Approvato il Decreto Lavoro: ecco cosa cambierà

Lunedì 1° maggio 2023 si è tenuto un Consiglio dei ministri per approvare un DL riguardante misure collegate al mondo del lavoro, come, per esempio, la riduzione del cuneo fiscale, la definitiva sostituzione del reddito di cittadinanza e l’ampliamento delle possibilità di proroga dei contratti a tempo determinato.

Sono stati illustrati, con un comunicato stampa, i punti fondamentali del DL, già anticipati nei giorni scorsi da varie bozze divulgate alla stampa, grazie alle quali si è sviluppata una discussione molto accesa tra sindacati e governo, vista anche la decisione di approvare il DL proprio nel giorno della festa dei lavoratori.

Domenica sera i rappresentanti del governo hanno incontrato i leader di Cgil, Cisl e Uil, per spiegare le novità contenute nel decreto. Ma le cose non sembrano essere andate proprio benissimo. Per esempio, il segretario della Cgil, Maurizio Landini, ha detto che l’approvazione del DL nel giorno della festa dei lavoratori è stato «un atto di arroganza offensivo».

Taglio del cuneo fiscale

Nel DL, il principale intervento riguarda l’abbassamento del cuneo fiscale per i redditi sino a 35mila euro all’anno. Il decreto incide sul cuneo fiscale con una misura temporanea, che parte dal prossimo luglio e arriva a dicembre.

Per i redditi annui di 25mila euro, il taglio corrisponderà al 4%, aggiungendosi a quello del 3% entrato in vigore dal 2022, corrispondente a 96 euro mensili in più a fine mese. Fino a 35mila euro annui, invece, il taglio corrisponderà sempre al 4%, aggiungendosi a quello precedente del 2%, con una media di 99 euro mensili in più.

In totale, la misura costa 4,1 miliardi di euro. Landini commenta il taglio dicendo che risponde ad una richiesta avanzata dai sindacati, criticando anche le modalità di attuazione in quanto «si tratta di una misura temporanea, non strutturale».

Vengono ampiamente contestate, invece, le altre due principali misure, ovvero la decisione di cancellare il reddito di cittadinanza e la “liberalizzazione” dei contratti a tempo determinato. Per questo, Cgil, Cisl e Uil hanno deciso di manifestare il 6, il 13 e il 20 maggio a Bologna, Milano e Napoli.

Addio al reddito di cittadinanza

Il decreto va a sostituire il reddito di cittadinanza, che dal prossimo 2024 corrisponderà ad un “Assegno di inclusione”, che si rivolge soltanto ai nuclei familiari con persone che hanno più di 60 anni, persone con disabilità o minori.

Per conoscere i dettagli dobbiamo aspettare la pubblicazione in GU, ma basandoci sulle bozze che sono circolate, l’assegno ammonterà al massimo a 500 euro mensili, ai quali possiamo aggiungere un contributo sino a 280 euro se il nucleo familiare risulta essere in affitto.

Verrà erogato per 18 mesi, ai quali seguirà un mese di interruzione e successivamente un rinnovo di 12 mesi. Se nel nucleo familiare è presente una persona “occupabile”, questa dovrà cominciare un percorso di ricerca di lavoro mediante un centro per l’impiego. Rifiutare un’offerta di lavoro che prevede un contratto di un mese comporta la perdita dell’assegno, a meno che non ci siano particolari condizioni, come l’eccessiva distanza dell’impiego dalla propria abitazione.

Il DL incide sui contratti a tempo determinato, cambiando quanto deciso del decreto-dignità del 2018, approvato da M5S e Lega. Tale DL riduceva le possibilità di proroga di questa tipologia di contratti dopo i primi 12 mesi.

Il governo Meloni ha deciso di introdurre nuove causali, aumentando la possibilità di proroga da 12 a 24 mesi. Ciò avverrà «nei casi previsti dai contratti collettivi; per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva, individuate dalle parti, in caso di mancato esercizio da parte della contrattazione collettiva, e in ogni caso entro il termine del 31 dicembre 2021; o per sostituire altri lavoratori».

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Qual è il senso del lavoro, oggi?

Com’è il mondo del lavoro post-pandemico? Persone e organizzazioni si ritrovano a fronteggiare grosse trasformazioni (già in atto), oltre ad una gestione complessa dei problemi strutturali che interessano l’intero mercato del lavoro.

Parliamo di disequilibrio tra domanda e offerta, salari bassi e fuga di cervelli; un numero troppo alto di NEET (Not in Education, Employment or Training: popolazione compresa tra i 15 e i 29 anni che non studia né lavora) e un inverno demografico che azzererà il ricambio generazionale.

Il nuovo senso del lavoro

Se nel passato lo sforzo principale corrispondeva alla ricerca di un lavoro, ora ci si concentra sul dare un senso al lavoro. Ancora oggi, lo svolgimento di una mansione è il punto di contatto tra la realizzazione di sé stessi e il contribuire alla comunità. Ma le aspettative sono cambiate.

Al General Meeting 2023 del Centro di innovazione digitale fondato dal Politecnico di Milano, si è provato a rispondere alla domanda: qual è il senso del lavoro, oggi? L’evento è ritornato in presenza, e il punto principale è stato: che cos’hanno imparato le aziende negli ultimi tre anni? E come si dovranno proiettare, nel futuro, verso la ricerca del nuovo senso del lavoro?

Trattenere i dipendenti, oggi, è molto più complicato rispetto al passato. Sono in molti a lasciare per andarsene altrove. Stiamo parlando del fenomeno delle Grandi Dimissioni, che si traduce in un enorme turnover, dove la maggior parte delle persone decide di approdare in una nuova professione o in una nuova azienda.

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Per le aziende non è semplice creare una solida cultura dell’appartenenza. Secondo il presidente di Adapt, Francesco Seghezzi, le aziende non possono semplicemente «chiedere, chiedere, chiedere senza mai accompagnare». Devono fare decisamente di più.

Continua Seghezzi: «C’è stata un’eccessiva attenzione a valutare le persone unicamente sulle performance e a chiedere tantissimo da questo punto di vista. L’elemento di valutazione sulla base delle performance lascia sullo sfondo le persone e guardando ai dati si traduce in un basso livello di soddisfazione. Allora poi il lavoratore va in un posto dove ha meno questo tipo di pressione o dove c’è un modo di organizzare il lavoro meno basato sulla valutazione».

Per esempio, a parità di salario, un lavoratore potrebbe spostarsi in un settore dove, per lo meno, ha maggior certezza nei tempi e nelle entrate. Ma soprattutto, dove ha la possibilità di gestire meglio la propria vita privata.

