D.L. n. 28 del 30 aprile 2020: le novità per il processo civile

D.L. n. 28 del 30 aprile 2020: mediazione obbligatoria e altre novità per il processo civile

Lo scorso 25 giugno è stata approvata in via definitiva la conversione in legge con modifiche del Decreto Legge 30 aprile 2020, n. 28Misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l’introduzione del sistema di allerta Covid-19”.

I decreto tocca diversi temi: il tracciamento dei dati tramite la App Immuni, la detenzione domiciliare, il rinvio della riforma delle intercettazioni, l’uso dei droni da parte della Polizia penitenziaria, ma anche alcuni elementi del processo civile.

LE PRINCIPALI NOVITÀ PER IL PROCESSO CIVILE

Le udienze da remoto

Le udienze da remoto si devono svolgere con la presenza del giudice nell’ufficio giudiziario e tramite modalità che salvaguardino il contraddittorio e la partecipazione delle parti.
Le modifiche al D.L. specificano che “il luogo posto nell’ufficio giudiziario da cui il magistrato si collega con gli avvocati, le parti ed il personale addetto è considerato aula d’udienza a tutti gli effetti di legge”.

Il deposito telematico degli atti

Il D.L. modificato stabilisce che, dal 9 marzo al 31 luglio 2020, nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione dinanzi al tribunale e alla corte di appello, il deposito degli atti del magistrato sia effettuato esclusivamente in via telematica.
È possibile il deposito non telematico solo se i sistemi informatici della giustizia non fossero operativi.

La mediazione

Dal 9 marzo al 31 luglio 2020, gli incontri di mediazione possano essere svolti telematicamente se tutte le parti sono concordi.
Terminato questo periodo, si potrà continuare con lo svolgimento telematico, sempre che vi sia il consenso delle parti.

L’avvocato firma digitalmente e dichiara autografa la sottoscrizione del proprio cliente apposta in calce al verbale e all’accordo di conciliazione.
L’esecutività dell’accordo è data dalla sottoscrizione con firma digitale del verbale del procedimento telematico apposta dal mediatore e dagli avvocati.

La novità della conversione in legge prevede che il mediatore, una volta firmato digitalmente l’accordo, possa inviarlo agli avvocati delle parti tramite PEC.  In questi casi, l’istanza di notifica dell’accordo può essere trasmessa all’ufficiale giudiziario via PEC. Sarà compito dell’ufficiale giudiziario scaricare dal messaggio di posta PEC le copie analogiche per eseguire la notificazione ai sensi degli artt. 137 e ss. c.p.c.

Controversie contrattuali causate dall’emergenza COVID-19

Il D.L. n. 6/2020 (art. 6-bis) ha stabilito che l’impatto delle misure di contenimento del contagio da COVID-19 possa valere come motivo per l’eventuale sollievo della responsabilità del debitore (ex artt. 1218 e 1223 c.c.), esteso anche alle eventuali penali in caso di ritardati o omessi adempimenti.
Il D.L. n. 28/20 dispone che la mediazione sia obbligatoria per le controversie in materia di inadempimento contrattuale che ricadono nelle fattispecie indicata sopra.

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Regolamento CNF n.6/2014

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Con la delibera n.228 del 18 giugno, il CNF ha apportato una modifica al “Regolamento per la formazione continua (Regolamento CNF n.6/2014).

La modifica consiste nell’aggiunta dell’art. 22-bis sull’“equipollenza dei corsi di formazione professionale ai fini dell’iscrizione nel registro degli organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento, ai sensi dell’articolo 4, comma 6, del Decreto del Ministro della Giustizia 24 settembre 2014, n. 202”.

CONTENUTI DEL NUOVO ARTICOLO SULLA FORMAZIONE PER AVVOCATI

L’art. 22-bis spiega che la frequenza e il superamento dei corsi di formazione indicati nel Regolamento sono i requisiti necessari per l’iscrizione al registro degli organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento (D.M.G. n.202 del 24 settembre 2014) a patto che i corsi rispettino i seguenti requisiti:

  • siano organizzati da uno dei soggetti indicati negli artt. 8 (CNF), 9 (COA) e 10 (altri soggetti, pubblici o privati) del Regolamento;
  • siano stati accreditati ai sensi delle disposizioni indicate nel Regolamento;
  • abbiano una durata minima di 40 ore e trattino almeno le seguenti discipline: diritto civile e commerciale, diritto fallimentare e dell’esecuzione civile, diritto tributario e previdenziale, economia aziendale.

