Riforma Giustizia Civile

Cartabia firma il decreto di delega al governo per la Riforma della Giustizia Civile

La Ministra della Giustizia Marta Cartabia firma il decreto costituzionale dei Gruppi di lavoro per l’attuazione degli schemi del decreto legislativo Legge 26 novembre 2021, n. 206Ovvero, la delega al Governo per l’efficienza del processo civile e la disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie. Si tratta di una delle riforme indicate tra gli obiettivi del PNRR.

Gruppi di lavoro per delega al governo sulla Riforma della Giustizia Civile

I gruppi di lavoro per l’elaborazione degli schemi del decreto legislativo sono 7 e lavoreranno in autonomia. Complessivamente, si coinvolgono ben 73 professionisti da impiegare nei diversi settori che la riforma prevede. Tra cui:

  • Professori universitari;
  • Magistrati;
  • Avvocati;
  • Tecnici dell’Ufficio Legislativo.

Come sono strutturati i vari gruppi di lavoro e quali sono i loro compiti all’interno del decreto

Ognuno di loro avrà il compito d tradurre i criteri di delega, che il Parlamento ha già approvato. Vediamo di seguito come si impiegano i vari gruppi di lavoro:

  1. Opera in materia di procedure di mediazionenegoziazione assistita e arbitrato;
  2. Si occupa dei principi generali in relazione al processo civiledigitalizzazione dello stesso e di ufficio per il processo;
  3. Elaborerà degli schemi di d.lgs. per il procedimento di primo grado (art. 1, commi 5, 6, 7, 10, 16, 17, 21 e 22);
  4. Si occuperà di giudizio d’appello e giudizio di Cassazione (art. 1, commi 8 e 9);
  5. Si impegnerà in materia di processo del lavoro, processo di esecuzione e di procedimenti in camera di consiglio (art. 1, commi 11, 12, 13 e 14);
  6. Produrrà schemi di decreto legislativo in materia di procedimento relativo a personeminorenni e famiglie (art. 1, commi 23 e 26);
  7. Elaborerà schemi di decreto legislativo sulla riforma ordinamentale ed istituzione del tribunale per le persone, per i minorenni e le famiglie (art. 1, commi 24 e 25).

In aggiunta, ai vari gruppi di lavoro parteciperanno con voto deliberativo anche il Capo di Gabinetto Raffaele Piccirillo e il Capo dell’Ufficio LegislativoFranca Mangano. Infine, Il coordinamento tra i gruppi di lavoro è affidato ai Vice Capo:

  • dell’Ufficio LegislativoFilippo Danovi;
  • di GabinettoGuido Romano.

A tal fine, gli stessi possono indire riunioni congiunte dei gruppi di lavoro.

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Se la PEC finisce in spam?

Cassazione su caso che coinvolge una PEC finita in Spam: la notifica è valida?

La Corte di Cassazione interviene su un caso che coinvolge l’invio di un decreto ingiuntivo tramite PEC che però finisce in Spam. Perciò, il destinatario fa notare la scarsa quantità di tempo a sua disposizione per la conoscenza della stessa. Difatti, l’impiegata non l’aprì per timore di danni al sistema, già avvenuti in precedenza. Vediamo il caso completo.

La Suprema Corte da parere professionale nei confronti del caso della PEC in Spam

A seguito del fatto sopracitato si decide di ricorrere in Cassazione. Dunque, quest’ultima risponde con l’ordinanza n. 17968/2021 in cui afferma che:

“I programmi di posta elettronica non sono in grado di individuare, con esattezza, i messaggi da qualificarsi come spam. Pertanto, rientra nella diligenza ordinaria dell’addetto alla ricezione della posta elettronica il controllo anche della cartella della posta indesiderata.”

Difatti, porta all’attenzione che in tale cartella si possono inserire automaticamente messaggi che provengono da mittenti sicuri e attendibili. Perciò, non conterrebbe alcun allegato pregiudizievole per il destinatario.

Poi, conclude:

“Le suddette cautele di attenzione sono note a chi opera professionalmente quale recettore dei messaggi di posta elettronica, strumento di notificazione telematica che ormai appartiene al know how di ogni operatore commerciale — e per lui, dei suoi ausiliari — stante la sua diffusione e il suo valore di comunicazione idonea a produrre effetti giuridici.”

Misure cautelative nel caso di un decreto ingiuntivo in PEC finito in Spam

Ora, ricordiamo che la giurisprudenza di legittimità si pronunciava già sull’argomento. Al riguardo, suggeriva che il titolare di un account di PEC ha il dovere di controllare con prudenza tutta la posta in casella d’arrivo. Perciò compresa quella che il programma gestionale considera come “indesiderata”.

