Nuove linee guida Agid sui metadati

Nuove Linee guida Agid su formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici

Recentemente, si pubblica un documento tecnico che illustra come applicare ai documenti contabili e fiscali i metadati. Tali informazioni (metadati) racchiudono in sé un insieme di dati e vengono fissati nell’Allegato 5 delle Linee Guida Agid. Queste ultime riguardano la formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici e sono in vigore il 1° gennaio 2022.

Metadati e nuove Linee Guida Agid: come funzionano e quali sono le specifiche

Tutto inizia con lo studio dell’Osservatorio Digital B2b della School of Management del Politecnico di Milano. Spetta a loro redigere la prima stesura del documento che vedrà poi la condivisione con l’Agenzia per l’Italia Digitale. Alla condivisione e integrazione del documento partecipano anche:

  • Agenzia delle Entrate;
  • Consiglio nazionale dei dottori commercialisti;
  • Assosoftware;
  • Anorc;
  • Assoconservatori;
  • Sogei come supporto tecnico.

Come anticipavamo, i metadati si configurano come quegli elementi informativi che si associano al documento informatico per favorire:

  • Il loro utilizzo;
  • La classificazione;
  • L’archiviazione;
  • Ricercabilità nel tempo.

Era il DPCM del 3 dicembre 2013 a fissare i primi 4 metadati da associare ai documenti fiscali. Ora, con le nuove Linee Guida Agid si giunge a un totale di 14 metadati obbligatori e 4 facoltativi.  Inoltre, si introduce anche la possibilità di associare gli stessi al documento anche in un momento successivo alla loro formazione.

Quest’eccezione è valida nel momento in cui:

  • Le informazioni sono già incluse nel documento informatico. Ad esempio, il numero e la data della fattura elettronica;
  • Alcuni metadati non possono essere presenti se non in una fase successiva alla formazione del documento informatico. Questo a causa di vincoli e specificità del processo di veicolazione che prevede logiche e tracciati obbligatori. Ad esempio, la Fattura elettronica, per i quali l’associazione con i metadati può essere effettuata dopo l’invio allo SDI.

Quali sono i 14 metadati obbligatori?

Ora, entriamo nel merito specifico dei 14 metadati obbligatori. Ecco alcune delle principali indicazioni a essi relative:

  1. Identificativo che si associa in modo univoco e permanente al documento informatico. Ad esempio, quello che rilascia il Sistema di Interscambio per le fatture elettroniche. Inoltre, si deve sempre accompagnare anche dall’impronta (hash) del documento;
  2. Dati di registrazione – In fase di registrazione di qualsiasi documento fiscale si rilevano almeno due date: la data del documento e la data di registrazione. Qui, si ritiene sufficiente impiegare la sola “data del documento”, che comunque è sempre associata alla data di registrazione.
  3. Soggetti: consente di individuare le informazioni relative a tutti i soggetti coinvolti e competenti sul documento a vario titolo – assegnatario, autore, destinatario, mittente, operatore, produttore, ecc.;
  4. Allegati: indicano il numero di allegati al documento. E, nell’eventualità che il numero di allegati indicati sia maggiore di zero si devono compilare i campi numero allegati e indice allegati;
  5. Identificativo del formato tra quelli dell’Allegato 2 delle Linee Guida AGID;
  6. Verifica: indica l’esito del controllo che riscontra se a) il file ha una firma digitale o un sigillo elettronico, b) se è associato o meno ad una marcatura temporale e se, c) nel caso di copia di documento analogico su immagine, esiste l’attestazione di conformità del processo effettuata da un privato, un notaio o un pubblico ufficiale;
  7. Identificativo del Documento Primario. Ad esempio, la fattura elettronica trasmessa verso lo SDI è il documento primario della ricevuta di consegna che perviene da SDI. Chiaramente, tale metadato non deve valorizzarsi nel documento primario ma solo nell’eventuale documento associato;
  8. Nome del documento/file: nel caso delle fatture elettroniche si comporrà dal codice paese + identificativo univoco + progressivo univoco del file;
  9. Versione documento che consente di tracciare nel tempo le diverse versioni che ha assunto il documento informatico;
  10. Tracciature modifiche documento che traccia la presenza di operazioni di modifica effettuate sul documento e la data in cui esse sono state effettuate.

