Processo Penale Telematico: partenza il 25 giugno

Processo Penale Telematico: partenza il 25 giugno

Lo scorso 11 giugno 2020 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto 9 giugno 2020 del Ministero della Giustizia (“Avvio della funzionalita’; dei servizi di comunicazione e deposito dei documenti informatici di cui all’articolo 83, comma 12 -quater .1 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, per la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli”) che introduce ufficialmente il Processo Penale Telematico.

Il decreto si compone di soli due articoli, e al primo si legge:

1. È accertata la funzionalità dei servizi di comunicazione e deposito di cui all’art. 83, comma 12 -quater .1, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, come ulteriormente modificato dall’art. 3, comma 2, lett. f), del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli.

2. Nell’ufficio giudiziario di cui al comma 1, il deposito di memorie, documenti, richieste e istanze indicate dall’art. 415 -bis , comma 3, del codice di procedura penale può essere effettuato per via telematica secondo quanto disposto dall’art. 83, comma 12 -quater .1, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, come ulteriormente modificato dall’art. 3, comma 2, lett. f) , del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28.

In questa fase, il Processo Penale Telematico permette dunque di depositare telematicamente memorie e istanze delle difese presso il pubblico ministero che abbia concluso le indagini preliminari.

Il deposito telematico degli atti, che assumerà pieno valore legale a partire dal prossimo 25 giugno, avviene tramite upload diretto sul Portale dei Servizi Telematici e va considerato effettuato con la generazione della ricevuta di accettazione da parte dei sistemi ministeriali.

Come spiega il Ministero della Giustizia, «grazie a questo provvedimento l’ufficio che ha avanzato richiesta per l’attivazione del deposito digitale potrà per la prima volta in Italia ricevere, con valore legale, per via telematica le memorie e le istanze successive alla conclusione delle indagini preliminari e gli avvocati potranno operare tali depositi senza produrre e depositare ulteriormente il cartaceo».

L’introduzione del deposito telematico nel Processo Penale sembra essere solo il primo passo verso la digitalizzazione del procedimento e del processo penali, «un percorso ormai irreversibile» i cui obiettivi sono l’ottimizzazione della giustizia e la riduzione dei tempi dei processi.

L’AIGA ha commentato così l’introduzione del Processo Penale Telematico: «In mezzo ad un turbinio di innovazioni normative che non ha precedenti, senza fare rumore come altre riforme, ne è intervenuta una che avrà portata storica».

 

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Casella PEC piena? Ecco quando la notificazione di un atto è perfezionata


Casella PEC piena? Ecco quando la notificazione di un atto è perfezionata

Con la sentenza n. 14216 dell’11 maggio 2020 la Corte di Cassazione, terza sezione penale, chiarisce che la notificazione di un atto via posta elettronica certificata può ritenersi perfezionata anche quando la casella mail di destinazione risultasse piena.

Più volte in passato le sezioni civili della Cassazione hanno affermato il principio secondo cui il perfezionamento della notificazione di un atto a un soggetto obbligato per legge ad avere un proprio indirizzo PEC la cui casella però risulti piena si ha con la ricevuta che attesta tale stato della casella.

Il messaggio in cui si comunica che la casella PEC del destinatario è piena è equiparabile alla ricevuta di avvenuta consegna poiché il mancato download nella casella PEC piena è causato dalla mancata manutenzione della stessa da parte del destinatario/proprietario. (Cass. civ., Sez. 6-3, n. 3164 dell’11/02/2020; Cass. civ., Sez. 5, sent. n. 7029 del 21/32018; Cass. civ., Sez. L, sent. n. 13532 del 20/05/2019).

Nel caso oggetto della sentenza, la cancelleria della Corte aveva trasmesso l’avviso di fissazione dell’udienza via PEC al difensore di ufficio di uno degli imputati, vedendosi poi restituire il messaggio con l’avviso che la casella del destinatario risultava piena.
Il ricorso da parte dell’imputato è stato dichiarato inammissibile anche in considerazione di quanto detto poco sopra a proposito dell’equipollenza tra il messaggio di avvenuta consegna e quello di ‘casella piena’.

