Regno Unito: Intelligenza Artificiale al posto dell’Avvocato

Nel Regno Unito il primo caso in cui un’Intelligenza Artificiale ha sostituito gli avvocati. Potrebbe succedere anche in Italia, ma per controversie minori. In generale, le intelligenze artificiali cominciano ad entrare negli studi professionali e nelle aule giudiziarie, senza sostituirsi agli avvocati, ma aiutandoli.

Il procedimento non si è ancora tenuto. Riguarderà un caso dove l’imputato verrà assistito da DoNotPay, un’intelligenza artificiale, che si occuperà di una multa per eccesso di velocità.

La notizia è stata diffusa in modo ingannevole: le controversie che riguardano le contravvenzioni stradali, in realtà, prevedono l’ausilio delle intelligenze artificiali già da anni. Inoltre, in Italia, il termine imputato si riferisce soltanto ai processi penali.

Consulenza legale a basso costo

L’app DoNotPay è attiva da anni ed è in grado di fornire “consulenza legale” per le sanzioni stradali. Fornisce, a basso costo, strumenti per contestare multe – al posto di affidarsi ad un professionista, che in questo caso potrebbe risultare antieconomico.

DoNotPay si sostituisce all’avvocato, facendo risparmiare denaro alle persone. «E’ una cosa che riguarda il linguaggio, ed è quello che gli avvocati fanno pagare centinaia o migliaia di dollari l’ora», riferisce un portavoce a New Scientist.

«Ci saranno ancora molti bravi avvocati che potranno discutere davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, ma molti avvocati stanno solo chiedendo troppi soldi per copiare e incollare documenti e penso che saranno sicuramente sostituiti, e dovrebbero essere sostituiti, da una macchina».

In estrema sintesi, possiamo dire che questo è il credo del creatore dell’app, Joshua Browder, ovvero un professore dell’Università di Standford, che ha deciso di inventare uno strumento per evitare di pagare tutte le multe che gli erano arrivate.

Non saranno i numeri a dire se il suo progetto potrà essere economicamente sostenibile su larga scala. Lo stabiliranno i giudici: Browder ha infatti dichiarato che pagherà le spese legali in caso di soccombenza.

Trovare una scappatoia

L’app di intelligenza artificiale, per prima cosa chiede al cliente qual è il suo problema legale. Poi, dopo aver trovato una scappatoia, la trasforma in una lettera, che il cliente potrà inviare ad un’istituzione oppure caricare online.

Se bisogna andare a processo, DoNotPay si comporterà come un reale avvocato. In aula, i clienti dovranno indossare un auricolare Bluetooth, in modo tale che l’intelligenza artificiale suggerisca che cosa dire.

«La legge è quasi come codice e linguaggio combinati, quindi è il caso d’uso perfetto per l’IA», ha dichiarato Browder ad Usa Today.

In Italia è possibile sostituire un avvocato con un robot?

Certo, ma con dei limiti precisi. Tutti devono comparire di fronte al giudice con una difesa tecnica in qualsiasi settore del diritto. È sempre necessario, in parole povere, avere un avvocato.

Le uniche eccezioni riguardano le controversie con valore inferiore ai 1.100 euro davanti al Giudice di Pace. Infatti, l’art. 82 del Codice civile stabilisce che «davanti al giudice di pace le parti possono stare in giudizio personalmente nelle cause il cui valore non eccede euro 1.100». In caso contrario, le parti «non possono stare in giudizio se non con il ministero o con l’assistenza di un difensore».

Dunque, per recuperare un credito di 500 euro o per impugnare una multa di 100 ci si può avvalere del prestampato che troviamo negli uffici dei giudici di pace…oppure direttamente di un’intelligenza artificiale.

Ci sono alcune attività che svolgono i professionisti negli studi professionali che potrebbero essere svolte dalle intelligenze artificiali. Potrebbe essere già successo, in particolar modo nella data analysis e più in generale nelle operazioni di M&A, nelle quali si rende necessario processare una grande mole di dati.

Dal 2016, in America, queste intelligenze artificiali hanno portato al licenziamento di avvocati di grandi studi legali che si occupavano di queste mansioni.

Le IA nei tribunali

Le intelligenze artificiali hanno già fatto il loro ingresso nelle aule dei tribunali. Dalla parte del giudice, però.

Un caso ha riguardato un algoritmo per valutare quanto era pericoloso un soggetto, basandosi su alcuni parametri predefiniti, suscitando, ovviamente, alcuni interrogativi giuridici ed etici.

In Cina, per esempio, esiste un algoritmo che va a sostituire i pubblici ministeri nel caso dell’imputazione di otto reati “semplici”, che vanno dal furto al danneggiamento. In tal caso ci si limita alla formulazione delle imputazioni.

Le applicazioni dell’intelligenza artificiale in ambito forense sono molteplici, e potrebbero determinare un profondo cambiamento nel mondo del diritto. Tuttavia, qualsiasi AI dovrebbe essere istruita in precedenza da un giurista, per poi venire corretta nel suo metodo operativo.

In ogni caso, non ci stancheremo mai di ripetere che l’intelligenza artificiale riesce ad essere un aiuto per il giurista, ma non potrà mai completamente sostituirlo.

I criminali si reinventano con l’intelligenza artificiale

Alcuni criminali comuni, stanchi della vita di strada, vorrebbero cominciare a reinventarsi dandosi al cybercrime – anche se non hanno idea di come scrivere un codice.

Senza spendere soldi per acquistare ransomware creati da altri, questi criminali possono affidarsi ad un’intelligenza artificiale per scrivere un codice da zero.

Questo è un degli usi di ChatGpt, un famoso bot di OpenAi per l’aiuto nella scrittura di un codice. Secondo gli esperti, ChatGpt potrebbe anche aiutare a creare una mail di phishing.