A questo punto, prendiamo in considerazione la Cass. civ. n. 3965/2020 con l’art. 20 del D.M. 21/02/2011 n. 44. Qui, si disciplinano i requisiti della casella PEC del “soggetto abilitato esterno”. E, si impongono a costui una serie di obblighi col fine di garantire il funzionamento della casella di posta certificata così come della ricezione dei messaggi.

In particolare, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. 3 R.G. 25467/2018 m) del D.M. N. 44 del 2011 il “soggetto abilitato esterno” ha i seguenti doveri:

  • Deve dotare il pc con un software idoneo alla verifica di presenza o assenza di virus per i messaggi elettronici. Allo stesso modo, è necessario l’uso di software antispam idonei a prevenire a trasmissione di messaggi di posta elettronica indesiderati;
  • Conservare le ricevute della consegna dei messaggi che si trasmettono al dominio giustizia;
  • Deve munirsi di una casella di PEC con uno spazio disco minimo così come lo definisce l’art. 34 comma 4;
  • Dotarsi di un servizio automatico di avviso dell’imminente saturazione della propria casella di posta. Inoltre, dovrà verificare la disponibilità dello spazio disco ancora a disposizione.

Notifica valida? le conclusioni della Corte in merito alla PEC che finisce in Spam

Pertanto, nel caso di specie si ritiene verosimile che si potesse isolare la PEC che dava sospetto. Poi, sarebbe dovuta stare “in quarantena”. Ovvero, eseguire la scansione manuale del file, tramite l’azione del “software idoneo a verificare l’assenza di virus informatici per ogni messaggio”.

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Decreto Milleproroghe ed esami avvocatura

Cassazionisti e avvocati in esame, il decreto Milleproroghe non prevede le vecchie regole

Il decreto Milleproroghe, in G.U. dal 30 dicembre scorso, contiene disposizioni urgenti in materia di termini legislativi. Tuttavia, tra i suoi 25 articoli nulla si dice rispetto a due proroghe che esistono da tempo. Dunque, il testo non prevede la proroga delle vecchie regole per iscriversi all’albo dei cassazionisti e per l’esame di abilitazione forense.

Albo dei Cassazionisti e abilitazione forense: non esiste la proroga per gli esami dell’avvocatura?

Dunque, Il testo del provvedimento per la prima volta in dieci anni non contiene le due proroghe sopra accennate. La prima, riguarda la possibilità di iscriversi all’albo dei cassazionisti senza la frequenza del corso e l’obbligo dell’esame. Invece, la seconda riguarda il rinvio dell’entrata in vigore delle nuove regole per l’esame di abilitazione forense, ex legge n. 247/2012.

Esami avvocatura: iscrizione all’albo delle giurisdizioni superiori

Effettivamente, il decreto Milleproroghe proroga di un altro anno i requisiti per l’iscrizione degli avvocati agli albi delle giurisdizioni superiori. Nello specifico, questi si prevedono nella vecchia legge RDL 27 novembre 1933, n. 1578 e R.D 22 gennaio 1934, n. 37.

Infatti, vediamo la proroga del comma 4 dell’art. 22 della legge n. 247/2012, modificato dal comma 5 bis art. 8 del Milleproroghe 2021. Qui, si rinvia di un anno la vecchia regola e si stabilisce che:

“Possono altresì chiedere l’iscrizione coloro che maturino i requisiti secondo la previgente normativa entro nove anni (invece degli 8 precedenti) dalla data di entrata in vigore della presente legge.”

Facciamo un passo indietro, a quando la legge professionale n. 247/2012 entrava in vigore il 2 febbraio 2013. Allora, si prevedeva una proroga di tre anni per consentire una graduale entrata in vigore della novità legislativa su corsi ed esami per l’iscrizione alle giurisdizioni superiori. Invece, dal 2015 e lungo il corso del tempo tale termine si allarga sempre più, sino a giungere col Milleproroghe da tre a nove anni.

Dove sono le proroghe del nuovo esame avvocatura del 2022?

Ora, passiamo alla seconda norma di cui non si fa proroga. Questa riguarda l’esame di abilitazione forense ordinario così come lo riforma la Legge n. 247/2012. E, prevede lo svolgersi delle prove scritte d’esame senza codici commentati. Data l’inattuabilità della prova con tali modalità d’esecuzione, la norma si deroga sempre attraverso il Milleproroghe.

Difatti, l’anno scorso si rinviava l’entrata in vigore della riforma per il 2021 grazie al Milleproroghe. Tuttavia, al momento per quest’anno non si prevede invece alcuna proroga.