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Oggigiorno, molte aziende commerciali si confrontano con la realtà virtuale e le possibilità che essa racchiude. Per esempio, i marchi della moda e del lusso sviluppano già prodotti e servizi specifici per battere la concorrenza anche nel metaverso. Intuibile è che ciò comporta anche nuovi contenziosi e problemi legali inediti sui quali anche gli avvocati italiani si stanno confrontando.

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Si parla di metaverso, ma sarebbe meglio parlare di metaversi, dato che ne esistono già di diversi, come ad esempio:

A questi mondi paralleli e virtuali di realtà aumentata già si affacciano le prime grandi aziende, specialmente nel settore della moda. Un esempio fra tutti è Gucci, che crea lo spazio virtuale “Vault” e diverse esperienze su Roblox. Tra queste, citiamo la versione digitale della borsa Dionysus, che è già stata venduta per circa 4.100 dollari.

primi ricorsi legali hanno luogo negli Stati Uniti e si legano agli NFT – non fungible token. Ricordiamo che si tratta di opere digitali unicheimmodificabili e la cui proprietà si certifica attraverso la blockchain. Ognuna di queste opere può potenzialmente essere venduta per cifre molto alte. Vediamo ora due casi d’esempio.

Le battaglie legali per gli NFT di Hermès e Nike

Principalmente, fa scalpore la battaglia legale tra Hermès e l’artista Mason Rotschild. Quest’ultimo viene citato in giudizio per violazione del copyright a seguito della creazione delle “Metabirkin Nft. Si tratta di una serie limitata di 100 modelli che si ispirano alla celebre borsa dell’azienda francese, che tuttavia si dice all’oscuro del progetto.

Perciò, l’artista fa appello al Primo Emendamento: ritiene che la sua creazione si possa comparare alla “Campbell’s soup cans” di Andy Warhol. Ora, la parola spetta ad un giudice di New York.

Altro caso che ruota sempre attorno agli NFT riguarda il contenzioso tra Nike e StockX. Quest’ultima è una piattaforma di rivendita dal valore di 3,8 miliardi di dollari. Al proposito, i legali di Nike sostengono che tale piattaforma vendesse oltre 500 NFT di scarpe Nike senza la loro autorizzazione. Così facendo avrebbero danneggiato il marchio di scarpe tra i più conosciuti al mondo.

L’importanza di registrare il proprio marchio nelle realtà virtuali

Nonostante il mondo NFT e il metaverso siano ancora da scoprire, molti si stanno già interessando ad occupare il proprio spazio anche in tale universo. Ad esempio, notiamo come McDonalds registrava una decina di giorni fa il proprio marchio McDelivery per aprire ristoranti virtuali. Con questi, sarà possibile prenotare i propri pasti, da degustare nel mondo reale.

Invece, per quanto riguarda il mondo della moda, molti avvocati si trovano d’accordo nel sostenere che le battaglie legali tra brand siano già molte. A tal proposito, vediamo quali sono alcuni pareri legali in merito a queste nuove realtà e concorrenze digitali. Innanzitutto, l’esperta in fashion law Daniela Ampollini afferma che:

Qualcosa si muove, sul fronte dei brand. Molti stanno cercando di ampliare o modificare la sfera di tutela del marchio e rivendicare nuove categorie o nuove diciture, come quella dei prodotti virtuali nella classe 9, quella dei software. Altri stanno approntando nuovi servizi per il monitoraggio di ciò che avviene sulle piattaforme, che per ora non sono diverse da un social ma sicuramente molto più complesse”.

A questo parere si aggiunge quello di Riccardo Traina Chiarini, associato nel medesimo studio dell’avvocatessa (Trevisan & Cuonzo):

“Un Nft è un certificato digitale di proprietà del file a esso associato, pertanto il solo fatto di creare un Nft a mio parere non costituisce, di per sé, una violazione. Né, d’altro lato, il solo fatto di creare un Nft conferisce all’immagine digitale a esso associata protezione sotto il cappello del diritto d’autore.”

