Pubblichiamo la nota della Giunta, della Commissione centri di permanenza per i rimpatri e dell’Osservatorio sul patrocinio a spese dello Stato.
Tra i numerosi commenti sulla sentenza della Corte di Cassazione che ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno per le persone trattenute illegittimamente sulla nave Diciotti, uno in particolare ci ha colpito. Si tratta di un intervento che ha colto l’occasione per rilanciare la tesi di un presunto “business del patrocinio gratuito”. Nel suddetto articolo si fa riferimento all’aumento del contenzioso usando dati statistici parziali e decontestualizzati al fine di sostenere che il 25% della spesa per il patrocinio civile riguardi cittadini stranieri. Secondo tale argomentazione si alimenterebbe in questo modo un contenzioso privo di reali finalità di giustizia e vantaggioso solo per avvocati e organizzazioni come Caritas e Save the Children, con particolare riferimento alle impugnazioni delle decisioni prefettizie in materia di immigrazione.
Si afferma che questi ricorsi sospendano automaticamente i provvedimenti impugnati, permettendo ai ricorrenti di restare in Italia per tempi lunghissimi, anche quando infondati. Tuttavia, l’intervista a un magistrato, citata nello stesso articolo, conferma il contrario: la sospensione non è automatica, ma decisa dal giudice caso per caso sulla base della fondatezza.
Nel settore penale, si sostiene che la spesa per la difesa degli stranieri, senza indicarne la percentuale, sarebbe un “buco nero” e che il gratuito patrocinio garantirebbe compensi spropositati. Come penalisti, riconosciamo le criticità del sistema e la necessità di riforme, ma respingiamo la narrazione che lo dipinge come spreco di denaro pubblico.
Si insinua che il patrocinio non sia un costo necessario per lo Stato, ma un lusso ingiustificato, e che gli avvocati vi speculino. Ancora più grave, si lascia intendere che difendere cittadini stranieri sia ancor meno giustificato. Ma il diritto di difesa è un pilastro della giurisdizione, garantito dall’articolo 24 della Costituzione. In materie come la privazione della libertà personale e il diritto d’asilo, l’assistenza difensiva è un obbligo non solo costituzionale, ma anche derivante da principi fondamentali del diritto internazionale. Più in generale andrebbe ricordato che vi sono diritti che spettano non in quanto cittadini di un determinato stato, ma in quanto esseri umani.
Non ci sottraiamo, però, ad un confronto diretto sulle provocazioni sollevate, e ci permettiamo quindi alcune precisazioni.
In ambito civile, l’accesso al gratuito patrocinio è subordinato a una verifica preliminare di fondatezza della pretesa: non vengono erogati compensi per ricorsi manifestamente infondati. Anzi, un’analisi statistica potrebbe dimostrare quanti ricorsi vengano dichiarati inammissibili e restino senza retribuzione per l’avvocato o quanti siano accolti, a riprova della loro fondatezza. Lo stesso principio vale nel penale: se un’impugnazione è inammissibile, non è previsto alcun compenso.
I costi del contenzioso penale riguardante gli stranieri sono gonfiati da precise scelte di politica criminale, come la criminalizzazione della c.d. clandestinità e dell’inottemperanza all’espulsione, reati che la normativa europea vieta di punire con la detenzione, ma che in Italia continuano a ingolfare i giudici di pace.
Contrariamente a quanto si afferma, i compensi per il gratuito patrocinio sono bassissimi. Cause e processi che richiedono anni di lavoro sono retribuiti con importi che, rapportati alla paga oraria prevista per altre categorie professionali risultano irrisori. Questo fenomeno determina una fuga dalla professione forense e favorisce pratiche che penalizzano proprio chi avrebbe diritto a una difesa adeguata.
La vera emergenza non è il costo del patrocinio, ma la progressiva compressione del diritto di difesa. Tempi d’azione ridotti, accesso limitato agli atti, minore possibilità di confronto con l’assistito e giudici sempre più distanti, trasformano la giustizia in un simulacro e determinano una restrizione dei presidi di garanzia dei diritti fondamentali degli stranieri.
Attaccare il patrocinio a spese dello Stato, riconosciuto anche agli stranieri, non significa colpire gli avvocati, ma precludere ai più deboli l’accesso alla tutela giurisdizionale, compromettendo così il diritto di difesa e l’effettività della protezione dei diritti fondamentali.
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