Caos in Parlamento: tensioni sulla giustizia e accuse di forzature istituzionali

Roma — Giornata ad altissima tensione nelle aule parlamentari, dove il confronto politico si è trasformato in un vero e proprio scontro istituzionale. Alla Camera è passata la questione di fiducia posta dal governo sul decreto sicurezza, con 201 voti favorevoli, 117 contrari e 5 astenuti. Un voto che di fatto accelera l’approvazione di un provvedimento molto contestato dalle opposizioni.

Ma è al Senato che il clima si è fatto incandescente. La miccia è stata accesa dalla decisione della Giunta per il Regolamento di dichiarare ammissibile il cosiddetto “canguro” anche per i lavori della commissione antimafia: un precedente mai visto nella storia della Repubblica, secondo Pd, M5S e Alleanza Verdi e Sinistra, che hanno subito denunciato una grave forzatura delle regole parlamentari.

Durissimo il commento di Stefano Patuanelli (M5S) che ha parlato di “giornata buia” per la democrazia, accusando la maggioranza di procedere a colpi di forzature e di aver instaurato di fatto una “dittatura parlamentare”. Stessa linea anche dai senatori democratici Boccia, Verini e Parrini, che hanno definito l’episodio «l’ennesima forzatura per silenziare il confronto parlamentare e imporre riforme delicate come quella della giustizia senza un vero dibattito».

Il centrodestra, però, tira dritto. Nel mirino anche le figure di alcuni magistrati, come l’ex procuratore antimafia Cafiero de Raho, con la maggioranza intenzionata a limitarne il potere decisionale in commissione attraverso una modifica alla legge istitutiva. Intanto, Fratelli d’Italia ha calendarizzato la discussione di una proposta di legge sul conflitto d’interessi che coinvolgerebbe anche i parlamentari ex magistrati, costringendoli potenzialmente ad astenersi su temi di giustizia.

A peggiorare il clima sono arrivate poi le polemiche per alcune dichiarazioni private attribuite al giudice Patarnello, che hanno scatenato l’indignazione della deputata Dem Debora Serracchiani, la quale ha definito “indegne” le parole e chiesto le dimissioni del sottosegretario Delmastro.

Dopo oltre cinque ore di dibattito, la Camera ha quindi approvato la fiducia al decreto sicurezza, che introduce nuove fattispecie di reato e inasprisce alcune pene, mentre il Senato si prepara ad affrontare la discussione sulla riforma della giustizia il 1° giugno, anche se i lavori in commissione non sono ancora conclusi.


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Giustizia, primo confronto tra Capo di Gabinetto e sindacati: sul tavolo contratti, stabilizzazioni e smart working

Si è svolta ieri, 26 maggio, la prima riunione tra le organizzazioni sindacali del personale del Ministero della Giustizia e il Capo di Gabinetto Dott.ssa Giusy Bartolozzi. Una prima interlocuzione che ha permesso di fissare le priorità e aprire il confronto sui temi più urgenti che riguardano i lavoratori del Dipartimento dell’Organizzazione Giudiziaria. Come correttamente previsto dalle regole delle relazioni sindacali, non erano presenti — né  invitate — le sigle non firmatarie del vigente CCNL Funzioni Centrali: CGIL, UIL e USB.

In un’Amministrazione ancora gravata da quindici anni di blocco contrattuale, carenze di organico e condizioni di lavoro precarie, Confintesa FP ha ribadito le proprie richieste: pieno rispetto di tutti gli accordi sottoscritti, riconoscimento delle competenze del personale, modifica delle dotazioni organiche, blocco di nuove assunzioni prima della corretta ricollocazione del personale in servizio, un progetto per il welfare integrativo ed un piano organico per il rilancio del Ministero della Giustizia, troppo spesso relegato al ruolo di Cenerentola del Comparto Funzioni Centrali.

Contratto integrativo e progressioni di carriera
Tra i temi più urgenti, il blocco del contratto integrativo, fermo dal 2010, che impedisce la valorizzazione del personale e crea disparità tra profili omogenei alcuni dei quali collocati tra aree diverse.
Confintesa FP ritiene indispensabile un “regime transitorio” per dare piena gratificazione al personale in servizio e rendere competitivo il Ministero della Giustizia anche con la previsione delle nuove famiglie professionali adeguate all’evoluzione dell’organizzazione giudiziaria.