L’aiuto che proviene da questa intelligenza artificiale, di certo, non fa nascere esperti cybercriminali, ma dà una bella spinta verso questa direzione (sbagliata). Paolo Dal Checco, uno dei più famosi informatici forensi in Italia, dichiara al Sole24Ore: «L’AI e in particolare ChatGpt facilitano le cose ai cybercriminali. Il bot di OpenAi una cosa fa di sicuro molto bene ed è proprio scrivere il codice».

Alice and the Spark

Insomma, alcuni utilizzano il bot per riuscire a scrivere poesie per la propria mamma, oppure per fare i compiti di scuola; altri, invece, vi ricorrono per scopi malevoli.

Questo non è il caso di Ammaar Reshi, un designer statunitense, che ha pubblicato una storia per bambini con illustrazioni utilizzando ChatGpt e Midjourney.

Alice and the Spark è una storia pensata principalmente per una cerchia ristretta di persone e per figli di amici che ha scatenato un grandissimo dibattito online. Ci si chiede, infatti, quanto i lavori creativi possano venire danneggiati dalle app di intelligenza artificiale.

La volpe e il futuro

Recentemente, anche il collettivo artistico italiano Roy Ming ha pubblicato la primissima fiaba per bambini in italiano, La volpe e il futuro, completamente scritta e illustrata con un’intelligenza artificiale.

Nel libro viene raccontata la storia di due animali, un orso e una volpe, che si ritrovano in un bosco a progettare un robot capace di raccogliere più velocemente il miele. In questo modo i protagonisti hanno più tempo per giocare insieme e per esplorare il bosco.

La morale della favola è l’utilizzo positivo della tecnologia come alleata degli esseri umani, per organizzare il lavoro e la vita quotidiana.

Opportunità o furto?

Le critiche, in questo caso, hanno riguardato il processo di addestramento dei vari algoritmi che si trovano dietro le applicazioni.

Midjourney, per esempio, viene allenato attraverso giganti dataset di immagini che vengono prelevate da internet. In questo modo gli artisti che hanno caricato online le loro opere potrebbero averle messe a disposizione dell’algoritmo, senza aver fornito consenso.

Per l’illustratrice Michelle Jin Chan «gli artisti dovrebbero essere adeguatamente compensati quando le loro opere vengono utilizzate per l’addestramento di algoritmi». Alcuni definiscono questo uso delle immagini da parte delle Ai come un vero e proprio furto.

Roy Ming ha una posizione diversa. «Tutti gli artisti hanno sempre usato le opere di altri per ispirarsi. Crediamo che utilizzare Midjourney sia simile ad andare in giro per un museo per prendere spunti. Si tratta solo di uno strumento in più per compiere un’attività che veniva svolta anche in precedenza».

Fare i compiti con l’intelligenza artificiale

L’intelligenza artificiale potrebbe interferire nel mondo della scuola, grazie alla capacità di generare testi credibili, che potrebbero sembrare scritti direttamente dagli studenti.

A New York, per esempio, la preoccupazione in questo senso è talmente grande da spingere il dipartimento dell’Istruzione a restringere l’accesso a ChatGpt agli studenti e ai professori. Le preoccupazioni riguardano «l’impatto sull’apprendimento e l’accuratezza e la sicurezza delle informazioni».

OpenAI rassicura gli insegnanti: «Non vogliamo che ChatGpt venga utilizzato per scopi fuorvianti nelle scuole o altrove, quindi stiamo già sviluppando mitigazioni per aiutare chiunque ad identificare il testo generato da quel sistema. Non vediamo l’ora di lavorare con gli educatori su soluzioni utili e altri modi per aiutare insegnanti e studenti a beneficiare dell’intelligenza artificiale».

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Caro Benzina: approvato un nuovo Decreto Legge

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Ieri sera il Consiglio dei ministri ha approvato un nuovo decreto legge contenente alcune misure finalizzate al contrasto sulle speculazioni dei prezzi del carburante.

Non ci sono tuttavia misure che prevedono la riduzione delle accise sui carburanti, ovvero il principale fattore che, dal primo gennaio 2023, ha causato l’aumento dei prezzi.

Fino alla fine del 2022 era in vigore lo sconto sulle accise, ovvero sulle imposte fisse che influiscono sul prezzo finale. Lo sconto era stato introdotto dal governo Draghi al fine di tenere sotto controllo i rincari causati dalla guerra in Ucraina. L’attuale governo Meloni, tuttavia, ha deciso di rimuoverlo definitivamente.

Le misure approvate dal governo stabiliscono che tutti i distributori dovranno esporre, vicino al proprio prezzo di vendita, quello della media nazionale. I clienti in questo modo potranno stabilire se si trovano di fronte ad una speculazione del singolo distributore di benzina.

Se quest’obbligo viene violato, il governo ha stabilito un aumento delle sanzioni. Per il momento, tuttavia, non è stato specificato di quanto. In caso di recidiva si potrebbe addirittura arrivare «alla sospensione dell’attività per un periodo da sette a novanta giorni».

Per questo motivo verranno «rafforzati i collegamenti tra il Garante prezzi e l’Antitrust, per sorvegliare e reprimere sul nascere condotte speculative». Aumenterà anche la collaborazione tra Guardia di Finanza e Garante.

Non ci sono dettagli su come verranno realizzate tali intenzioni, ma sappiamo che verrà istituita una «Commissione di allerta rapida per la sorveglianza dei prezzi».

Prorogata fino al prossimo marzo la misura sui buoni benzina che le aziende forniscono ai dipendenti come “fringe benefit”, ovvero una parte di retribuzione che il datore corrisponde sotto forma di beni e servizi e non in denaro.

