Riforma Giustizia Civile

Cartabia firma il decreto di delega al governo per la Riforma della Giustizia Civile

La Ministra della Giustizia Marta Cartabia firma il decreto costituzionale dei Gruppi di lavoro per l’attuazione degli schemi del decreto legislativo Legge 26 novembre 2021, n. 206Ovvero, la delega al Governo per l’efficienza del processo civile e la disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie. Si tratta di una delle riforme indicate tra gli obiettivi del PNRR.

Gruppi di lavoro per delega al governo sulla Riforma della Giustizia Civile

I gruppi di lavoro per l’elaborazione degli schemi del decreto legislativo sono 7 e lavoreranno in autonomia. Complessivamente, si coinvolgono ben 73 professionisti da impiegare nei diversi settori che la riforma prevede. Tra cui:

  • Professori universitari;
  • Magistrati;
  • Avvocati;
  • Tecnici dell’Ufficio Legislativo.

Come sono strutturati i vari gruppi di lavoro e quali sono i loro compiti all’interno del decreto

Ognuno di loro avrà il compito d tradurre i criteri di delega, che il Parlamento ha già approvato. Vediamo di seguito come si impiegano i vari gruppi di lavoro:

  1. Opera in materia di procedure di mediazionenegoziazione assistita e arbitrato;
  2. Si occupa dei principi generali in relazione al processo civiledigitalizzazione dello stesso e di ufficio per il processo;
  3. Elaborerà degli schemi di d.lgs. per il procedimento di primo grado (art. 1, commi 5, 6, 7, 10, 16, 17, 21 e 22);
  4. Si occuperà di giudizio d’appello e giudizio di Cassazione (art. 1, commi 8 e 9);
  5. Si impegnerà in materia di processo del lavoro, processo di esecuzione e di procedimenti in camera di consiglio (art. 1, commi 11, 12, 13 e 14);
  6. Produrrà schemi di decreto legislativo in materia di procedimento relativo a personeminorenni e famiglie (art. 1, commi 23 e 26);
  7. Elaborerà schemi di decreto legislativo sulla riforma ordinamentale ed istituzione del tribunale per le persone, per i minorenni e le famiglie (art. 1, commi 24 e 25).

In aggiunta, ai vari gruppi di lavoro parteciperanno con voto deliberativo anche il Capo di Gabinetto Raffaele Piccirillo e il Capo dell’Ufficio LegislativoFranca Mangano. Infine, Il coordinamento tra i gruppi di lavoro è affidato ai Vice Capo:

  • dell’Ufficio LegislativoFilippo Danovi;
  • di GabinettoGuido Romano.

A tal fine, gli stessi possono indire riunioni congiunte dei gruppi di lavoro.

——————————–

LEGGI ANCHE:

Evasione fiscale e denuncia anonima

In Tribunale con il Green Pass

Evasione fiscale e denuncia anonima

È valida la denuncia anonima di uno scontrino o fattura mancati?

Indubbiamente, in materia tributaria le denunce devono apportare la firma personale. Difatti, questa accortezza serve a evitare che le denunce diventino strumento di ritorsione contro i nemici o i concorrenti. Tuttavia, la denuncia anonima di evasione fiscale potrebbe non passare inosservata in alcuni casi specifici. Vediamoli assieme.

Che valore ha la delazione all’Agenzia delle Entrate o alla Guardia di Finanza?

Cosa prevede la legge nei casi di delazione? Nello specifico, ci si chiede se è possibile denunciare alla Finanza uno di questi casi specifici:

  • Negoziante che non emette lo scontrino;
  • Medico o avvocato che non rilascia la fattura al cliente;
  • Rivale commerciale che non dichiara i propri incassi (perciò, falsando la concorrenza).

Ora, specifichiamo che la delazione corrisponde a una denuncia segreta con finalità di un tornaconto personale. Dunque, si invita il giudice o un’autorità pubblica alla conoscenza di un illecito in maniera anonima.