Perciò, i giovani avvocati chiedono al legislatore una proroga del regime transitorio ritenendo quanto segue:

“ritenendo tale questione di assoluta importanza per la crescita professionale di numerosissimi giovani avvocati la cui legittima aspettativa di conseguire l’abilitazione al patrocinio innanzi alle Magistrature Superiori mediante il regime previgente – che prevedeva il requisito dei “dodici anni di anzianità” – è stata, di fatto, spazzata via da un norma che entrando in vigore in maniera indiscriminata a far data dal 2 febbraio 2013, si è posta – di fatto – come norma retroattiva, andando a disciplinare anche la situazione di soggetti iscritti all’Albo in costanza di una legge diversa, sicuramente più favorevole”

 

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Le fake news mettono a rischio i diritti fondamentali dell’uomo

È a rischio la corretta informazione a causa delle fake news di internet

Il rapporto annuale del 2021 sull’applicazione della carta dei diritti fondamentali europei evidenzia la criticità dello stato di disinformazione attuale. Dunque, qui si dedica uno spazio centrale all’analisi di una delle cinque policy per “affrontare le sfide della moderazione dei contenuti online”. Sono a rischio salutesicurezza e ambiente.

Disinformazione online mette a rischio i diritti fondamentali dell’uomo in Europa

Dagli studi e statistiche effettuati, emerge che la disinformazione è capillare nei Paesi europei. Il rischio è che le persone man mano perdano la propria capacità di giudizio e non riescano più a prendere decisioni su fatti corretti. Dunque, questo tema è centrale per la Commissione Europea.

In aggiunta, il tema della disinformazione è in testa anche nell’ambito delle iniziative che vogliono preservare l’ecosistema informativo. In particolare, il problema riguarda coloro che usano i social media come principale fonte d’informazione. A tal proposito, i rischi riguardano lo stesso dialogo democratico.

Come cerca di arginare il problema della disinformazione online la Commissione Europea

Dunque, nei due anni scorsi la Commissione Europea agisce per sviluppare azioni per rendere l’ambiente online più trasparente. Allo stesso modo, cerca di rendere anche chi ne usufruisce più responsabile. Così facendo, promuove anche un dibattito democratico aperto online.

A tal proposito, ecco le tre principali azioni che il rapporto 2021 sottolinea:

  1. Un progetto che unisce operatori dei mediafact-checkers e ricercatori. L’obiettivo è creare un punto di riferimento per l’analisi e il contrasto alla disinformazione attraverso l’Osservatorio europeo dei media digitali (EDMO, in italiano IDMO);
  2. Le misure per migliorare l’alfabetizzazione mediatica e digitale. Qui, si agisce sullo sviluppo delle competenze digitali di base (Digital Compass);
  3. La definizione e il monitoraggio di un codice di condotta sulla disinformazione. Sulla base dell’esito di queste attività di monitoraggio, la Commissione pubblica delle Linee Guida da destinare ai firmatari attuali e nuovi del codice di condotta. Ovvero, le app di messaggistica privata; il settore pubblicitario e le altre parti interessate. Qui, si propone che esse rafforzino l’applicazione del codice per garantire un quadro di monitoraggio più robusto.

Le principali fake news rilevate dall’Osservatorio europeo dei media digitali

Il 21 dicembre l’Osservatorio Europeo pubblica il primo report sulla disinformazione dell’Italian Digital Media Observatory (IDMO). Per redigere tale report si prende in esame la disinformazione che circolava nel Bel Paese durante il mese di novembre. Essa si elabora a partire da un questionario diffuso alle iniziative che si occupano di fact-checking.

Di seguito i principali elementi che si evidenziano nel rapporto:

  • 60% della disinformazione riguardava il Covid-19 in ogni suo aspetto;
  • A seguire, si diffondevano molte notizie false su Politica italiana e l’ambiente (In particolare, sul cambiamento climatico);
  • Aumento dei casi in Gibilterra;
  • Lo stato di emergenza;
  • In Europa, tra le fake news più diffuse figura il suicidio del dottor Thomas Jendges, amministratore delegato della Chemnitz Clinic. Egli fu falsamente collegato al (mal)funzionamento dei vaccini.

Competenze digitali necessarie per combattere la disinformazione online contro i diritti fondamentali

Dunque, come risolvere il problema? Innanzitutto, è bene operare un intervento continuo di monitoraggio e adattamento della regolamentazione. Solo così si raggiungerà un migliore bilanciamento della libertà di espressione e della sicurezza in rete. Poi, rimane centrale l’importanza di una sempre maggiore crescita della maturità e della consapevolezza digitale dei cittadini.

Indubbiamente, le fake news sono pericolose per la democrazia perché danneggiano la partecipazione dei soggetti alla vita pubblica. Questi, non sempre risultano adeguatamente competenti a livello digitale e finiscono per informarsi superficialmente sulle novità della vita. Così, potrebbero cadere nelle bufale, senza approfondire e verificare la veridicità delle fonti e, anche, diffondendole in un circolo senza fine.

Di conseguenza, nel rapporto 2021 di cui parlavamo all’inizio, si da centralità all’alfabetizzazione digitale e mediatica. Inoltre, Digital Compass ha l’obiettivo di rendere almeno l’80% di cittadini con competenze digitali ameno di base entro il 2030. Per quanto riguarda l’Italia, l’obiettivo è in azione nell’ambito del programma Repubblica Digitale.