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Corte Costituzionale ammette i 5 referendum della Lega e ne ferma altri 3

Tre giudizi di inammissibilità e cinque di ammissibilità: questo l’esito del secondo round alla Corte Costituzionale che si esprime sugli 8 referendum in programma. Nello specifico, si promuovono le proposte della Lega mentre si bocciano i quesiti sostenuti da radicali e associazioni. Hanno fatto maggior scalpore le bocciature a cannabis ed eutanasia legale. Ma vediamo ora nello specifico cos’è invece passato.

Bocciato referendum su responsabilità civile magistrati, cannabis ed eutanasia legale, via al dibattito

Indubbiamente, ora il dibattito politico si accenderà sulle tematiche legate all’approvazione dei quesiti del centrodestra. In particolare, tre fra i referendum ammessi sono di importanza rilevante. Ossia, i seguenti.

Innanzitutto, il raggiungimento di una separazione di fatto tra le funzioni di giudice e quelle di pubblico ministero. Si tratta di una battaglia storica del centrodestra che coinvolge in pieno il mondo dell’avvocatura. Infatti, ora sarà obbligatorio scegliere una funzione specifica dopo il superamento del concorso per l’ingresso in magistratura. E quella sarà, sempre.

Inoltre, sarebbero un evento epocale se ricevessero l’approvazione definitiva anche:

La Legge Severino

In particolare, riordiamo che la Legge Severino riguarda la decadenza per i parlamentari condannati definitivamente e per gli amministratori locali, anche in caso di condanna di primo grado. Questa specifica si annullerebbe e dunque si passerebbe alla valutazione compiuta dall’autorità giudiziaria sull’interdizione dai pubblici uffici.

La custodia cautelare

A questo proposito, la custodia cautelare resta possibile solo in questi due casi:

  • Pericolo di fuga;
  • Inquinamento delle prove.

Dunque, si cancellerebbe il pericolo di ripetizione di un altro reato della stessa specie di quello per il quale si sta procedendo. Inoltre, scatta la sanzione con pena superiore a 4 o 5 anni se la misura si eseguirà in carcere.

Inoltre, cederebbe anche la possibilità d’applicazione della misura per il reato di finanziamento illecito ai partiti.

Bocciato referendum su responsabilità civile magistrati, passano due quesiti Riforma Cartabia

Infine, ricordiamo due “minori” quesiti altrettanto ammessi alla Corte Costituzionale nella giornata di ieri. Parliamo di:

  • Voto degli avvocati nei consigli giudiziari;
  • Firme a sostegno delle candidature al Csm.

 

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Oggi, la Corte europea di Giustizia respinge il ricorso che i governi della Polonia e Ungheria presentavano. Esso riguardava il regolamento che condiziona l’esborso del denaro comunitario al rispetto dello stato di diritto. Nei mesi scorsi, anche l’avvocato generale si esprimeva contro il ricorso e ora la Commissione europea potrebbe agire contro i due paesi.

Respinto ricorso sullo Stato di diritto, l’esborso del denaro comunitario per Polonia e Ungheria

Ora, la magistratura ordinaria ricorda nella sua sentenza che:

Il regolamento mira […] a proteggere il bilancio dell’Unione europea da pregiudizi derivanti in modo sufficientemente diretto da violazioni dei principi dello stato di diritto, e non già a sanzionare, di per sé, violazioni del genere […] il rispetto da parte degli Stati membri dei valori comuni sui quali l’Unione si fonda […] giustifica la fiducia reciproca tra tali Stati

Poi, a questa testimonianza si aggiunge il commento della Corte europea di Giustizia, che afferma:

“Poiché tale rispetto costituisce una condizione per il godimento di tutti i diritti derivanti dall’applicazione dei Trattati, l’Unione deve essere in grado, nei limiti delle sue attribuzioni, di difendere tali valori”.

