Successioni: da quest’anno cambia tutto, addio al coacervo e nuove regole per l’imposta

L’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 2 del 14 marzo, ha chiarito le novità introdotte dal Decreto Successione e Donazioni, che è entrato in vigore il 1° gennaio 2025. Tra le principali modifiche, spicca l’obbligo per gli eredi di calcolare autonomamente l’imposta di successione e versarla entro 90 giorni dalla dichiarazione, senza più attendere la liquidazione da parte dell’ufficio competente.

Sarà possibile pagare l’imposta in un’unica soluzione o in forma rateizzata, con un acconto minimo del 20% e il saldo in 8 o 12 rate trimestrali. Gli uffici dell’Agenzia delle Entrate procederanno ai controlli sulla congruità del versamento e, in caso di difformità, notificheranno l’avviso di liquidazione per il pagamento dell’eventuale differenza, comprensiva di sanzioni e interessi di mora.

Un’altra grande novità riguarda l’abolizione del coacervo: a partire dal 2025, le donazioni effettuate in vita dal defunto non verranno più cumulate con l’eredità per il calcolo dell’imposta di successione. Tuttavia, il coacervo resta in vigore per le donazioni, con l’eccezione di quelle effettuate tra il 2001 e il 2006.

Restano invece invariate franchigie e aliquote:

  • Coniuge e parenti in linea retta: franchigia di 1 milione di euro; aliquota del 4% sulla parte eccedente.
  • Fratelli e sorelle: franchigia di 100.000 euro; aliquota del 6% sulla parte eccedente.
  • Altri parenti fino al quarto grado e affini: nessuna franchigia; aliquota del 6%.
  • Altri soggetti: nessuna franchigia; aliquota dell’8%.

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Omessa restituzione di documenti: illecito deontologico permanente

L’omessa restituzione di documenti al cliente da parte dell’avvocato costituisce un illecito deontologico permanente. Lo ha stabilito il Consiglio Nazionale Forense con la sentenza n. 363 del 7 ottobre 2024 (pres. Greco, rel. Favi), precisando che la prescrizione inizia a decorrere solo in determinati casi.

Secondo il CNF, il dies a quo va individuato nel momento in cui il professionista:

  1. Ponga fine all’omissione restituendo i documenti al cliente;
  2. Rifiuti espressamente la restituzione, sostenendo la legittimità del proprio comportamento, a condizione che tale diritto sia rivendicato direttamente nei confronti del cliente e non come difesa in sede disciplinare o penale;
  3. In ogni caso, per evitare un’irragionevole imprescrittibilità dell’illecito, il limite massimo di permanenza coincide con la decisione disciplinare di primo grado.

La pronuncia fornisce un’importante interpretazione dell’art. 33 del Codice Deontologico Forense, stabilendo che l’illecito persiste fino a uno di questi eventi, con evidenti implicazioni sulla responsabilità professionale degli avvocati.


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Riforma della geografia giudiziaria: meno cause e processi più rapidi, ma a che prezzo?

A oltre dieci anni dalla riforma della geografia giudiziaria del 2013, uno studio della Banca d’Italia, pubblicato a marzo 2025, analizza le conseguenze della soppressione di tribunali minori e sezioni distaccate sul funzionamento della giustizia civile. Curata da Sauro Moccetti, Ottavia Pesenti e Giacomo Roma, la ricerca evidenzia un calo della domanda di giustizia e una riduzione della durata dei procedimenti, ma anche un aumento dei costi di accesso per i cittadini.

La riforma, che ha accorpato le attività di 25 tribunali minori e 220 sezioni distaccate nei 140 tribunali rimasti operativi, ha incrementato la distanza fisica tra i cittadini e gli uffici giudiziari. Secondo lo studio, ogni 5 chilometri in più tra un cittadino e il tribunale si registra un calo del 6% delle cause avviate, con effetti particolarmente evidenti nelle controversie di responsabilità extracontrattuale, come gli incidenti stradali, e nelle dispute sui diritti di proprietà, come le cause condominiali. Meno impattati, invece, il diritto di famiglia, il lavoro e le crisi d’impresa.

Se da un lato la riforma ha ridotto l’accesso alla giustizia per alcuni cittadini, dall’altro ha migliorato l’efficienza dei tribunali accorpati: il numero di procedimenti conclusi è aumentato del 5% e il tempo medio di definizione si è ridotto nella stessa misura. Le giurisdizioni più ampie, spiegano i ricercatori, hanno favorito economie di specializzazione, permettendo ai giudici di maturare competenze più specifiche e migliorare la qualità del servizio.