La Dott.ssa Bartolozzi ha prontamente smentito le voci di stampa su un imminente concorso per 2.600-2.800 cancellieri esperti, precisando che al momento nessuna procedura è in fase di avvio, e ha aperto alla possibilità di individuare fondi da destinare al personale. Ha inoltre invitato le sigle sindacali a definire tre priorità da proporre al Governo in vista della prossima Legge di Bilancio.

Smart working e mobilità
Altro tema caldo, il lavoro agile. Confintesa FP ha ribadito l’esigenza di superare il criterio della mera presenza fisica privilegiando la misurazione dei risultati, specie negli uffici non aperti al pubblico e per le attività smartabili. Il Capo di Gabinetto ha espresso condivisione su questa impostazione e annunciato una prossima riunione dedicata alla definizione di regole uniformi.

Sul fronte della mobilità, Confintesa FP ha richiesto maggiore flessibilità e incentivi per coprire le sedi disagiate, in particolare al Nord, proponendo anche l’istituzione di foresterie statali e l’indennità di sede disagiata oltre l’adozione di modelli innovativi già sperimentati da altri Ministeri.

PNRR e personale informatico
La gestione dei contratti a tempo determinato legati al PNRR (ma non solo) preoccupa i sindacati: oltre 12.000 lavoratori, rispetto ai 6.000 inizialmente previsti, rischiano il mancato rinnovo. Confintesa FP ha chiesto la stabilizzazione di tutti i profili coinvolti e una proroga per chi non potrà essere subito inquadrato per mancanza di fondi.

Non è mancato un richiamo alla condizione dei lavoratori tecnici e informatici, ex DGSIA e CISIA, ancora privi di adeguato riconoscimento economico e inquadramento. La sigla sindacale ha chiesto l’applicazione immediata delle norme già previste per il passaggio di area e l’erogazione degli incentivi stanziati dal D.M. 4 agosto 2021.

Prossimi passi
Confintesa FP ha espresso apprezzamento per l’apertura della Dott.ssa Bartolozzi, ribadendo però la necessità di azioni concrete e rapide per affrontare criticità ormai croniche: contratto integrativo bloccato, piante organiche obsolete, gestione rigida dello smart working e precarietà diffusa.

Nei prossimi giorni le sigle sindacali saranno chiamate a definire le tre priorità da sottoporre al Governo, e Confintesa FP ha già annunciato che tra queste non mancheranno le progressioni di carriera attraverso un piano per la valorizzazione delle competenze interne, la stabilizzazione del personale PNRR e un aumento delle risorse del Fondo Risorse Decentrate  e del welfare.


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Confisca, gli eredi possono chiedere la revoca: lo conferma la Cassazione

ROMA — Anche dopo la morte del soggetto colpito da una misura di prevenzione patrimoniale, i suoi eredi possono proseguirne il procedimento di revoca. È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 19400, depositata il 23 maggio 2025, in una decisione che ribadisce i principi già fissati dalla normativa vigente e dalla Corte costituzionale.

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguardava la richiesta degli eredi di un uomo deceduto durante il ricorso per Cassazione contro una confisca di beni disposta nei suoi confronti. Secondo quanto previsto sia dalla vecchia disciplina — la legge n. 575 del 1965 — sia dalla normativa attuale (art. 18, comma 2, del d.lgs. 159/2011), le misure patrimoniali possono essere applicate anche in caso di decesso della persona interessata, con il procedimento che prosegue nei confronti degli eredi o di chi subentra nei diritti patrimoniali.

La Corte ha chiarito che questa continuità processuale si fonda sulla natura patrimoniale, e non penale, delle misure di prevenzione, finalizzate a sottrarre alla disponibilità privata beni acquisiti in modo illecito, e non a sanzionare penalmente il soggetto coinvolto. Di conseguenza, gli eredi possono non solo impugnare la confisca già disposta, ma anche portare avanti eventuali procedimenti avviati dal defunto per ottenere la revoca della misura.