Quindi, i giudici comunitari chiedevano ai governi ungherese e polacco di assumersi i costi dell’iter processuale. Inoltre, ricordiamo che la sentenza non può essere oggetto di appello.

Il parere dei liberali: violazione dello stato di diritto? Si blocchino i fondi

A tal proposito, forti sono le voci dei liberali di Renew Europe, che spiegano in un comunicato che la Commissione non ha più scuse. Infatti, proseguono, deve ora applicare il Regolamento già approvato l’anno scorso che prevede di bloccare fondi di coesione nel caso di violazione dello stato di diritto. Effettivamente, Bruxelles si tratteneva finora nell’applicazione delle norme, in attesa della sentenza.

Nello specifico, qual è il danno che affligge i due governi?

  • Varsavia: una controversa riforma della giustizia;
  • Budapest: non rispetta la libertà d’espressione.

Respinto ricorso sullo stato di diritto per Polonia e Ungheria, uno sguardo su quest’ultima

A questo punto, ricordiamo che i piani sono propedeutici all’esborso del denaro proveniente dal Fondo per la Ripresa e la Resilienza. Dunque, alla Polonia spetterebbero sussidi per 23,9 miliardi di euro. Invece, all’Ungheria il denaro a fondo perduto ammonta a 7,2 miliardi di euro.

Tra l’altro, la sentenza aggrava ulteriormente la spaccatura nell’Unione europea in un contesto internazionale difficile. I giorni scorsi si caratterizzavano per essere in piena campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento. Allora, il premier Viktor Orbán faceva intuire la possibilità per l’Ungheria di uscire dall’Unione europea.

Questo fa strano se si considera che nell’ultimo Eurobarometro gli ungheresi si dimostravano tra i più europeisti. Effettivamente, il 53% degli ungheresi ritiene l’Unione “un luogo di stabilità in un mondo caotico”. La media europea è del 50%.

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Like su post razzisti, è istigazione all’odio

Mettere “mi piace” a contenuti di carattere antisemita sui social corrisponde a istigazione all’odio?

Mettere un “mi piace” a un post razzista sui social network è reato di istigazione all’odio (604 bis)? Forse non sempre, ma si sa che leggere il pensiero e la personalità di qualcuno online diventa sempre più facile. Di conseguenza, risulta semplice anche capire il soggetto dietro la tastiera, specialmente considerando tutte le attività a cui si lega. Ecco quindi il caso di specie che coinvolge la Cassazione con la sentenza n. 4534.

Like su post razzisti è istigazione all’odio se l’attività social dell’indagato è specifica

Il primo passo che l’investigazione compie nella verifica della questione è proprio il semplice “like” a post dal chiaro intento razziale. In effetti, il gradimento dimostra non solo quello che un individuo pensa, ma anche che ci tiene che più persone leggano tale post e approvino il suo messaggio. Difatti, ricordiamo che l’algoritmo di Facebook prevede una crescente diffusione del post se più e più persone vanno a interagire con esso.

Successivamente, l’indagine al caso deve proseguire e allargare sempre più gli orizzonti sino a prendere in considerazione l’attività generale del soggetto. Innanzitutto, nel caso in questione l’individuo condivideva idee fondate sulla superiorità della razza sulle piattaforme:

  • Facebook;
  • VKontacte;
  • Whatsapp.

Inoltre, gli investigatori rilevano il rilancio di tali messaggi da diversi account e su diverse altre piattaforme, e tutti riconducevano all’indagato. Per di più, verificano l’avvenire di alcuni incontri fisici con gli “adepti” di tale individuo.

Cosa ne pensa la difesa, il ricorso e la sentenza della Cassazione

Al proposito, la difesa sosteneva che:

  • contatti fisici con chi presumibilmente aderiva all’organizzazione non poteva considerarsi indice valido nel giudizio di un reato di propaganda di idee on line;
  • like sono semplici espressioni di gradimento. Ergo, non potevano dimostrare né l’appartenenza al gruppo né la condivisione degli scopi immorali e illeciti.