Tuttavia, lo studio avverte che un’eccessiva concentrazione può generare inefficienze e congestionare il sistema. L’ampliamento delle giurisdizioni, se non calibrato, rischia di ridurre la copertura territoriale, aumentando i costi per chi vive in aree periferiche e limitando la conoscenza diretta del contesto locale da parte dei magistrati.

“Superata una certa soglia – concludono i ricercatori – i costi di congestione possono prevalere sui benefici di specializzazione, minando equità ed accessibilità alla giustizia”.


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Napoli, avvocati in rivolta: proclamata l’astensione dalle udienze il 3 aprile

Si inaspriscono i rapporti tra l’Avvocatura napoletana e la Presidenza del Tribunale di Napoli dopo la decisione di trasferire la trattazione delle cause penali da Ischia alla sede centrale del Tribunale partenopeo.

Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli ha duramente criticato la scelta, definendola una “deportazione” e denunciando una “scellerata gestione del settore penale della Sezione Distaccata di Ischia”. A questo si aggiunge la chiusura dell’Ufficio del Giudice di Pace di Napoli Nord, provvedimenti che, secondo l’Ordine, rappresentano un colpo mortale alla giustizia di prossimità.

Per queste ragioni, il COA di Napoli ha proclamato una giornata di astensione dalle udienze per il prossimo 3 aprile, convocando contestualmente un’assemblea degli iscritti per denunciare le gravi disfunzioni della giustizia. “Quotidianamente assistiamo ad attacchi alla Giustizia – si legge nella nota dell’Ordine – con intollerabili ripercussioni sulla tutela dei diritti dei cittadini, dovute alle carenze di personale amministrativo e giudicante e a una gestione amministrativa aberrante”.

Il provvedimento più contestato è il decreto del Presidente del Tribunale di Napoli che dispone il rinvio delle udienze penali di Ischia presso la sede centrale, con inevitabili disagi per avvocati, cittadini e forze dell’ordine. “È intollerabile che si chiudano presidi giudiziari per mancanza di personale – attacca il COA – è il fallimento dello Stato di diritto, del Governo e di chi amministra la giustizia”.

L’Ordine degli Avvocati ha annunciato che impugnerà i provvedimenti della Presidenza del Tribunale nelle sedi opportune e ha sollecitato il Governo ad adottare misure urgenti per garantire il funzionamento del sistema giudiziario.


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Convenzione per la protezione della professione forense, l’UCPI: “Auspicata una pronta ratifica da parte dell’Italia”

Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 12 marzo scorso ha adottato ufficialmente la Convenzione per la Protezione della Professione Forense, un trattato innovativo volto a rafforzare le garanzie per gli avvocati e le loro associazioni professionali e a tutelarne l’indipendenza. Il nuovo strumento giuridico risponde alle crescenti minacce, interferenze e pressioni che colpiscono gli avvocati in molte giurisdizioni europee, compromettendo il diritto alla difesa e lo stato di diritto.

Di seguito, la nota della Giunta, dell’Osservatorio Europa e dell’osservatorio Avvocati Minacciati UNCP.

La Convenzione per la Protezione della Professione Forense frutto di più di due anni di stretta collaborazione tra il Comitato europeo di cooperazione giuridica (CDCJ) e il Comitato di esperti sulla protezione degli avvocati (CJ-AV), rappresenta il primo trattato internazionale vincolante dedicato specificamente alla protezione degli avvocati che, sottolineando l’importanza fondamentale dell’indipendenza della professione legale, interviene a salvaguardare, altresì, la riservatezza nei rapporti avvocato-cliente e a garantire il diritto degli avvocati di esercitare la professione senza pregiudizi, interferenze o intimidazioni.

Si fonda, per espresso rimando nel suo preambolo, sulla Convenzione Europea dei Diritti Umani e dei suoi Protocolli, nonché sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, tenendo, altresì, conto dei Principi fondamentali sul ruolo degli avvocati, adottati dall’Ottavo Congresso delle Nazioni Unite sulla prevenzione del crimine e il trattamento dei trasgressori nel 1990, della Raccomandazione Rec(2000)21 del Comitato dei Ministri agli Stati membri del Consiglio d’Europa sulla libertà di esercizio della professione di avvocato e della risoluzione 44/9 sull’indipendenza e l’imparzialità della magistratura, dei giurati e dei consulenti tecnici, nonché dell’indipendenza degli avvocati, adottata dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite il 16 luglio 2020.