Oggigiorno, in Italia questo genere di denuncia non ha alcun valore. Di conseguenza, né l’Agenzia delle Entrate né la Guardia di Finanza hanno l’obbligo di prendere in considerazione le lettere che non apportano la firma. Effettivamente, a volte è solo conoscendo il nome del denunciante che il denunciato può difendersi in maniera appropriata.

In altri termini, la delazione non costituisce una prova d’evasione. Altrimenti, chiunque potrebbe essere soggetto a sanzioni, magari gravi, a causa di chi agisce nell’anonimato. Quest’ultimo, di certo non si farebbe scrupoli a denunciare il primo che capita, dato che la sua identità resterebbe avvolta nel mistero.

Cassazione in merito alla validità della denuncia anonima di evasione fiscale

In merito, la Corte di Cassazione afferma che con la delazione non si può risalire ad accertamenti fiscali o recuperi d’imposta. Però, tali controlli sono necessari al fine di riscontrare ulteriori indizi, oltre alle semplici testimonianze di uno sconosciuto.

Tuttavia, la denuncia anonima non sempre è inutile. In effetti, qualora ad essa si aggiungono prove circostanziali o documentazione oggettiva che la supporti, può definirsi fonte d’innesco dei controlli. Ossia, essa potrebbe avviare le verifiche ulteriori per mano dell’ufficio.

Indirettamente, anche la stessa legge tributaria riconosce un ruolo alla delazione. Infatti, i casi in questione riguardano gli evasori totali (ovvero, quelli che non presentano la dichiarazione dei redditi). Dunque, per legge gli uffici delle imposte possono recuperare le imposte sulla base di dati e notizie che raccolgono. Quindi, hanno la facoltà di avvalersi anche di indizi che non siano “gravi, precisi e concordanti”.

 

——————————–

LEGGI ANCHE:

Processo Tributario Telematico e Garante Privacy

Procedure d’appalto digitalizzate

Rimborso delle spese legali imputati assolti

Via al decreto con criteri e modalità d’erogazione di rimborsi spese legali degli assolti

Il Ministro della Giustizia Marta Cartabia di concerto con il Ministro dell’Economia e delle finanze Daniele Franco emanano un nuovo decreto. Tale atto definisce i criteri e le modalità di erogazione del Fondo per il rimborso delle spese legali agli imputati assolti. Dunque, ne si delineano precisamente specifiche e tempi e l’ammontare del fondo è pari a 8 milioni annui.

Rimborso spese legali ad alcuni imputati assolti: ecco il nuovo decreto del Ministero

Innanzitutto, chi è il destinatario del fondo rimborsi? Possono accedere a tale risarcimento le seguenti categorie di soggetti destinatari di una sentenza di assoluzione definitiva pronunciata perché:

  • Il fatto non sussisteva;
  • Non commette il fatto;
  • Il fatto non è reato o la legge non lo prevede come tale.

In particolare, quest’ultima specifica esclude il caso in cui la pronuncia interveniva a seguito della depenalizzazione dei fatti oggetto dell’imputazione.

Invece, chi sono gli esclusiNon possono accedere al fondo:

  • Coloro per i quali anche se alcuni capi d’imputazione li assolvono, altri li condannano;
  • I soggetti che ricevono una sentenza di estinzione del reato per prescrizione o amnistia;
  • Coloro che beneficiano nel medesimo procedimento del patrocinio a spese dello Stato;
  • Chiunque ottenga la condanna del querelante alla rifusione delle spese di lite.

Ciò detto, aggiungiamo che tale rimborso si riconosce nel limite massimo di 10.500 euro. Questa somma si ripartisce in tre quote annuali, a partire dall’anno successivo a quello in cui la sentenza diviene irrevocabile.

Come presentare domanda per rimborso spese legali degli assolti e quali sono i tempi

Chiunque richieda il rimborso (ossia, l’imputato) deve presentare istanza di accesso al fondo esclusivamente tramite piattaforma telematica. A questa si può accedere dal sito giustizia.it con le credenziali SPID di livello due.

Tra gli elementi che dovranno includersi nella richiesta ci sono:

  • Durata del processo, oggetto della sentenza di assoluzione irrevocabile. Questa si calcola dalla data di emissione del provvedimento con il quale si esercitava l’azione penale, alla data in cui sentenza di assoluzione è definitiva;
  • Attestazione che l’importo di cui si chiede il rimborso si versi al professionista legale tramite bonifico. Questo a seguito di emissione della parcella valida per il Consiglio dell’Ordine.