Inoltre, la difesa insisteva sul fatto che tali azioni non sfociavano comunque mai nell’antisemitismo né andavano oltre la libera manifestazione del pensiero.

A questo punto, la Cassazione contesta le motivazioni della difesa con la sentenza n. 4534. Infatti, la Suprema Corte fa notare anzitutto che l’adesione e condivisione riguardava proprio contenuti discriminatori e negazionisti. Ossia, dicevano che gli ebrei sono nemici indiscussi e che la Shoah è una semplice invenzione.

Infine, non giudicano scontata la diffusione di tali messaggi sui social network, dove è risaputo sia molto facile divenire virali se lo si vuole. Al proposito, nella sentenza si legge che:

“La funzionalità newsfeed, ossia il continuo aggiornamento delle notizie e delle attività sviluppate dai contatti di ogni singolo utente è, infatti, condizionata dal maggior numero di interazioni che riceve ogni singolo messaggio”.

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Cena in pieno lockdown: Tribunale annulla la multa di 800 euro al ristoratore #ioapro

Come tutti ricorderete bene il 15 gennaio 2021 eravamo in pieno lockdown: se non si poteva uscire dal proprio comune, figuriamoci permettersi una cena fuori. Eppure, quella sera si svolgeva una classica rimpatriata di una trentina di persone in un ristorante nei pressi di Pesaro.

Quindi, all’epoca la polizia assegnò una multa di 800 euro al ristorante; ma il Tribunale di Pesaro non è d’accordo.

Cena fuori ad un ristorante di Pesaro: il giudice disapplica il dpcm per #ioapro

Il ristorante in causa si chiama la Grande Bellezza, è a Mombarocchio e il suo proprietario è anche il fondatore dell’iniziativa di carattere nazionale #ioapro. Si tratta della protesta sorta contro i vari divieti del Dpcm del 3 dicembre 2020, tra i quali figurava l’obbligo che i ristoranti e attività simili chiudessero alle ore 18:00. Ciononostante, Umberto Carriera – proprietario del ristorante nei pressi di Pesaro – permise ugualmente una cena di una trentina di persone, tra cui Vittorio Sgarbi.

La serata del 15 gennaio 2021 richiamò l’attenzione di diverse persone e anche della polizia, che diede loro appunto una multa di 800 euro. Tuttavia, il ristornante si tiene fedele alle proprie convinzioni anche nei giorni a venire. Infatti, la Grande Bellezza continuò ad offrire la possibilità di cenare in un ancora maggiore segno di protesta.

Proprio oggi arriva la sentenza di annullamento dell’ingiunzione di pagamento con la disapplicazione del Dpcm del 3 dicembre 2020. È il Tribunale Civile di Pesaro ad annullarlo segnando così la vittoria di Umberto Carrera davanti al giudice Flavia Mazzini. Ora, non resta che aspettare le motivazioni esplicative, che dovrebbero arrivare tra un mese. Intanto, l’avvocato difensore di Carrera – il fiorentino Lorenzo Nannelli – commenta così: “la verità si fa strada, sta trionfando la giustizia”.

 

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Il 3 febbraio scorso il Tar Lazio conferma l’opportunità delle specializzazioni forensi pubblicando la sentenza n. 1278/2022, con la quale conferma appunto il Decreto del Ministero della Giustizia del 2020. Così, respinge il ricorso che alcuni Coa proponevano e dichiara legittimo il conseguire e mantenere il titolo di avvocato specialista. A tal proposito, il Cnf si mostra pienamente favorevole alle specializzazioni, opportunità uniche per l’avvocatura.

Tar Lazio conferma l’opportunità delle specializzazioni forensi del decreto n. 163/2020

Si tratta del decreto n. 163/2020: grazie all’intervento del Giudice amministrativo la specializzazione è parte fondamentale della professione legale. Quindi, gli avvocati possono ambire all’alta formazione e hanno la possibilità di offrire servizi specializzati. Così, le scuole di formazione ripartiranno, così come i procedimenti per il riconoscimento del titolo di avvocato specialista.