Gli Stati firmatari si impegnano a garantire la libertà di esercizio della professione senza discriminazioni, indebite pressioni o atti di violenza. Si riconosce il diritto degli avvocati a esprimersi liberamente su questioni legali e di giustizia senza subire conseguenze negative o ritorsioni. La Convenzione prevede la tutela delle associazioni professionali per assicurare l’autonomia dell’avvocatura rispetto a pressioni politiche o governative e istituisce un meccanismo di monitoraggio internazionale, denominato GRAVO, per garantire il rispetto delle disposizioni del trattato e verificare eventuali violazioni. Questo organismo avrà il compito di valutare periodicamente l’attuazione della Convenzione nei vari Stati aderenti, potendo anche effettuare visite nei Paesi per verificare il rispetto delle norme e raccogliere segnalazioni da parte di ordini professionali, organizzazioni non governative e altre istituzioni della società civile.

Gli Stati dovranno assicurare che gli avvocati possano svolgere la loro attività professionale senza il timore di subire aggressioni fisiche, minacce, molestie o interferenze indebite. In caso di attacchi, sarà necessario garantire indagini efficaci e tempestive. Le associazioni forensi dovranno poter operare in maniera indipendente, senza ingerenze, per garantire la difesa della professione e il rispetto degli standard deontologici.

La Convenzione sarà aperta alla firma a partire dal 13 maggio 2025, in occasione della riunione dei Ministri degli Affari esteri del Consiglio d’Europa che si terrà a Lussemburgo. Per entrare in vigore, il trattato dovrà essere ratificato da almeno otto Paesi, di cui almeno sei appartenenti al Consiglio d’Europa. La ratifica sarà un passaggio fondamentale affinché gli Stati si assumano un impegno concreto nella protezione dell’indipendenza degli avvocati e della giustizia.

Negli ultimi anni, il Consiglio d’Europa ha espresso più volte preoccupazione relativamente alla sicurezza degli avvocati, sempre più spesso bersagli di intimidazioni, attacchi fisici e pressioni indebite, compromettendo l’efficacia della difesa e il diritto a un giusto processo. La Convenzione rappresenta, quindi, una risposta concreta a queste problematiche, ponendo un argine a fenomeni di violenza e repressione nei confronti dell’avvocatura. Secondo il rapporto esplicativo della Convenzione, infatti, è riconosciuto agli avvocati un ruolo fondamentale per la tenuta dello Stato di diritto e il funzionamento equo dei sistemi giudiziari. Tuttavia, in molti Paesi, essi sono soggetti a limitazioni arbitrarie, minacce alla loro indipendenza e persino ad attacchi fisici in ragione del loro lavoro in difesa dei diritti umani e della giustizia. La Convenzione stabilisce principi chiari per prevenire questi fenomeni e fornire strumenti concreti di protezione.

L’Unione delle Camere Penali Italiane, con i suoi Osservatori Europa e Avvocati Minacciati, accoglie con favore l’adozione della Convenzione, riconoscendone il valore nella salvaguardia dell’autonomia della professione forense e nel rafforzamento delle garanzie dello Stato di diritto. In tale contesto, auspica che l’Italia sia tra i primi Paesi a firmare e ratificare il trattato, riaffermando il proprio impegno nella difesa di un sistema giudiziario equo, indipendente ed efficace in linea con gli standard europei e internazionali. Il rispetto delle garanzie previste dal trattato contribuirebbe, infatti, a garantire che il sistema giudiziario operi in un contesto di massima tutela per coloro che esercitano la professione forense.


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Roma, 20 marzo 2025 – La riforma costituzionale sull’ordinamento giurisdizionale e il Consiglio superiore della magistratura è stata al centro del Convegno “Processo e Riforme”, evento organizzato dall’Università di Roma Tor Vergata che si è svolto oggi a Villa Mondragone di Monteporzio Catone, con la partecipazione del ministro della Giustizia, Carlo Nordio.

Nel corso del suo intervento, il Guardasigilli ha ribadito i presupposti a fondamento dell’intervento normativo, ancora all’attenzione del Parlamento: “La riforma costituzionale è una riforma che ha un’origine tecnica. Abbiamo citato il professor Vassalli, eroe della Resistenza, padre del Codice di procedura penale, ma è lì la ragione tecnica. Quando si è introdotto il sistema penale cosiddetto accusatorio, tutta la struttura costituzionale che avrebbe dovuto accompagnare un sistema rivoluzionario come quello non è stata toccata, prima o dopo doveva essere toccata. Quella Costituzione che andava bene con un processo paradossalmente firmato da Alfredo Rocco, da Benito Mussolini e da Vittorio Emanuele III, e che è durato fino al 1988, non andava più bene dopo l’introduzione di un processo completamente incompatibile o in parte incompatibile”.