Equilibrio, instabilità, compromessi

Quali sono i fattori che generano instabilità nei dipendenti? Secondo Mariano Corso, docente del Politecnico di Milano, c’è «una divaricazione tra l’aspettativa che si genera nei lavoratori di equilibrio, conciliazione, senso e significato e quello che le organizzazioni riescono a offrire».

Dunque, il gap non è soltanto un problema, in quanto opportunità di mettersi in ascolto. «A stare meglio sono i veri smart worker; chi sta peggio sono i falsi smart worker, ovvero coloro che sono rimasti intrappolati in situazioni di compromesso».

Spesso viene concessa flessibilità, ma senza investire su obiettivi, professionalità e stili di leadership. Per poter far evolvere i modelli, anche in tal senso, vuol dire non restare intrappolati in un’epoca che non esiste più.

Crisi demografica e fuga di cervelli

Di certo, la crisi demografica italiana non è un nuovo tema, anche se dovrà crescere la consapevolezza dell’impatto sul mercato del lavoro di questo fenomeno. Per poter invertire la rotta, si dovrà fare un lavoro di interconnessione tra vari problemi esistenti, come ha sottolineato Cristina Tajani del Politecnico di Milano.

Per Tajani, «vi è un consenso unanime sul fatto che siamo tra i paesi europei che hanno visto meno crescita salariale, semmai un decremento nel corso degli ultimi decenni, che dà vita a dispersione di cervelli. C’è difficoltà nel mettere a punto strumenti che consentano il matching tra domanda e offerta, una questione molto nominata ma poco risolta dalle politiche pubbliche. Quando c’è problema di mismatch il tema va affrontato su tutti e due i lati, non è solo un problema del sistema formativo ma anche un’attitudine sbagliata delle imprese a non considerare la formazione come asset strategico».

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Di certo il digitale ha ridisegnato tutti i processi, facendo “divorziare” luoghi di lavoro e attività. Ma in fin dei conti: chi guadagna e chi perde? È una riflessione che si amplifica nel momento in cui si cerca un nuovo senso al significato del lavoro.

Per il fondatore di Base Italia, Marco Bentivogli, «ci stiamo accorgendo che dalla piccolissima alla grandissima impresa sono proprio le risorse chiave che mollano. Tutti i fenomeni sono effetto della non capacità di immaginare e ascoltare: non è vero che le persone hanno meno voglia di lavorare, ma un tempo dilatato ha consentito più domande. Il lavoro ci sarà ma ha bisogno di nuovi pensieri, parole, strutturale, dorsali di innovazioni».

Giudizi errati

Ma che cosa vuol dire riportare la vita nel lavoro? Non parliamo soltanto della stimolazione delle politiche di conciliazione, ma anche della valorizzazione delle competenze, che le persone matureranno anche al di fuori della dimensione professionale.

Lo sostiene anche la fondatrice di Lifeed, Riccarda Zezza: «Ogni ruolo della nostra vita reca con sé cinque competenze soft. Circa il 70% delle competenze soft resta fuori, in quanto solo un terzo dei ruoli è lavorativo. Bisogna allora riportare dentro le competenze facendo una cosa difficile, rompere il bias dell’ancoraggio, ovvero pensare che l’essere umano non cambi», dato che ogni tanto cambia, e ha necessità di ridisegnare il senso del lavoro.

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Facciamo il punto sulla digitalizzazione della PA

Martedì 18 aprile 2023

Come siamo messi a livello di innovazione e digitalizzazione della PA? Vediamo insieme i punti principali del Piano Triennale AgID.

Il passaggio a SERCQ

Il passaggio da PEC a SERCQ avverrà in conformità agli art. 43 e 44 del Regolamento eIDAS, certificando in tal senso l’identità dei mittenti e dei destinatari, oltre a viaggiare in direzione dell’interoperabilità dei servizi europei.

Lo scorso agosto, AGID ha cominciato ad utilizzare le nuove regole tecniche per i servizi di recapito certificato qualificato: si tratta del primo step di un percorso che parte della PEC e porterà alla SERCQ (Servizio Elettronico di Recapito Certificato Qualificato), seguendo le indicazioni che arriveranno con un DPCM.

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Per Giovanni Manca, esperto ICT: «La maggior parte delle modifiche è trasparente all’utente e le dichiarazioni dei maggiori gestori sembrano confermare che le modalità operative e d’uso saranno, per quanto possibile, identiche a quelle della PEC, che poi sono quelle della posta elettronica ordinaria. Le regole comunitarie impongono delle modifiche operative. Il mittente deve essere riconosciuto con certezza e l’accesso al sistema dovrà utilizzare l’autenticazione a doppio fattore. In tal senso alcuni gestori stanno già informando gli utenti e provvedendo ai nuovi meccanismi».

Sportello Digitale Unico

Grazie ad un investimento di 90 milioni di euro, lo Sportello Digitale Unico risponderà alle richieste di maggior mobilità per i cittadini europei. SDG, Single Digital Gateway, offrirà a cittadini e imprese un accesso agevolato ad informazioni e procedure online.

Secondo il Regolamento EU 2018/1724 sul SDG, si intende costruire uno sportello unico digitale europeo, che garantisce l’esercizio dei propri diritti, ma anche quello di fare impresa all’interno dell’UE. Entro il prossimo dicembre, le PA competenti adegueranno i propri procedimenti alle specifiche tecniche di implementazione del SDG.

Inoltre, si prevede anche maggior partecipazione al Your Europe Portal, servizio che guida tutti i cittadini UE ad accedere ai siti più importanti degli stati membri.

Banche dati

Importanti per la gestione dei dati delle PA sono le Banche dati di interesse nazionale, che si concretizzeranno con l’utilizzo e l’implementazione della Piattaforma Digitale Nazionale Dati, la PDND.

Secondo il Codice di Amministrazione Digitale, CAD, saranno le seguenti piattaforme a generare interesse a livello nazionale:

  • RNDT, Repertorio nazionale dei dati territoriali;
  • ANPR, Anagrafe nazionale della popolazione residente;
  • BDNCP, Banca dati nazionale dei contratti pubblici;
  • Casello giudiziale;
  • Registro delle Imprese;
  • Archivi automatizzati per l’immigrazione e l’asilo;
  • ANA, Anagrafe nazionale degli assistiti;
  • Anagrafe delle aziende agricole;
  • ANNCSU, Archivio nazionale dei numeri civici delle strade urbane;
  • Base dati catastale;
  • IPA, Indice delle Pubbliche Amministrazioni;
  • INI-PEC, Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata di professionisti e imprese;
  • ACI, Pubblico registro automobilistico;
  • Anagrafe tributaria;
  • Catalogo dei dati delle PA;
  • Catalogo dei servizi a cittadini e imprese;
  • SINFI, Sistema informativo nazionale federato delle Infrastrutture.