È un traguardo importante, dato che l’iter per raggiungere la normativa in dettaglio è durato circa dieci anni. In quest’arco di tempo si susseguono una serie di interventi diversi in sede giurisdizionale e amministrativa.

A questo punto, numerosi Ordini degli Avvocati presentano ricorso contro il Ministero della Giustizia e nei confronti del Cnf (non costituito in giudizio). invece, sono ben 12 le associazioni forensi che partecipano come opposizione e al sostegno del Decreto. Di seguito, ne elenchiamo alcune:

  • Unione nazionale delle Camere civili (Uncc);
  • Cammino;
  • Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia (Ondif);
  • Avvocati giuslavoristi italiani (Agi);
  • Unione delle Camere penali italiane (Ucpi);
  • Unione nazionale Camere minorili (Uncm).

Consiglio Nazionale Forense favorevole alle specializzazioni: valore aggiunto per i cittadini

Per il Cnf si tratta di un valore fondamentale e la stessa norma primaria fa parte della Legge ProfessionaleOssia, corrisponde all’art. 9 della Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense (Legge 247/2021) in vigore dal 2 febbario 2013. Inoltre, il Comitato fa notare come sia un ottimo riconoscimento fregiarsi di un titolo specialistico.

In merito, membri del Comitato evidenziano come le specializzazioni siano un valore aggiunto specialmente per il cittadino. Infatti, quest’ultimo potrà così trovare un orientamento migliore nella selezione del professionista. Sarà proprio il Cnf a farsi garante di un’accurata selezione del personale, che dovrà essere “seria e rigorosa”.

Per concludere, riportiamo una delle testimonianze favorevoli al decreto, il parere dell’Unione nazionale delle Camere civili al riguardo:

In forza della decisione del Tar Lazio, le associazioni specialistiche proseguiranno nel determinante ruolo loro riconosciuto per l’avvio delle scuole di specializzazioni forensi, mentre i singoli Consigli degli Ordini dovranno accordarsi con le associazioni per stipulare convenzioni con le facoltà di giurisprudenza”.

 

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Italia avanza di dieci posizioni nella classifica Transparency International del 2021

Nella classifica dell’anno appena passato sull’Indice di percezione della corruzione dei vari Paesi l’Italia sale di una decina di posizioni. Dunque, il ranking di Transparency International che dimostra qual è la percezione in merito di 180 Paesi posiziona l’Italia al 42esimo posto. Ne consegue che sta crescendo la fiducia internazionale nei confronti del Bel Paese, che rimane tuttavia ancora lontano dalla media dei “colleghi” dell’UE.

Ranking nella classifica mondiale sulla percezione della corruzione

Il 42esimo posto che si guadagna l’Italia corrisponde ad un punteggio di 56 per la classifica di Transparency international14 punti in totale conquista il Bel Paese nel giro di dieci anni, mentre gli altri Paesi dell’UE la distaccano con 64 punti.

A tal proposito, Transparency afferma che il progresso “è il risultato della crescente attenzione dedicata al problema della corruzione nell’ultimo decennio e fa ben sperare per la ripresa economica del Paese dopo la crisi generata dalla pandemia”. Ciononostante, evidenzia che non ci sono stati cambiamenti sconvolgenti a causa del periodo: il livello di percezione della corruzione rimane fermo.

Ecco chi sono i primi in classifica:

  • Danimarca, Nuova Zelanda, Finlandia: 88 punti;
  • Germania: 80 punti;
  • Regno Unito: 78.

Invece, in coda alla classifica si trovano Siria, Somalia, Sud Sudan.

Ora, specifichiamo che l’indice che si va ad elaborare ogni anno si basa sulla percezione del livello di corruzione nel settore pubblico. Inoltre, l’analisi si compie attraverso l’impiego di 13 strumenti di analisi e di sondaggi che si rivolgono a delle persone esperte in materia.