Continua il Ministro: “Questo è stato ammesso dallo stesso professor Vassalli, ma non c’è nessun reato di lesa maestà e tanto meno un vulnus all’indipendenza – e questo è il terzo concetto che vorrei esprimere – e all’autonomia della magistratura giudicante e requirente. E’ scritto a chiarissime lettere nella riforma costituzionale. Ogni processo alle intenzioni, che – sotto sotto – si intenda alla fine modificare anche questa, non è altro che un artificio divinatorio, un po’ fantasioso. Perché si deve leggere nella riforma della Costituzione quello che nella riforma non solo non c’è, ma è scritto a chiarissime lettere. E anche qui mi permetto un riferimento personale, vi pare che una persona che per 40 anni ha fatto il pubblico ministero proprio per essere libero e indipendente vorrebbe un pubblico ministero sottoposto al potere esecutivo. E’ già scritto, non avverrà mai, non avverrà “in my name”, non in nome di questa riforma costituzionale, poi in futuro come si sa è nel grembo di Giove”.

Allo svolgimento del convegno hanno portato il loro contributo anche il Primo Presidente della Corte di Cassazione, Margherita Cassano, il Procuratore Generale della Suprema Corte, Pietro Gaeta, il Procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Stefano Musolino, e il Presidente della Camera Penale di Roma, Giuseppe Belcastro.


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La vera emergenza non è il costo del patrocinio, ma la progressiva compressione del diritto di difesa

Pubblichiamo la nota della Giunta, della Commissione centri di permanenza per i rimpatri e dell’Osservatorio sul patrocinio a spese dello Stato.

Tra i numerosi commenti sulla sentenza della Corte di Cassazione che ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno per le persone trattenute illegittimamente sulla nave Diciotti, uno in particolare ci ha colpito. Si tratta di un intervento che ha colto l’occasione per rilanciare la tesi di un presunto “business del patrocinio gratuito”. Nel suddetto articolo si fa riferimento all’aumento del contenzioso usando dati statistici parziali e decontestualizzati al fine di sostenere che il 25% della spesa per il patrocinio civile riguardi cittadini stranieri. Secondo tale argomentazione si alimenterebbe in questo modo un contenzioso privo di reali finalità di giustizia e vantaggioso solo per avvocati e organizzazioni come Caritas e Save the Children, con particolare riferimento alle impugnazioni delle decisioni prefettizie in materia di immigrazione.

Si afferma che questi ricorsi sospendano automaticamente i provvedimenti impugnati, permettendo ai ricorrenti di restare in Italia per tempi lunghissimi, anche quando infondati. Tuttavia, l’intervista a un magistrato, citata nello stesso articolo, conferma il contrario: la sospensione non è automatica, ma decisa dal giudice caso per caso sulla base della fondatezza.

Nel settore penale, si sostiene che la spesa per la difesa degli stranieri, senza indicarne la percentuale, sarebbe un “buco nero” e che il gratuito patrocinio garantirebbe compensi spropositati. Come penalisti, riconosciamo le criticità del sistema e la necessità di riforme, ma respingiamo la narrazione che lo dipinge come spreco di denaro pubblico.

Si insinua che il patrocinio non sia un costo necessario per lo Stato, ma un lusso ingiustificato, e che gli avvocati vi speculino. Ancora più grave, si lascia intendere che difendere cittadini stranieri sia ancor meno giustificato. Ma il diritto di difesa è un pilastro della giurisdizione, garantito dall’articolo 24 della Costituzione. In materie come la privazione della libertà personale e il diritto d’asilo, l’assistenza difensiva è un obbligo non solo costituzionale, ma anche derivante da principi fondamentali del diritto internazionale. Più in generale andrebbe ricordato che vi sono diritti che spettano non in quanto cittadini di un determinato stato, ma in quanto esseri umani.

Non ci sottraiamo, però, ad un confronto diretto sulle provocazioni sollevate, e ci permettiamo quindi alcune precisazioni.

In ambito civile, l’accesso al gratuito patrocinio è subordinato a una verifica preliminare di fondatezza della pretesa: non vengono erogati compensi per ricorsi manifestamente infondati. Anzi, un’analisi statistica potrebbe dimostrare quanti ricorsi vengano dichiarati inammissibili e restino senza retribuzione per l’avvocato o quanti siano accolti, a riprova della loro fondatezza. Lo stesso principio vale nel penale: se un’impugnazione è inammissibile, non è previsto alcun compenso.