Qualora i corsi fossero organizzati da uno dei soggetti di cui agli artt. 9 e 10, l’istanza per ottenere la dichiarazione di equipollenza deve essere inviata via PEC al CNF, il quale valuterà entro 90 giorni dalla ricezione, con provvedimento motivato.

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Perfezionamento delle notifiche la cui ricevuta di accettazione sia generata dopo le 21

La Cassazione torna a esprimersi sul perfezionamento della notifica eseguita con modalità telematiche, la cui ricevuta di accettazione venga generata dopo le ore 21 ma entro le ore 24.

IL CASO

Un cittadino nigeriano ricorre in appello dopo essersi visto rifiutate la protezione internazionale.
La Corte d’Appello di Bologna dichiara il ricorso inammissibile poiché notificato in via telematica (ex art. 16 comma 3 d.l. n. 179 del 2012) oltre le 21 dell’ultimo giorno utile e quindi perfezionato tardivamente il giorno successivo.

Il cittadino ricorre in Cassazione, sostenendo la violazione o falsa applicazione degli artt. 147 c.p.c. e 16-septies, d.l. n. 179/2012, in relazione agli artt. 3, 24, 111 della Costituzione.

L’idea è che:
– la Corte di Bologna non abbia interpretato la normativa in materia secondo una visione costituzionale,
– al ricorrente non sia stato quindi riconosciuto il diritto di sfruttare completamente, fino alle 24, l’ultimo giorno utile per la notifica,
– non sia stato considerando il limite orario delle 21 come un semplice elemento di tutela del riposo del destinatario della notifica, ma come un limite al mittente.

IL PERFEZIONAMENTO DELLE NOTIFICHE PER IL DESTINATARIO E IL MITTENTE

La Cassazione accetta il ricorso e con l’ordinanza n. 12052 del 22 giugno 2020 spiega che:

1) è incostituzionale la parte dell’art. 16-septies del D.L. n. 179 del 2012 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 114 del 2014) in cui è indicato che la notifica eseguita telematicamente e la cui ricevuta di accettazione venga generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24 è perfezionata per il notificante alle ore 7 del giorno successivo, anziché al momento della generazione della ricevuta;

2) il limite delle ore 21 va a tutelare il riposto del destinatario, il quale, altrimenti, sarebbe costretto a controllare con costanza la propria casella mail anche in orario notturno, pertanto, è giustificabile che il perfezionamento della notifica sia differito alle 7 del giorno successivo;

3) Ciò però non significa che la stessa limitazione temporale ricada anche sul mittente, al quale verrebbe così impedito di sfruttare tutto il tempo a disposizione  fino alle 24.

 

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Flessibilità oraria e digitalizzazione: la ricetta del Ministero della Giustizia

Flessibilità oraria e digitalizzazione: la ricetta del Ministero della Giustizia

Nella circolare del 12 giugno, il Ministero della Giustizia fornisce indicazioni utili per individuare misure organizzative che consentano la ripresa delle attività amministrative e giudiziarie nonostante il persistere dei limiti imposti dall’emergenza sanitaria.

Di particolare interesse sono gli articoli 3 “Misure organizzative del personale: flessibilità oraria e qualità dei servizi – dal lavoro agile emergenziale al lavoro agile di qualità” e 4 “Misure in tema di digitalizzazione del processo e dei procedimenti amministrativi di competenza degli uffici giudiziari”.

ART. 3 “MISURE ORGANIZZATIVE DEL PERSONALE: FLESSIBILITÀ ORARIA E QUALITÀ DEI SERVIZI – DAL LAVORO AGILE EMERGENZIALE AL LAVORO AGILE DI QUALITÀ”

L’art. 3 sottolinea come il lavoro agile sia stata la modalità ordinaria con cui è stato portato avanti il lavoro del personale amministrativo durante la prima fase dell’emergenza.
Il Ministero dichiara che il passaggio a questa modalità inedita è stato ben accettato, con il 77% del personale degli uffici convertito al lavoro agile.