 

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CNF e ONF chiedono chiarimenti sulla Certificazione Verde per l’Avvocatura

Parere avvocati negativo nei confronti dell’obbligatorietà del Green Pass nei palazzi di giustizia

In tutta Italia si registrano opinioni negative rispetto all’esibizione obbligatoria del Green Pass base nei palazzi di giustizia. Dunque, il 13 gennaio 2022 il Ministero della Giustizia pubblica una comunicazione ufficiale in merito. In essa fa notare che il Green Pass è ufficialmente già in vigore per tutti gli avvocati.

Ministero della Giustizia risponde all’avvocatura insorta contro il Green Pass base obbligatorio

La comunicazione riguardo l’utilizzo del Green Pass base per l’avvocatura è firmata dal Capo del dipartimento dell’organizzazione giudiziaria, Barbara Fabbrini. Inoltre, questa la invia a:

  • Tutti i presidenti di Tribunale e di Corte d’Appello;
  • Procuratori;
  • Tribunali di sorveglianza dei minori;
  • Corte di Cassazione.

Qui, si legge:

“Con particolare riferimento alle specifiche categorie soggettive introdotte dall’articolo 3 comma 1 lett. b) del decreto-legge, n. 1/2022 (“i difensori, i consulenti e i periti e altri ausiliari del magistrato estranei all’amministrazione della giustizia”) la disposizione appare assumere un’accezione spiccatamente processualistica della professione legale che, in realtà può anche totalmente esulare dall’espletamento in senso stretto di un mandato difensivo (basti pensare agli accessi ai locali e ai servizi dei vari Consigli dell’ordine locale)”.

Di conseguenza, il provvedimento ha applicazione ampia e si riferisce ad avvocati e liberi professionisti. Questo nel momento in cui tali soggetti abbiano bisogno di accedere agli uffici giudiziari per qualsiasi necessità della loro professione. Dunque, il controllo del Green Pass sarà limitato alla verifica della qualifica professionale.

CNF e ONF chiedono chiarimenti a Cartabia sull’obbligatorietà della Certificazione Verde per l’avvocatura

A questo punto, Consiglio Nazionale Forense (CNF) e Organismo Nazionale Forense (ONF) richiedono chiarimenti con una nota congiunta. Nello specifico, i dubbi riguardano il d.l. n.1/2022, che prevede di esibire le certificazioni verdi Covid-19 per entrare in Tribunale.

Entrambi gli organi sentono che serve una nota interpretativa dalla Ministra Cartabia, per l’individuazione della data di entrata in vigore di tale obbligatorietà. Nello specifico, si individua la data per i difensori come il 1° febbraio 2022 o “la data di efficacia del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, se diversa”.

In merito, si fa sentire l’Ordine degli Avvocati di Napoli, che chiede che il Governo elimini la norma. In effetti, si ritiene incostituzionale escludere il legittimo impedimento del difensore privo del Green Pass. A concordare è l’Ordine degli avvocati di Milano, il cui presidente Vinicio Nardo afferma che:

“La figura dell’avvocato fa parte della giurisdizione assieme agli inquirenti e ai giudicanti ma è diversa da quella del magistrato che si uniforma allo Stato. Se non c’è un pubblico ministero lo sostituisce un altro, quello che conta è l’ufficio della Procura, mentre quella del difensore è una scelta strettamente personale del cliente. Il rapporto tra un cittadino e il suo avvocato vince su qualsiasi cosa, è un presupposto fondamentale del diritto di difesa. È una diade indissolubile.”

Associazione Liberi Avvocati propone l’autocertificazione al posto del Green Pass obbligatorio

Ora, una soluzione giunge dall’Associazione Liberi Avvocati (Ali) che propone di sostituire il Green Pass con l’autocertificazione. Dunque, l’associazione invia una lettera di diffida al Tribunale di Roma, con la firma di 40 avvocati. Con essa, si richiama il DPR n.445 del 28 dicembre 2000 e in particolare l’art. 47 comma 3. Qui, si legge che:

“Fatte salve le eccezioni espressamente previste per legge, nei rapporti con la pubblica amministrazione e con i concessionari di pubblici servizi, tutti gli stati, le qualità personali e i fatti non espressamente indicati nell’articolo 46 sono comprovati dall’interessato mediante la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà.”

Chiaramente, si tratta di una norma che si applica anche all’uso dell’autocertificazione. Inoltre, si noti che nello stesso decreto all’art. 74 si stabilisce che:

“costituisce violazione dei doveri d’ufficio la mancata accettazione delle dichiarazioni sostitutive di certificazione o di atto di notorietà rese a norma delle disposizioni del presente testo unico”.