Open ID Connect

OpenID Connect (OIDC), ovvero «lo standard di autenticazione attualmente utilizzato dalla quasi totalità delle moderne applicazioni web e mobile nel mondo privato, caratterizzato da alti livelli di flessibilità e sicurezza, semplicità di implementazione ed efficacia nell’interoperabilità», è in produzione dallo scorso luglio per CIE.

L’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, IPZS, nelle prossime settimane implementerà la OIDC Federation, ed entro Luglio 2023 SPID e CIE effettueranno l’upgrade a OIDC.

Risulterà sufficiente integrare il protocollo OIDC soltanto su un sistema tra SPID e CIE; di fatto, dunque, non sarà necessario erogare un corso di formazione se un ente ha implementato tale protocollo almeno in un’identità.

Indice dei domicili digitali

INAD, l’Indice nazionale dei domicili digitali, è un elenco pubblico che contiene i domicili digitali eletti, destinati alle comunicazioni che hanno valore legale con la Pubblica Amministrazione.

Di INAD si parla ormai da anni. Ci sono già regolamenti e linee guida associati, come le linee guida AGID, che spingono verso la digitalizzazione e gli invii telematici. Tuttavia, resta un dubbio: quando tutto questo sarà realmente disponibile?

Piattaforma Digitale Nazionale Dati

PDND abilita l’interoperabilità dei sistemi informativi di Enti e di Gestori di Servizi Pubblici, spingendo verso il principio del once-only, principio secondo il quale un cittadino debba fornire soltanto una volta le proprie informazioni alle PA.

Chi aderisce alla piattaforma potrà comunicare in maniera semplice, sicura e veloce, senza chiedere ai cittadini informazioni che sono già in possesso da parte di altri enti.

La piattaforma diventerà un hub dei dati della PA e un punto di riferimento per i dati accessibili con profilazione, come l’ISEE, e per gli open data.

Sportello Unico Attività Produttive

È stato attivato un gruppo tecnico per la stesura delle “specifiche tecniche SUAP”, definendo le modalità telematiche per comunicare e trasferire i dati tra i SUAP e gli enti coinvolti.

Anche il PNRR prevede un intervento per la digitalizzazione delle procedure, mettendo a disposizione 324,4 milioni di Euro. Secondo quanto riportato da una relazione del Parlamento: «Sono in avanzato corso di formalizzazione le procedure per la stipula delle convenzioni con i soggetti attuatori. L’analisi as is, avviata nel corso del primo semestre 2022, consentirà di tracciare la distanza tra le piattaforme esistenti e le specifiche tecniche dei SUAP adottate in attuazione del decreto interministeriale 12 novembre 2021».

Concentrarsi sulle procedure SUAP vuol dire aiutare le imprese a concentrarsi sul business, semplificando la burocrazia e migliorando la produttività.

Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale

Secondo il sito, «L’ACN è l’Autorità nazionale per la Cybersicurezza istituita con il D.L. 14 giugno 2021, n. 82, a tutela degli interessi nazionali nel cyberspazio. Garantisce l’implementazione della strategia nazionale di Cybersicurezza adottata dal Presidente del Consiglio, promuove un quadro normativo coerente nel settore, ed esercita funzioni ispettive e sanzionatorie. Sviluppa collaborazioni a livello internazionale con agenzie omologhe. Assicura il coordinamento tra i soggetti pubblici e la realizzazione di azioni pubblico-private volte a garantire la sicurezza e la resilienza cibernetica per lo sviluppo digitale del Paese».

Risulta centrale nella migrazione al cloud della PA, e dal 19 gennaio 2023 subentra ad AgID per quanto riguarda la competenza per i servizi cloud.

Misure Minime di Sicurezza ICT

Un pratico riferimento per la valutazione e il miglioramento del livello della sicurezza informatica delle amministrazioni sulle le misure minime di sicurezza ICT, emanate da AgID. Tali misure consistono in controlli tecnologici, organizzativi e procedurali, utili alle PA per la valutazione della propria sicurezza informatica.

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Crescono i redditi degli avvocati, anche se il 40% guadagna meno di 20mila euro

Venerdì 14 aprile 2023

Il settimo rapporto sull’avvocatura di Cassa Forense fotografa tantissime situazioni, anche contrastanti tra loro. Sembra che gli avvocati comincino a lasciarsi alle spalle il 2020, registrando una crescita per il reddito medio Irpef del 12,2% nel 2021. Si sale, dunque, a 42.386 euro.

Un aumento dell’11% anche nel volume d’affari medio, che tocca quota 62.888 euro. Per Valter Militi, presidente di Cassa Forense, ci troviamo di fronte a «segnali timidi ma incoraggianti». Osserva anche come «le platee che recuperano sono quelle che più hanno sofferto la crisi: e cioè quella femminile e quella dei giovani avvocati, che possono rappresentare una base interessante di ripresa».

Tuttavia, più di 100mila avvocati hanno dichiarato un reddito inferiore a 20mila euro, mentre le donne, nonostante la crescita reddituale superiore di due punti rispetto ai colleghi, continuano a guadagnare la metà.

113mila le avvocate e 126mila gli avvocati. Gli avvocati in attività sono ancora 240.019, con una leggera diminuzione dello -0,7%. Secondo i ricercatori Censis, questa diminuzione è dovuta al calo demografico della popolazione generale.

Infatti, il rapporto tra abitanti e avvocati è lo stesso rispetto al 2021, ovvero, 4,1 ogni 1000 abitanti. Gli iscritti sono preoccupati proprio per il sovraffollamento, dato che la metà degli avvocati intervistati ritiene che l’eccessiva concorrenza sia il principale fattore di rischio per i futuri redditi.

Sono le donne a sentirsi maggiormente in pericolo, tanto che il 39% ha pensato di abbandonare la professione, contro il 36% degli uomini. Effettivamente, 5.873 donne hanno abbandonato, contro  2.825 uomini.

Alla fine, il saldo tra cancellazioni e nuovi iscritti ha provocato 441 avvocati di meno.

Come sarà il futuro dell’avvocatura?

Ma il futuro sembra un po’ meno cupo. Cresce, infatti, la quota di coloro che giudicano la propria condizione migliore rispetto all’ultimo anno, di ben cinque punti. Ciro Maschio, il presidente della commissione Giustizia della Camera, sostiene che si debba «mettere mano alla riforma dell’accesso alla professione per mettere gli avvocati in condizione di competere sul mercato».