Questo piccolo successo non deve essere accantonato ma, anzi, sfruttato e migliorato.

In particolare, la circolare invita gli uffici a considerare tutte le altre opzioni contrattuali disponibili e finora poco utilizzati nel settore giudiziario:

  • flessibilità oraria,
  • turnazioni e orario pomeridiano,
  • – orario multiperiodale,
  • rotazione dei servizi di cancelleria,
  • co-working (il lavoro da remoto svolto in un ufficio diverso da quello dove ha sede il servizio).

Il lavoro in presenza non viene affatto lasciato da parte e, anzi, rimane la priorità, ma la ricetta per la ripresa prevede anche il lavoro in remoto e la flessibilità oraria.
Quest’ultima permette una più ampia apertura degli sportelli, in modo da stemperare la presenza degli utenti ed evitare assembramenti.

ALL’ART. 4 “MISURE IN TEMA DI DIGITALIZZAZIONE DEL PROCESSO E DEI PROCEDIMENTI AMMINISTRATIVI DI COMPETENZA DEGLI UFFICI GIUDIZIARI”

Per realizzare quanto detto qui sopra è necessario avere il giusto assetto tecnologico. L’art.4 parla proprio di tecnologia, offrendo ulteriori spunti sull’organizzazione del lavoro.

Innanzi tutto, viene ripreso l’art. 83 del D.l. 18/2020, le cui innovazioni rimarranno in vigore fino al 31 luglio. Tra queste figurano:

  • – l’introduzione delle notificazioni nel processo penale (sistemi SNT e PECTIAP-document@)
  • – la remotizzazione delle udienze e delle attività di indagine,
  • – il deposito obbligatorio degli atti introduttivi nel PCT,
  • – il pagamento telematico obbligatorio del contributi unificato per il deposito degli atti nel PCT,
  • – l’avvio del deposito telematico nel processo penale con valore legale per gli atti di cui all’art. 415 bis cpp a partire dal 25 giugno,
  • – l’inoltro tramite portale NDR delle notizie di reato e dei seguiti per la polizia giudiziaria,
  • – l’avvio del PCT in Cassazione.

Poi, la circolare si concentra sull’acquisto di pc portatili da distribuire al personale amministrativo e alla magistratura dopo valutazione.

Al momento, il Ministero dichiara che ci sono:

  • circa 9.000 utenti abilitati sugli applicativi da remoto di tipo amministrativo,
  • circa 26.000 utenti della piattaforma di e-learning,
  • circa 45.000 utenti abilitati all’utilizzo di Teams per le videoconferenze e le udienze da remoto.

Nonostante i numeri appaiano positivi, l’utilizzo giornaliero di questi strumenti è, in proporzione, scarso, ad eccezione della piattaforma di e-learning.

Il Ministero si prefigge di distribuire i pc portatili nei singoli uffici valutando la tipologia di dipendente al quale consegnarli, ma anche l’effettivo utilizzo dei software per la remotizzazione. Tutto ciò, in accordo con un piano di smart working basato sulla qualità dei risultati.

Il Ministero invita i capi degli uffici e i dirigenti amministrativi:

  • – a spingere l’adozione degli strumenti informatici,
  • – a monitorare l’utilizzo di questi da parte del personale abilitato,
  • – ad organizzare l’accesso dell’utenza ai servizi tramite tecnologie di uso comune, anche istituendo protocolli in collaborazione con le istituzioni territoriali interessate (i consigli dell’ordine degli avvocati e altre professioni).

Qui il link per leggere l’intero contenuto della circolare.

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Articolo 83 D.L. 18/2020 – Disposizioni In Materia Di Giustizia Civile E Penale

 

Assistenti digitali e rischio privacy

Assistenti digitali e rischio privacy

Provate a ripensare a come avete trascorso le settimane di lockdown? Probabilmente avrete passato, per lavoro o per svago, molto più tempo del solito al computer o con lo smartphone (o tablet) in mano.