Nella sentenza, la Cassazione fa presente che l’art. 16, comma 4 del D.L. n.179 del 18 ottobre 2012 (convertito con modificazioni dalla L. n. 221 del 17 dicembre 2012) permette che la notificazione a persone diverse dall’imputato sia effettuata per mezzo di posta PEC (art. 148 c.p.p., comma 2 bis) e che l’ art. 20, comma 5, del D.M. n. 44 del 2011 stabilisce che «il soggetto abilitato esterno è tenuto a dotarsi di servizio automatico di avviso dell’imminente saturazione della propria casella di posta elettronica certificata e a verificare la effettiva disponibilità dello spazio disco a disposizione».

L’insegnamento da trarre da questa sentenza è di prestare massima attenzione alla propria casella PEC al fine di evitare che risulti piena e non possa ricevere messaggi importanti le cui conseguenze potrebbero davvero essere rilevanti.

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Ordinanza n. 8815: valore delle firme digitali, nullità della notificazione via PEC, mancanza dell’attestazione di conformità

Ordinanza n. 8815: valore delle firme digitali, nullità della notificazione via PEC, mancanza dell’attestazione di conformità

Con l’ordinanza n. 8815  del 12 maggio 2020 la Corte di Cassazione, terza sez. civile, si è espressa sul valore delle firme digitali, la nullità della notificazione via PEC, la mancanza dell’attestazione di conformità.

Il caso oggetto dell’ordinanza riguarda due inquiline alle prese con delle infiltrazioni di umidità da un appartamento all’altro. La causa si è sviluppata tra ricorsi e controricorsi incentrati proprio sugli elementi citati qui sopra.

LE FIRME DIGITALI

La Cassazione ribadisce che le firme digitali CAdES e PAdES sono entrambe ammesse e sono equivalenti, sia pure con le differenti estensioni “.p7m” e “.pdf”. Pertanto, sono riconosciute valide ed efficaci anche nel processo civile di cassazione, senza alcuna eccezione (Sez. U, Sentenza n. 10266 del 27/04/2018, Rv. 648132 – 02; Sez. 2, Sentenza n. 30927 del 29/11/2018, Rv. 651536 – 01).

NULLITÀ DELLA NOTIFICAZIONE VIA PEC

Un’eventuale nullità della notificazione viene sanata dal raggiungimento dello scopo (art. 156 c.p.c.).
La Cassazione spiega che l’irritualità della notificazione di un atto tramite PEC non ne comporta la nullità se la consegna telematica ha portato alla conoscenza dell’atto e ha determinato il raggiungimento dello scopo legale.

La mancanza della sottoscrizione del difensore non comporta la nullità della copia dell’atto di citazione notificato al convenuto se da questa è possibile dedurre la provenienza da procuratore abilitato munito di mandato.
Soprattutto, la copia non può essere considerata nulla se è possibile dedurre la provenienza dal procuratore abilitato anche in mancanza della firma del difensore.

ATTESTAZIONE DI CONFORMITÀ MANCANTE

La mancanza dell’attestazione di conformità e della sottoscrizione digitale della procura alle liti allegata all’atto d’appello non rappresentano un limite.

Nel caso oggetto dell’ordinanza della Cassazione, l’attestazione di conformità era stata prodotta con l’iscrizione a ruolo e il deposito del fascicolo telematico, in un periodo in cui era ancora possibile il rilascio ex novo della procura, come indicato dall’art. 125 c.p.c., comma 2.
La ricorrente sosteneva che tale articolo non potesse applicarsi alla notifica via PEC, regolata da norme speciali.
In realtà, non vi è incompatibilità fra le regole della notificazione degli atti giudiziari a mezzo PEC e la possibilità di regolarizzare la procura alle liti nel termine stabilito dall’art. 125.

Vi consigliamo di approfondire leggendo il testo originale dell’ordinanza n. 8815.

 

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30 giugno 2020: la giustizia riparte?

Un emendamento presentato da Fratelli d’Italia al DL “Intercettazioni” cancella la norma che aveva esteso lo stop dei Tribunali al 31 luglio (ossia, a settembre). Il governo si è dimostrato favorevole, quindi dal 30 giugno la Giustizia riparte.