Anche il neopresidente del CNF, Francesco Greco, parla di apertura a nuovi mercati, sottolineando come «il 67% del fatturato dei legali proviene ancora dal contenzioso, ma esistono grandi margini fuori da questo ambito. Dobbiamo recuperare il valore della consulenza».

Tuttavia, Greco si dice scettico riguardo l’attuale percorso di specializzazione: «Così com’è il regolamento non serve, non porta valore aggiunto».

Federico Freni, sottosegretario all’Economia, pone l’accento sull’importanza per le Casse dei professionisti, annunciando «un testo cornice in arrivo entro giugno, che lascia più liberi gli investimenti delle Casse, eliminando limiti e tetti percentuali di allocazione del patrimonio».

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Digitalizzazione del lavoro: un algoritmo che sceglie l’annuncio giusto

Neolaureati o studenti che stanno ricercando lavoro, ogni giorno scrollano decine di annunci, senza mai trovare quello più adatto a loro.

Anche se da un po’ di tempo si sono digitalizzati, cambiando pelle, ci sono ancora oggi annunci di lavoro statici, complessi, poco intuitivi, ma soprattutto, poco attrattivi per la Generazione Z (1997/2012). I più giovani, infatti, passano più di 11 ore a settimana, scrollando annunci di lavoro che non rispettano le loro aspettative e che non sono in linea con le loro competenze.

Restano, in ogni caso, gli strumenti principali a cui fanno affidamento neolaureati e studenti, che non approfittano del classico “passaparola” per cercare/trovare lavoro, nonostante sia uno strumento ancora fondamentale, qui in Italia.

Il fenomeno Tutored

Fino a non così tanti anni fa si riempivano pagine e pagine di giornali cartacei con annunci di lavoro. Oggi, gli annunci si trovano quasi esclusivamente sul web, grazie a portali specializzati, siti di agenzie e motori di ricerca.

Quello che non è cambiato, nonostante la digitalizzazione, è la sostanza degli annunci, che resta sempre la stessa. Ma se li leggesse un algoritmo, cambierebbe qualcosa?

Questo è quello che si è chiesto Gabriele Giugliano, creatore di Tutored, startup che ha sviluppato un’app che mette in contatto le aziende con studenti e neolaureati. È nata, in questo modo, una community che conta più di 600mila ragazzi.

Tutored è un punto di riferimento per più di uno studente su quattro, 2mila recruiter e 130 multinazionali, che ogni giorno utilizzano l’app per attrarre i talenti più giovani, soprattutto per quanto riguarda le discipline STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica).

Tutored, comunque, ha deciso di cambiare nome. Si chiamerà Joinrs, e ben presto uscirà dai confini nazionali. Si prevede, infatti, che l’app quest’anno approdi negli States, in Germania, nel Regno Unito, in Francia, in Spagna e in Svizzera, triplicando, dunque, la quota di utenti esteri, passando dal 20% al 60%.

Per riuscire a comprendere al meglio difficoltà e soluzioni per i giovani della Gen Z, Joinrs ha deciso di effettuare una ricerca, grazie alla quale sono state sentite più di 2.600 persone, equamente distribuite tra donne, uomini, studenti e laureati, in diverse aree del Paese.

Un terzo del campione in questione apparteneva all’area STEM, un terzo alle discipline umanistiche ed un terzo a quelle economiche. È emerso che il 79% degli intervistati non erano affatto soddisfatti degli annunci di lavoro.

«Non riesco a capire il ruolo descritto e le mansioni», «ho difficoltà a comprendere se soddisfo i requisiti richiesti», «non trovo le informazioni che più mi interessano»: queste sono alcune delle motivazioni date dagli intervistati.

I giovani che cercano lavoro perdono 11 ore ogni settimana, leggendo annunci che probabilmente non servono a nulla. Ma allora, come uscire da questa situazione? Per Giuliano bisogna sfruttare «l’intelligenza artificiale e un algoritmo in grado di leggere, comprendere e rielaborare in maniera sintetica al posto dell’utente gli annunci di lavoro per aumentarne l’efficacia».

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Se andiamo a vedere quello che cercano i giovani, troveremo, al primo posto, la retribuzione. Lo dice il 60% del campione. Per il 55%, invece, c’è bisogno di maggiori informazioni e dettagli sul lavoro. Il 51% cita i progetti di formazione, mentre il 41% una miglior work-life balance.

Difficoltà e stress sono spesso presenti quando si ricerca un lavoro. Uno dei motivi di stress è non essere ricontattati dagli hr manager e il timore di non possedere i requisiti adatti. L’algoritmo potrebbe aiutare moltissimo, in questo senso.

Sfruttare l’intelligenza artificiale per attrarre giovani talenti

Joinrs ha sviluppato un’intelligenza artificiale inedita, che si basa sulle più recenti tecniche di Deep Learning al fine di leggere, al posto degli utenti, gli annunci di lavoro, ordinandoli a seconda della compatibilità con i requisiti che vengono indicati da chi sta cercando lavoro.

Gli utenti possono infatti indicare i requisiti che deve possedere l’azienda nella quale vorrebbero lavorare. Sono indicazioni di base, come l’ambito lavorativo, il ruolo professionale, ma anche l’attenzione al work-life balance o alla sostenibilità ambientale.

Tutto questo in lingue diverse, dato che Joinrs AI riesce a leggere annunci di lavoro in italiano, in inglese, in spagnolo, in francese, in tedesco e in portoghese. Il sistema comprende, interpreta, sintetizza e spiega alla persona che cerca lavoro perché tale posizione risulta in linea con quello che ricerca.

Invece, dal punto di vista di aziende e datori di lavoro, si può sfruttare la piattaforma per presentarsi ai giovani con linguaggi e standard maggiormente attrattivi per la futura generazione di lavoratori, ottenendo candidature di alta qualità e più in linea con ciò che cercano.

«Innovazione e digitalizzazione sono da sempre i perni attorno ai quali basiamo il nostro operare nel settore», conclude Giugliano. «Proprio su una tecnologia dall’enorme potenziale come l’IA abbiamo costruito la soluzione al problema degli annunci di lavoro: in uno scenario in cui il mercato del lavoro e la recruitment experience si sono evoluti alla velocità della luce, gli annunci, invece, sono rimasti statici da ormai 10 anni. Con Joinrs AI giovani e aziende avranno la possibilità di parlare il medesimo linguaggio».

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Lo smart working aiuta a migliorare la qualità del lavoro?

Work-life-balance: l’equilibrio tra lavoro e vita privata.

