Solo il 36% dei laureati in giurisprudenza decide di diventare avvocato

Fino al 2014 due terzi delle persone laureate in giurisprudenza abbracciavano la libera professione. Tuttavia, per quanto riguarda gli ultimi dati disponibili, risalenti al 2022, soltanto poco più di un terzo decide di impostare la carriera professionale in uno studio legale.

Non siamo di fronte ad un calo delle vocazioni, ma di una reale fuga dalla professione. Se guardiamo ai dati che sono stati pubblicati dall’VIII Rapporto sulle professioni in Italia, presentato da Confprofessioni lo scorso novembre al Cnel, il declino del mondo dell’avvocatura sembra essere un vero segnale d’allarme.

Il numero di persone laureate in giurisprudenza nel 2014 ammontava al 66%, scendendo al 50,1% nel 2018 e arrivando al 36,1% nel 2022.

Spiega Gaetano Stella, presidente di Confprofessioni: «La forte domanda di lavoro dipendente altamente qualificato accresce la concorrenza interna al mercato del lavoro, sottraendo risorse alla libera professione e in particolare all’avvocatura».

Si tratta di un fenomeno sicuramente «aggravato dagli squilibri demografici e dal profondo divario tra le regioni del Sud e quelle del Nord. Sotto questo profilo vanno anche considerate le crescenti difficoltà che i professionisti singoli incontrano nell’affermarsi come soggetti competitivi in un sistema economico che si trasforma e si evolve con estrema rapidità e che richiede dunque continui investimenti in tecnologie, network e conoscenza: investimenti che difficilmente sono alla portata di un giovane neolaureato che si affaccia sul mercato del lavoro».

La fuga dei giovani laureati si riflette anche sul numero degli iscritti a Cassa Forense, che è calato del 2% tra il 2020 e il 2022. Tuttavia, si registra anche una ripresa dei redditi, che nel 2020 ammontavano al 40.180 euro mentre nel 2022 a 42.386 euro, registrando una progressione del 5,5%.

Tuttavia, non accenna a calare il gender pay gap. Anche se ci sono sempre più donne togate, la disparità a livello reddituale rimane un grande problema tutto da risolvere: nel 2021 le donne guadagnavano 27.357 euro in meno rispetto agli uomini, e nel 2022 il gap è arrivato a 30mila euro.

Osserva Stella: «L’aumento dei datori di lavoro professionisti è un chiaro sintomo della necessità di accelerare i processi di aggregazione, anche tra discipline diverse, per favorire la crescita dimensionale degli studi professionali e sostenere la loro competitività sul mercato nazionale e internazionale. L’insieme di questi fattori ci spinge a sottolineare l’esigenza di un intervento della politica per rendere più attrattivo e competitivo il nostro settore. E i segnali che arrivano in questa direzione dalle forze di governo e dalle opposizioni ci lasciano ben sperare».


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