Ma prima di parlare della ripartenza, cerchiamo di capire perché la Giustizia si sia fermata.
A spiegarcelo ci pensa Alberto Balboni, firmatario dell’iniziativa, senatore e avvocato, che, in un’intervista a Il Dubbio, dice: «Si metta nei panni di un presidente di Tribunale. Si trova davanti l’articolo 83 del Cura Italia, giusto? Vi trova scritto che dipende tutto da lui. Tutto. Riaprire o no le aule di Giustizia, consentire lo svolgimento delle udienze o rinviarle, adottare cautele o riprendere l’attività. Lei che farebbe, al suo posto? Hanno chiuso tutto. Si son detti: “E chi me lo fa fare di rischiare? Come sono perseguibili i titolari delle aziende con casi di contagio da COVID, così sarei perseguibile io”. Perciò hanno bloccato l’attività nei tribunali. L’errore, madornale, commesso dal governo è stato scaricare su di loro la responsabilità».

L’Avv. Maria Masi, presidente facente funzioni del Consiglio Nazionale Forense, commenta così la prospettiva: «la ripartenza della Giustizia dal 30 giugno sarebbe sicuramente un bel segnale per gli avvocati e per i cittadini che attendono da mesi di veder riconosciuti i propri diritti».

E aggiunge che la Giustizia deve ripartire con «la più ampia e continuativa presenza dei cancellieri in tribunale: come più volte sottolineato, questa condizione è necessaria e funzionale all’attività giurisdizionale stessa».

L’Avv. Masi fa però sapere che è facoltà di ogni ufficio giudiziario anticipare il riavvio delle attività, a patto che vi siano le condizioni per farlo.

Quindi, va tutto bene? La Giustizia riparte e non c’è nessun intoppo?

Più o meno.

Come fa notare la giornalista Claudia Morelli su un articolo su Altalex, l’approvazione dell’emendamento porrebbe «un problema di coordinamento con quanto già deciso con la legge di conversione del decreto “Liquidità”, che ricordiamo dispone che tutte le udienze calendarizzate dall’11 maggio 2020 fino al 31 luglio 2020 dovranno svolgersi con modalità tali da assicurare il rispetto dei principi di sicurezza sanitaria per contenere gli effetti della pandemia».


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Garante: regole più rigide per la conservazione dei documenti digitali

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Nella newsletter e dello scorso 21 maggio 2020, il Garante della Privacy ha chiesto ad AgID di stabilire regole più rigide per spingere coloro che si occupano della conservazione dei documenti informatici a rispettare la normativa sulla protezione dei dati personali, soprattutto quando cessa la fornitura del servizio.

La richiesta è stata avanzata dopo l’analisi della bozza delle “Linee guida per la stesura del piano di cessazione del servizio di conservazione”, che AgID ha predisposto in relazione all’attuazione del Codice per l’Amministrazione Digitale (Cad).

Nelle linee guida sono indicate regole che il “conservatore” dei documenti informatici dovrebbe seguire per la costruzione di un piano che permetta la corretta migrazione dei dati e che eviti perdite di informazioni.

II piano deve tenere conto delle diverse incognite e dei rischi insiti nella conservazione dei documenti, trai quali figurano anche “l’interoperabilità nei processi di migrazione, l’affidabilità dell’impianto tecnologico, i livelli di aggiornamento e di sicurezza fisica e logica.

Le regole proposte da AgID necessitano, secondo il Garante, di un’integrazione che assicuri una tutela dei dati personali che sia maggiormente in linea con precetti del GDPR.

Il GDPR impone al conservatore, che diventa il responsabile del trattamento dei dati, obblighi precisi in tema di restituzione dei dati, e richiede che nella cessazione del trattamento venga coinvolto anche il responsabile per la protezione dei dati (Rdp/Dpo)

Il Garante chiede che al conservatore venga richiesto di eseguire un’analisi dei rischi più ampia, comprensiva di una valutazione della presenza di dati personali appartenenti a categorie particolari come la salute o la fedina penale.

Al conservatore deve essere anche richiesto di adottare misure di sicurezza che garantiscano la riservatezza, l’integrità e la disponibilità dei dati contenuti nei documenti informatici nel momento in cui questi vengono trasferiti negli archivi di conservazione. Dovrà anche specificare per quanto tempo è garantita l’accessibilità dei documenti, e specificare modalità sicure per la “cancellazione degli archivi di conservazione.

Queste indicazioni, insieme a quelle già indicate in un precedente parere del Garante sulle “Linee Guida sulla formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici” dovrebbero assicurare maggiore protezione e sicurezza nel trattamento dei dati personali.