Invece, per quanto riguarda i tempi di emissione, la domanda si dovrà presentare entro il 31 marzo dell’anno successivo a quello in cui la sentenza è irrevocabile. Tuttavia, per le sentenze irrevocabili nel corso del 2021, le domande potranno presentarsi solo a partire dal prossimo 1° marzo fino al 30 giugno 2022.

I criteri di valutazione delle istanze per il risarcimento delle spese di chi si assolve

Come dicevamo, il fondo non ha valore illimitato, ma pari a 8 milioni annui. Dunque, si darà precedenza a:

  • Quelle istanze dell’imputato irrevocabilmente assolto con sentenza resa dalla Corte di Cassazione (giudice del rinvio). Oppure, all’esito di un processo che dura complessivamente oltre otto anni;
  • Alle istanze rese dal giudice di appello. Oppure, all’esito di un processo che dura più di cinque e fino a otto anni;
  • A quelle rese dal giudice di primo grado. Oppure, all’esito di un processo che dura in tutto fino a cinque anni.

Nell’ambito di ciascun gruppo si darà preferenza alle istanze per processi più lunghi. E, a parità di durata, a quelle con imputati con reddito inferiore. Inoltre, il Ministero effettuerà un controllo di effettiva corrispondenza tra quanto si dichiara e quanto emerge dalla documentazione allegata. Per fare ciò, si avvale del proprio personale o di Equitalia giustizia S.p.A.

Ora, si attende la pubblicazione del decreto in Gazzetta Ufficiale. Il merito principale per questa innovazione è dell’onorevole Enrico Costa, responsabile giustizia del partito Azione. Infatti, quest’ultimo presentava un emendamento alla Legge di Bilancio e contattava il Ministero affinché emanasse il decreto.

Al proposito, egli commenta:

“è sicuramente importante che la procedura possa partire; tuttavia, a differenza della norma il cui testo era molto snello, mi pare che con il decreto sia stata prevista una eccessiva burocratizzazione per compilare la domanda di accesso al Fondo. Si arriverà al punto che l’imputato assolto dovrà rivolgersi nuovamente all’avvocato e pagarlo per aiutarlo a compilare la richiesta”.

 

——————————–

LEGGI ANCHE:

Cartabia, proposte concrete per migliorare carceri

Garante della privacy e sicurezza dei dati nella fatturazione elettronica

In Tribunale con il Green Pass

Scatta l’obbligo di Green Pass anche per gli avvocati: è quanto prevede l’ultimo decreto

Il nuovo decreto in Gazzetta Ufficiale dal 8 gennaio 2022 prevede nuove misure di contrasto al Covid. Tra queste, si legge dell’obbligo di Green Pass anche per gli avvocati nell’accesso agli uffici giudiziari. Comunque, ne sono esenti i testimoni e le parti del processo. Quindi, vediamo assieme le specifiche nel dettaglio.

Obbligatorio il Certificato Verde anche per gli avvocati in Tribunale, le specifiche del decreto

Innanzitutto, nel decreto si evince che oltre ai magistrati l’obbligo del Green Pass si estende anche a:

  • Difensori;
  • Consulenti;
  • Periti;
  • Altri ausiliari del magistrato, estranei alle amministrazioni della giustizia.

Tuttavia, ricordiamo che le disposizioni non si applicano ai testimoni e alle parti del processo. Difatti, il decreto chiarisce che:

“L’assenza del difensore conseguente al mancato possesso o alla mancata esibizione della certificazione verde Covid-19 non costituisce impossibilità di comparire per legittimo impedimento”.

Inoltre, il Green Pass base è necessario dal 20 gennaio anche in carcere per i colloqui visivi con i detenuti e gli internati negli istituti penitenziari per adulti e minori. A tal proposito, si specifica che l’obbligo di green pass per accedere agli uffici giudiziari va bene esteso agli avvocati purché sia una misura limitata nel tempo e non danneggi i cittadini.