Se questo equilibrio era inizialmente focalizzato sugli aspetti quantitativi del lavoro, nel giro di poco tempo ha assunto un senso più ampio, andando ad abbracciare anche gli aspetti qualitativi.

Il cambiamento si è intensificato grazie alla pandemia, che ha velocizzato dei processi che erano già in atto, introducendo delle variabili non ancora così utilizzate, come lo smart working.

Nel giro di pochissimo tempo gran parte della popolazione mondiale ha provato i benefici ma anche i lati negativi dello smart working, come la solitudine e l’invasione del lavoro nella sfera privata, che sembrava non avere più confini e orari.

L’esperienza ha condotto aziende e lavoratori ad interrogarsi sul futuro del mercato del lavoro e dell’organizzazione del lavoro. Sono comparsi i cosiddetti nomadi digitali, le persone che fanno del lavoro da remoto un vero e proprio stile di vita, oltre a nuove modalità di interazione con i colleghi e ad una nuova gestione dei rapporti nelle gerarchie.

Il concetto stesso di leadership è andato in crisi, grazie al cambiamento organizzativo e culturale, inizialmente imposto da situazioni di necessità e ora desiderato dalla gran parte dei lavoratori.

Sostenibilità lavorativa

Ma prima di capire come affrontare questa nuova epoca lavorativa, ci dobbiamo interrogare sul concetto di sostenibilità.

Ancora prima della pandemia, il concetto di equilibrio era giunto nella cultura del lavoro, ma i tempi non erano ancora maturi per trovare il modo adatto per modificare un sistema così radicato nella nostra cultura lavorativa.

Nemmeno la tecnologia sembrava pronta ad affrontare questo salto culturale. Ma il 2020 è sembrato un momento perfetto per questa cominciare questa transizione. Infatti, l’imposizione del lockdown ha creato le condizioni adatte per testare questi cambiamenti.

Cambiamenti inizialmente sofferti, poi inevitabilmente gestiti, accettati e alla fine apprezzati. Lo smart working oggi è desiderato dall’80% dei lavoratori, più attenti alla qualità del lavoro.

Work-life-balance è, innanzitutto, equilibrio quantitativo. Ci riferiamo all’orario, alle pause e agli straordinari. Tutto questo è soggetto ad una specifica normativa, dato che ha, da sempre, rappresentato un punto delicato da regolamentarizzare, al fine di prevenire sfruttamenti e abusi da parte dei datori di lavoro.

La pandemia ha posto l’accento sull’accoppiata vita privata – lavoro. Sembrava che non ci fossero più confini: si lavorava da casa, più di prima, senza orari o giorni liberi, senza relax e senza hobby. Il lavoro aveva invaso lo spazio familiare, in senso fisico ed emotivo.

Ed è così che entra in gioco il diritto alla disconnessione, formalmente normato: parliamo del diritto di spegnere telefoni e computer e di non rispondere continuamente a mail e messaggi. Il concetto di quantità, dunque, ha cominciato ad inglobare anche quello di qualità.

Migliorare la qualità di vita migliora la qualità del lavoro

Oggi, la qualità dipende anche da dove e come viene erogato il lavoro, dalla formula che mette insieme i momenti da remoto e quelli in presenza. Soprattutto per i pendolari e per quelli che hanno vissuto nelle grandi città, avere la possibilità di lavorare, almeno in alcuni momenti, da remoto, potrebbe cambiare la loro qualità di vita, oltre a quella del lavoro.

Evitare di fare code in auto ogni giorno, impiegare il proprio tempo in lunghissimi spostamenti, la difficoltà di trovare parcheggio, prendere i mezzi pubblici: evitare tutto questo significare andare a ridurre i livelli di stress.

A tutto questo possiamo aggiungere anche il risparmio economico, la riduzione dell’inquinamento e del rischio di incidenti, ma anche il guadagno del tempo da dedicare a sé stessi e alla famiglia, oltre al guadagno delle ore di sonno.

Oggi il lavoro è liquido, sia per quanto riguarda le modalità di erogazione, ma anche per quanto concerne i luoghi e i contenuti. «La mia vita comincia alle ore 18» era una classica frase che si sentiva pronunciare in passato, ma che oggi comincia a perdere senso, dato che il lavoro sta diventando parte della vita delle persone e un luogo in cui una persona può crescere e realizzarsi.

Che cosa stanno facendo le aziende

Sono cambiamenti epocali, che promuovono mutamenti nell’organizzazione del lavoro, delle location e dei contenuti. Se un tempo l’organizzazione dei luoghi di lavoro era finalizzata soltanto alla prestazione lavorativa, oggi si comincia a comprendere che il cambiamento culturale del mondo del lavoro necessita di cambiamenti organizzativi, culturali e gestionali da parte della stessa azienda.

Ma quali sono le principali soluzioni che il mondo delle aziende sta adottando per l’innovazione del lavoro?

  1. Riduzione degli orari di lavoro: si prova a ridurre l’orario del lavoro, accorciando la settimana lavorativa. Dunque, si comincia a puntare verso il risultato, e non sulla quantità. Nel nord Europa, sembra che gli esperimenti in materia abbiano dimostrato un aumento di più del 30% della produttività, di fronte alla riduzione dell’orario lavorativo;
  2. Concedere lo smart working: molto richiesto e apprezzato da lavoratori e aziende è il lavoro ibrido. Nelle offerte di lavoro, infatti, comincia ad essere presenta la formula 4+1, 3+2, 2+3. Nel mondo del web e dell’informatica si parla anche di smart working al 100%. Alcune aziende consentono agevolazioni per le lavoratrici madri, situazioni con difficoltà familiare e altre situazioni specifiche;
  3. Riorganizzare le location: le novità organizzative e culturali prevedono anche la ricalibrazione della logistica interna. Molte strutture stanno rivisitando completamente l’organizzazione degli interni, con nuove aree per il relax, sale riunione, mense, ma anche spazi per pensare e isolarsi;
  4. Team building: l’aspetto motivazionale, oggi, è centrale. Persone più motivate e felici, che lavorano in armonia e sinergia, stanno meglio e producono di più. Per questo si sta ricorrendo ad attività di coaching e team building, al fine di creare momenti di coesione e condivisione.

Per concludere, possiamo affermare che lo stesso concetto di lavoro, la sua quantità, la sua qualità e la realizzazione personale sono tutti in fase di ridefinizione, in un’ottica di maggior sostenibilità e di miglior integrazione work-life.

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Un disegno di legge per istituire due Albi Speciali per laureati e praticanti

Nel marzo del 2020, su 470.000 professionisti che hanno deciso di richiedere il bonus da 600 euro, 140.00 erano avvocati. Parliamo di più della metà degli iscritti alla Cassa. Partendo da queste premesse, il senatore di FI Zanettin , con il suo DL 179 intende modificare la legge n.247 del 31 dicembre 2012.