Nel caso specifico, tuttavia, i ricorsi presentati sono stati respinti: il primo dichiarato inammissibile, il secondo ritenuto infondato. La Corte d’appello aveva già escluso che le assoluzioni in alcuni procedimenti penali o la definizione conciliativa di contenziosi fiscali potessero cancellare le ragioni alla base della misura di prevenzione. I giudici hanno infatti rilevato una lunga e documentata attività illecita, fatta di truffe ai danni dello Stato, corruzioni e reati tributari, protrattasi per oltre trent’anni.

Con questa pronuncia, la Cassazione conferma un principio ormai consolidato: gli eredi possono intervenire nei procedimenti patrimoniali per tutelare il proprio interesse a fronte di una misura che, pur non essendo penale, incide direttamente sul patrimonio familiare.


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Cassazione: sì alla pena pecuniaria anche per chi è senza mezzi

ROMA — Neppure chi è senza un euro in tasca potrà evitare la pena pecuniaria sostitutiva della detenzione breve. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 18168/2025, depositata il 15 maggio, chiarendo un nodo delicato nato dall’applicazione della riforma Cartabia.

Il caso riguarda un uomo condannato a cinque mesi e dieci giorni di reclusione per un reato di lieve entità. Il giudice dell’esecuzione, preso atto della totale incapacità economica del condannato, aveva negato la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria prevista dall’art. 53 del d.lgs. n. 150/2022. Il pubblico ministero ha impugnato l’ordinanza e la Cassazione gli ha dato ragione.

La Suprema Corte ha affermato un principio destinato a fare scuola: la condizione economica del condannato non può costituire un ostacolo alla sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria. La ragione? La logica della pena sostitutiva non è patrimoniale ma funzionale, concepita per alleggerire le carceri e offrire alternative alla detenzione quando la condanna non supera i quattro anni.

La Cassazione ha ribadito che la norma, inserita nella riforma Cartabia, prevede un automatismo applicativo: se la pena detentiva è inferiore a quattro anni e non esistono motivi ostativi, il giudice deve procedere alla sostituzione con una delle pene alternative, tra cui quella pecuniaria. Introdurre un filtro basato sulla capacità di pagamento — ha sottolineato la Corte — significherebbe vanificare l’effetto deflattivo e compromettere la coerenza del sistema.

Una decisione che conferma la scelta del legislatore di slegare la pena sostitutiva pecuniaria dal reddito dell’imputato, puntando piuttosto sulla funzione deflattiva e rieducativa delle sanzioni alternative, nell’ottica di un sistema penale più equilibrato e meno carcerocentrico.


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Delitto di Garlasco, Nordio: “Irragionevole condanna di Stasi dopo due assoluzioni”

Torna a far discutere il caso del delitto di Garlasco, a quasi vent’anni dall’omicidio di Chiara Poggi. A riaccendere il dibattito è il ministro della Giustizia Carlo Nordio, che ospite del programma Zona Bianca su Retequattro, ha definito “irragionevole” la condanna di Alberto Stasi dopo due precedenti sentenze di assoluzione.

“È anomalo che, dopo uno o due verdetti assolutori, si arrivi a una condanna senza rifare integralmente il processo”, ha dichiarato Nordio, riferendosi alla decisione della Corte d’Appello che nel 2015 inflisse 16 anni di carcere a Stasi per omicidio volontario.

Pur esprimendo perplessità sull’iter giudiziario, il Guardasigilli ha escluso possibili conseguenze per i magistrati che si occuparono della prima inchiesta. “Un magistrato può essere ritenuto responsabile solo se non conosce la legge o ignora gli atti — ha precisato — e proprio per questo nei sistemi democratici esistono più gradi di giudizio, nella consapevolezza che ogni sentenza può essere soggetta a errore”.

Nordio ha poi allargato il ragionamento allo stato generale della giustizia italiana, sottolineando come la sfiducia dei cittadini derivi più dalle norme che da chi le applica. “Il problema non sono tanto i magistrati, ma leggi imperfette che permettono di trascinare i processi all’infinito, quando in certi casi sarebbe necessario avere il coraggio di concluderli”, ha aggiunto.