La loro applicazione dovrebbe “condurre le pubbliche amministrazioni e le imprese verso una corretta innovazione dei processi, per una digitalizzazione a prova di privacy, riducendo i rischi per i diritti e le libertà degli interessati”.


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fatture elettroniche e decreto ingiuntivo

Fatture elettroniche e decreto ingiuntivo: validità nuovamente confermata

L’orientamento della giurisprudenza in tema di validità delle fatture elettroniche ai fini del decreto ingiuntivo non è univoco, come abbiamo già avuto modo di parlare in altri articoli presenti in questo blog.

Vogliamo arricchire le informazioni a proposito portandovi un’altra ordinanza a favore della validità, ricordandovi che il nodo centrale della questione risiede nel contenuto degli artt. 23 e 25 D.P.R. 633/1972 nei quali si indica che un decreto ingiuntivo è ammissibile se il ricorrente fornisce gli estratti delle scritture contabili a dimostrazione dell’esistenza del credito.

VALIDITÀ DELLE FATTURE ELETTRONICHE: IL CASO

Una società fa ricorso per la concessione di decreto ingiuntivo e allega alcune fatture elettroniche in formato xml come prova del credito maturato.

Il Tribunale di Verona accoglie il ricorso e ingiunge al debitore di pagare le somme, maggiorate di interessi e spese, ritenendo che le fatture elettroniche in formato xml siano del tutto equivalenti all’estratto delle scritte contabili.

La motivazione si basa su due elementi:

– il Sistema d Interscambio «genera documenti informatici [ndr: le fatture elettroniche] autentici ed immodificabili, che non sono semplici ‘copie informatiche di documenti informatici’, bensì duplicati informatici’ assolutamente indistinguibili dai loro originali»;

– le fatture elettroniche generate dal SdI sono obbligatorie in caso di vendita di beni prestazioni di servizi, e i soggetti emittenti sono esonerati dall’obbligo di annotare le fatture emesse in un registro apposito.

Di conseguenza, è «illogico pensare che un’impresa debba tenere delle scritture contabili che non ha l’obbligo di utilizzare». Ciò rende impraticabile la via della prova tramite l’estratto delle scritture contabile a favore delle fatture elettroniche.

E l’equipollenza delle fatture elettroniche all’estratto delle scritture contabili disattiva gli obblighi indicati dall’art. 634 co.2 c.p.c. ai fini dell’ottenimento del decreto ingiuntivo.

[Fonte: Studio Fabbrani&Associati, Studio BTC]

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L’importanza di scrivere bene un ricorso (lo dice anche la Cassazione)

Un avvocato che scrive un ricorso poco chiaro, incoerente e prolisso non può stupirsi dell’eventuale dichiarazione di inammissibilità da parte della Cassazione.

Una tale situazione è accaduta nel 2009.

Un avvocato ottiene un decreto ingiuntivo per il pagamento dei propri compensi da parte di una società che però si oppone.
La società fallisce, la causa viene interrotta e poi ripresa dalla curatela fallimentare, ma la Corte d’Appello dichiara l’appello inammissibile per genericità.

L’avvocato allora ricorre in Corte di Cassazione, la quale però concorda sull’inammissibilità del ricorso per 2 ragioni, tra cui figura anche la formulazione confusa e prolissa dell’atto nonché le censure di alcuni fatti rilevanti.

SCRIVERE BENE: ORGANICITÀ E CHIAREZZA DELLA FORMA

Per la Cassazione il ricorso appare in contrasto con l’organicità e la chiarezza della forma richiesti dall’art. 3 comma 2 del processo amministrativo e dalla “Guida per Avvocati” approvata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Secondo la Guida, scrivere bene un ricorso è il primo passo per permettere al giudice di individuare subito e facilmente gli elementi essenziali su cui basare il proprio giudizio.

SUGGERIMENTI PER UNA BUONA SCRITTURA

Allora, c’è da chiedersi quali siano queste regole per scrivere bene.

A darci un quadro molto utile ci pensa il “Breviario per una buona scrittura redatto dal gruppo di lavoro sula chiarezza e la sinteticità degli atti processuali del Ministero della Giustizia”.