Senza tecnologia la quarantena sarebbe stata indubbiamente più difficile, ma tutta questa tecnologia che non ci abbandona mai ci mette anche in contatto, spesso inconsapevolmente, con quelli che vengono definiti ‘assistenti digitali’.

Erroneamente, molti do noi pensano che gli assistenti digitali siano solo dispositivi come Alexa di Amazon o Google Echo/Google Home. Non è affatto così.

Questa mancanza di consapevolezza ci espone a dei rischi poiché ci rende incapaci di tutelare a dovere la privacy dei nostri dati e delle nostre informazioni personali.

ASSISTENTI DIGITALI: “CHI” SONO

Gli assistenti digitali sono tutti quei software ai quali possiamo avanzare delle richieste vocali.

Questa dimensione orale porta gli utenti a confondere gli ‘assistenti vocali’ con gli ‘assistenti digitale’.

I primi sono dispositivi che si connettono alla rete wi-fi di un luogo e, grazie al loro sistema di intelligenza artificiale, sono in grado di elaborare il linguaggio umano e rispondere alle nostre domande (fare ricerche su internet, accendere o spegnere luci o elettrodomestici, interagire con un calendario digitale, ecc.).

I secondi sono il software vero e proprio.

Come potete immaginare, gli assistenti digitali non si trovano solo dentro smart speaker come Alexa, ma anche dentro i nostri computer o smartphone, nelle auto, negli smartwatch e altrove.
Siri di Apple e Cortana di Microsoft sono altri due esempi molto chiari.

PASSIVE LISTENING E RISCHIO PRIVACY

Gli assistenti possono semplificarci la vita e, con grande probabilità, saranno una presenza costante nel nostro futuro.

Secondo una ricerca di mercato svolta dalla società Capgemini, entro il 2021 il 40% dei consumatori europei e statunitensi svolgerà le proprie ricerche su internet tramite un assistente vocale e non più via app o siti web.

Tutto bene, dunque?
Non proprio.

Vanno notate alcuni elementi:

1) Nella maggioranza dei casi gli assistenti digitali e i dispositivi in cui sono inseriti sono prodotti da aziende extraeuropee, dove le leggi sul trattamento dei dati personali differiscono rispetto a quelle in vigore all’interno dell’UE.

2) Anche quando l’assistente digitale è in passive listening – diciamo, in pausa – è sempre in grado non solo di “ascoltare” tramite i suoi microfoni e di vedere tramite webcam ciò che diciamo e facciamo, ma anche di dialogare con altri nostri dispositivi, aumentando la mole di dati raccolti. E i dati che raccoglie non riguardano solo noi, i proprietari, ma anche tutti i soggetti che si trovano nello stesso ambiente (la nostra casa, l’ufficio, l’auto, ecc.).

Tra le informazioni che vengono raccolte figurano:

  • – caratteristiche biometriche (voce e volto);
  • – geolocalizzazione (posizione attuale, percorsi abituali o frequenti, domicilio, luogo di lavoro, ecc.);
  • – dati anagrafici;
  • – stati emotivi;
  • – abitudini, stili di vita, preferenze, ecc.

Per darvi un’idea della potenza del passive listening, nel 2019 il software Amazon Alexa è stato “chiamato” a testimoniare in un processo per omicidio poiché potrebbe aver registrato quanto è successo nel momento in cui il delitto si è compiuto.

La conclusione è che più le persone si affideranno agli assistenti vocali e maggiore sarà la mole di dati che questi potranno raccogliere e trasmettere a soggetti con sedi in paesi extra UE. 

COME PROTEGGERSI

Ecco alcuni consigli.

1) Leggere l’informativa sul trattamento dei dati personali.
Deve sempre essere disponibile sul sito dell’azienda che offre il servizio o all’interno della  confezione del dispositivo in cui è installato il software
In particolare, è bene capire:

  • quali e quante informazioni vengono acquisite direttamente dall’assistente digitale,
  • come vengono utilizzati i dati,
  • – se i dati vengono trasferiti a terzi e con quali finalità,
  • chi riceve i dati e come li riceve,
  • – sono possibili accessi “in diretta” tramite microfono o videocamera da parte di addetti della società produttrice o società che gestisce i servizi connessi,
  • dove vengono conservati i dati e per quanto tempo.

