenza.
In Italia questa tecnologia è stata usata principalmente per i processi penali che coinvolgono detenuti pericolosi per i quali è auspicabile evitare qualsiasi spostamenti dal carcere alle aule giudiziarie [agenda digitale]

Considerando la situazione attuale, anche cercando di essere ottimisti, dobbiamo considerare tre elementi:

  • – con le attuali misure di contenimento non sarà possibile garantire gli stessi volumi di lavoro dell’epoca pre-coronavirus;
  • – vi è sempre la possibilità che i contagi tornino ad aumentare e che vengano imposte nuove misure restrittive alle attività giudiziaria,
  • – al già mastodontico arretrato che la Giustizia aveva prima dell’emergenza, si aggiungerà anche quello di questi mesi di stop, rendendo il sistema ancor più costipato.

È proprio alla luce di ciò che, forse, la digitalizzazione della Giustizia diventa necessaria.
La tecnologia e la dematerializzazione dei processi potrebbero infatti  apportare benefici in termini

  • – di tempo, con una riduzione dei tempi morti
  • – di costi, grazie, per esempio, alla riduzione degli spostamenti
  • – di accesso alla Giustizia, che sarà garantito anche in caso di nuovi lock down.

Insomma, la tecnologia permette di tutelare i  principi costituzionali del diritto di difesa (art.24) e del buon andamento dell’amministrazione (art.97). [agenda digitlae]

A proposito di diritti costituzionali e digitalizzazione della Giustizia, Salvatore Scuto, su Il Sole 24 Ore, scrive: “Il problema, infatti, più che sul piano tecnologico si pone sul piano della tutela del contraddittorio, dell’oralità, dell’immediatezza, della riserva di legge che costituiscono la più alta espressione di una regola epistemologica per la formazione della prova, riconosciuta come valida dalla collettività al punto da essere contenuta in Costituzione.”

Questo elemento è stato particolarmente sentito da molti avvocati penalisti che hanno vissuto come un limite l’imposizione delle udienze da remoto.

La questione è certamente delicata, ma è chiaro che sarà davvero difficile tornare alla Giustizia di un tempo.

LE SOLUZIONI?

Le opinioni dell’avvocatura sulla digitalizzazione della Giustizia sono variegate.

C’è chi accoglie con grande entusiasmo le novità, chi con grande timore.
C’è chi sostiene che l’unico modo per far ripartire la Giustizia ora sia depenalizzando alcuni reati e favorendo i riti alternativi, chi invece dice che agli avvocati dovrebbe essere revocato il periodo feriale estivo di quest’anno. 

Da un punto di vista puramente informatico, noi siamo d’accordo con chi sostiene che se si vuol davvero digitalizzare la Giustizia, allora bisogna:

  • – impostare delle regole omogenee e condivise (per esempio, stabilire quali comportamenti le parti devono tenere durante una videoconferenza),
  • modernizzare l’infrastruttura tecnologia a disposizione di tutti i soggetti coinvolti,
  • – impostare procedure e strumenti per la tutela della privacy e per la sicurezza informatica.

Il cambiamento non è mai semplice.
Anche ai tempi dell’introduzione del Processo Civile Telematico si poteva assistere a una spaccatura tra chi lo accoglievano con favore e chi lo vedeva come una minaccia.
Ora però il PCT non fa più notizia e, anzi, c’è davvero qualcuno che tornerebbe indietro?

[Spunti e approfondimenti:

Il Sole 24 Ore: Giustizia, perché per riprendere servono soluzioni condivise

Panorama: La Giustizia al bivio. Ci salverà l’udienza virtuale.  

La Stampa: Depenalizzazione dei reati e riti alternativi. Per la giustizia è l’unica ripartenza possibile.

Agenda Digitale: Udienze a distanza causa coronavirus, come vanno e i problemi.

Starmag: La Giustizia non riparte. Che cosa non funziona. ]

 

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processo amministrativo

[AGGIORNATO: 28 maggio] Perché non esiste il Processo Amministrativo da remoto?

AGGIORNAMENTO 28 MAGGIO 2020: Sul sito di Giustizia Amministrativa sono disponibili le le regole tecniche che introducono l’udienza da remoto nel processo amministrativo telematico. Tali regole saranno effettive a partire dal 30 maggio 2020.

Leggi l’articolo.

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Il Processo Amministrativo è l’unico ad essere completamente telematico (PAT), e allora perché la modalità delle udienze da remoto applicata alla giustizia civile, penale e contabile non è stata estesa anche a quella amministrativa?

A dir la verità, nel D.L n.11 dell’8 marzo 2020 (art.3 comma 5) aveva introdotto l’udienza telematica anche nel processo amministrativo, consentendo ai Presidenti di Tribunali di scegliere questa modalità sia per le udienze pubbliche che per quelle camerali in cui non fosse necessaria la presenza di soggetti diversi dai difensori, continuando così a tutelare il contraddittorio nel rispetto del principio costituzionale del giusto processo (art. 111 Cost.).

Poi, il D.L. n.18 del 17 marzo 2020 (art.84 comma 11) ha completamente abrogato il precedente articolo, ripresentando comunque le udienze telematiche per i processi civile, penale e contabile, ma non più per il processo amministrativo.

PERCHÈ NIENTE UDIENZE DA REMOTO NEL PROCESSO AMMINISTRATIVO? 

Non si è capito.

Tant’è che il CNF in un comunicato pubblicato il 21 aprile sul proprio sito ufficiale dichiarava di aver inviato la richiesta al Presidente del Consiglio, al presidente del Consiglio di Stato e, per conoscenza, al ministro della Giustizia,  di modificare «la previsione normativa del decreto Liquidità, che non consente la partecipazione dei difensori alle udienze da remoto, modificando il dpcm 40/2016 che regola l’attivazione del processo amministrativo telematico, al fine di consentire al Presidente del Consiglio di Stato l’immediata regolamentazione delle udienze da remoto anche nella giustizia amministrativa, limitata alla fase emergenziale, prevedendo al termine di essa la ripresa della pienezza del contraddittorio con il ritorno all’ordinaria presenza fisica e oralità in aula».

Infatti, rispettando le misure di contenimento dei contagi da COVID-19 imposte al settore della giustizia, nell’amministrativo non si terranno più udienze fino al prossimo 30 giugno e le decisioni potranno essere prese solo a patire dagli atti e dalle memorie depositate dalle parti.
Uno stop non da poco e che mal si concilia con i
principi costituzionali del giusto processo (art. 111 Cost.) e della effettività della tutela dei diritti e degli interessi legittimi avanti al giudice amministrativo (artt. 24, 103 e 113 Cost.)

[Questo articolo prende spunto dalla news “Le udienze nel processo amministrativo ai tempi del Covid-19” scritta da Sabrina Tosti e pubblicata il 28 aprile 2020 sul sito del CNF.]

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