Tale proposta prevede la riforma dell’esame e l’istituzione di due sbocchi professionali intermedi rispetto al conseguimento del titolo di avvocato. In particolar modo, si vorrebbe istituire un albo speciale degli ausiliari, nel quale i laureati in giurisprudenza potranno svolgere un’attività qualificata e retribuita, sotto la supervisione e la guida di un avvocato.

Leggiamo nel DL: «L’iscrizione all’albo speciale degli ausiliari può essere chiesta al consiglio dell’ordine da chi, in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito a seguito di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, ha un rapporto di lavoro subordinato con un soggetto esercente la professione legale, in forma personale, associata o societaria».

Con lo scopo di valorizzare il praticantato, e a condizione che vengano superate le verifiche intermedie, verrà istituito un ulteriore albo speciale dei consulenti legali. Spiega Zanettin: «Si tratta di una figura professionale intermedia fra l’ausiliario e l’avvocato», e per accedervi bisogna avere un rapporto di lavoro subordinato con un soggetto che esercita la professione.

Lo scopo è quello di «tutelare coloro che intendano operare nell’ambito giudiziario come professionisti retribuiti, ma che, valutando anche la situazione del mercato, non intendano avviare un proprio studio legale».

Il testo interviene sull’esame di Stato mediante l’introduzione di una prova preselettiva unica nazionale. Per chi supera tale prova, si prevede l’inizio dell’esame vero e proprio che verrà suddiviso in una prova scritta e una prova orale.

Nella prova selettiva ci saranno cento quesiti a risposta multipla. Per superarla si dovrà conseguire il punteggio minimo che corrisponde a 70 risposte corrette.

Nella prova scritta è prevista la redazione di un atto giudiziario. Il candidato potrà scegliere fra diritto privato, penale e amministrativo. Si svolgerà senza l’ausilio dei codici commentati. La prova orale, invece, oltre all’illustrazione della prova scritta, prevederà cinque diverse materie, tra le quali ne troviamo una di natura procedurale.

Tra le materie obbligatorie, oltre all’ordinamento e alla deontologia forense, troviamo diritto dell’UE, diritto costituzionale e i principi di organizzazione e gestione di uno Studio o Ufficio legale. Dunque, sarà necessario conoscere regolamenti, procedure, codici di condotta, disposizioni di legge, norme sulla riservatezza dei dati personali, di previdenza e antiriciclaggio.

Alla prova orale sono ammessi i candidati che hanno raggiunto un punteggio di 35 punti, con un voto non inferiore a 6 dalla parte di ogni componente della commissione. Saranno giudicati idonei i candidati con punteggio minimo di 150 punti e non inferiore a 30 punti per ogni materia.

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Chatbot per Studi Legali: sì o no?

Nel settembre del 2022, David Wakeling, il responsabile del gruppo di innovazione dei mercati di uno Studio Legale londinese, si è imbattuto in Harvey, uno strumento di intelligenza artificiale generativa interamente dedicato al settore legale.

Lo strumento è stato sviluppato dalla ormai conosciutissima società OpenAI. Alcuni avvocati di questo Studio Legale avrebbero dovuto utilizzare il servizio per riuscire a rispondere a delle semplici domande giuridiche, per redigere documenti e per inviare alcuni messaggi ai clienti.

La sperimentazione, inizialmente limitata, si è allargata nel giro di pochissimo tempo. Infatti, ben 3500 dipendenti dei 43 uffici dell’azienda in questione hanno cominciato ad utilizzare lo strumento, al quale hanno rivolto più di 40mila domande.

L’inizio di un cambiamento di paradigma

Oggi lo Studio Legale ha cominciato una partnership con il servizio, al fine di integrare Harvey in tutta l’azienda. Un avvocato su quattro dello Studio Legale in questione usa lo strumento di Ai ogni giorno, mentre l’80% lo utilizza una volta al mese. Inoltre, l’azienda comunica che ci sono anche altri Studi che cominciano ad utilizzare lo strumento.

La diffusione dell’intelligenza artificiale e l’eventualità che riesca a rivoluzionare il settore legale sono stati annunciati più volte nel passato. Tuttavia, grazie al recente boom degli strumenti di Ai generativa, come ChatGpt, gli avvocati si stanno lasciando andare a queste tecnologie, come Wakeling: «Penso che sia l’inizio di un cambiamento di paradigma: credo che questa tecnologia si adatti molto al settore legale».

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La tecnologia potrebbe essere perfetta per il settore legale, che comincia a fare sempre più affidamento su documenti standardizzati.

Lilian Edwards, docente di diritto, innovazione e società alla Newcastle University spiega: «Applicazioni legali come la creazione di contratti, passaggi di proprietà o licenze in realtà sono un’area relativamente sicura in cui impiegare ChatGpt e i suoi cugini».

Continua: «La generazione automatizzata di documenti legali è un’area in crescita da decenni, perché gli studi legali possono attingere a grandi quantità di modelli altamente standardizzati e banche di precedenti su cui basare la generazione di documenti, rendendo i risultati molto più prevedibili rispetto alla maggior parte dei testi prodotti liberamente».

Ma i problemi relativi alle creazioni dell’Ai generativa cominciano già a farsi sentire. In primo luogo, si è notato come questi strumenti si inventino delle cose di sana pianta. È un aspetto che rappresenta un problema non indifferente in ambito di ricerche online; in campo giuridico, invece, potrebbe determinare la differenza tra il successo e il fallimento, comportando anche una notevole perdita economica.

Gabriel Pereyra, fondatore e CEO di Harvey, ha dichiarato che l’intelligenza artificiale mette a disposizione una serie di sistemi capaci di rilevare e prevenire queste “allucinazioni”. «I nostri sistemi sono stati messi a punto per i casi d’uso legali su enormi insieme di dati legali, il che riduce notevolmente le allucinazioni rispetto ai sistemi esistenti».

Supervisione dei risultati

In ogni caso, Harvey è incappato in alcuni errori, e lo Studio Legale è dovuto ricorrere ad un programma di gestione del rischio collegato alla tecnologia. Commenta Wakeling: «Dobbiamo fornire servizi professionali del livello più alto. Non possiamo permettere che delle allucinazioni contaminino le consulenze legali».

Gli avvocati che utilizzano Harvey si ritrovano davanti ad un elenco di regole per utilizzare correttamente lo strumento. Quella più importante è la supervisione dei risultati. «Bisogna convalidare tutto ciò che esce dal sistema. Va controllato tutto».