2) Al momento della prima attivazione del dispositivo fornire solo le informazioni strettamente necessarie alla registrazione e all’attivazione dei servizi.
Considerare l’uso di pseudonimi e impostare password o impronte vocali che limitino l’uso da parte dei minori. Ecco il link a un articolo che ti spiega come creare password sicure e facili da ricordare

3) Non usare l’assistente digitale per memorizzare informazioni delicate come password, numeri di carte di credito, informazioni sulla salute, ecc.

4) Controllare l’accesso dell’assistenze digitale ai dati presenti nel dispositivo su cui è installato (galleria fotografica, rubrica dei contatti, calendario, ecc.)

5) Se possibile, scegliere la parola di attivazione evitando termini di uso frequente, nomi di persone care o animali, nomi di oggetti di uso quotidiano.
Più comune è la parola di attivazione è più probabili diventano le attivazioni involontarie.

6) Disattivare le funzioni non necessarie.
Ma anche impostare delle password per quelle più delicate, come la condivisione sui social.

7) Per evitare ogni possibile acquisizione e trasmissione di dati quando il dispositivo non è in uso:

  • – disattivare microfono e videocamera,
  • – spegnere o disattivare del tutto l’assistente digitale.

8) Cancellare periodicamente la cronologia delle informazioni raccolte.
Nel caso di assistenti vocali, è possibile farlo tramite il sito web o l’app di gestione; nel caso di smartphone o altri dispositivi, tramite le impostazioni dello stesso.

9) Nel caso in cui il dispositivo o l’assistente vocale venisse venduto, regalato o dismesso, ricordarsi di disattivare tutti gli account personali e di cancellare tutti i dati personali al suo interno o nella app di gestione.

Anche il Garante della Privacy ha pubblicato il suo decalogo per un uso degli assiste digitali a prova di privacy.

Infine, va ricordato che i produttori di assistenti digitali sono soggetti a quanto stabilito dal Codice privacy e dal Regolamento UE/2016/679 in materia di protezione dei dati personali, pertanto se i dati raccolti tramite l’assistente digitali sono trasmessi e conservati nei database dell’azienda produttrice o di altri soggetti si può chiederne la cancellazione.

 

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Pensione avvocato: i contributi solidaristici del 3% sono esclusi dal calcolo

Pensione avvocato: i contributi solidaristici del 3% sono esclusi dal calcolo

Un avvocato muove causa contro Cassa Forense, convinto di aver ricevuto un trattamento pensionistico inferiore a quello che gli spettava. Nel calcolo della somma, infatti, non compaiono i contributi solidaristici del 3%.

Il Tribunale accoglie la domanda, sostenendo che il calcolo della pensione dovesse essere eseguito in base al Regolamento della Cassa, modificato con provvedimento del 31.12.2009, e condanna Cassa Forense a pagare le somme mancanti.

La Cassa ricorre in Appello, dove la sentenza di primo grado viene ribaltata.
Il giudice sostiene che la modifica del regolamento non sia applicabile ratione temporis alla situazione dell’avvocato. A questo va applicata la disciplina della pensione contributiva, come indicata dal Regolamento del 23/07/2004 (riferito ai contenuti della legge n. 335/1995), con l’esclusione dei contributi solidaristici del 3%.

L’avvocato non demorde e ricorre in Cassazione, dove però la situazione non volge a suo favore.

I MOTIVI DEL RICORSO: DOVE SONO FINITI I CONTRIBUTI SOLIDARISTICI?

L’avvocato sostiene:

1) La violazione dei principi di proporzionalità, corrispettività e reciprocità indicati dalla Riforma del sistema previdenziale di cui alla legge n. 335/1995, in relazione all’art. 2 della Costituzione e agli artt. 10,11, 12, 21 della Legge n.576/1980.

2) L’incoerenza del sistema previdenziale di Cassa Forense, che non rispetta i principi indicati nella legge n. 335/1995 e quelli negli articoli 2, 3, 4, 35, 36 e 38 della Costituzione.