 

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È valida la denuncia anonima di uno scontrino o fattura mancati?

Indubbiamente, in materia tributaria le denunce devono apportare la firma personale. Difatti, questa accortezza serve a evitare che le denunce diventino strumento di ritorsione contro i nemici o i concorrenti. Tuttavia, la denuncia anonima di evasione fiscale potrebbe non passare inosservata in alcuni casi specifici. Vediamoli assieme.

Che valore ha la delazione all’Agenzia delle Entrate o alla Guardia di Finanza?

Cosa prevede la legge nei casi di delazione? Nello specifico, ci si chiede se è possibile denunciare alla Finanza uno di questi casi specifici:

  • Negoziante che non emette lo scontrino;
  • Medico o avvocato che non rilascia la fattura al cliente;
  • Rivale commerciale che non dichiara i propri incassi (perciò, falsando la concorrenza).

Ora, specifichiamo che la delazione corrisponde a una denuncia segreta con finalità di un tornaconto personale. Dunque, si invita il giudice o un’autorità pubblica alla conoscenza di un illecito in maniera anonima.

Oggigiorno, in Italia questo genere di denuncia non ha alcun valore. Di conseguenza, né l’Agenzia delle Entrate né la Guardia di Finanza hanno l’obbligo di prendere in considerazione le lettere che non apportano la firma. Effettivamente, a volte è solo conoscendo il nome del denunciante che il denunciato può difendersi in maniera appropriata.

In altri termini, la delazione non costituisce una prova d’evasione. Altrimenti, chiunque potrebbe essere soggetto a sanzioni, magari gravi, a causa di chi agisce nell’anonimato. Quest’ultimo, di certo non si farebbe scrupoli a denunciare il primo che capita, dato che la sua identità resterebbe avvolta nel mistero.

Cassazione in merito alla validità della denuncia anonima di evasione fiscale

In merito, la Corte di Cassazione afferma che con la delazione non si può risalire ad accertamenti fiscali o recuperi d’imposta. Però, tali controlli sono necessari al fine di riscontrare ulteriori indizi, oltre alle semplici testimonianze di uno sconosciuto.

Tuttavia, la denuncia anonima non sempre è inutile. In effetti, qualora ad essa si aggiungono prove circostanziali o documentazione oggettiva che la supporti, può definirsi fonte d’innesco dei controlli. Ossia, essa potrebbe avviare le verifiche ulteriori per mano dell’ufficio.

Indirettamente, anche la stessa legge tributaria riconosce un ruolo alla delazione. Infatti, i casi in questione riguardano gli evasori totali (ovvero, quelli che non presentano la dichiarazione dei redditi). Dunque, per legge gli uffici delle imposte possono recuperare le imposte sulla base di dati e notizie che raccolgono. Quindi, hanno la facoltà di avvalersi anche di indizi che non siano “gravi, precisi e concordanti”.

 

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La Corte Costituzionale si pronuncerà su 8 referendum

Giustizia, eutanasia e cannabis legale: la Corte Costituzionale giudicherà 8 Referendum

Il prossimo 15 febbraio la Corte Costituzionale giudicherà come ammissibili o meno 8 Referendum sulle tematiche di giustiziaeutanasia e cannabis legale. Nello specifico, sei di questi riguardano la giustizia e nascono dal volere di partiti del centrodestra assieme a Lega e Radicali. Ora, vediamo quali sono le richieste specifiche nel merito di ognuno di questi temi.

Referendum sulla giustizia e altri temi discussi, presto il giudizio della Corte Costituzionale

Cominciamo col parlare dei referendum che riguardano la giustizia. In particolare, essi si riferiscono a:

  1. Responsabilità civile dei magistrati e separazione delle carriere;
  2. Interventi sulla custodia cautelare;
  3. Carcere preventivo;
  4. Abolizione della Legge Severino. In particolare, per quanto concerne la sanzione accessoria dell’incandidabilità. Ovvero, il divieto di ricoprire cariche elettive e di governo dopo una condanna definitiva. In merito, la motivazione che i partiti ne danno è quella di superare gli automatismi della legge. Inoltre, vogliono lasciare ai giudici la libertà di decidere caso per caso se applicare o no l’interdizione dai pubblici uffici;
  5. Requisito della raccolta firme per il magistrato che vuole candidarsi al Consiglio superiore della magistratura (organo di autogoverno);
  6. Valutazione dei magistrati. Oggi, solamente i legali possono valutare il loro operato: dunque, i partiti chiedono che anche membri senza toga possano avere diritto di voto sulle loro valutazioni.

Invece, per quanto riguarda il tema dell’eutanasia, si propone l’abrogazione di una parte dell’art. 579 del Codice Penale. Questo punisce l’omicidio di una persona consenziente, mentre la sua abrogazione darebbe la possibilità al medico di somministrare il farmaco necessario a morire, al momento illegale in Italia.