In merito, il presidente del consiglio dell’Ordine degli avvocati romaniAntonino Galletti afferma che “gli avvocati non vaccinati proveranno a fare ricorsi, e a far valere le loro ragioni”.  Inoltre, Galletti spiega che l’unico modo per fare ricorso sarà quello di subire le sanzioni e poi impugnarle. Eventualmente, per arrivare a sollevare la questione di legittimità costituzionale.

Infine, ricorda l’esempio dalla giustizia amministrativa: tutti i provvedimenti relativi a ricorsi sul Covid, anche quelli sull’obbligo di vaccino per i medici, sono stati di rigetto. Quanto ai possibili interventi dell’Ordine, conclude il presidente del Coa di Roma, “sarà onere di chi non fa il vaccino trovare un sostituto, valuteremo se mettere in piedi un sistema di sostituzioni che possa aiutare i colleghi”.

 

——————————–

LEGGI ANCHE:

Green Pass e mobilità internazionale, problematiche

Ecco l’App Super Green Pass

Cartabia, proposte concrete per migliorare carceri

Cartabiaun messaggio di ringraziamenti natalizi e proposte concrete per migliorare le carceri

In occasione delle festività natalizie la guardasigilli Marta Cartabia dedica un messaggio a istituti penitenziarimagistrati e al personale degli uffici giudiziari. Qui, riconosce il delicato ruolo che ogni soggetto svolge e tanto più in una situazione storica delicata come la corrente. Inoltre, propone di percorrere con ognuno di loro un percorso di rinnovamento con proposte concrete per migliorare le carceri, che giovi all’intera comunità penitenziaria.

Rinnovare il carcere con soluzioni concrete, questa la proposta della guardasigilli Cartabia

«Il mio è un messaggio di vicinanza, oltre che di riconoscenza. Nella convinzione di poter percorrere al vostro fianco un percorso di rinnovamento che giovi all’intera comunità penitenziaria». Queste le parole della Ministra della GiustiziaMarta Cartabia, in occasione delle festività invernali.

Poi, aggiunge che di recente sono terminati i lavori di una Commissione a cui chiedeva di lavorare in merito a un tema che le sta a cuore. Ovvero, elaborare proposte per il miglioramento della vita quotidiana in carcere. Inoltre, Cartabia rimarca che si tratta di proposte concrete e nate dall’esperienza di chi vive il carcere ogni giorno.

Ovviamente, tali proposte si ispirano “ai valori costituzionali, che sempre dobbiamo tenere nel nostro sguardo. Ogni mattina in cui ricominciamo il nostro lavoro varcando le soglie dei cancelli di detenzione”

La ministra ribadiva il suo impegno per risolvere l’emergenza carcere qualche giorno fa in occasione di un incontro con Rita Bernardini, presidente dell’associazione Nessuno Tocchi Caino. La Commissione istituita dalla guardasigilli per migliorare le condizioni nelle carceri è capeggiata da Marco Ruotolo, professore ordinario di Diritto Costituzionale.

Al proposito, egli afferma che: “Mi ha chiesto di sospendere lo sciopero della fame per le feste natalizie e mi ha autorizzato di rendere pubblico questo suo auspicio”.

 

———————————–

LEGGI ANCHE:

Direttiva Ue 2018/1673, lotta al riciclaggio e modifiche al codice penale

Modifiche al Codice del Processo Amministrativo

Servicematica al Tribunale di Vicenza: installazione di maxischermi e di una nuova rete Wi-Fi

Siglato l’accordo tra Comune di Vicenza, Tribunale di Vicenza, Ordine degli Avvocati di Vicenza e Servicematica per il potenziamento della rete wi-fi e l’installazione di maxischermi. Una rete per digitalizzare i fascicoli e i rapporti tra processi e magistrati

Ora il telefono prenderà anche ai piani bassi del Tribunale di Vicenza, dove si svolgono i processi più lunghi e importanti. Inoltre, in stazione e in aeroporto ci saranno precise indicazioni sulle aule, sull’orario e sul nome delle udienze, in modo tale da facilitare avvocati, utenti, e giornalisti.