3) La violazione e la falsa applicazione degli artt. 10, 11 e 21 della legge n. 576/1980 in relazione al punto della sentenza in cui viene confermata la natura solidaristica del 3% dei contributi versati.
La loro esclusione dal calcolo pensionistico sarebbe contraria ai principi ispiratori del sistema così come confermato anche dalla stessa Cassazione che ne aveva negato la natura solidaristica (5098/2003).

4) La violazione e falsa applicazione dell’art. 21 della legge n. 576/1980 e dell’art. 3 comma 12 della legge n. 335/1995, in relazione al rigetto dell’appello incidentale condizionato proposto per ottenere il ricalcolo della pensione o almeno la restituzione dei contributi del 3% versati.

LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE

Nella sentenza n.10866/2020 si conclude che:

-“Il ricorrente è titolare di pensione contributiva ex art. 4 Regolamento generale della Cassa come modificato con delibera del 23 luglio 2004. Tale prestazione deriva dalla contestuale previsione che i contributi versati alla Cassa non sono più restituibili agli iscritti ed ai loro aventi causa, ad eccezione di quelli relativi ad anni non riconosciuti validi ai fini del pensionamento per mancanza del requisito della continuità dell’esercizio professionale (art. 22 della legge n. 576/80). La disposizione regolamentare ha sostituito l’istituto del rimborso dei contributi di cui all’art. 21 della legge n. 576/80 con la pensione contributiva sempre che l’iscritto non si sia avvalso degli istituti della ricongiunzione o della totalizzazione presso altri enti previdenziali, né intenda proseguire nei versamenti alla Cassa al fine di conseguire il diritto alla pensione di vecchiaia, calcolata con il sistema retributivo ordinario.

– Secondo la legge n. 335/1995, i contributi solidaristici del 3% non rientrano nel calcolo pensionistico, così come le somme versate a titolo di riscatto o ricongiunzione.

Il sistema pensionistico descritto dal Regolamento della Cassa Forense non viola i contenuti della legge n. 576/1980 e della legge n. 335/1995. Questo perché il dlgs n. 509/1994 concede a Cassa Forense, anche derogando a norme precedenti e di rango superiore, di disciplinare in autonomia le prestazioni a suo carico, perché dotata di autonomia organizzativa, contabile, amministrativa e gestionale.

Per approfondire, qui il testo originale della sentenza n.10866/2020 della Cassazione.

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Trasferisci il tuo studio in Cloud per poter lavorare ovunque, anche da mobile.

Spesso si sente parlare di Cloud…ma cos’è effettivamente e, soprattutto, che utilità può avere nella tua realtà professionale quotidiana?

Se stai pensando che il Cloud sia un concetto troppo complicato per te, ti basti sapere che nella tua vita privata lo stai già utilizzando: i servizi Google (compresa Gmail), Facebook (e quindi anche WhatsApp), o Netflix conservano tutte le informazioni che gli fornisci in un Cloud!

Di per sé, il termine Cloud non rappresenta altro che una “nuvola” – tecnicamente un Server – che contiene dati e servizi.

Nelle formule più complete come la nostra, ti permettono di avere tutte le risorse (programmi, documenti, gestionali ecc.), che conservi nel pc in ufficio e di cui puoi aver bisogno anche al di fuori, sempre con te!

È sufficiente un dispositivo, anche mobile, e una connessione.

In un contesto lavorativo e in circostanze come quelle vissute per l’emergenza Covid, o nel caso di impossibilità di raggiungere il proprio ufficio o, semplicemente, in presenza di questioni urgenti da dover risolvere ovunque ci si trovi, non è sufficiente poter solamente consultare i propri file, senza poterli modificare.

Risulta indispensabile ricreare le condizioni lavorative presenti nel proprio ufficio: può, ad esempio, rendersi necessario stampare un documento per un collaboratore in ufficio che non ha la possibilità di accedere a specifiche informazioni, ma anche inviare una mail, apporre una firma digitale o utilizzare Service 1 per depositare documenti.

Non tutti i Cloud sono uguali: questo dipende dai Server cui fanno riferimento. Esistono dei Server estremamente sicuri, che proteggono i dati inseriti al suo interno più di qualsiasi computer di cui tu ti possa dotare, anche con il miglior antivirus. Purtroppo, invece, spesso anche i servizi di archiviazione più conosciuti e usati (es. Google Drive, Dropbox) non rispettano del tutto la normativa privacy nel modo più stringente.

