Datori di lavoro tra test sierologici ai dipendenti e isolamento da Immuni

Datori di lavoro tra test sierologici ai dipendenti e isolamento da Immuni

Cosa succede se un lavoratore che ha scaricato l’app Immuni riceve la notifica di essere entrato in contatto con un infetto? Quali sono le conseguenze sull’operatività dell’azienda? E il datore di lavoro può imporre i test sierologici ai suoi dipendenti?

TEST SIEROLOGICI SÌ O NO?

Sul proprio sito, il Garante della Privacy ha fornito chiarimenti sulla possibilità, da parte del datore di lavoro, di far eseguire test sierologici ai dipendenti.

I test sierologici si inseriscono nel ventaglio si strumenti a disposizione per la gestione della diffusione di COVID-19, ma la loro esecuzione espone i lavoratori a potenziali rischi in tema di privacy.

L’idea che circola fra alcuni imprenditori è, infatti, quella di imporre ai propri lavoratori l’esecuzione dei test, magari periodicamente, in modo da venire immediatamente a conoscenza di contagi e adottare le misure di sicurezza sanitaria necessarie, sia nei confronti dell’infetto che dei colleghi.

Questo però non è assolutamente possibile.

I test sierologici possono essere disposti solo dal medico di competenza e sempre “nel rispetto delle indicazioni fornite dalle autorità sanitarie, anche in merito all’affidabilità e all’appropriatezza di tali test”.

Solo il medico competente può stabilire se vi siano le condizioni necessarie a richiedere esami clinici e diagnostici utili a contenere la diffusione del coronavirus (cfr. par. 12 del Protocollo condiviso tra il Governo e le Parti sociali aggiornato il 24 aprile 2020).

Ma anche qualora il medico autorizzasse tali indagini, il datore di lavoro non può consultare referti ed esiti (salvo i casi previsti dalla legge).  Chiaramente, può invece essere informato sull’idoneità alla mansione del dipendente, ad eventuali prescrizioni o limitazioni richieste dal medico competente.

Il datore di lavoro non può quindi imporre i test sierologici ai lavoratori, ma può sempre informarli sull’esistenza delle campagne di screening regionali alle quali possono decidere di aderire liberamente.

Inoltre, il datore può offrire ai suoi dipendenti la copertura totale o parziale dei costi dei test sierologici presso strutture sanitarie pubbliche e private (“tramite la stipula o l’integrazione di polizze sanitarie ovvero mediante apposite convenzioni con le stesse”). Anche in questo caso non può pretendere di conoscerne l’esito.

L’ISOLAMENTO DA APP IMMUNI

L’app Immuni ha lo scopo di informare celermente gli utenti che sono stati in contatto diretti con infetti.
Quando questa evenienza si realizza, la app invia all’utente una notifica, invitandolo a stare in isolamento per evitare di diffondere il contagio.
A questo punto, l’utente ha l’obbligo di informare il suo datore di lavoro, non può recarsi in azienda e deve attendere che gli venga effettuato il tampone.

Ma c’è un ma.

Nel momento in cui il lavoratore si isola, esattamente, che cos’è?

Infatti, non ha ancora fatto un tampone e quindi non è ufficialmente infetto (tant’è che il medico di base non può emettere un certificato di malattia). Allo stesso modo, non è più un comune lavoratore, poiché è confinato in casa.

Questa posizione indefinita porta a una conseguenza che, sia per il lavoratore che per il datore, è critica in una fase economica difficile come quella che stiamo vivendo ora: molteplici lunghe assenze.

Quanto tempo dovrà aspettare l’isolato prima di poter fare il tampone?
Quando avrà i risultati e saprà se potrà tornare a lavoro?
Questa assenza, che non rientra nella malattia, viene coperta dalle ferie?

Se poi il tampone dovesse risultare positivo, vi sarebbe la quarantena vera e propria?

E se in futuro il lavoratore dovesse ricevere una nuova notifica da parte di Immuni, tutto ricomincerebbe daccapo?

In tali condizioni, fare progetti sul medio e lungo periodo diventa difficile sia per i datori che per i lavoratori. E, sebbene non condivisibile, risulta quantomeno comprensibile la volontà di alcuni di avere un maggiore controllo sui dati sanitari dei propri dipendenti nel tentativo di riprendere le redini, così come risulta altrettanto comprensibile una maggiore disponibilità a rinunciare alla propria privacy nel tentativo di salvaguardare il proprio posto di lavoro.

 

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