L’intervento costerà 47mila euro e ha lo scopo di potenziare la rete wi-fi e installare maxischermi, diventando uno dei primi Tribunali in Italia (dopo quello di Venezia) a dotarsi di questa innovazione.

Questo è quello che prevede l’accordo siglato il 23 dicembre 2021 tra il Comune di Vicenza, il Tribunale di Vicenza e dall’Ordine degli Avvocati di Vicenza.

Oltre a Servicematica, erano presenti il sindaco Francesco Rucco, Alberto Rizzo, presidente del tribunale, Marco Zocca, assessore al bilancio, Alessandro Moscatelli, Presidente dell’Ordine degli Avvocati e Paolo Gabbi, dirigente del Servizio Infrastrutture e gestione urbana del Comune.

Spiega Rucco: «Da cittadino e da legale dico che andiamo a risolvere un problema che abbiamo vissuto tutti in questi anni. L’iniziativa ha avuto una gestazione record, perché abbiamo iniziato ad occuparci del problema nel 2015 e sembrava di facile risoluzione».

«Questa rete», continua, «ci servirà per poter digitalizzare ulteriormente i fascicoli e i rapporti tra processi e magistrati».

Gli operatori di giustizia potranno utilizzare i servizi telematici del palazzo attraverso un’app, Ordine Avvocati Vicenza, ideata con Servicematica, che permetterà di evitare assembramenti, di snellire i flussi di comunicazione con gli uffici e implementare il servizio “salta coda udienze” per calendarizzare le attività in maniera automatica.

 

 

——————————–

LEGGI ANCHE:

La PEC diventa europea: quali saranno le conseguenze?

Firma digitale: perché è così sicura?

formalismo cassazione corte europea

Cassazione, la Corte Europea condanna l’eccessivo formalismo

La sentenza del 28 ottobre 2021 della Corte di Strasburgo ha riconosciuto ad un imprenditore italiano il danno morale subito dal rigetto del suo ricorso da parte della Cassazione per un «eccessivo formalismo che viola i principi di giusto processo del cittadino».

Ricorso rigettato dalla Cassazione per eccessivo formalismo

Secondo la Corte di Cassazione l’atto di ricorso presentato dall’imprenditore, in cui lo stesso contestava lo sfratto dal suo negozio intimatogli nei due precedenti appelli, mancava dei requisiti di forma necessari a comprendere e ad identificare i passaggi della sentenza di appello utili a sostenere la propria tesi difensiva.

Il ricorso alla Corte Europea e il verdetto

L’imprenditore non si è dato per vinto e ha presentato un ulteriore ricorso alla Corte di Strasburgo, che lo ha accolto con la sentenza del 28 ottobre 2021, sentenziando che nel precedente processo in Cassazione erano presenti tutti i riferimenti necessari all’identificazione della sentenza d’appello, tra cui il richiamo al documento originario.

La Corte Europea ha quindi dichiarato inammissibile il rigetto del ricorso da parte della Cassazione, sostenendo che così facendo si siano «violati i principi di giusto processo sanciti dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo».

Secondo la Corte Europea, infatti, il rigetto del ricorso è stato dovuto ad un eccessivo formalismo da parte della Corte di Cassazione, che non si adatta al principio di autonomia dei ricorsi e non garantisce l’amministrazione della giustizia.

Risarcimento per danno morale

Con questa sentenza la Corte di Strasburgo ha attribuito alla Cassazione italiana la violazione dell’art. 6 della CEDU, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che affronta il tema dell’equo processo). Ha accolto il ricorso del ricorrente e gli ha riconosciuto un risarcimento di 9.600 euro per danni morali, a cui andrà aggiunto l’eventuale ammontare dell’imposta dovuta.

Vuoi rendere la tua attività più sicura? Scopri i servizi di Servicematica.

——–

LEGGI ANCHE:

Quando le videoriprese non rientrano nelle intercettazioni

Innovazioni tecnologiche e impatto sulle indagini forensi

lotta al riciclaggio e modifiche al codice penale Servicematica

Direttiva Ue 2018/1673, lotta al riciclaggio e modifiche al codice penale

Il 4 novembre scorso, il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto che attua la direttiva UE n. 2018/1673 relativa alla lotta al riciclaggio attraverso il diritto penale. Il decreto introduce diverse novità.