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«Delitto di difesa», la protesta dei penalisti: “Così si mina lo Stato di diritto”

L’Unione delle Camere Penali Italiane ha espresso “grave preoccupazione” per l’iniziativa della Procura di Reggio Emilia che ha denunciato per calunnia due avvocati, Rossella Ognibene e Oliviero Mazza, impegnati nel processo noto come “Angeli e Demoni”.

I due professionisti avevano sollevato in udienza una questione procedurale, eccependo l’incompatibilità alla testimonianza di due psicologhe chiamate come consulenti tecniche dal pubblico ministero, poiché le stesse avevano partecipato agli atti di indagine prima della nomina formale. Una prassi che, secondo la difesa, avrebbe violato le norme del codice di procedura penale.

Il Tribunale di Reggio Emilia aveva respinto l’eccezione sulla base di un diverso orientamento giurisprudenziale, ma aveva riconosciuto la veridicità dei fatti esposti. Nonostante ciò, la Procura ha deciso di procedere contro i difensori, notificando l’avviso di conclusione delle indagini proprio alla vigilia delle arringhe finali. Una tempistica definita dalla Giunta dell’UCPI “idonea a generare un effetto dissuasivo” e incompatibile con la libertà della funzione difensiva.

«Trasformare una questione tecnico-processuale sollevata in aula in un’accusa penale è un grave attacco al diritto di difesa», ha dichiarato l’Unione, che ha parlato senza mezzi termini di un “delitto di difesa”, cioè della pericolosa deriva di criminalizzare l’esercizio della professione forense quando esercitata in modo libero e indipendente.

A rendere la vicenda ancora più delicata è il fatto che tutto avviene pochi giorni dopo la firma da parte dell’Italia della nuova Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione della professione legale, che garantisce la libertà di espressione degli avvocati e li tutela da minacce e indebite interferenze nell’esercizio del mandato difensivo.

L’Unione ha quindi rivolto un appello alle istituzioni e alle autorità giudiziarie, invitandole a rispettare i principi sanciti dalla Costituzione e dai trattati internazionali, ricordando che «attaccare la difesa significa indebolire la giustizia stessa e, con essa, lo Stato di diritto».


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“Un altro preoccupante episodio di minacce a un magistrato impegnato nella lotta alla criminalità. Questa volta a Cassino, dove un collega che in questi mesi sta seguendo indagini delicate sul traffico di droga è stato oggetto di un attentato incendiario alla propria auto. L’aumento di questi episodi è profondamente inquietante. Non possiamo che rilevare come si ponga in connessione con il clima di costante delegittimazione che subisce quotidianamente la magistratura. Al collega e all’intera procura di Cassino va il nostro pieno sostegno e la totale solidarietà”. Così la Giunta esecutiva centrale dell’Associazione nazionale magistrati in una nota.


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Bruxelles — La Commissione europea e la rete di cooperazione per la tutela dei consumatori (CPC), che riunisce le autorità nazionali dei Paesi membri, hanno notificato ufficialmente a SHEIN una serie di pratiche commerciali che violano la normativa dell’Unione europea in materia di tutela dei consumatori. L’iniziativa arriva al termine di un’indagine coordinata a livello europeo che ha individuato sulla piattaforma online numerose irregolarità nei confronti degli utenti.

Tra le pratiche contestate figurano sconti fittizi e pressioni indebite che inducono i consumatori a compiere acquisti in condizioni poco trasparenti. Le autorità hanno ordinato a SHEIN di adeguare il proprio operato alle norme vigenti e di fornire ulteriori informazioni per accertare la sua conformità rispetto agli obblighi previsti dal diritto UE.

La società, attiva in tutto il continente, ha ora un mese di tempo per replicare alle conclusioni della rete CPC e presentare eventuali impegni per correggere le criticità evidenziate. In caso contrario, le autorità potranno avviare un dialogo formale o, se necessario, applicare sanzioni proporzionate al fatturato di SHEIN nei Paesi interessati.

L’intervento si inserisce nel quadro delle iniziative comunitarie per garantire la protezione dei consumatori negli acquisti online e contrastare le pratiche sleali, in un mercato digitale sempre più centrale nella vita quotidiana dei cittadini europei.


