Il nostro Paese non è più considerato il grande “malato d’Europa” e gli italiani non sono più i maggiori tartassati tra i cittadini dell’Area Euro. Attualmente, tale primato negativo spetta alla Francia, che sta attraversando una crisi politica, sociale ed economica molto preoccupante. In termini di crescita del Pil pro capite, consumi e investimenti, l’Italia ha ampiamente superato la Francia nel corso di quest’anno; quest’ultima ci precede esclusivamente per quanto concerne il carico fiscale.
Tale risultato, però, non può certo essere un motivo di vanto. Anzi. Con un prelievo fiscale pari al 45,2 per cento del Pil, è come se lo scorso anno i contribuenti francesi avessero versato complessivamente 57 miliardi di euro di tasse/contributi in più rispetto a noi italiani[1]. Un importo da far tremare i polsi. Tra tutti i paesi dell’Area Euro nessun altro conta una pressione fiscale superiore a quella francese. Sebbene le famiglie d’oltralpe con figli beneficino di un sistema fiscale ancora favorevole, il prelievo fiscale ha toccato livelli che in Italia non abbiamo mai raggiunto. A segnalarlo è l’Ufficio studi della CGIA.
Nel confronto con Parigi, vinciamo noi
Ricordiamo, inoltre, che rispetto ai nostri cugini transalpini abbiamo due punti percentuali di disoccupazione in meno[2], l’anno scorso il nostro export è stato superiore di oltre 33 miliardi di dollari[3], lo spread è ai minimi storici e la situazione dei nostri conti pubblici è in netto miglioramento. Per contro, l’aumento del deficit e del debito pubblico francese hanno causato nelle settimane scorse le dimissioni del primo ministro François Bayrou, che è stato il terzo premier a lasciare l’incarico in poco più di un anno.
I problemi rimangono: ma con PNRR e ZES Unica stiamo meglio
Sia chiaro: i problemi strutturali del nostro Paese sono ancora molto diffusi. Sarebbe scorretto non riconoscerlo. Segnaliamo, ad esempio, che abbiamo il tasso di occupazione femminile più basso dell’UE, così come il saggio più basso di crescita delle retribuzioni medie, senza contare che in questi ultimi anni si sono accentuate le disuguaglianze sociali. La burocrazia, il fisco, i costi energetici e i deficit infrastrutturali continuano a condizionare negativamente la competitività del nostro sistema produttivo.
Tuttavia, abbiamo superato con maggiore slancio dei principali big europei gli effetti delle crisi che si sono succedute nel triennio 2020-2022, riconducibili, in particolare, al Covid e all’impennata dei costi energetici che ha sospinto all’insù l’inflazione. Un risultato che è stato ottenuto grazie alle tante misure pubbliche di sostegno al reddito che sono state erogate dagli ultimi tre esecutivi e alla grande reazione manifestata da tutto il nostro sistema economico. Inoltre – sottolinea la CGIA – sono stati determinanti anche gli investimenti realizzati dal Governo Meloni con il PNRR e con le risorse impiegate nella ZES Unica[4] che stanno rilanciando il Mezzogiorno. Una ripartizione geografica che, finalmente, si sta lasciando alle spalle decenni e decenni caratterizzati da disoccupazione, difficoltà e ritardi economici.
Post pandemia: in Italia crescita record. In Germania è crisi nera
Grazie alla spinta economica registrata nel biennio 2021-2022, l’economia italiana è quella che tra i principali paesi dell’UE è “uscita” meglio dalla crisi pandemica. Se, infatti, analizziamo l’andamento del Pil reale[5] tra il 2019 e il 2024, l’Italia ha ottenuto una crescita del 5,8 per cento, la Francia del 4,3 e la Germania dello zero. Tra i big europei, solo la Spagna, con il +6,8 per cento, può contare su un incremento della ricchezza prodotta superiore al nostro. La media dei 20 paesi dell’Area Euro è stata del +4,9 per cento. Ci “prendiamo” la leadership, invece, quando analizziamo il trend del Pil reale pro-capite. Sempre tra il 2019 e il 2024, in Italia il “salto” in avanti è stato del 7,2 per cento, in Spagna del 3, in Francia del 2,6, mentre la Germania ha subito una contrazione dell’1,6 per cento.
La media Ue è stata del +3,2 per cento. In virtù del fatto che Germania e Francia sono i due principali paesi di destinazione del nostro export, la CGIA segnala che non possiamo certo rallegrarci se lì le cose non vanno bene. Purtroppo, le ricadute negative si faranno sentire anche nel nostro Paese che dovrà affrontare anche gli effetti negativi causati dai dazi imposti dall’Amministrazione USA guidata dal presidente Trump.
[1] Elaborazione CGIA su dati Eurostat.
[2] Questa comparazione e quelle richiamate più sopra sono state estrapolate dall’ultimo rapporto della EC “European Economic Forecast”, Spring 2025, Institutional paper 318 – may 2025.
[4] La Zona Economica Speciale (ZES) Unica per il Mezzogiorno, è stata istituita il 1° gennaio 2024 con il Decreto-Legge 19 settembre 2023, n. 124, convertito in Legge n. 162 del 13 novembre 2023 (GU n. 268 del 16 novembre 2023) e comprende i territori delle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia, Sardegna. La Zona Economica Speciale è definita dalla legge come una zona delimitata del territorio dello Stato, nella quale l’esercizio di attività economiche e imprenditoriali, da parte sia delle aziende già operative nei relativi territori, sia di quelle che vi si insedieranno, può beneficiare di speciali condizioni, in relazione agli investimenti e alle attività di sviluppo d’impresa. La ZES unica Mezzogiorno mira a fornire un approccio integrato e coerente per sostenere lo sviluppo economico e la crescita nelle regioni interessate attraverso la semplificazione amministrativa (Autorizzazione unica) e l’agevolazione degli investimenti.
[5] Al netto dell’inflazione.
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