Wakeling dice di essere rimasto molto colpito dalle abilità che Harvey ha manifestato in campo di traduzione. Il sistema, infatti, sembra cavarsela bene anche in materia di diritto tradizionale. Nonostante ciò, sembrerebbe avere delle difficoltà quando si deve occupare di nicchie specifiche, ed è qui che manifesta la maggior parte delle allucinazioni.

Ottimismo moderato

Alcuni avvocati hanno parlato con Wired US e hanno dichiarato di essere cautamente ottimisti per quanto riguarda l’integrazione dell’Ai all’interno della loro professione. Per esempio, l’avvocato Sian Ashton sostiene che: «E’ sicuramente una cosa molto interessante, senza dubbio indicativa delle fantastiche innovazioni che stanno avvenendo all’interno del settore legale».

Tuttavia, continua l’avvocato, «si tratta di uno strumento ancora agli albori, e mi chiedo se faccia molto di più che fornire documenti già disponibili in azienda o tramite servizi di abbonamento».

Per Daniel Sereduick, invece, un avvocato di Parigi specializzato nella protezione dei dati personali, l’intelligenza artificiale generativa continuerà ad essere utilizzata soltanto per il lavoro di base. «La stesura di documenti legali può essere un’attività ad alta intensità che l’Ai sembra essere in grado di affrontare abbastanza bene. I contratti, le polizze e gli altri documenti legali tendono ad essere normativi, quindi le capacità dell’Ai di raccogliere e sintetizzare le informazioni possono fare gran parte del lavoro».

Ma i risultati che produce una piattaforma di Ai dovranno essere attentamente esaminati: «Parte dell’esercizio della professione legale consiste nel comprendere le circostanze particolari del cliente, quindi raramente i risultati saranno ottimali».

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Sereduick dice anche che, se da un lato i risultati dell’Ai dovranno venire monitorati con attenzione, gli input potrebbero risultare altrettanto impegnativi in termini di gestione. «I dati inviati ad un’Ai possono diventare parte del modello dei dati e/o dei dati di addestramento, e ciò violerebbe molto probabilmente gli obblighi di riservatezza nei confronti dei clienti e i diritti di protezione dei dati e della privacy delle persone».

Questo problema è particolarmente sentito in Europa, nel quale l’utilizzo di questa tipologia di Ai potrebbe anche violare i principi del Gdpr, il regolamento che disciplina la quantità dei dati delle persone che le aziende possono raccogliere ed elaborare.

È probabile che all’interno del quadro del Gdpr gli Studi Legali necessitino di una base giuridica solida, al fine di inserire i dati personali dei clienti all’interno di uno strumento di Ai generativa come Harvey, ma anche di contratti che vadano a disciplinare il trattamento di questi dati da parte dei gestori degli strumenti di Ai.

In Europa, l’Ai Act tenta di regolamentare rigorosamente l’utilizzo dell’intelligenza artificiale. In Italia, per esempio, all’inizio di febbraio, il Garante è intervenuto al fine di impedire ad un chatbot, Replika, l’utilizzo dei dati personali degli utenti.

Secondo Wakeling l’intelligenza artificiale, nel suo Studio «farà davvero la differenza in termini di produttività ed efficienza». Piccoli compiti, che di solito rubano minuti preziosi nella giornata dell’avvocato, infatti, potrebbero essere affidati all’Ai.

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Gli attacchi informatici e i danni sulla salute delle persone

Cosa stanno facendo le aziende per garantire la parità di genere?

Che cosa si intende con gender gap?

Spesso utilizzata in maniera inappropriata, l’espressione gender gap definisce la disparità di genere e il divario lavorativo, economico e politico che esiste tutt’ora tra il genere femminile e quello maschile, ma anche ad altre differenze di genere non attribuibili soltanto al classico binomio donna/uomo.

Ancora oggi, in Italia e nel resto del mondo, ci sono pregiudizi che entrambi i generi (ma soprattutto quello femminile) sono tenuti a sopportare, con le conseguenti differenze, talvolta abissali, per quanto riguarda le opportunità lavorative, oltre a quelle relative al divario retributivo, alla parità di ruoli e alle ore lavorate.

Gender Gap vs Gender Equality

Se gender gap indica le differenze tra i generi, l’espressione gender equality, invece, sottolinea il concetto di uguaglianza tra il mondo femminile e quello maschile.

Queste tematiche, negli ultimi anni, hanno assunto rilevanza a livello politico, sociale e nel mondo del business. La motivazione iniziale era collegata al rispetto della dignità dell’essere umano, in generale, senza far distinzione di alcun tipo e genere.

Tuttavia, un po’ alla volta, il tema ha cominciato a diventare sempre più di interesse pubblico, diventando un caposaldo attorno al quale costruire una società e un mondo del lavoro più sano. Sostanzialmente, la differenza di genere non deve essere una fonte di divario, ma di complementarietà, forza e opportunità.

Anche il World Economic Forum, l’appuntamento economico-sociale più importante dell’anno, si è dotato di un Global Gender Gap Index. Parliamo di uno studio completo con l’elaborazione di un rapporto finale, che viene pubblicato tutti gli anni e che riporta i dati del divario di genere.

Vengono considerati i seguenti indici: situazione economica e opportunità lavorative, salute e sopravvivenza, istruzione, ed infine, partecipazione alla vita politica

Lo studio valuta, secondo una scala che va da 0 a 100, l’attuale divario di genere e la sua evoluzione nel corso del tempo. Nell’ultimo rapporto, quello del 2022, riporta che a livello mondiale il divario di genere è stato colmato per una percentuale corrispondente al 68%.

Tuttavia, il trend dimostra anche che per un’effettiva gender equality ci vorranno almeno altri 132 anni.

Nessun Paese in tutto il mondo è riuscito a raggiungere al 100% la parità di genere. In generale, l’Islanda si piazza al primo posto tra i paesi in cui il divario risulta meno accentuato, con un 91% di parità di genere. L’Italia, ahimè, non si piazza bene né nella classifica mondiale, dato che si trova al 63esimo posto, e nemmeno nella classifica UE (14esimo posto).

Divario retributivo

Per quanto riguarda il divario retributivo tra il genere femminile e quello maschile, l’indice fa riferimento allo stipendio lordo medio, a parità di funzioni e ruoli lavorativi.

Secondo gli ultimi dati, in Italia questo divario si attesta intorno al 13%, con una media europea del 16,3%. Sono dati che vanno letti e interpretati all’interno di considerazioni più ampie, e non alla lettera.