Sebbene il breviario non sia recentissimo, i suoi contenuti sono tutt’ora validissimi, pertanto abbiamo deciso di scegliere quelli che secondo noi sono i 27 suggerimenti da non dimenticare mai in fase di scrittura.

  1. Usare frasi brevi (max 20-25 parole).
  2. Esplicitare i soggetti.
  3. Evitare la subordinazione, preferire la coordinazione.
  4. Limitare incisi e parentetiche (frasi brevi inserite in un costrutto). Se possibile, preferire frasi autonome, altrimenti porli alla fine della frase o almeno segnalarli con lineette.
  5. Preferire le frasi affermative.
  6. Preferire i modi e tempi verbali di uso più comune.
  7. Evitare espressioni desuete e il burocratese.
  8. Sciogliere le sigle.
  9. Evitare aggettivi o avverbi inutili.
  10. Preferire verbi semplici a perifrasi verbali (“dare comunicazione”: meglio dire “comunicare”).
  11. Usare parole comuni, concrete e dirette (“morte” invece di “trapasso”).
  12. Non esagerare con le ripetizioni e l’uso di “suddetto”, “sopracitato” e simili.
  13. Evitare tecnicismi eccessivi.
  14. Evitare l ’uso eccessivo del participio presente e la sua sostantivazione (il dichiarante, l’istante, il delegante).
  15. Evitare o limitare modi di dire e frasi fatte.
  16. Limitare l’uso del latino.
  17. Scegliere font facilmente leggibili, dalle forme convenzionali e ben spaziate.
  18. Preferire un’interlinea di 1,5 punti.
  19. Usare immagini o figure solo se necessario.
  20. Usare link per arricchire il testo di agganci a risorse esterne.
  21. Numerare le pagine, meglio indicando anche il numero totale (es. “2/15” oppure “pag. 3 di 18”)
  22. Inserire un indice per offrire una panoramica della struttura dell’atto.
  23. Numerare e titolare i paragrafi per facilitare l’individuazione dei punti di interesse.
  24. Inserire un breve prospetto di sintesi per offrire un quadro dei tratti essenziali.
  25. Numerare e titolare i documenti allegati e linkati.
  26. Usare caratteri differenti per distinguere i richiami esterni o le citazioni dal testo.
  27. Inserire i richiami giurisprudenziali nelle note a piè pagina.

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piano straordinario per la Giustizia italiana

Il piano straordinario per la Giustizia italiana proposto dall’OCF

Il documento per la ripresa della Giustizia italiana pubblicato ieri dall’Organismo Congressuale Forense inizia così:

«La condizione della macchina giudiziaria del nostro Paese ha raggiunto uno dei livelli più critici della storia repubblicana. Il sistema giudiziario italiano, già da decenni in grande difficoltà nel dare adeguata risposta alla domanda di Giustizia della società, dei cittadini e delle imprese, in questi ultimi mesi, oltre alle gravissime ripercussioni derivanti dall’adozione delle misure di profilassi per l’epidemia di “coronavirus”, è stato colpito dalle accelerazioni di fenomeni degenerativi che ne stanno minando la credibilità già messa a dura prova dalla sua cronica e nota inefficienza».

Il documento si prefigge l’obiettivo di affrontare immediatamente l’attuale stallo proponendo un “piano straordinario per la Giustizia italiana”, una giustizia che al momento è paralizzata, senza difesa e delegittimata.

IL PIANO STRAORDINARIO PER LA GIUSTIZIA ITALIANA

GIUSTIZIA PARALIZZATA

Il piano straordinario per la Giustizia italiana dell’OCF parte dal principale problema generatosi a causa delle misure di contenimento di COVID-19: lo stop della Giustizia.

A complicare la situazione hanno concorso diversi fattori, come la mancata adozione di misure per la messa in sicurezza degli ambienti giudiziari, la scarsità di risorse stanziate, la babele di protocolli prodotti dai diversi uffici giudiziari sulle modalità di riapertura, i limiti delle tecnologie telematiche e del lavoro agile, la gestione frammentata della giurisdizione.