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Processo Penale Telematico: partenza il 25 giugno

Processo Penale Telematico: partenza il 25 giugno

Lo scorso 11 giugno 2020 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto 9 giugno 2020 del Ministero della Giustizia (“Avvio della funzionalita’; dei servizi di comunicazione e deposito dei documenti informatici di cui all’articolo 83, comma 12 -quater .1 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, per la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli”) che introduce ufficialmente il Processo Penale Telematico.

Il decreto si compone di soli due articoli, e al primo si legge:

1. È accertata la funzionalità dei servizi di comunicazione e deposito di cui all’art. 83, comma 12 -quater .1, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, come ulteriormente modificato dall’art. 3, comma 2, lett. f), del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli.

2. Nell’ufficio giudiziario di cui al comma 1, il deposito di memorie, documenti, richieste e istanze indicate dall’art. 415 -bis , comma 3, del codice di procedura penale può essere effettuato per via telematica secondo quanto disposto dall’art. 83, comma 12 -quater .1, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, come ulteriormente modificato dall’art. 3, comma 2, lett. f) , del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28.

In questa fase, il Processo Penale Telematico permette dunque di depositare telematicamente memorie e istanze delle difese presso il pubblico ministero che abbia concluso le indagini preliminari.

Il deposito telematico degli atti, che assumerà pieno valore legale a partire dal prossimo 25 giugno, avviene tramite upload diretto sul Portale dei Servizi Telematici e va considerato effettuato con la generazione della ricevuta di accettazione da parte dei sistemi ministeriali.

Come spiega il Ministero della Giustizia, «grazie a questo provvedimento l’ufficio che ha avanzato richiesta per l’attivazione del deposito digitale potrà per la prima volta in Italia ricevere, con valore legale, per via telematica le memorie e le istanze successive alla conclusione delle indagini preliminari e gli avvocati potranno operare tali depositi senza produrre e depositare ulteriormente il cartaceo».

L’introduzione del deposito telematico nel Processo Penale sembra essere solo il primo passo verso la digitalizzazione del procedimento e del processo penali, «un percorso ormai irreversibile» i cui obiettivi sono l’ottimizzazione della giustizia e la riduzione dei tempi dei processi.

L’AIGA ha commentato così l’introduzione del Processo Penale Telematico: «In mezzo ad un turbinio di innovazioni normative che non ha precedenti, senza fare rumore come altre riforme, ne è intervenuta una che avrà portata storica».

 

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Il processo penale telematico: informazioni sul deposito

Articolo 83 D.L. 18/2020 – Disposizioni In Materia Di Giustizia Civile E Penale


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Casella PEC piena? Ecco quando la notificazione di un atto è perfezionata


Casella PEC piena? Ecco quando la notificazione di un atto è perfezionata

Con la sentenza n. 14216 dell’11 maggio 2020 la Corte di Cassazione, terza sezione penale, chiarisce che la notificazione di un atto via posta elettronica certificata può ritenersi perfezionata anche quando la casella mail di destinazione risultasse piena.

Più volte in passato le sezioni civili della Cassazione hanno affermato il principio secondo cui il perfezionamento della notificazione di un atto a un soggetto obbligato per legge ad avere un proprio indirizzo PEC la cui casella però risulti piena si ha con la ricevuta che attesta tale stato della casella.

Il messaggio in cui si comunica che la casella PEC del destinatario è piena è equiparabile alla ricevuta di avvenuta consegna poiché il mancato download nella casella PEC piena è causato dalla mancata manutenzione della stessa da parte del destinatario/proprietario. (Cass. civ., Sez. 6-3, n. 3164 dell’11/02/2020; Cass. civ., Sez. 5, sent. n. 7029 del 21/32018; Cass. civ., Sez. L, sent. n. 13532 del 20/05/2019).