Infine, il 12 gennaio la Corte Costituzionale considera ammissibili le firme per il referendum sulla cannabis. Così, interviene sul Testo Unico in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope. Dunque, propone di depenalizzare la coltivazione e di eliminare il carcere per qualsiasi condotta illecita relativa alla cannabis.

Infine, sul piano amministrativo il quesito propone di eliminare la sanzione della sospensione della patente di guida e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori. Oggi, questa si prevede per tutte le condotte finalizzate all’uso personale di qualsiasi sostanza stupefacente psicotropa.

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Addio alla plastica monouso

In vigore da oggi decreto legislativo contro l’abuso della plastica monouso

A partire da oggi, venerdì 14 gennaio 2022non sarà più possibile utilizzare la plastica monouso, non compostabile e biodegradabile. Difatti, è ora in vigore il decreto legislativo 196 in Gazzetta Ufficiale dal 30 novembre scorso. Così, l’Italia recepisce la direttiva UE Single Use Plastic (Sup) del 2019, per ridurre l’impatto di tali prodotti sull’ambiente.

Da oggi lo stop italiano alla plastica monouso in rispetto della direttiva UE “Sup”

Indubbiamente, il fine della direttiva Single Use Plastic è quello di evitare il più possibile l’inquinamento ambientale. Dunque, ridurre l’impatto della plastica sulla Terra significa preservare anzitutto mari e oceani. Effettivamente, si stima che la plastica che galleggia negli oceani sia pari a 5-13 milioni di tonnellate, una quantità inimmaginabile.

Inoltre, la metà di tale stima è proprio la plastica usa e getta. Dunque, per risolvere questo problema si decide di mettere al bando alcune categorie di plastica. Ovvero, quella non biodegradabile e non compostabile.

Qualche esempio di prodotti che non potremo più utilizzare?

  • I tradizionali piatti e bicchieri di plastica;
  • Bastoncini per le orecchie;
  • Le cannucce;
  • Aste per sostegno dei palloncini;
  • Contenitori e bicchieri per alimenti e bevande in polistirene.

In aggiunta, è al bando anche la plastica oxo-degradabile. Ossia, le plastiche che contengono quegli additivi che attraverso l’ossidazione fanno fermentare la materia plastica in micro frammenti.

Le motivazioni dietro il decreto legge in vigore da oggi: addio plastica usa e getta!

A questo punto, le motivazioni dell’emanazione del decreto legge si possono ben intuire. Invero, l’obiettivo è di promuovere il cambiamento verso l’economia circolare. Per fare ciò, si adotteranno modelli imprenditorialiprodotti e materiali innovativi e sostenibili. Inoltre, si provvederà a diffondere e promuovere l’utilizzo della plastica riciclata, specialmente nelle bottiglie per bevande.

Ovviamente, è già in programma un piano per chiunque non rispetti le nuove direttive. Difatti, chiunque contravverrà le nuove disposizioni incorrerà in sanzioni con multe che vanno dai 2.500 a 25.000 euro.

Tuttavia, per le scorte messe da parte da esercizi commerciali e ristorazione non c’è da preoccuparsi. Infatti, il decreto consente che tali scorte di magazzino possano esaurirsi. Comunque, si dovrà comprovare la loro esistenza e l’effettiva emissione sul mercato in data antecedente al 14 gennaio 2022.

Come promuovere i prodotti alternativi dopo lo stop alle plastiche monouso

Per perseguire questo ambizioso ma necessario obiettivo, si prevedono alcune agevolazioni per quelle aziende che in precedenza facevano uso di tali plastiche. Lo si fa sotto forma di credito d’imposta, nel limite massimo complessivo di 3 milioni di euro per ciascuno degli anni 202220232024. Inoltre, sono in programma anche campagne di sensibilizzazione e regole per lo smaltimento.

Ora, qual è l’orizzonte d’azione nel lungo periodo? Il Ministero della Transizione Ecologica dovrà indicare con un decreto i criteri ambientali minimi per il commercio. Oltre a questo, si prevede anche di organizzare eventi e produzioni cinematografiche e televisive consone al rispetto di tali principi.

Tuttavia, importanti organizzazioni come Greenpeace e Legambiente non sembrano convincersi di questa proposta italiana. Infatti, fanno notare come ora si vendano prodotti troppo simili a quelli monouso ma riutilizzabili per un numero limitato di volte. Dunque, ne convengono che il decreto sia semplicemente un modo di aggirare la direttiva UE e sottovalutare ancora una volta la questione.

 

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Processo Tributario Telematico e Garante Privacy

L’ok del garante privacy alle nuove regole del sistema di processo tributario telematico

L’11 novembre scorso il Garante Privacy acconsente gli aggiornamenti alle regole tecniche del processo tributario telematico. Queste nuove direttive modificano uno dei provvedimenti essenziali dell’informatizzazione del processo alle Commissioni Tributarie. Ovvero, s’intende il Decreto Direttoriale del 4 agosto 2015. Vediamo assieme cosa comporta questo passo avanti.