Queste decisioni hanno provocato uno scontro con i gestori dei distributori di benzina, che affermano di non aver responsabilità sull’aumento dei prezzi del carburante. Infatti, anche se consideriamo i fenomeni di speculazione, l’aumento è dovuto principalmente alla decisione di non rinnovare gli sconti sulle accise da parte del governo.

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Dove sono finite le multe del Lockdown?

Da quando sono state introdotte le primissime restrizioni per limitare la diffusione dei contagi da Covid-19, le forze dell’ordine italiane hanno fatto milioni di controlli. A questi, sono seguiti provvedimenti, denunce e multe per violazione delle regole.

Il divieto di assembramento, le restrizioni, l’obbligo di indossare la mascherina fino all’obbligo vaccinale: sono regole cambiate molte volte, basandosi sulla situazione epidemiologica. Tuttavia, l’accumularsi di circolari e decreti ha creato caos e confusione. Non soltanto per le persone, ma anche con chi doveva far rispettare tali regole.

Le sanzioni sono rimaste più o meno le stesse, ovvero: denunce penali in caso di violazione della quarantena, multe per non aver rispettato le regole per limitare i contagi e multe per chi non si è sottoposto alla vaccinazione obbligatoria.

Ora che la fase più critica sembra essere stata superata, istituzioni come tribunali ed enti locali cominciano a fare i conti con tali sanzioni. È difficile comprendere i dettagli di ogni provvedimento o quante sono le persone che hanno effettivamente pagato le multe e quante no.

Per avere dati più precisi forse serviranno anni. Tuttavia, già da ora è possibile farsi un’idea sull’orientamento prevalente in tema di giustizia penale e amministrativa per quanto riguarda multe e denunce. Ci sono casi, infatti, in cui sono state confermate, mentre in altri rimosse.

I dati del Ministero

Per cominciare ad analizzare le sanzioni possiamo partire dai dati diffusi dal Ministero dell’Interno, che già nell’aprile del 2020 cominciò a pubblicare quotidianamente i rapporti sui controlli.

Dal marzo 2020 a marzo 2022 ci sono state 808mila multe per violazione delle regole, denunciate 7.746 persone per violazione della quarantena e 40mila multe ai negozianti. Il numero maggiore di multe è stato fatto tra marzo e aprile del 2020.

In generale, l’andamento delle denunce per aver violato la quarantena è rimasto stabile nel corso del tempo.

Tutte le persone positive che sono state trovate a violare la quarantena sono state denunciate, così come previsto dall’art. 260 del regio decreto 1265 del 1934. La violazione della quarantena è un reato contravvenzionale, ma prevede ugualmente l’arresto da 3 a 18 mesi, unitamente ad un’ammenda che va da 500 a 5.000 euro.

Denunce e processi

Negli ultimi mesi sono cominciati i primi processi nei confronti delle persone che sono state denunciate. Di tutti quelli di cui abbiano notizia, la conclusione è stata l’assoluzione.

Per esempio, la scorsa settimana è stato assolto un uomo di 38 anni, denunciato a gennaio 2022 dopo un controllo della polizia ferroviaria in un treno diretto a Bari. L’uomo non aveva con sé il certificato di guarigione dal Covid-19, quando soltanto tre giorni prima era risultato positivo ad un tampone.

L’uomo non aveva sintomi durante il controllo. La procura aveva richiesto una condanna di almeno due mesi. Tuttavia, la giudice Fioretta lo ha assolto in quanto «il fatto non sussiste».

Le inchieste, in linea generale, hanno stabilito che si può parlare di effettiva “violazione della quarantena” soltanto se è stato emanato uno specifico provvedimento dall’autorità sanitaria. Il provvedimento deve essere personale, non generico; deve essere dunque notificato alla persona risultata positiva attraverso un’ordinanza del sindaco.

Archiviazione delle accuse

Il governo, però, non ha mai fissato delle regole per questo tipo di comunicazioni. Le aziende sanitarie, di conseguenza, hanno comunicato ai sindaci i nomi delle persone risultate positive saltuariamente.

Senza presupposto necessario del reato la condotta degli imputati non ha rilevanza penale. La giustizia italiana sembra essersi consolidata su questa linea, viste le assoluzioni delle persone a Bolzano, Milano, Varese e in altre province italiane.

Nei casi più gravi si parla di denunce per epidemia colposa, con una pena che va da 1 a 5 anni per le persone accusate di diffusione del contagio. Ma anche in questi casi i magistrati propendono per l’archiviazione delle accuse.

Risulta estremamente difficile dimostrare la relazione tra le azioni delle persone accusate e i contagi. Durante una pandemia – lo abbiamo imparato bene – è impossibile tracciare in maniera precisa il percorso dei contagi.

Multe confermate

Le multe per il mancato rispetto delle regole finalizzate al contenimento del contagio sono state quasi tutte confermate.

Le multe, che vanno da un minimo di 400 euro ad un massimo di 3.000, erano state inizialmente messe in discussione in quanto illegittime. Diverse sentenze hanno confermato che le restrizioni e i decreti erano validi, e per questo motivo le multe potranno essere riscosse.

Parliamo di sanzioni amministrative che vengono gestite nello stesso modo in cui si gestiscono le multe per eccesso di velocità o sorpasso vietato. Si pagano entro cinque giorni (con sconto del 30%), oppure si può fare ricorso al giudice di pace entro i primi 30 giorni dalla notifica.

L’obbligo vaccinale per le persone con più di 50 anni

Altro discorso per le multe date alle persone con più di 50 anni che non si sono sottoposte alla vaccinazione obbligatoria, così come stabilito dal governo Draghi.