Nel caso oggetto della sentenza, la cancelleria della Corte aveva trasmesso l’avviso di fissazione dell’udienza via PEC al difensore di ufficio di uno degli imputati, vedendosi poi restituire il messaggio con l’avviso che la casella del destinatario risultava piena.
Il ricorso da parte dell’imputato è stato dichiarato inammissibile anche in considerazione di quanto detto poco sopra a proposito dell’equipollenza tra il messaggio di avvenuta consegna e quello di ‘casella piena’.

Nella sentenza, la Cassazione fa presente che l’art. 16, comma 4 del D.L. n.179 del 18 ottobre 2012 (convertito con modificazioni dalla L. n. 221 del 17 dicembre 2012) permette che la notificazione a persone diverse dall’imputato sia effettuata per mezzo di posta PEC (art. 148 c.p.p., comma 2 bis) e che l’ art. 20, comma 5, del D.M. n. 44 del 2011 stabilisce che «il soggetto abilitato esterno è tenuto a dotarsi di servizio automatico di avviso dell’imminente saturazione della propria casella di posta elettronica certificata e a verificare la effettiva disponibilità dello spazio disco a disposizione».

L’insegnamento da trarre da questa sentenza è di prestare massima attenzione alla propria casella PEC al fine di evitare che risulti piena e non possa ricevere messaggi importanti le cui conseguenze potrebbero davvero essere rilevanti.

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Ordinanza n. 8815: valore delle firme digitali, nullità della notificazione via PEC, mancanza dell’attestazione di conformità

Ordinanza n. 8815: valore delle firme digitali, nullità della notificazione via PEC, mancanza dell’attestazione di conformità

Con l’ordinanza n. 8815  del 12 maggio 2020 la Corte di Cassazione, terza sez. civile, si è espressa sul valore delle firme digitali, la nullità della notificazione via PEC, la mancanza dell’attestazione di conformità.

Il caso oggetto dell’ordinanza riguarda due inquiline alle prese con delle infiltrazioni di umidità da un appartamento all’altro. La causa si è sviluppata tra ricorsi e controricorsi incentrati proprio sugli elementi citati qui sopra.

LE FIRME DIGITALI

La Cassazione ribadisce che le firme digitali CAdES e PAdES sono entrambe ammesse e sono equivalenti, sia pure con le differenti estensioni “.p7m” e “.pdf”. Pertanto, sono riconosciute valide ed efficaci anche nel processo civile di cassazione, senza alcuna eccezione (Sez. U, Sentenza n. 10266 del 27/04/2018, Rv. 648132 – 02; Sez. 2, Sentenza n. 30927 del 29/11/2018, Rv. 651536 – 01).

NULLITÀ DELLA NOTIFICAZIONE VIA PEC

Un’eventuale nullità della notificazione viene sanata dal raggiungimento dello scopo (art. 156 c.p.c.).
La Cassazione spiega che l’irritualità della notificazione di un atto tramite PEC non ne comporta la nullità se la consegna telematica ha portato alla conoscenza dell’atto e ha determinato il raggiungimento dello scopo legale.

La mancanza della sottoscrizione del difensore non comporta la nullità della copia dell’atto di citazione notificato al convenuto se da questa è possibile dedurre la provenienza da procuratore abilitato munito di mandato.
Soprattutto, la copia non può essere considerata nulla se è possibile dedurre la provenienza dal procuratore abilitato anche in mancanza della firma del difensore.

ATTESTAZIONE DI CONFORMITÀ MANCANTE

La mancanza dell’attestazione di conformità e della sottoscrizione digitale della procura alle liti allegata all’atto d’appello non rappresentano un limite.

Nel caso oggetto dell’ordinanza della Cassazione, l’attestazione di conformità era stata prodotta con l’iscrizione a ruolo e il deposito del fascicolo telematico, in un periodo in cui era ancora possibile il rilascio ex novo della procura, come indicato dall’art. 125 c.p.c., comma 2.
La ricorrente sosteneva che tale articolo non potesse applicarsi alla notifica via PEC, regolata da norme speciali.
In realtà, non vi è incompatibilità fra le regole della notificazione degli atti giudiziari a mezzo PEC e la possibilità di regolarizzare la procura alle liti nel termine stabilito dall’art. 125.

Vi consigliamo di approfondire leggendo il testo originale dell’ordinanza n. 8815.

 

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