I costi del contenzioso penale riguardante gli stranieri sono gonfiati da precise scelte di politica criminale, come la criminalizzazione della c.d. clandestinità e dell’inottemperanza all’espulsione, reati che la normativa europea vieta di punire con la detenzione, ma che in Italia continuano a ingolfare i giudici di pace.

Contrariamente a quanto si afferma, i compensi per il gratuito patrocinio sono bassissimi. Cause e processi che richiedono anni di lavoro sono retribuiti con importi che, rapportati alla paga oraria prevista per altre categorie professionali risultano irrisori. Questo fenomeno determina una fuga dalla professione forense e favorisce pratiche che penalizzano proprio chi avrebbe diritto a una difesa adeguata.

La vera emergenza non è il costo del patrocinio, ma la progressiva compressione del diritto di difesa. Tempi d’azione ridotti, accesso limitato agli atti, minore possibilità di confronto con l’assistito e giudici sempre più distanti, trasformano la giustizia in un simulacro e determinano una restrizione dei presidi di garanzia dei diritti fondamentali degli stranieri.

Attaccare il patrocinio a spese dello Stato, riconosciuto anche agli stranieri, non significa colpire gli avvocati, ma precludere ai più deboli l’accesso alla tutela giurisdizionale, compromettendo così il diritto di difesa e l’effettività della protezione dei diritti fondamentali.


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Responsabilità degli enti: il rappresentante legale imputato non può nominare il difensore della società

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10930/2025, ha stabilito che il rappresentante legale di una società, se imputato del reato da cui deriva la responsabilità amministrativa dell’ente, non può nominarne il difensore. L’incompatibilità scatta dal momento in cui gli viene notificata l’informazione di garanzia e si estende anche alla fase cautelare.

Nel caso esaminato, il ricorrente, amministratore e socio unico di una Srl, aveva impugnato un sequestro preventivo sia a titolo personale sia per conto dell’ente. Tuttavia, la nomina dell’avvocato della società da parte sua è stata dichiarata illegittima, poiché in conflitto di interessi con l’ente stesso. Secondo l’articolo 39 del Dlgs 231/2001, un ente deve essere rappresentato dal proprio legale rappresentante, salvo che questi sia imputato del reato presupposto.

La Cassazione ha anche respinto l’argomento del ricorrente secondo cui, essendo unico socio della Srl, avrebbe dovuto essere equiparato a una ditta individuale. La Corte ha ribadito che una società a responsabilità limitata, anche unipersonale, mantiene la propria autonomia patrimoniale rispetto alla persona fisica che la gestisce, diversamente da una ditta individuale.

Questa decisione rafforza il principio secondo cui la difesa della società deve essere garantita da un soggetto indipendente, evitando possibili conflitti di interesse tra l’imputato e l’ente coinvolto nel procedimento.


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Vulnerabilità presunta per le vittime di violenza sessuale: la Cassazione chiarisce i limiti del Gip

Con la sentenza n. 10869/2025, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno posto fine a un contrasto giurisprudenziale sulla legittimità del diniego dell’incidente probatorio da parte del giudice per le indagini preliminari (Gip) nei casi di reati di violenza sessuale. Secondo la Suprema Corte, la vulnerabilità della vittima – sia essa minorenne o maggiorenne – è presunta per legge, e il giudice non può escluderla con una propria valutazione discrezionale.

La decisione si fonda sull’interpretazione dell’articolo 392, comma 1-bis, del codice di procedura penale, introdotto con la legge sul “codice rosso”. Questa norma prevede l’anticipazione della testimonianza della vittima nei procedimenti per reati di particolare gravità, come la violenza sessuale e la tratta di esseri umani, proprio per tutelare i soggetti più fragili ed evitare il trauma del processo.

La Cassazione ha stabilito che il Gip, quando si trova di fronte a una richiesta di incidente probatorio per questi reati, non ha margine di discrezionalità nel valutare la vulnerabilità della vittima. Tale condizione è presunta iuris et de iure, e l’unico motivo per negare l’anticipazione della testimonianza può essere la sua superfluità ai fini del processo.

Questa pronuncia rafforza le tutele per le vittime di violenza sessuale e ribadisce l’importanza di evitare inutili esposizioni processuali che potrebbero aggravare il loro stato di fragilità.


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Inoltre è anche Responsabile della protezione dei dati (RDP - DPO) secondo l'art. 37 del Regolamento (UE) 2016/679. SM - Servicematica offre la conservazione digitale con certificazione AGID (Agenzia per l'Italia Digitale).

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