Queste persone avrebbero dovuto vaccinarsi entro il 1° febbraio 2022; in caso contrario, avrebbero dovuto pagare una multa di 100 euro. La persona multata, dopo aver ricevuto l’avviso di pagamento, aveva 10 giorni di tempo per comunicare eventuali esenzioni o errori da parte del ministero.

In totale sono state inviate 1,8 milioni di multe. Ma all’inizio dello scorso dicembre è stato approvato un emendamento che sospende sino al 30 giugno 2023 le multe alle persone non vaccinate.

Entro fine giugno il governo dovrà decidere che cosa fare, se tornare a chiedere il pagamento, prolungare il periodo di sospensione oppure cancellarle definitivamente.

E le inchieste sulla pandemia?

Molte procure italiane negli ultimi due anni e mezzo hanno avviato indagini per l’accertamento di eventuali responsabilità a livello penale per quanto riguarda la gestione della pandemia.

Casi circoscritti, denunce in seguito a morti nelle RSA e gestione generale delle misure di contenimento e prevenzione: non sono indagini semplici, vista la portata di questa pandemia, con contagi talmente rapidi che hanno reso impossibile stabilire le responsabilità di persone e Istituzioni.

Per questo, quasi tutte le inchieste hanno finito con l’essere archiviate.

In Veneto il maggior numero di esposti per i morti nelle RSA

La regione che ha presentato più esposti per le morti dovute al coronavirus è la regione Veneto. La procura di Venezia avrebbe ricevuto decine di denunce da parte dei familiari delle persone morte nelle RSA.

Le famiglie sostengono che gli anziani sarebbero morti in quanto non tutelati dai medici, dalle strutture e dai dirigenti.

Giovanni Gasparini è il magistrato che si è occupato di queste denunce. Ha indagato il «reato di epidemia colposa, che punisce chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni». Secondo le indagini, è chiaramente impossibile stabilire con certezza il nesso di causalità tra contagi e decessi.

Le morti, infatti, hanno riguardato persone fragili, con diverse malattie, e per questo non è stato possibile stabilire la causa effettiva che ha condotto al decesso.

Inoltre, è stato dimostrato che i decessi prima e durante la pandemia non hanno subito variazioni. Non è stato possibile dimostrare, quindi, che omissioni e azioni di medici e dirigenti abbiano influito alla diffusione dei contagi.

Bergamo

Una delle inchieste più corpose è ancora aperta: parliamo di quella avviata in provincia di Bergamo, dove tra marzo e aprile 2020 morirono 6.000 persone, con un aumento della mortalità del 570% rispetto agli anni precedenti.

I capi d’accusa sono omicidio colposo, falso ed epidemia colposa. Sono stati raccolti documenti e testimonianze al fine di ricostruire ciò che successe in quei mesi, per capire se dirigenti, medici e politici abbiano volontariamente scelte di non intervenire, nonostante la conoscenza dei dati allarmanti.

La mail di Fontana

Il quotidiano Domani ha rivelato l’esistenza di una mail, inviata da Attilio Fontana, presidente della Regione Lombardia, il 28 febbraio 2020. Nella mail si legge che la «Regione Lombardia, con la nota trasmessa ieri, ha richiesto il sostanziale mantenimento, per la settimana dal 2 all’8 marzo delle misure di contenimento della diffusione del Coronavirus valide per questa settimana, già adottate con il decreto del 23 febbraio 2020 per i comuni del basso lodigiano e con l’ordinanza per il resto del territorio regionale».

La mail era destinata al capo della Protezione Civile, Angelo Borrelli, alla segreteria della presidenza del Consiglio, a quella del ministero dell’Interno e a quello del ministero dello Sviluppo economico. Fontana, in quella mail comunicò che la trasmissione del virus era già pari a due contagi per ogni persona infetta.

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Riforma Cartabia: liberi due ladri sorpresi mentre scassinavano una cassaforte

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Un gruppo hacker sta violando dispositivi Windows attraverso un gioco di carte online dei Pokémon. Il gioco si basa sugli NFT (Non Fungible Token) e viene pubblicizzato sui social network come franchise ufficiale dei Pokémon.

Il portale, oltre all’esperienza di gioco, consente anche di acquistare e vendere gli NFT – purtroppo, stiamo parlando di una grandissima truffa.

Quando il giocatore clicca su “Gioca sul PC” viene scaricato automaticamente un RAT, un Remote Access Tool, che sembra un semplice file per installare un videogame, ma in realtà il suo scopo è quello di scaricare sul pc della vittima NetSupport RAT, un programma che consente agli hacker di accedere al dispositivo.

I malintenzionati, attraverso NetSupport RAT, sono in grado di controllare lo schermo da remoto, raccogliere informazioni sulle ricerche eseguite online dalla vittima, eseguire comandi del PC e gestire alcuni file. In questo modo gli hacker si impadroniscono di dati sensibili, credenziali e installano altre tipologie di malware.

NetSupport RAT si basa su un programma utilizzato per l’assistenza IT da remoto, NetSupport Manager. Scrivono i ricercatori di ASEC, compagnia sudcoreana che si occupa di sicurezza informatica: «Anche se questi tool potrebbero non essere stati sviluppati con intenti dannosi, se vengono installati su sistemi infetti, possono essere utilizzati per scopi malevoli, ad esempio per l’installazione di malware aggiuntivi o per l’estorsione di informazioni».

Cos’è un NFT

Un Non Fungible Token è un asset digitale che incarna oggetti del mondo reale. Questi asset vengono venduti ed acquistati online, spesso utilizzando le criptovalute.

