Dove sono finite le multe del Lockdown?

Da quando sono state introdotte le primissime restrizioni per limitare la diffusione dei contagi da Covid-19, le forze dell’ordine italiane hanno fatto milioni di controlli. A questi, sono seguiti provvedimenti, denunce e multe per violazione delle regole.

Il divieto di assembramento, le restrizioni, l’obbligo di indossare la mascherina fino all’obbligo vaccinale: sono regole cambiate molte volte, basandosi sulla situazione epidemiologica. Tuttavia, l’accumularsi di circolari e decreti ha creato caos e confusione. Non soltanto per le persone, ma anche con chi doveva far rispettare tali regole.

Le sanzioni sono rimaste più o meno le stesse, ovvero: denunce penali in caso di violazione della quarantena, multe per non aver rispettato le regole per limitare i contagi e multe per chi non si è sottoposto alla vaccinazione obbligatoria.

Ora che la fase più critica sembra essere stata superata, istituzioni come tribunali ed enti locali cominciano a fare i conti con tali sanzioni. È difficile comprendere i dettagli di ogni provvedimento o quante sono le persone che hanno effettivamente pagato le multe e quante no.

Per avere dati più precisi forse serviranno anni. Tuttavia, già da ora è possibile farsi un’idea sull’orientamento prevalente in tema di giustizia penale e amministrativa per quanto riguarda multe e denunce. Ci sono casi, infatti, in cui sono state confermate, mentre in altri rimosse.

I dati del Ministero

Per cominciare ad analizzare le sanzioni possiamo partire dai dati diffusi dal Ministero dell’Interno, che già nell’aprile del 2020 cominciò a pubblicare quotidianamente i rapporti sui controlli.

Dal marzo 2020 a marzo 2022 ci sono state 808mila multe per violazione delle regole, denunciate 7.746 persone per violazione della quarantena e 40mila multe ai negozianti. Il numero maggiore di multe è stato fatto tra marzo e aprile del 2020.

In generale, l’andamento delle denunce per aver violato la quarantena è rimasto stabile nel corso del tempo.

Tutte le persone positive che sono state trovate a violare la quarantena sono state denunciate, così come previsto dall’art. 260 del regio decreto 1265 del 1934. La violazione della quarantena è un reato contravvenzionale, ma prevede ugualmente l’arresto da 3 a 18 mesi, unitamente ad un’ammenda che va da 500 a 5.000 euro.

Denunce e processi

Negli ultimi mesi sono cominciati i primi processi nei confronti delle persone che sono state denunciate. Di tutti quelli di cui abbiano notizia, la conclusione è stata l’assoluzione.

Per esempio, la scorsa settimana è stato assolto un uomo di 38 anni, denunciato a gennaio 2022 dopo un controllo della polizia ferroviaria in un treno diretto a Bari. L’uomo non aveva con sé il certificato di guarigione dal Covid-19, quando soltanto tre giorni prima era risultato positivo ad un tampone.

L’uomo non aveva sintomi durante il controllo. La procura aveva richiesto una condanna di almeno due mesi. Tuttavia, la giudice Fioretta lo ha assolto in quanto «il fatto non sussiste».

Le inchieste, in linea generale, hanno stabilito che si può parlare di effettiva “violazione della quarantena” soltanto se è stato emanato uno specifico provvedimento dall’autorità sanitaria. Il provvedimento deve essere personale, non generico; deve essere dunque notificato alla persona risultata positiva attraverso un’ordinanza del sindaco.

Archiviazione delle accuse

Il governo, però, non ha mai fissato delle regole per questo tipo di comunicazioni. Le aziende sanitarie, di conseguenza, hanno comunicato ai sindaci i nomi delle persone risultate positive saltuariamente.

Senza presupposto necessario del reato la condotta degli imputati non ha rilevanza penale. La giustizia italiana sembra essersi consolidata su questa linea, viste le assoluzioni delle persone a Bolzano, Milano, Varese e in altre province italiane.

Nei casi più gravi si parla di denunce per epidemia colposa, con una pena che va da 1 a 5 anni per le persone accusate di diffusione del contagio. Ma anche in questi casi i magistrati propendono per l’archiviazione delle accuse.

Risulta estremamente difficile dimostrare la relazione tra le azioni delle persone accusate e i contagi. Durante una pandemia – lo abbiamo imparato bene – è impossibile tracciare in maniera precisa il percorso dei contagi.

Multe confermate

Le multe per il mancato rispetto delle regole finalizzate al contenimento del contagio sono state quasi tutte confermate.