In particolare, secondo l’analisi un punteggio inferiore a 50 rappresenterebbe l’evidenza di importanti problemi di corruzione. E di conseguenza, il rischio è quello di un arretramento della tutela dei diritti umani, la libertà d’espressione e la crisi della democrazia.

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Evasione fiscale e denuncia anonima

È valida la denuncia anonima di uno scontrino o fattura mancati?

Indubbiamente, in materia tributaria le denunce devono apportare la firma personale. Difatti, questa accortezza serve a evitare che le denunce diventino strumento di ritorsione contro i nemici o i concorrenti. Tuttavia, la denuncia anonima di evasione fiscale potrebbe non passare inosservata in alcuni casi specifici. Vediamoli assieme.

Che valore ha la delazione all’Agenzia delle Entrate o alla Guardia di Finanza?

Cosa prevede la legge nei casi di delazione? Nello specifico, ci si chiede se è possibile denunciare alla Finanza uno di questi casi specifici:

  • Negoziante che non emette lo scontrino;
  • Medico o avvocato che non rilascia la fattura al cliente;
  • Rivale commerciale che non dichiara i propri incassi (perciò, falsando la concorrenza).

Ora, specifichiamo che la delazione corrisponde a una denuncia segreta con finalità di un tornaconto personale. Dunque, si invita il giudice o un’autorità pubblica alla conoscenza di un illecito in maniera anonima.

Oggigiorno, in Italia questo genere di denuncia non ha alcun valore. Di conseguenza, né l’Agenzia delle Entrate né la Guardia di Finanza hanno l’obbligo di prendere in considerazione le lettere che non apportano la firma. Effettivamente, a volte è solo conoscendo il nome del denunciante che il denunciato può difendersi in maniera appropriata.

In altri termini, la delazione non costituisce una prova d’evasione. Altrimenti, chiunque potrebbe essere soggetto a sanzioni, magari gravi, a causa di chi agisce nell’anonimato. Quest’ultimo, di certo non si farebbe scrupoli a denunciare il primo che capita, dato che la sua identità resterebbe avvolta nel mistero.

Cassazione in merito alla validità della denuncia anonima di evasione fiscale

In merito, la Corte di Cassazione afferma che con la delazione non si può risalire ad accertamenti fiscali o recuperi d’imposta. Però, tali controlli sono necessari al fine di riscontrare ulteriori indizi, oltre alle semplici testimonianze di uno sconosciuto.

Tuttavia, la denuncia anonima non sempre è inutile. In effetti, qualora ad essa si aggiungono prove circostanziali o documentazione oggettiva che la supporti, può definirsi fonte d’innesco dei controlli. Ossia, essa potrebbe avviare le verifiche ulteriori per mano dell’ufficio.

Indirettamente, anche la stessa legge tributaria riconosce un ruolo alla delazione. Infatti, i casi in questione riguardano gli evasori totali (ovvero, quelli che non presentano la dichiarazione dei redditi). Dunque, per legge gli uffici delle imposte possono recuperare le imposte sulla base di dati e notizie che raccolgono. Quindi, hanno la facoltà di avvalersi anche di indizi che non siano “gravi, precisi e concordanti”.

 

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L’11 novembre scorso il Garante Privacy acconsente gli aggiornamenti alle regole tecniche del processo tributario telematico. Queste nuove direttive modificano uno dei provvedimenti essenziali dell’informatizzazione del processo alle Commissioni Tributarie. Ovvero, s’intende il Decreto Direttoriale del 4 agosto 2015. Vediamo assieme cosa comporta questo passo avanti.

I cambiamenti necessari del processo tributario telematico dal via del Garante

Nonostante l’innovazione riconoscibile del decreto del 2015, esso risultava altrettanto migliorabile, Così, a distanza di sei anni le voci critiche si concentrano in particolare sulle scelte dei formati ammissibili in deposito. In effetti, risulta che il Ministero dell’Economia e delle Finanze consentisse sostanzialmente solo i formati PDF/A e TIFF.

Quindi, il MEF proponeva agli operatori una soluzione. Ovvero, introdurre un elenco di formati “gestiti” dal portale. Ciò significa che il loro deposito generava un errore “di formato” ma ne consentiva comunque l’acquisizione. Quindi, bene il via libera successivo alla produzione dei formati EML per la prova delle notifiche.