Sono in circolazione dal 2014, ma hanno raggiunto l’apice della loro popolarità recentemente poiché vengono utilizzati per vendere e acquistare opere d’arte. Nei primi cinque mesi del 2022 il mercato degli NFT ha raggiunto quota 37 miliardi di dollari, mentre in tutto il 2021 il giro d’affari ammontava a 40 miliardi.

Gli NFT sono unici nel loro genere e sono dotati di precisi codici di identificazione. Arry Yu, esperta di criptovalute, afferma che «gli NFT creano scarsità in formato digitale». Ed è proprio questa la principale differenza tra un NFT e la maggior parte delle opere digitali, che sono caratterizzate da un’offerta illimitata.

La riduzione dell’offerta di un bene, se esiste una domanda, ne aumenta il valore.

EVERYDAYS: The First 5000 Days

Prendiamo come esempio l’artista digitale Beeple, che ha realizzato un collage di 5.000 disegni per creare uno degli NFT più famosi, “EVERYDAYS: The First 5000 Days”, venduto per 69 milioni di dollari.

Tutti possiamo ammirare gratuitamente le singole immagini, anche il collage intero. Perché, allora, ci sono persone che spendono milioni per opere d’arte che si possono scaricare o screenshottare?

Un NFT consente di possedere l’opera originale, contenente anche un meccanismo di autenticazione integrato che permette di dimostrarne la proprietà. Per un collezionista del settore, il valore di questa garanzia va oltre il valore dell’opera.

Differenza tra NFT e criptovalute

L’unica cosa che accomuna criptovalute ed NFT e il linguaggio di programmazione.

Le criptovalute, così come il denaro fisico, sono “fungibili”, ovvero si possono scambiare, sempre con lo stesso valore. Gli NFT, invece, sono diversi tra loro, e contengono una firma digitale che fa in modo che sia impossibile scambiarli o considerarli uno uguale all’altro.

Oggetti da collezione digitale

Un NFT viene creato partendo da contenuti digitali che rappresentano sia oggetti materiali che immateriali, come:

  • Opere d’arte;
  • Video;
  • GIF;
  • Oggetti da collezione;
  • Avatar virtuali;
  • Musica;

In parole povere, gli NFT sono oggetti da collezione, ma in formato digitale, che possono avere soltanto un proprietario alla volta.

Gli artisti e i creatori di contenuti, attraverso gli NFT hanno l’opportunità di monetizzare il loro lavoro. Non devono più affidarsi, per esempio, a case d’asta o a gallerie per riuscire a vendere la propria arte. Possono finalmente vendere le proprie opere al consumatore sotto forma di NFT (trattenendo anche più profitti).

Possono essere incorporate, nel codice delle opere, alcune opzioni che permettono la raccolta dei diritti d’autore, ricevendo una percentuale tutte le volte che l’opera viene acquistata da un nuovo proprietario.

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Riforma Cartabia: liberi due ladri sorpresi mentre scassinavano una cassaforte

Due ladri sono stati sorpresi in un albergo sul litorale del Lido di Jesolo mentre si impossessavano di un televisore e tentavano di aprire una cassaforte. Gli agenti di commissariato, tuttavia, si sono arresi di fronte alla riforma Cartabia, impedendo loro di tirar fuori le manette.

C’era un tentativo di furto, flagranza di reato e una refurtiva; mancava la querela di parte, requisito necessario per questa tipologia di reato dopo l’introduzione della riforma della Giustizia Cartabia. Per questo, i due se ne sono andati e non hanno nemmeno passato la notte in carcere.

Il tentativo di furto

Il tentato furto è avvenuto a Cortellazzo, al Pineta Aparthotel. È un residence a 4 stelle che si trova nella pineta, attualmente chiuso poiché la stagione balneare non è ancora cominciata.

I due erano un italiano di 37 anni e un tunisino di 33 anni. Quando si sono intrufolati nell’edificio è entrato in azione l’allarme ed era presente anche il custode, quindi sono stati scoperti immediatamente.

Sono riusciti comunque a portare via un televisore e a cominciare a lavorare ad una cassaforte. Sono intervenuti sul posto gli agenti di commissariato, che hanno bloccato immediatamente i due ladri contestando anche il tentato furto con scasso.

Difficoltà

Quando è stato chiamato il pubblico ministero per ottenere l’autorizzazione al fermo sono nate le prime difficoltà. Il Pineta Aparthotel, infatti, fa parte del gruppo Lajadira, ovvero una società a responsabilità limitata, iscritta al registro delle imprese bellunesi.

Il legale rappresentante della società è Andrey Alexandrovich Toporov, un magnate russo, coinvolto a Belluno nel sequestro di un cantiere da 16 milioni di euro. Era prevista una semplice ristrutturazione di hotel, ma a quanto pare il vecchio edificio è stato abbattuto del tutto.

Querela sì, querela no

Gli agenti, dopo aver scoperto il tentato furto, hanno tentato di procurarsi la querela del proprietario russo, in quel momento assente. Il pm però ha indicato di non procedere con il fermo, visto il processo per direttissima avvenuto lo scorso 31 dicembre.

Ma senza una querela valida non è possibile attuare misure coercitive, nemmeno di fronte all’immediatezza del fatto. Soltanto se fosse stato presente il rappresentante legale della società il pm avrebbe potuto firmare la querela.

Chiaramente, i due ladri restano indagati – o per lo meno per i prossimi 90 giorni, che è il termine massimo per formalizzare l’eventuale querela. In quel caso potranno essere perseguiti con procedura ordinaria. Se il magnate russo, al contrario, non presentasse querela, decadrà automaticamente l’azione penale.