Le soluzioni proposte sono:

  • -maggiori risorse e un piano per la messa in sicurezza degli ambienti che consenta la veloce ripresa delle attività nelle sedi preposte,
  • -la limitazione della giustizia telematica,
  • -l’individuazione di linee guida unitarie a livello nazionale per lo svolgimento delle attività giudiziarie,
  • -la costituzione di un tavolo unitario per la giurisdizione per realizzare un’«unitarietà di governo incentrata sulla efficacia della tutela delle parti e sulla effettiva terzietà del giudice»,
  • -il potenziamento delle strutture giudiziarie di prossimità,
  • -la riforma della prescrizione penale e la realizzazione di misure che garantiscano la ragionevole durata dei processi penali e la razionalizzazione dei tempi di quelli civili.

GIUSTIZIA SENZA DIFESA

Il secondo punto su cui si focalizza il piano straordinario per la giustizia italiana è la professione forense.

Il settimo enunciato del manifesto per la Giurisdizione, recita: «la garanzia di autonomia e indipendenza dell’Avvocato e di tutti i soggetti che concorrono all’esercizio della Giurisdizione sono strumento di effettività della tutela dei diritti e presidio di democrazia».

Ma per garantire un’Avvocatura che sia davvero efficace è importante che la professione riacquisisca dignità e sostenibilità.

Gli Avvocati stanno infatti affrontando grandi difficoltà dovute alla persistente crisi economica alla quale si aggiunge ora l’impossibilità di riprendere il lavoro a pieno regime.

L’OCF chiede quindi:

  • -il riconoscimento del ruolo dell’avvocato in Costituzione,
  • -la garanzia della sostenibilità della professione forense e della sua dignità retributiva e professionale,
  • -la garanzia dell’equo compenso e del pagamento del gratuito patrocinio,
  • forme assistenziali valide,
  • detassazione e contribuzione agevolata anche con l’obiettivo di facilitare l’ammodernamento tecnologico degli studi.

LA GIUSTIZIA DELEGITTIMATA

Il piano si concentra infine sulla crisi di credibilità dell’apparato giudiziario, percepibile soprattutto a fronte dei recenti fatti che hanno coinvolto la Magistratura.

L’OCF sostiene che siano necessari:

  • -la riforma dell’ordinamento giudiziario con la partecipazione dell’Avvocatura,
  • -la separazione delle carriere dei Magistrati, in modo da ristabilire principi di parità delle parti e di terzietà del Giudice nel settore penale,
  • -il rafforzamento della presenza della componente forense nei ruoli dirigenziali
    e consultivi degli apparati di governo della giurisdizione centrali e territoriali,
  • -l’inserimento della componente forense nei ruoli direttivi ministeriali.

Potete approfondire leggendo il testo integrale del documento per la ripresa della Giustizia italiana pubblicato dall’Organismo Congressuale Forense.

 

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Cosa succede se un lavoratore che ha scaricato l’app Immuni riceve la notifica di essere entrato in contatto con un infetto? Quali sono le conseguenze sull’operatività dell’azienda? E il datore di lavoro può imporre i test sierologici ai suoi dipendenti?

TEST SIEROLOGICI SÌ O NO?

Sul proprio sito, il Garante della Privacy ha fornito chiarimenti sulla possibilità, da parte del datore di lavoro, di far eseguire test sierologici ai dipendenti.

I test sierologici si inseriscono nel ventaglio si strumenti a disposizione per la gestione della diffusione di COVID-19, ma la loro esecuzione espone i lavoratori a potenziali rischi in tema di privacy.

L’idea che circola fra alcuni imprenditori è, infatti, quella di imporre ai propri lavoratori l’esecuzione dei test, magari periodicamente, in modo da venire immediatamente a conoscenza di contagi e adottare le misure di sicurezza sanitaria necessarie, sia nei confronti dell’infetto che dei colleghi.

Questo però non è assolutamente possibile.

I test sierologici possono essere disposti solo dal medico di competenza e sempre “nel rispetto delle indicazioni fornite dalle autorità sanitarie, anche in merito all’affidabilità e all’appropriatezza di tali test”.

Solo il medico competente può stabilire se vi siano le condizioni necessarie a richiedere esami clinici e diagnostici utili a contenere la diffusione del coronavirus (cfr. par. 12 del Protocollo condiviso tra il Governo e le Parti sociali aggiornato il 24 aprile 2020).

Ma anche qualora il medico autorizzasse tali indagini, il datore di lavoro non può consultare referti ed esiti (salvo i casi previsti dalla legge).  Chiaramente, può invece essere informato sull’idoneità alla mansione del dipendente, ad eventuali prescrizioni o limitazioni richieste dal medico competente.