Fortunatamente, l’art. 16 bis del D.lgs. n. 546/92 non contiene sanzioni di inammissibilità del ricorso nel caso non si rispetti la regolamentazione tecnica.

Le regole della firma PAdES

Inizialmente, la sola firma ammessa era la CAdES. Successivamente, la sentenza della Suprema Corte a Sezioni Unite n. 10266 del 27 aprile 2018 sancisce l’equivalenza tra le firme CAdES e PAdES. Per questa ragione, dal luglio 2019 il sistema del Processo Tributario Telematico recepisce anche le firme in formato PAdES.

Tuttavia, un’ulteriore lamentela mossa dai professionisti rimane tutt’oggi com’era. Ossia, il requisito che ogni documento che si deposita nel processo tributario telematico deve avere la propria firma digitale.

Garante Privacy interviene sul processo tributario telematico e chiede chiarimenti sui ruoli

In seguito, il Garante per la Privacy interviene in soccorso con alcune nuove misure che qui elenchiamo:

  • Modifica le Regole Tecniche per conciliare lo stato di diritto allo stato di fatto. Dunque, ammette le firme PAdES;
  • Estende l’ammissibilità dei formati nel PTT. Quindi, include anche l’EML: ciò significa che chiunque decida di usarlo non incorrerà più in errori di forma;
  • Ammette il deposito di documenti da allegare, anche senza la firma digitale.

Inoltre, l’aggiornamento delle Regole Tecniche prevede l’introduzione di un meccanismo di controllo automatico. In riferimento alla dimensione dei documenti informatici all’atto del loro deposito da parte del ricorrente e del resistente. Così come la modifica di alcuni controlli che già si prevedevano.

Poi, il Garante muove alcune richieste al Ministero. Innanzitutto, chiede che si integri lo schema di decreto per assicurare maggiori tutele alla riservatezza dei dati. Così, si adegua la normativa europea e italiana in materia di privacy.

Dunque, il Garante Privacy chiede che si definiscano accuratamente le responsabilità dei soggetti a cui spetta il trattamento dei dati. Quindi:

  • Ministero;
  • Commissioni tributarie provinciali e regionali;
  • Commissioni tributarie di I e II grado di Trento e Bolzano.

In particolare, si aspetta che si chiarisca il ruolo di ognuno nelle varie fasi del trattamento. Ovvero:

  • Gestione del fascicolo informatico;
  • Trattazione dei procedimenti;
  • Deposito di atti informatici; cartacei eccezionalmente.

Infine, il Garante chiede che si esplicitino gli obblighi informativi in caso di violazione dei dati (data breach).

Quali sono le misure di sicurezza da adottare nel nuovo PTT? Risponde il Garante Privacy

Periodicamente, il decreto in considerazione dovrà aggiornare le misure tecniche e organizzative. Il fine è di garantire un livello di sicurezza adeguatamente ai rischi dei trattamenti.

Nello specifico, le raccomandazioni del Garante sono le seguenti:

  • Raccomandazioni in merito allo standard Transport Layer Security (TLS)” che AgID adotta con determinazione n. 471 del 5 novembre 2020;
  • Utilizzare algoritmi crittografici per le operazioni di crittografia asimmetrica delle “chiavi di sessione”;
  • Rivedere le procedure di autenticazione che si usano per l’accesso al SIGIT, uniformando le stesse. Dunque, dove possibile si deve assicurare un livello di garanzia elevato come da Regolamento di esecuzione (UE) 2015/1502 della Commissione dell’8 settembre 2015;
  • Conservare documentazione della registrazione di utenti e log relativi all’attività sulla piattaforma;
  • Prevedere alert per la rilevazione di comportamenti anomali. Oppure, a rischio in relazione alle operazioni di trattamento che gli utenti eseguono;
  • Prevedere l’esecuzione di attività di controllo interno (audit), con cadenza almeno annuale.

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