Il problema, infatti, non è soltanto la differenza retributiva a parità del proprio ruolo sul lavoro, ma anche che alcune posizioni ai vertici sono riservate quasi esclusivamente agli uomini. Inoltre, la percentuale di donne disoccupate continua ad essere maggiore rispetto a quella maschile.

Considerando anche questi altri fattori, possiamo osservare che il gap cresce ancora di più, arrivando al 44% in Italia, su una media europea del 40%. È opportuno considerare anche che la pandemia sembra aver amplificato tale divario.

Quali sono le cause del gender gap?

L’Italia, nonostante sia uno dei Paesi maggiormente industrializzati in tutto il mondo, ha molteplici cause che possono essere ricondotte a questo divario, come, per esempio:

  • un numero minore di donne che lavorano in ambito technology, che attualmente è tra i campi maggiormente in crescita nel mercato;
  • sospensione o interruzione di carriera a causa della maternità;
  • sospensione o interruzione di carriera a causa di ruoli di assistenza a familiari in difficoltà (caregiver);
  • dimissioni volontarie per conciliare meglio vita lavorativa e privata;
  • pregiudizi durante le fasi di selezione, soprattutto verso le lavoratrici più giovani.

Tutte queste cause limitano l’accesso alle posizioni di vertice alle donne, portandole anche a non partecipare continuativamente alla vita aziendale, con più contratti part-time e congedi parentali. Inoltre, alimentano i pregiudizi (anche personali) sulla propria carriera che le spingono a rinunciare volontariamente al loro posto di lavoro.

Cosa possono fare le aziende in 10 punti

Ogni azienda adotta le politiche più appropriate al proprio stile e al proprio valore e in linea con le proprie necessità organizzative. Ma sono le persone fisiche come HR manager, CEO e Direttori Generali, tuttavia, che fanno la differenza in base alla propria sensibilità sull’argomento.

Ma quali sono le azioni effettive che un’azienda dovrebbe adottare al fine di ridurre il più possibile o eliminare completamente la gender gap?

  1. Politiche di sostegno alla maternità, partendo dallo smart working sino ad arrivare al bonus asilo o all’implementazione di asili interni;
  2. Personalizzazione dei percorsi di carriera, che tengano presente delle esigenze delle lavoratrici-madri;
  3. Maggior sostegno alla leadership femminile, assicurando anche posizioni di vertice a figure femminili che sono state formate adeguatamente;
  4. Parità a livello retributivo, basandosi su criteri meritocratici condivisi e trasparenti;
  5. Gestione meritocratica dei colloqui in fase di selezione;
  6. Gestire la privacy interna in modo tale che le varie informazioni possano diventare fonte indiretta o diretta della disparità di genere;
  7. Coinvolgere attivamente le persone nei progetti, senza alcuna preclusione a livello di genere;
  8. Azioni concrete che garantiscono a tutti, donne incluse, benessere lavorativo;
  9. Dare un buon esempio da parte delle persone che occupano posizioni al vertice;
  10. Sensibilizzare e diffondere a qualsiasi livello la cultura della gender equality.

Tutto questo porta a maggiori e migliori performance, maggior produttività, innovazione e flessibilità, favorendo anche un miglior clima aziendale che porta, inevitabilmente, al benessere per i singoli ma anche per l’azienda in generale.

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L’Italia, il paese delle (finte) partite IVA

In Italia, ci sono più lavoratori autonomi rispetto ai dipendenti: parliamo del 21,8% dei lavoratori, mentre in Europa corrisponderebbero al 14,5%. Si pensi che in Francia la media scende al 12,6% e in Germania addirittura all’8,8%.

Nel nostro Paese i lavoratori autonomi sono per il 24% uomini; le donne, invece, sarebbero soltanto il 15% delle partite IVA. In generale, è interessante osservare come la maggior incidenza delle partite IVA riguarda le persone scarsamente qualificate e quelle altamente qualificate. Infatti, da un lato abbiamo avvocati e architetti, mentre dall’altro professioni che non hanno bisogno di particolari titoli di studio.

Il problema principale, tuttavia, è quelle delle finte partite IVA. Ci sono lavoratori autonomi, infatti, che hanno orari da dipendente e lavorano in studio o azienda, ma non hanno accesso ai benefici del lavoro dipendente.

Il fenomeno si riscontra molto, per esempio, tra gli architetti. Esiste una pagina Instagram, il Riordine degli Architetti, che riporta le difficoltà che incontrano gli architetti per riuscire ad entrare negli studi come lavoratori dipendenti, e che proprio per questo non possono far altro che optare per l’apertura della partita IVA.

Questo non riguarda soltanto i piccoli studi di provincia, ma anche quelli più rinomati, che sulla carta presentano pochi dipendenti, anche se nelle presentazioni online vantano tantissimi collaboratori.

Dipendenti ma con partita IVA

Ma non è la partita IVA in sé ad essere un problema. Infatti, troviamo tantissimi lavoratori autonomi capaci di avere successo, sia dal punto di vista economico quanto da quello professionale.

Sono le false partite IVA a inglobare tutti gli aspetti peggiori dei due mondi. Da un lato, infatti, troviamo le remunerazioni basse e la mancanza di autonomia per i dipendenti. Dall’altra, ci scontriamo con l’assenza di tutele.

Gli autonomi, contrariamente ai dipendenti, con i clienti hanno un approccio a portfolio. Spesso, chi vuole diventare autonomo fatica a costruire questa rete di contatti. Il sistema quindi diviene estremamente competitivo, talvolta senza vie d’uscita, causando ansia, stress e in generale un peggioramento della salute mentale.

Nonostante i problemi, la partita IVA continua a godere di discreta popolarità, soprattutto tra i più giovani.

Secondo un recente sondaggio svolto sui neodiplomati, la maggior parte dei giovani punta ad un lavoro autonomo, oppure ad un’esperienza imprenditoriale. Soltanto il 25% dei neodiplomati punta ad un lavoro dipendente.

Da una parte è certamente apprezzabile che i giovani vogliano intraprendere una carriera da lavoratore autonomo; tuttavia, al tempo stesso, ci dobbiamo chiedere se il trend sia figlio di una determinata narrazione oppure di una valutazione oggettiva del mondo del lavoro in Italia.

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Attenzione ai malware via PEC

Servicematica

Nel corso degli anni SM - Servicematica ha ottenuto le certificazioni ISO 9001:2015 e ISO 27001:2013.
Inoltre è anche Responsabile della protezione dei dati (RDP - DPO) secondo l'art. 37 del Regolamento (UE) 2016/679. SM - Servicematica offre la conservazione digitale con certificazione AGID (Agenzia per l'Italia Digitale).

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