Questa vicenda ha scatenato i commenti dei politici locali, specialmente quelli di centrodestra. Per Daniele Bison, ex assessore comunale di Alleanza Nazione, «il rischio è che i delinquenti la facciano franca. Il reato predatorio è tra i più odiosi, il fatto che ora serva una querela per procedere contro i ladri sembra una beffa, oltretutto c’è il timore che le forze dell’ordine, già con le mani abbastanza legate, siano ancora più sfiduciate».

Commenta la vicenda anche il sindaco di Jesolo, Christofer De Zotti: «E’ una vergogna, quando diciamo che manca la certezza della pena ci riferiamo proprio a questo». Il presidente nazionale di Confapi Turismo, Roberto Dal Cin, si chiede «che reato debba commettere un delinquente per essere arrestato. Occorre la certezza della pena, quella norma va rivista».

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PATCH DAY gennaio 2023 – Interruzione dei servizi informatici del settore civile

Per attività di manutenzione straordinaria si procederà all’interruzione dei sistemi civili al servizio di tutti gli Uffici giudiziari dei distretti di Corte di Appello dell’intero territorio nazionale con le seguenti modalità temporali:

dalle ore 17:30 di lunedì 9 gennaio 2023 alle ore 10:00 di martedì 10 gennaio 2023, salvo conclusione anticipata delle operazioni.

Durante l’esecuzione delle attività di manutenzione, rimarranno attivi i servizi di posta elettronica certificata e saranno, quindi, disponibili le funzionalità relative al deposito telematico del settore civile da parte degli avvocati, dei professionisti e degli altri soggetti abilitati esterni anche se i messaggi relativi agli esiti dei controlli automatici potrebbero pervenire solo al riavvio definitivo di tutti i sistemi.

Non sarà invece possibile consultare in linea i fascicoli degli uffici dei distretti coinvolti dal fermo dei sistemi.

Per tutti gli utenti “interni” (magistrati e cancellieri) non saranno disponibili i registri di cancelleria e quindi, per i cancellieri, non sarà possibile procedere all’aggiornamento dei fascicoli, all’invio dei biglietti di cancelleria e all’accettazione dei depositi telematici; non sarà altresì possibile aggiornare i dati dei fascicoli della Consolle del Magistrato e della Consolle del PM.

L’attività di manutenzione renderà indisponibili i servizi informatici di:

  • aggiornamento (anche da fuori ufficio) della consolle del magistrato;
  • deposito telematico di atti e provvedimenti da parte dei magistrati;
  • tutte le funzioni di consultazione da parte dei soggetti abilitati esterni;

PEC Europea: le novità

Il vero nome della PEC europea è Registered Electronic Mail (REM). Ultimamente se ne sente parlare sempre più spesso, dato che la REM, tra non molto, sostituirà la PEC.

La REM costituirà il nuovo standard di posta elettronica certificata, da attivare secondo regole e tempistiche ben precise. Probabilmente sarà obbligatorio attivare la REM nei primi mesi del prossimo anno, nel 2024 – ma siamo ancora nel campo delle ipotesi.

La PEC europea prende spunto proprio dalla PEC italiana. Il suo scopo è quello di rendere standard questa forma di comunicazione in tutti i paesi comunitari.

Ma che cos’è, in fin dei conti, questa PEC europea?

Sappiamo che la PEC è una mail certificata, con lo stesso identico valore di una raccomandata A/R, dato che fornisce prova dell’invio e della ricezione.

La REM sarà una PEC in tutto e per tutto, che non si limiterà soltanto all’Italia ma a tutta l’Unione Europea. Avremo quindi a disposizione un servizio per inviare e ricevere posta elettronica certificata che vale allo stesso modo per tutti i cittadini europei.

Questo passaggio si è reso necessario poiché la PEC non è in linea con gli standard del Regolamento per il servizio elettronico di recapito certificato qualificato, dato che non viene verificata l’identità del richiedente e non è nemmeno previsto che il provider debba sottoporsi a verifiche di conformità.

La REM, invece, garantisce l’autenticazione e l’identificazione del mittente e del destinatario.

Visto il consistente aumento degli attacchi hacker, che diventano sempre più raffinati, questo passaggio si rende sempre più necessario per garantire sicurezza nell’ambito delle comunicazioni ufficiali.

Un’idea italiana

A livello pratico non dovrebbe esserci alcun cambiamento significativo. L’interfaccia di utilizzo della posta certificata dovrebbe restare lo stesso; quello che cambia è soltanto il formato delle ricevute e la conservazione.

Carmine Auletta, presidente di AssoCertificatori e Chief Innovation e Strategy Officer di InfoCert ricorda il ruolo fondamentale del nostro Paese nell’approvare uno standard che permette agli altri Paesi di uniformarsi per utilizzare la REM.

«La PEC è stata il fiore all’occhiello del sistema in Italia, perché è il Paese che ha sviluppato il sistema e-delivery. Nessun altro nell’Unione Europea era riuscito a raggiungere questo livello».

In attesa del DPCM

«Nella sostanza, alla PEC sono state aggiunte poche ma importanti funzionalità. La prima riguarda il principio di identificazione certa sia del mittente che del destinatario. Poi ci saranno gli strumenti per procedere all’identificazione in modo certo. In che modo? Con una formula una tantum prima dello switch-off».

Lo strumento con il quale affrontare questo passaggio, continua Auletta, «spero sia lo SPID», attivato già da 33 milioni di persone.

Tecnicamente, cambierà ben poco. Ci sarà una forte identificazione per ogni accesso, con l’autenticazione a due fattori, per esempio.

Per il momento «ci aspettiamo lo switch-off per il primo quater del 2024, ma occorre attendere un Dpcm specifico con quella indicazione. I gestori più grandi», come Aruba e InfoCert, «hanno già iniziato le attività di certificazione in modo da non congestionare il lavoro in prossimità di quella data. Gli altri dovrebbero iniziare a fare lo stesso nel corso di quest’anno».