Le multe, che vanno da un minimo di 400 euro ad un massimo di 3.000, erano state inizialmente messe in discussione in quanto illegittime. Diverse sentenze hanno confermato che le restrizioni e i decreti erano validi, e per questo motivo le multe potranno essere riscosse.

Parliamo di sanzioni amministrative che vengono gestite nello stesso modo in cui si gestiscono le multe per eccesso di velocità o sorpasso vietato. Si pagano entro cinque giorni (con sconto del 30%), oppure si può fare ricorso al giudice di pace entro i primi 30 giorni dalla notifica.

L’obbligo vaccinale per le persone con più di 50 anni

Altro discorso per le multe date alle persone con più di 50 anni che non si sono sottoposte alla vaccinazione obbligatoria, così come stabilito dal governo Draghi.

Queste persone avrebbero dovuto vaccinarsi entro il 1° febbraio 2022; in caso contrario, avrebbero dovuto pagare una multa di 100 euro. La persona multata, dopo aver ricevuto l’avviso di pagamento, aveva 10 giorni di tempo per comunicare eventuali esenzioni o errori da parte del ministero.

In totale sono state inviate 1,8 milioni di multe. Ma all’inizio dello scorso dicembre è stato approvato un emendamento che sospende sino al 30 giugno 2023 le multe alle persone non vaccinate.

Entro fine giugno il governo dovrà decidere che cosa fare, se tornare a chiedere il pagamento, prolungare il periodo di sospensione oppure cancellarle definitivamente.

E le inchieste sulla pandemia?

Molte procure italiane negli ultimi due anni e mezzo hanno avviato indagini per l’accertamento di eventuali responsabilità a livello penale per quanto riguarda la gestione della pandemia.

Casi circoscritti, denunce in seguito a morti nelle RSA e gestione generale delle misure di contenimento e prevenzione: non sono indagini semplici, vista la portata di questa pandemia, con contagi talmente rapidi che hanno reso impossibile stabilire le responsabilità di persone e Istituzioni.

Per questo, quasi tutte le inchieste hanno finito con l’essere archiviate.

In Veneto il maggior numero di esposti per i morti nelle RSA

La regione che ha presentato più esposti per le morti dovute al coronavirus è la regione Veneto. La procura di Venezia avrebbe ricevuto decine di denunce da parte dei familiari delle persone morte nelle RSA.

Le famiglie sostengono che gli anziani sarebbero morti in quanto non tutelati dai medici, dalle strutture e dai dirigenti.

Giovanni Gasparini è il magistrato che si è occupato di queste denunce. Ha indagato il «reato di epidemia colposa, che punisce chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni». Secondo le indagini, è chiaramente impossibile stabilire con certezza il nesso di causalità tra contagi e decessi.

Le morti, infatti, hanno riguardato persone fragili, con diverse malattie, e per questo non è stato possibile stabilire la causa effettiva che ha condotto al decesso.

Inoltre, è stato dimostrato che i decessi prima e durante la pandemia non hanno subito variazioni. Non è stato possibile dimostrare, quindi, che omissioni e azioni di medici e dirigenti abbiano influito alla diffusione dei contagi.

Bergamo

Una delle inchieste più corpose è ancora aperta: parliamo di quella avviata in provincia di Bergamo, dove tra marzo e aprile 2020 morirono 6.000 persone, con un aumento della mortalità del 570% rispetto agli anni precedenti.

I capi d’accusa sono omicidio colposo, falso ed epidemia colposa. Sono stati raccolti documenti e testimonianze al fine di ricostruire ciò che successe in quei mesi, per capire se dirigenti, medici e politici abbiano volontariamente scelte di non intervenire, nonostante la conoscenza dei dati allarmanti.

La mail di Fontana

Il quotidiano Domani ha rivelato l’esistenza di una mail, inviata da Attilio Fontana, presidente della Regione Lombardia, il 28 febbraio 2020. Nella mail si legge che la «Regione Lombardia, con la nota trasmessa ieri, ha richiesto il sostanziale mantenimento, per la settimana dal 2 all’8 marzo delle misure di contenimento della diffusione del Coronavirus valide per questa settimana, già adottate con il decreto del 23 febbraio 2020 per i comuni del basso lodigiano e con l’ordinanza per il resto del territorio regionale».

La mail era destinata al capo della Protezione Civile, Angelo Borrelli, alla segreteria della presidenza del Consiglio, a quella del ministero dell’Interno e a quello del ministero dello Sviluppo economico. Fontana, in quella mail comunicò che la trasmissione del virus era già pari a due contagi per ogni persona infetta.

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