Ecco una panoramica.

LOTTA AL RICICLAGGIO, PROCEDIBILITÀ PIÙ SNELLA

L’art. 9 del codice penale disciplina il delitto comune del cittadino all’estero.
Nei casi previsti da tale articolo, il decreto prevede che non sia necessaria la richiesta del Ministro della Giustizia, l’istanza o la querela della persona offesa anche in caso di reato di ricettazione (art. 648 c.p.) o di reato di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (art. 648 ter c.p.).

REATO DI RICETTAZIONE

L’art. 648 del codice penale che disciplina il reato di ricettazione si arricchisce di due nuovi commi che introducono:
– la pena alla reclusione da 1 a 4 anni e multa da 300 a 6000 euro se il fatto riguarda denaro o altri beni che provengono da contravvenzione punita con l’arresto nel minimo a 6 mesi e nel massimo superiore a un anno;
– l’innalzamento della pena nel caso in cui il reato sia commesso svolgendo un’attività professionale.

Il comma 2 viene sostituito con il seguente:

«Se il fatto è di particolare tenuità, si applica la pena della reclusione sino a 6 anni e della multa sino a euro 1.000 nel caso di denaro o cose provenienti da delitto e la pena della reclusione sino a 3 anni e della multa sino a euro 800 nel caso di denaro o cose provenienti da contravvenzione».

Il terzo comma viene modificato in:

«Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando l’autore del reato da cui il denaro o le cose provengono non è imputabile o non è punibile ovvero quando manchi una condizione di procedibilità riferita a tale reato».

REATO DI RICICLAGGIO

L’art. 648 bis c.p. perde la dicitura “non colposo” presente nel primo comma. Ciò significa che gli estremi del reato di riciclaggio si configurano anche quando, fuori dei casi di concorso nel reato, si sostituisce o si trasferisce denaro, beni o altre utilità che provengono da un delitto colposo.

È poi aggiunto un secondo comma, che introduce tra i reati presupposto del riciclaggio anche quelli di tipo contravvenzionale:

«La pena è della reclusione da 2 a 6 anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 quando il fatto riguarda denaro o cose provenienti da contravvenzione punita con l’arresto superiore nel massimo a un anno o nel minimo a sei mesi».

L’AUTORICICLAGGIO

Anche l’art 648 ter 1 c.p. che disciplina l’autoriciclaggio perde la dicitura “non colposo” al primo comma. Pertanto, il reato colpisce anche chi commette o concorre a commette un delitto colposo e «impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa».

Il comma due diventa:

«La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni».

È aggiunto poi un ulteriore comma, che indica la reclusione da 1 a 4 anni e la multa da 2.500 a 12.500 euro qualora il fatto riguardasse denaro o cose provenienti da contravvenzione punita con l’arresto nel minimo di 6 mesi e nel massimo superiore a un anno.

RICICLAGGIO E ATTIVITÀ MAFIOSE

Nel caso in cui il denaro, i beni o le altre utilità provenissero da un delitto commesso con le condizioni o le finalità previste dall’art. 416 bis 1, le pene applicate sono quelle previste al primo comma dell’art.648 tre 1 c.p.: reclusione da 2 a 8 anni e multa da 5.000 a 25.000 euro.
L’art.416 bis 1 riguarda le circostanze aggravanti e attenuanti in caso di reati connessi alle attività mafiose.

Vuoi rendere la tua attività più sicura? Scopri i servizi di Servicematica.

——–

LEGGI ANCHE:

Protocollo d’intesa tra Cnf e Procura Europea

Diritto di famiglia e valore delle prove raccolte dal web

 

indirizzo pec servicematica

Manca l’indirizzo PEC del difensore. La notificazione è comunque valida

Un legale difensore non ha l’obbligo di indicare negli atti il proprio indirizzo PEC, ma non può nemmeno indicarne uno diverso da quello comunicato al Consiglio d’Ordine d’appartenenza o limitarne la validità alle sole comunicazioni di cancelleria. Deve però indicare il proprio codice fiscale, da cui è poi possibile ricavare l’indirizzo PEC attraverso il registro INI-PEC.