Il datore di lavoro non può quindi imporre i test sierologici ai lavoratori, ma può sempre informarli sull’esistenza delle campagne di screening regionali alle quali possono decidere di aderire liberamente.

Inoltre, il datore può offrire ai suoi dipendenti la copertura totale o parziale dei costi dei test sierologici presso strutture sanitarie pubbliche e private (“tramite la stipula o l’integrazione di polizze sanitarie ovvero mediante apposite convenzioni con le stesse”). Anche in questo caso non può pretendere di conoscerne l’esito.

L’ISOLAMENTO DA APP IMMUNI

L’app Immuni ha lo scopo di informare celermente gli utenti che sono stati in contatto diretti con infetti.
Quando questa evenienza si realizza, la app invia all’utente una notifica, invitandolo a stare in isolamento per evitare di diffondere il contagio.
A questo punto, l’utente ha l’obbligo di informare il suo datore di lavoro, non può recarsi in azienda e deve attendere che gli venga effettuato il tampone.

Ma c’è un ma.

Nel momento in cui il lavoratore si isola, esattamente, che cos’è?

Infatti, non ha ancora fatto un tampone e quindi non è ufficialmente infetto (tant’è che il medico di base non può emettere un certificato di malattia). Allo stesso modo, non è più un comune lavoratore, poiché è confinato in casa.

Questa posizione indefinita porta a una conseguenza che, sia per il lavoratore che per il datore, è critica in una fase economica difficile come quella che stiamo vivendo ora: molteplici lunghe assenze.

Quanto tempo dovrà aspettare l’isolato prima di poter fare il tampone?
Quando avrà i risultati e saprà se potrà tornare a lavoro?
Questa assenza, che non rientra nella malattia, viene coperta dalle ferie?

Se poi il tampone dovesse risultare positivo, vi sarebbe la quarantena vera e propria?

E se in futuro il lavoratore dovesse ricevere una nuova notifica da parte di Immuni, tutto ricomincerebbe daccapo?

In tali condizioni, fare progetti sul medio e lungo periodo diventa difficile sia per i datori che per i lavoratori. E, sebbene non condivisibile, risulta quantomeno comprensibile la volontà di alcuni di avere un maggiore controllo sui dati sanitari dei propri dipendenti nel tentativo di riprendere le redini, così come risulta altrettanto comprensibile una maggiore disponibilità a rinunciare alla propria privacy nel tentativo di salvaguardare il proprio posto di lavoro.

 

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Deposito privo marca da bollo

Deposito privo marca da bollo? La ricevuta di avvenuta consegna lo perfeziona

Secondo la Cassazione, la RAC, la ricevuta di avvenuta consegna che il sistema genera al momento dell’invio telematico degli atti, è sufficiente a perfezionare un deposito privo di marca da bollo.

PERCHÈ LA RAC PERFEZIONA IL DEPOSITO PRIVO DI MARCA DA BOLLO

L’ordinanza n 9664/2020 della Cassazione si riferisce al ricorso mosso da soggetti ai quali era stato rigettato il deposito proprio a causa dell’assenza della marca da bollo.
Regolarizzato il pagamento, la causa viene iscritta a ruolo ma ormai il termine dei 10 giorni dalla notifica dell’atto di citazione è esaurito e la Corte d’Appello dichiara l’appello improcedibile.

I soggetti ricorrono allora in Cassazione, chiedendo la remissione nei termini convinti che la Corte d’Appello abbia applicato in maniera non conforme l’art.285 del TU sulle spese di giustizia, non riconducibile all’invio telematico dell’iscrizione a ruolo.

La Cassazione accoglie il motivo del ricorso e rinvia alla Corte d’Appello in diversa composizione.

Anche la Corte accoglie il motivo poiché in linea col contenuto di una nota del 4 settembre 2017 con cui il Dipartimento Generale della Giustizia Civile del Ministero della Giustizia spiega che l’irricevibilità degli atti non in regola fiscalmente non è applicabile al deposito telematico dell’atto introduttivo.

Poi, a sostegno che il deposito dell’atto si perfezioni con la RAC, indipendentemente dalla marca da bollo, vi è l’art. 16 bis del DL n. 179/2012 in cui si legge che «Il deposito […] si ha per avvenuto al momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia».


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