Non ci saranno problemi per gli utenti «che oltre a mantenere lo stesso indirizzo mail certificato, riceveranno solamente indicazioni sulle modalità di autenticazione a ogni accesso».

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89 casi di pedopornografia, 14 arresti, 88 segnalazioni e 3 operazioni sotto copertura da parte degli agenti di via Cappelletto, a Mestre. Questi sono alcuni dei numeri del lavoro effettuato dalla polizia postale nel 2022.

In particolare, per quanto riguarda l’adescamento di minori, ci sono state 14 vittime di reati relativi alla sfera sessuale e una trentina di casi trattati, principalmente nella fascia d’età 10-13 anni.

102 casi, invece, in ambito di minacce online, 22 soggetti denunciati alle autorità e 13 perquisizioni da parte degli operatori della Postale.

Un settore di competenza della Postale è quello dei reati di financial cybercrime. Lo scorso anno ci sono stati 297 episodi sottoposti a investigazione: 10 erano vittime minorenni e 27 persone sono state denunciate dopo 9 perquisizioni domiciliari da parte dei poliziotti veneziani.

Sequestrati, inoltre, due spazi virtuali, e controllate più di 600 persone al terminale interforze delle forze dell’ordine.

Mille gli episodi che possono essere ricondotti a diversi tipi di truffa, specialmente nel campo del trading online. Non mancano le truffe sentimentali, con ben 102 persone indagate.

Nel settore specialistico del computer crime, nel 2022 sono stati trattati 1221 episodi di attacchi informatici da parte di privati alle aziende: 15 i soggetti denunciati e 3 le perquisizioni svolte.

Significativo anche il numero degli spazi virtuali che sono stati monitorati: 307 per reati di hacking, ransomware ed exchange wallet. Sotto indagine anche soggetti considerati responsabili di essere in possesso di dispositivi o apparecchiature «diretti a danneggiare o interrompere un sistema informatico o telematico (3 casi), rilevazione di segreti professionali, scientifici o commerciali (5 casi) e diffamazione a personalità dello Stato».

Gli agenti della Polizia Postale sono stati presenti anche nelle scuole. Nel 2022 hanno incontrato 50mila studenti in 65 istituti scolastici, 3.338 genitori e più di 2000 docenti. Le principali iniziative sono state “Una vita da Social”, “Safer Internet Day”, “Cuori Connessi” e quelle relativa all’orientamento nel mondo del lavoro.

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Sognate impiegati modello, che non protestano, non fanno valere i loro diritti con vertenze sindacali e non chiedono aumenti di stipendio? Beh, basta andare in Cina, dove esiste già un nuovo mercato che sta registrando una crescita rapida.

Per assumere un impiegato modello “di base”, bastano soltanto 2.700 euro all’anno: parliamo di umani digitali, particolari avatar che sono stati creati con intelligenze artificiali e tecnologie avanzate.

Gli impiegati avatar parlano, cantano e interagiscono con altri utenti nelle chat o in diretta streaming.

Pechino capitale mondiale dei digital human

Il fenomeno dei digital human piace parecchio alle aziende cinesi, tant’è che Baidu, gigante tecnologico e principale motore di ricerca cinese, offre già da qualche anno questa tipologia di servizio, diventando una specie di agenzia interinale virtuale.

Nell’ultimo anno, il numero di richieste per questi avatar è duplicato. I prezzi, invece, sono scesi. Gli umani digitali in 2d sono quelli più economici, mentre per quelli tridimensionali e interattivi i prezzi potrebbero arrivare a circa 14.000 euro all’anno.

Il successo di questa tipologia di mercato in Cina dipende in gran parte dalla spinta del governo. Pechino, infatti, punta a diventare la capitale mondiale del mercato dei digital human. Qualche mese fa è stato anche annunciato un piano per sviluppare il settore, con lo scopo di generare un giro d’affari di 50 miliardi di Yuan, ovvero 7 miliardi di dollari entro l’anno 2025.

Pechino vuole favorire la creazione di una o più aziende dominanti nel settore. Nel 2020, a livello globale, il mercato dei digital human valeva 10 miliardi. Secondo alcune stime, il giro d’affari globale, nel 2030, potrebbe superare i 500 miliardi.

Fenomeni come la cantante virtuale Luo Tianyi, sviluppato da Bilibili (importante sito web cinese di condivisione video), o in generale le numerose figure virtuali che hanno una propria personalità muovono il mercato di oggi, addirittura di più rispetto ad una persona in carne ed ossa.

Steven Ma, vice presidente di Tencent (Spa che fornisce servizi d’intrattenimento, mass media, internet e cellulari) lo scorso anno ha organizzato una conferenza alla quale ha partecipato esclusivamente il suo doppio digitale.

Il suo avatar è stato sviluppato dalla stessa Tencent, che ha inoltre creato anche un cantante virtuale e una commentatrice sportiva digitale, che offre telecronache principalmente per persone sorde attraverso il linguaggio dei segni.

Intersezione tra fisico e digitale

Non dobbiamo, però, confondere gli umani digitali con gli influencer virtuali – fenomeno conosciuto anche in Occidente, ma semplice sottogruppo dei digital human cinesi.

Spiega Fabrizio Perrone, fondatore di Buzzoole: «Qui da noi gli influencer virtuali vanno ancora per la maggiore, ma non si possono considerare ancora persone virtuali. Si tratta di personaggi realizzati principalmente in post-produzione, ma che non possono fare live streaming o partecipare ad eventi».

«Le aziende», continua Perrone, «stanno capendo sempre di più che devono presidiare l’intersezione tra fisico e digitale, e che le strategie per farlo non possono essere banalmente quelle applicate ai social media: è il brand stesso che deve diventare un creator. I “brand human” virtuali sono un’opportunità in questo senso».

