L’Avvocatura dice no alle sentenze da remoto

Decreto Milleproroghe estende la possibilità delle sentenze da remoto, ma gli avvocati dicono no

Il decreto Milleproroghe estende oltre la fine dello stato d’emergenza (31 marzo) il ricorso alle camere di consiglio da remoto nel processo penale. Dunque, le sentenze da remoto si potranno adottare per l’intero anno 2022. Tuttavia, a penalisti e Cnf non piace questa scelta. Vediamo assieme il perché.

Camere di consiglio e sentenze da remoto? Ucpi e avvocatura dicono no

Principalmente, l’Unione Camere penali lancia l’allarme rispetto all’estensione fino al 31 dicembre 2022 di tenere le camere di consiglio da remoto. L’appello dei penalisti alle forze parlamentari giustifica che “sia posto rimedio all’ennesima violazione delle regole del processo accusatorio”.

Con una nota dell’Ucpi si legge che:

“Con il decreto legge n. 221 del 24 dicembre, per quanto attiene alla materia penale, si è intervenuti solo prorogando le discipline emergenziali che riguardano licenze, permessi premio e detenzione domiciliare. Evidentemente il ministero ci ha ripensato. Ed ecco che, con l’articolo 16 del decreto Milleproroghe non solo tutte le norme di emergenza della legislazione civile, penale, amministrativa, contabile, tributaria e militare sono state prorogate ma la solita “manina”, neppure tanto nascosta, questa volta ha disvelato il vero intendimento che è quello di assecondare i desiderata di una parte di Anm”.

Dunque, arriviamo a leggere il problema della norma, sempre seguendo quanto dice il comunicato dell’Ucpi:

“[la norma ha il significato di] rendere stabile la disciplina che tra l’altro consente ai giudici di decidere da remoto, prescindendo dal rischio pandemico, perpetuando una disciplina dalla quale la riforma Cartabia ha inteso allontanarsi e peraltro prevedendo un periodo transitorio per la messa a regime del processo telematico”.

Perché gli Ermellini non vogliono la possibilità delle sentenze da remoto: è contro i principi del giusto processo

Quindi, gli avvocati penalisti denunciano un evidente attacco alle garanzie e prerogative difensive. E, lo fanno strumentalizzando il problema della pandemia per individuare un termine di proroga privo di qualsiasi collegamento con l’emergenza sanitaria. Allora, l’appello va alle forze parlamentari che hanno a cuore i principi del giusto processo.

Quantomeno, si auspica che si ritorni a limitare il ricorso alle norme emergenziali del processo al generale termine del 31 marzo 2022 previsto per l’emergenza nazionale.

Ora, il provvedimento si convertirà entro il 28 febbraio. Tuttavia, la norma sembra produrre già i suoi effetti, anche se la disciplina non si applica alle udienze fissate per gennaio.

Tra le principali domande che aleggiano nella mente dell’avvocatura ci sono:

  • Quali atti si possono consultare e condividere in una camera di consiglio composta da tre giudici fisicamente lontani tra loro?
  • Quali fascicoli sono a disposizione dei singoli magistrati?

Evidentemente, questa organizzazione della collegialità si riduce a un simulacro. Peraltro, non aggiunge alcuna efficienza al processo.

Come nel passato si vuole evitare il provvedimento dei collegamenti da remoto

Antecedentemente, con i decreti Ristori e Ristori bis del 2020 si prevedeva che nei procedimenti civili e penali le deliberazioni collegiali in Camera di Consiglio si assumessero mediante collegamenti da remoto. La misura fu stigmatizzata da subito dall’Ucpi e la norma fu totalmente disapplicata in diverse Corti d’Appello, come quelle di RomaCataniaMilanoMessina. Queste ultime assumevano posizioni comuni con le Camere penali territoriali rifiutando la possibilità della camera di consiglio da remoto.

Per concludere, riportiamo le parole del presidente dei penalisti capitolini Vincenzo Comi che conferma quanto detto:

“A Roma la camera di consiglio da remoto non è mai partita. Proprio la fermezza delle nostre convinzioni ha consentito alla Camera penale di Roma di ottenere nel 2020, sotto la presidenza di Cesare Placanica, un protocollo con la Corte d’Appello.”

Con tale protocollo si escludeva ogni ipotesi di camera di consiglio da remoto nei processi di secondo grado. Quel protocollo generava poi la disapplicazione della norma a livello nazionale. Dunque, la camera di consiglio da remoto rappresenta una scelta inutile e grave, dalle conseguenze dannose per il processo penale.

“Per un magistrato consapevole è un diminutivo della efficienza del processo. Non è un problema di assolvere o condannare, ma di dare il peso giusto al processo”.

 

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