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Anche un deposito irrituale di documenti nel corso del primo grado di giudizio tributario non preclude la possibilità di utilizzarli in appello. Lo ha precisato la Corte di Cassazione, Sezione V Civile, con l’Ordinanza n. 10211 del 17 aprile 2024, intervenendo su una questione di procedura nel contenzioso fiscale.

La vicenda riguardava la produzione di nuovi atti nel secondo grado di giudizio, consentita dall’art. 58 del d.lgs. 546/1992, ma sottoposta ai termini di deposito previsti dall’art. 32 dello stesso decreto, che impone di farlo entro 20 giorni liberi prima dell’udienza. Tuttavia, i giudici di legittimità hanno precisato che l’eventuale inosservanza di questa scadenza viene superata se i documenti in questione erano già stati introdotti, seppur in modo irrituale, nel fascicolo del giudizio di primo grado.

La Corte ha richiamato il principio secondo cui, nel processo tributario, i fascicoli di parte rimangono stabilmente inseriti nel fascicolo d’ufficio fino al passaggio in giudicato della sentenza. Questo significa che le parti non possono ritirare la documentazione prodotta e che questa resta acquisita definitivamente, rendendo quindi legittimo il suo utilizzo anche nei successivi gradi di giudizio.

Una pronuncia che ribadisce l’importanza della stabilità del materiale documentale all’interno del processo tributario e che offre una tutela ulteriore alla parte che, pur avendo effettuato un deposito formale non corretto nel primo grado, si vede comunque riconosciuta la possibilità di far valere i propri atti nel prosieguo del giudizio.


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Call center nelle carceri, il lavoro come chiave per ricominciare

Trasformare le carceri da luoghi di esclusione a spazi di riscatto. È questa la sfida rilanciata dal presidente del Cnel, Renato Brunetta, nel corso del Festival dell’Economia di Trento, raccontando l’esperienza e gli obiettivi del progetto “Recidiva Zero”, nato nel 2023 dalla collaborazione tra il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro e il ministero della Giustizia.

Oggi il sistema penitenziario italiano soffre di cronici problemi: sovraffollamento, condizioni di vita precarie e un tasso di recidiva che sfiora il 70%. Un’emergenza non solo sociale, ma anche economica, visto che ogni anno vengono spesi oltre tre miliardi di euro per un sistema che fatica a rieducare e reinserire.

“Se scuola, formazione e lavoro entrano stabilmente in carcere, la recidiva crolla al 2%”, ha sottolineato Brunetta, richiamando i dati di studi che mostrano quanto l’istruzione e l’occupazione possano essere strumenti decisivi nel percorso di recupero dei detenuti.

Al momento, però, solo un detenuto su tre partecipa a corsi di istruzione o a qualche attività lavorativa — per lo più mansioni di scarsa utilità al di fuori delle mura carcerarie. E resta quasi sconosciuto il livello di istruzione di gran parte dei detenuti stranieri, che rappresentano il 31% della popolazione penitenziaria.

Da qui l’idea di portare call center e contact center all’interno degli istituti di pena, permettendo ai detenuti di imparare una professione richiesta dal mercato, offrendo loro competenze spendibili una volta scontata la pena. Un progetto che avrebbe anche il vantaggio di accelerare la digitalizzazione delle carceri italiane, ancora oggi poco connesse e infrastrutturate.

Il focus, spiega Brunetta, deve partire dai 6-7mila detenuti con pene residue inferiori a un anno, i più vicini al reinserimento. Formare queste persone significa dare loro una chance concreta, ma anche offrire alla società cittadini migliori e più preparati.

In Parlamento è stato già depositato un disegno di legge promosso dal Cnel per costruire una politica pubblica nazionale sul lavoro penitenziario, elaborata attraverso il confronto con tutti gli attori coinvolti: amministrazione penitenziaria, datori di lavoro, sindacati e associazioni. Il prossimo appuntamento per discuterne sarà il 17 giugno, durante la seconda giornata nazionale dedicata a “Recidiva Zero”.

“Rieducare non è solo una missione costituzionale, ma l’unico modo per spezzare il ciclo di vendetta e devianza”, ha concluso Brunetta.


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