PIÙ DI UN LEGALE DIFENSORE E USO LIMITATO DELL’INDIRIZZO PEC

Una lavoratrice chiama in causa il datore di lavoro per vedersi riconoscere il mancato inquadramento a un livello superiore e ottenere il pagamento delle differenze retributive accumulate.

Il Tribunale accoglie le richieste ma il datore ricorre e la Corte d’Appello riforma in parte la sentenza di primo grado.

Costituitasi nel giudizio d’appello, la lavoratrice sostiene che l’impugnazione da parte del datore sia stata tardiva. Il ricorso è infatti stato depositato oltre il termine breve calcolato a partire dalla notifica via PEC della sentenza di primo grado.

Il Tribunale rigetta tale eccezione e fa notare che la società del datore aveva:
– nominato due difensori con mandato disgiunto,
– eletto il domicilio presso un terzo legale,
– indicato gli indirizzi PEC dei primi due come riferimenti per tutte le comunicazioni,
la notifica della sentenza di primo grado è stata eseguita all’indirizzo PEC dell’avvocato domiciliatario.

La notifica risulta nulla ai fini della decorrenza del termine breve, proprio perché le comunicazioni avvenivano attraverso gli indirizzi PEC degli altri legali.

La lavoratrice porta la questione in Corte di Cassazione.
Secondo lei, la mancanza dell’indirizzo PEC del legale domiciliatario nella comparsa di costituzione della società in primo grado è irrilevante. 
Ogni avvocato è infatti dotato di un proprio domicilio digitale reperibile attraverso il registro INI-PEC. 
Inoltre, come indicato dall’art. 125 cpc, il difensore non è più obbligato a indicare negli atti di parte il proprio indirizzo PEC, ma basta il solo codice fiscale. 

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso.

LA SENTENZA

Con la sentenza n. 33806/2021, la Corte spiega che la notificazione della sentenza di primo grado presso l’indirizzo PEC del legale domiciliatario è da ritenersi valida anche se la società aveva chiesto che le comunicazioni avvenissero attraverso gli indirizzi PEC degli altri due legali.

L’indirizzo PEC del domiciliatario rappresenta l’indirizzo PEC di uno dei tre difensori di fiducia, risulta nel Re.G.Ind.E., e poco importa che non sia stato indicato negli atti (art. 16 sexies, d.l. n. 179 del 2012, convertito con modifiche in I. n. 221 del 2012). Non c’è dunque motivo per non considerare la notificazione valida.

A ulteriore conferma, anche il fatto che la notificazione della sentenza a uno solo dei difensori vale alla decorrenza del termine breve per impugnare (art. 325 cpc).

Vuoi una casella di posta certificata valida ed efficiente? Scopri la PEC di Servicematica.

——–

LEGGI ANCHE:

Recupero compensi: è competente il foro del consumatore o un altro foro?

No iscrizione a ruolo senza contributo unificato

prove raccolte dal web servicematica

Diritto di famiglia e valore delle prove raccolte dal web

Nel diritto di famiglia le prove sono indispensabili per:
– determinare la condizione economica dei partner e stabilire l’ammontare di un eventuale assegno di mantenimento,
– verificare le capacità genitoriali e determinare a chi affidare un minore,
– accertare condotte contrarie ai doveri coniugali per giustificare eventuali domande di addebito.

Non tutte le prove raccolte sono però ammissibili o rilevanti. In particolare, che valore hanno le prove raccolte dal web?

LA VOLATILITÀ DEI CONTENUTI WEB

Se, da un lato, qualsiasi cosa venga pubblicata sul web è destinata a rimanere reperibile per lunghissimo tempo; dall’altro, una medesima informazione può essere presente in varie forme e versioni, rendendo difficile individuare quale sia quella autentica.