I cambiamenti necessari del processo tributario telematico dal via del Garante

Nonostante l’innovazione riconoscibile del decreto del 2015, esso risultava altrettanto migliorabile, Così, a distanza di sei anni le voci critiche si concentrano in particolare sulle scelte dei formati ammissibili in deposito. In effetti, risulta che il Ministero dell’Economia e delle Finanze consentisse sostanzialmente solo i formati PDF/A e TIFF.

Quindi, il MEF proponeva agli operatori una soluzione. Ovvero, introdurre un elenco di formati “gestiti” dal portale. Ciò significa che il loro deposito generava un errore “di formato” ma ne consentiva comunque l’acquisizione. Quindi, bene il via libera successivo alla produzione dei formati EML per la prova delle notifiche.

Fortunatamente, l’art. 16 bis del D.lgs. n. 546/92 non contiene sanzioni di inammissibilità del ricorso nel caso non si rispetti la regolamentazione tecnica.

Le regole della firma PAdES

Inizialmente, la sola firma ammessa era la CAdES. Successivamente, la sentenza della Suprema Corte a Sezioni Unite n. 10266 del 27 aprile 2018 sancisce l’equivalenza tra le firme CAdES e PAdES. Per questa ragione, dal luglio 2019 il sistema del Processo Tributario Telematico recepisce anche le firme in formato PAdES.

Tuttavia, un’ulteriore lamentela mossa dai professionisti rimane tutt’oggi com’era. Ossia, il requisito che ogni documento che si deposita nel processo tributario telematico deve avere la propria firma digitale.

Garante Privacy interviene sul processo tributario telematico e chiede chiarimenti sui ruoli

In seguito, il Garante per la Privacy interviene in soccorso con alcune nuove misure che qui elenchiamo:

  • Modifica le Regole Tecniche per conciliare lo stato di diritto allo stato di fatto. Dunque, ammette le firme PAdES;
  • Estende l’ammissibilità dei formati nel PTT. Quindi, include anche l’EML: ciò significa che chiunque decida di usarlo non incorrerà più in errori di forma;
  • Ammette il deposito di documenti da allegare, anche senza la firma digitale.

Inoltre, l’aggiornamento delle Regole Tecniche prevede l’introduzione di un meccanismo di controllo automatico. In riferimento alla dimensione dei documenti informatici all’atto del loro deposito da parte del ricorrente e del resistente. Così come la modifica di alcuni controlli che già si prevedevano.

Poi, il Garante muove alcune richieste al Ministero. Innanzitutto, chiede che si integri lo schema di decreto per assicurare maggiori tutele alla riservatezza dei dati. Così, si adegua la normativa europea e italiana in materia di privacy.

Dunque, il Garante Privacy chiede che si definiscano accuratamente le responsabilità dei soggetti a cui spetta il trattamento dei dati. Quindi:

  • Ministero;
  • Commissioni tributarie provinciali e regionali;
  • Commissioni tributarie di I e II grado di Trento e Bolzano.

In particolare, si aspetta che si chiarisca il ruolo di ognuno nelle varie fasi del trattamento. Ovvero:

  • Gestione del fascicolo informatico;
  • Trattazione dei procedimenti;
  • Deposito di atti informatici; cartacei eccezionalmente.

Infine, il Garante chiede che si esplicitino gli obblighi informativi in caso di violazione dei dati (data breach).

Quali sono le misure di sicurezza da adottare nel nuovo PTT? Risponde il Garante Privacy

Periodicamente, il decreto in considerazione dovrà aggiornare le misure tecniche e organizzative. Il fine è di garantire un livello di sicurezza adeguatamente ai rischi dei trattamenti.

Nello specifico, le raccomandazioni del Garante sono le seguenti:

  • Raccomandazioni in merito allo standard Transport Layer Security (TLS)” che AgID adotta con determinazione n. 471 del 5 novembre 2020;
  • Utilizzare algoritmi crittografici per le operazioni di crittografia asimmetrica delle “chiavi di sessione”;
  • Rivedere le procedure di autenticazione che si usano per l’accesso al SIGIT, uniformando le stesse. Dunque, dove possibile si deve assicurare un livello di garanzia elevato come da Regolamento di esecuzione (UE) 2015/1502 della Commissione dell’8 settembre 2015;
  • Conservare documentazione della registrazione di utenti e log relativi all’attività sulla piattaforma;
  • Prevedere alert per la rilevazione di comportamenti anomali. Oppure, a rischio in relazione alle operazioni di trattamento che gli utenti eseguono;
  • Prevedere l’esecuzione di attività di controllo interno (audit), con cadenza almeno annuale.

