Piantedosi vuole introdurre il riconoscimento facciale nei luoghi pubblici

Matteo Piantedosi, il Ministro dell’Interno, ha intenzione di introdurre il riconoscimento facciale negli ospedali, nelle stazioni e nelle aree commerciali di Milano, Roma e Napoli. Tecnicamente, installare telecamere biometriche o sistemi simili in luoghi pubblici è vietato ai privati e soggetto al parere del Garante della Privacy se chi richiede di installare tale misura è una PA o la magistratura.

Inoltre, in Italia l’utilizzo delle tecnologie per il riconoscimento facciale viene regolato da una moratoria, che vieta di adottare la tecnologia almeno fino alla fine del 2023. Tale provvedimento lascia alle autorità lo spazio legislativo per poter richiedere al Garante l’autorizzazione, nel caso serva per indagini da parte della magistratura oppure per prevenzione di alcuni reati.

La moratoria è entrata in vigore nel 2021, e da allora ha bloccato ogni tentativo di installazione di tali sistemi nei luoghi pubblici. Questo è anche il caso del dispositivo Sari Real Time, appartenente alla Polizia di Stato.

Falsi positivi: il caso Alonzo Sawyer

Nonostante queste tecnologie vengano utilizzate sempre più, non sembrano essere del tutto affidabili e spesso generano falsi positivi, che impattano molto sulle minoranze etniche, violano il diritto alla privacy ed espongono a condotte discriminatorie.

Si pensi, per esempio, al caso Alonzo Sawyer. Per riuscire a fare uscire di prigione il marito, Carronne Sawyer ha dovuto prendere una settimana di ferie. Sawyer, infatti, è stato formalmente accusato di aver aggredito un autista di bus nel Maryland, a Baltimora, e di avergli successivamente rubato lo smartphone.

Tuttavia, la donna sapeva con certezza che il marito era innocente, dato che nel momento del “delitto” stava dormendo con lei sul divano. Tutto questo è avvenuto a causa di un software per il riconoscimento facciale, che ha attestato una probabile corrispondenza tra il sospettato e Alonzo.

Sorveglianza di massa in Real Time

Ricordiamo il parere negativo dal Garante della Privacy nei confronti di Real Time di Sari, sistema delle forze dell’ordine che identifica un volto, confrontandolo successivamente con le immagini delle persone foto-segnalate alle autorità.

Il sistema, attualmente non attivo, attraverso una serie di telecamere installate analizza in Real Time i volti delle persone riprese, confrontandole con una banca dati, una watch-list, che contiene 10 mila volti.

Ma per il Garante, «oltre ad essere privo di una base giuridica che legittimi il trattamento automatizzato dei dati biometrici per il riconoscimento facciale ai fini di sicurezza, realizzerebbe, per come è progettato, una forma di sorveglianza indiscriminata/di massa».

Il Garante, «in linea con quanto stabilito dal Consiglio d’Europa, ritiene di estrema delicatezza l’utilizzo di tecnologie di riconoscimento facciale per finalità di prevenzione e repressione dei reati. Va considerato in particolare che Sari Real Time realizzerebbe un trattamento automatizzato su larga scala che può riguardare anche persone presenti a manifestazioni politiche e sociali, che non sono oggetto di “attenzione” da parte delle forze di polizia».

Tale decisione è arrivata dopo un’istruttoria del 2018, nella quale il Garante ha acquisito alcune informazioni, come la valutazione d’impatto realizzata dal ministero dell’Interno, dove viene spiegato che le immagini vengono subito cancellate.

Tale spiegazione, tuttavia, non ha convinto il Garante, poiché «l’identificazione di una persona sarebbe realizzata attraverso il trattamento dei dati biometrici di coloro che sono presenti nello spazio monitorato, allo scopo di generare modelli confrontabili con quelli dei soggetti inclusi nella watch-list».

«Si determinerebbe», aggiunge, «una evoluzione della natura stessa dell’attività di sorveglianza, che segnerebbe un passaggio dalla sorveglianza mirata di alcuni individui alla possibilità di sorveglianza universale».

Ingannare l’algoritmo con la moda

Nel 2019, ad una studentessa in scambio culturale a New York, Rachele Didero, viene l’idea di far combaciare il fashion design con una particolare tecnologia che contrasta il riconoscimento facciale: nasce Cap_able, una startup fashion tech.

Spiega Didero: «L’idea si basa su quelli che si chiamano adversarial textiles. Si tratta della trasposizione su tessuto di alcune immagini, che sono in grado di confondere gli algoritmi di riconoscimento facciale. In particolare noi ci basiamo su Yolo, che è il software di riconoscimento in tempo reale più veloce che esista».

Per riuscire ad avere degli abiti che effettivamente proteggano i dati biometrici delle persone che le indossano, non è soltanto necessario lavorare sulle immagini, ma anche sulla tipologia di tessuto. Il modello brevettato dalla startup di Didero permette di incorporare l’algoritmo all’interno della trama degli indumenti.

«Bisogna creare l’immagine in digitale. Arriva poi la programmazione della macchina di maglieria, che deve rispettare determinati criteri in modo che riesca a riprodurre il tessuto, che può essere anche composto da diversi filati», continua Didero.

Gli abiti progettati da Cap­_able riescono a confondere le telecamere, per impedire loro di riconoscere correttamente un volto, portandola ad identificare animali, oggetti e cibi. «L’adversarial textile funziona un po’ al contrario rispetto a un codice QR. Invece di dare un’informazione, la scherna».

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