Con la pronuncia 2912 del 2004, la Corte di Cassazione ha discusso l’autenticità e la volatilità dei contenuti, affermando che:

«le informazioni tratte da una rete telematica sono per natura volatili e suscettibili di continua trasformazione e, a prescindere dalla ritualità della produzione, va esclusa la qualità di documento in una copia su supporto cartaceo che non risulti essere stata raccolta con garanzie di rispondenza all’originale o di riferibilità a un ben individuato momento».

In sostanza, le informazioni raccolte dal web possono essere considerate prove documentali (art. 234 c.p.p.), a patto che siano riferibili a un preciso momento.

Sempre la Cassazione, con la sentenza 49016 del 2017 ha ribadito l’insufficienza probatoria della semplice riproduzione cartacea di una conversazione su WhatsApp, chiedendo di acquisire il supporto telematico su cui erano presenti i contenuti per verificarne l’attendibilità. Secondo la Corte, la trascrizione aveva una solo “funzione meramente riproduttiva del contenuto della principale prova documentale“.

PROVE RACCOLTE DAL WEB: IL VALORE DI SCREENSHOT E TRASCRIZIONI

Uno screenshot, ovvero la fotografia di una pagina web, dimostra dunque solo l’esistenza di certi contenuti in rete in un determinato momento: quei contenuti esistono ancora oggi in quella forma? Sono cambiati? Erano veritieri prima? E ora? Ne consegue che lo screenshot non può essere considerato una prova attendibile.

La portata probatoria delle copie cartacee delle schermate internet è però sostenuta dall’art. 23 comma 2 bis del Codice dell’amministrazione digitale, che afferma che:

«sostituiscono ad ogni effetto di legge l’originale da cui sono tratte se la loro conformità all’originale in tutte le sue componenti è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato»

FACEBOOK E GLI ALTRI SOCIAL

Tra le prove raccolte dal web più usate nei casi di separazione e divorzio ci sono fotografie e informazioni tratte dai profili social dei coinvolti.

Questi contenuti sono utili a dimostrare eventuali infedeltà coniugali, condotte contrarie ai doveri coniugali o l’effettivo tenore di vita del futuro ex-coniuge.

Si potrebbe credere che si tratti di prove atipiche, ma così non è. Esse possono rientrare nella cornice dell’art.2712 c.c. in quanto riproduzioni informatiche (o cartacee) di fatti e di cose, pertanto formano piena prova dei fatti.

Nel caso delle chat su Facebook o altre piattaforme, esse hanno valore legale di prova se:
la loro veridicità non viene contestata dalla controparte (la contestazione non può però essere generica, ma deve essere basata su fatti e prove),
la loro riproduzione venga autenticata da un pubblico ufficiale (si ricorda però che tutti i messaggi privati scambiati tramite social network o simili sono coperti dal diritto alla privacy).

IL GIUDICE E IL CONCETTO DI “FATTO NOTORIO”

Il giudice non può raccogliere informazioni dal web.
Secondo la Cassazione (sentenza 4951 del 2017), eventuali informazioni reperite dal giudice su internet non rientrano nel concetto di “fatto notorio”.

Infatti, sebbene le tecnologie moderne rendano un’informazione accessibile a numerosi individui, questa non è necessariamente un ‘informazione incontestabile che fa parte del patrimonio conoscitivo della collettività.

Il Processo Telematico diventa facile con la piattaforma Service1. Scopri di più.

——–

LEGGI ANCHE:

Se la nota spese è inattendibile, i compensi vanno liquidati lo stesso

Privata dimora: il furto in studio legale è furto in abitazione

 

Servicematica

Nel corso degli anni SM - Servicematica ha ottenuto le certificazioni ISO 9001:2015 e ISO 27001:2013.
Inoltre è anche Responsabile della protezione dei dati (RDP - DPO) secondo l'art. 37 del Regolamento (UE) 2016/679. SM - Servicematica offre la conservazione digitale con certificazione AGID (Agenzia per l'Italia Digitale).

Iso 27017
Iso 27018
Iso 9001
Iso 27001
Iso 27003
Agid
RDP DPO
CSA STAR Registry
PPPAS
Microsoft
Apple
vmvare
Linux
veeam
0
    Prodotti nel carrello
    Il tuo carrello è vuoto