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Politiche digitali europee

Sviluppo di nuove tecnologie per dare all’Unione Europea un’effettiva sovranità

Quali sono le priorità della digital age che stiamo vivendo? Per quanto riguarda le politiche UE, si guarda anzitutto alla Dichiarazione su “Policy Objectives and Priorities for 2022“. Inoltre, alla Dichiarazione si allega un Documento di lavoro che contiene un elenco di ben 138 proposte legislative, principali e prioritarie. Vediamo assieme lo scenario.

Quali sono le politiche digitali in Italia e Unione Europea rispetto ai dati informatici?

Il Presidente del Parlamento europeo Sassoli firmava il sopracitato documento il 17 dicembre 2021, in accordo a un gruppo di altri organismi. Ovvero:

  • Parlamento;
  • Presidente del Consiglio dell’Unione europea;
  • Primo ministro della Slovenia Janez Janša;
  • Consiglio;
  • Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen;
  • Commissione.

Le numerose proposte legislative in previsione sono suddivise in 6 macro-aree. Di seguito, le elenchiamo:

  1. A European Green Deal”: comprende 41 proposte regolatorie. Di queste, 26 sono già presenti nella analoga dichiarazione del 2021;
  2. A Europe fit for the Digital Age”: raccoglie 19 proposte regolatorie. Tra queste, il Digital Data Act e altre 13 già presentate nel 2021;
  3. An Economy that works for People: contiene 29 proposte delle quali 19 già richiamate nella analoga Dichiarazione del 2021;
  4. A stronger Europe in the World: comprende 17 proposte, delle quali 19 già parti dell’allegato del 2021;
  5. Promoting our European Way of Life: raccoglie 24 proposte regolatorie. Di queste, 18 sono già presenti lo scorso anno;
  6. A New Push for European Democracy: raccoglie 18 proposte delle quali 7 già presenti nella Dichiarazione del 2021.

Analisi della Dichiarazione sulle politiche digitali d’Italia e Unione Europea

Ora, analizzando la Dichiarazione, capiamo alcune cose:

  • La complessità del procedimento legislativo europeo. Questo causa continui ritardi e non consente mai previsioni realistiche nel lungo periodo;
  • Quanto duro è stato l’impatto della pandemia sul procedimento decisionale europeo. Ad esempio, si ricordi il caso Merkel, che si dimetteva senza mettere a pieno frutto il Patto di Aquisgrana;

Inoltre, l’elenco degli impegni che si rinnovano quest’anno così raggruppati risultano evidentemente come un atto politico, più che semplice burocrazia.

A tal proposito, i tre vertici attuali dell’Unione Europea chiariscono che l’UE sta sempre più diventando un’unione di valori. Dunque, una comunità non solo legata alla dimensione economica e al mercato, ma segnata anche da tradizioni e valori comuni.

“A New Push for European Democracy” è il pacchetto di proposte del PNRR che ci illumina sul futuro dell’Unione Europea e la sua identità. Effettivamente, oltre alla condivisione di regole e diritti i Paesi d’Europa condividono sempre più anche una comune base democratica. Poi, nel PNRR si proclama l’obbiettivo di fondare anche un nuovo e più robusto tessuto di partiti politici a dimensione europea.

Italia nel 2022: le priorità alla luce dei nuovi obiettivi sulle politiche digitali dell’UE

Ora, per quanto riguarda lo scenario Italiano:

  • Da un lato, si impegna a contrastare gli effetti della pandemia: quindi, c’è sempre più l’esigenza di reti di trasmissione dei dati e di servizi digitali e moderni. Così come interconnessione a scala globale;
  • Dall’altro, cerca di costruire la democrazia della Digital Age. Effettivamente, nel Recovery Fund c’è una sostanziale parte che riguarda la promozione in ogni Stato dell’Unione dell’amministrazione digitale e la conseguente democrazia dell’Era digitale.

Per rimanere in costante aggiornamento su queste tematiche e novità, segnaliamo di controllare periodicamente:

  • il documento Piano nazionale di ripresa e resilienza – next generation Italia” che il governo Draghi trasmetteva al Parlamento il 25 aprile 2021;
  • Il Portale Italia domani sul sito della Funzione Pubblica. Infatti, esso riporta le opere e i costi del PNRR man mano che questo si sviluppa.

Il totale degli investimenti corrisponde a 222,1 miliardi di euro. E, fanno parte del Piano d’investimento gli ambiti della:

  • Pubblica Amministrazione;
  • Giustizia;
  • Semplificazione normativa;
  • Concorrenza.

Precisamente, così si ripartisce PNRR:

  • 27% del Piano alla digitalizzazione;
  • 40% agli investimenti per il green deal;
  • 10% a investimenti per aumentare la coesione sociale.

Inoltre, si prevedono investimenti nel settore della cultura e del turismo, settori chiave per l’Italia.

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