In Occidente e in Italia la domanda è bassa, anche perché utilizzare dei personaggi virtuali così avanzati è impegnativo e costoso. 2Watch, agenzia co-fondata sempre da Perrone, sta attualmente lavorando ad una soluzione avanzata per semplificare questo processo.

«Grazie a tecnologie avanzate di motion capture, alla connessione 5G e all’intelligenza artificiale, la nostra offerta permetterà ai brand di dare consistenza alla propria offerta virtuale, anche per eventi live o in streaming».

Reali prospettive futuristiche

Anche se il mercato italiano e quello europeo sono ancora lontani da quello cinese, l’avvento delle intelligenze artificiali sempre più complesse e avanzate renderanno inevitabile l’avvento del mercato dei digital human anche da noi.

Conclude Perrone: «Stiamo vivendo un nuovo momento d’oro dell’Intelligenza Artificiale, ma a differenza del passato oggi vediamo risultati concreti. Parliamo ancora di prospettive futuristiche, ma grazie alla IA si potranno raggiungere presto risultati ancora impensabili. Ad esempio con personaggi in CGI che interagiscono in diretta live, senza bisogno di un attore in carne ed ossa e della motion capture dietro le quinte».

Curiosità

In Giappone ci sono molte persone che si definiscono “fictosessuali”, ovvero che hanno una relazione virtuale. Una di queste persone è il signor Akihiko Kondo, cha a 38 anni ha deciso di sposare il suo amore virtuale, la cantante manga Hatsune Miku, che esiste sotto forma di ologramma.

Tutto questo è possibile grazie ad un dispositivo chiamato Gatebox, che rende viva la cantante. Hatsune è una Vocaloid, una cantante virtuale, ed è una vera star in Giappone. È talmente famosa che anche Lady Gaga l’ha ospitata sul palco.

Kondo, dopo aver capito che le relazioni umane non facevano per lui, ha deciso di sposare un ologramma. L’unione corrisponde ad un contratto, non valido dal punto di vista legale, emesso da Gatebox. Al matrimonio hanno partecipato soltanto le persone che Kondo ha conosciuto su internet: della sua famiglia non c’è stata traccia.

Negli anni 90, Kondo si sarebbe definito come un “Otaku”, ovvero un individuo isolato dalla società, che si rinchiude in casa e vive in un mondo irreale, fantastico. Ma anche se Kondo vive nel mondo dell’immaginazione, il suo sentimento, a quanto pare, è reale.

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Vediamo insieme le grandi operazioni di cyber crime che hanno caratterizzato il 2022 e come le forze dell’ordine sono riuscite a smantellarle.

Un uomo nasconde un miliardo di dollari all’interno di una confezione di pop-corn

A novembre, James Zhong si è dichiarato colpevole di frode di più di un miliardo di dollari. Le autorità statunitensi, dopo una caccia di dieci anni, sono riuscite a localizzare 50.000 Bitcoin rubati a Silk Road, un famoso marketplace illegale, smantellato ufficialmente nel 2013.

Il computer dove erano custoditi i fondi scomparsi è stato ritrovato in una scatola di pop-corn nascosta in un armadio. Zhong ora rischia 20 anni di reclusione in carcere: la sentenza è attesa per il prossimo febbraio.

Raccoon Infostealer

Lo scorso ottobre, Mark Sokolovsky è stato ufficialmente imputato in quanto ritenuto uno degli amministratori di una delle più grandi operazioni di crimine informatico, la Raccoon Infostealer (letteralmente Procione che ruba informazioni).

Sokolovsky e i suoi soci, dal 2018 al 2022 hanno venduto un malware capace di sottrarre informazioni sensibili e credenziali delle vittime, molto utilizzato nella comunità dei cybercriminali in quanto estremamente intuitivo e semplice da utilizzare.

Il numero delle credenziali sottratte grazie a Raccoon ammonta a più di 50 milioni, tra le quali troviamo anche quelle di cittadini italiani.

Attualmente Sokolovsky è in attesa di estradizione nei Paesi Bassi.

Il gruppo Lapsus$ vs Microsoft e Samsung

Un gruppo criminale diventato famoso nello scorso anno è Lapsus$, che ha colpito anche aziende importanti come Samsung e Microsoft.

Sette persone sono state arrestate a Londra per connessioni con il gruppo di cybercrime. Dietro l’operazione ci sarebbe la mente di un sedicenne, chiamato “White” o “Breachbase”. Bloomberg ha rintracciato il giovane, grazie alla pubblicazione delle sue informazioni online da parte di un rivale.

Non è ancora chiaro se il sedicenne sia tra le persone arrestate dalla polizia londinese.

Uber hackerato da un diciasettenne

Restiamo ancora a Londra: lo scorso settembre è stato arrestato un diciasettenne, accusato di aver realizzato un gravissimo cyberattacco contro Uber e contro Rockstar Games, nota compagnia di videogiochi.

L’adolescente sarebbe riuscito ad entrare nei sistemi aziendali di Uber dopo aver rubato la password ad un dipendente, mentre per quanto riguardo Rockstar Games il ragazzo ha avuto accesso ad una versione non rilasciata del videogioco GTA.

iSpoof e le chiamate fraudolente

Una grossa operazione di polizia internazionale lo scorso novembre è riuscita a smantellare iSpoof, un servizio che consentiva l’occultamento dei numeri di telefono.

Il servizio veniva utilizzato da truffatori di tutto il globo per effettuare le cosiddette chiamate fraudolente, spingendo le vittime a fornire credenziali e informazioni sensibili. Sono state arrestate più di 120 persone.

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