INI-PEC

Gli indirizzi PEC tratti dal registro INI-PEC sono validi ai fini delle notifiche?

Con l’ordinanza 24160 depositata il 27 settembre 2019, la Corte di Cassazione ha ripreso quanto era già stato espresso con la sentenza 3709/2019 in tema di notifiche telematiche.

“…il ricorso è stato notificato a mezzo PEC […] anche all’indirizzo di posta elettronica del Protocollo del Tribunale di Firenze, estratto dall’indice nazionale degli indirizzi INI PEC, elenco che […] è stato dichiarato non attendibile da Cass. n. 3709 del giorno 8 febbraio 2019, secondo cui “per una valida notifica tramite PEC si deve estrarre l’indirizzo del destinatario solo dal pubblico registro ReGIndE e non dal pubblico registro INI-PEC”.
[…] ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.”

L’ordinanza ribadisce quindi che ai fini delle notifiche telematiche sono validi solo gli indirizzi PEC tratti dal Reginde, il Registro Generale degli Indirizzi Elettronici.
Ogni altro elenco è da considerarsi non idoneo, compreso il registro INI-PEC (Indice nazionale degli indirizzi delle imprese e dei professionisti).

I PUBBLICI ELENCHI DI INDIRIZZI PEC

L’art. 3 bis della Legge 53/94 impone agli avvocati di procedere alle notifiche tramite PEC solo verso indirizzi di posta elettronica certificata presenti nei pubblici elenchi.

I pubblici elenchi previsti dalla legge (Codice dell’Amministrazione Digitale e D.L. 179/2012) e validi per le notifiche PEC sono:

  • il registro PP.AA
  • il Registro Imprese
  • il Reginde
  • l’INI-PEC

REGINDE E INI-PEC

Il portale dei servizi telematici del ministero della Giustizia indica il Reginde come il registro che “contiene esclusivamente i dati identificativi nonché l’indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) dei soggetti abilitati esterni”, ovvero:

  • gli appartenenti a un ente pubblico,
  • i professionisti iscritti in albi ed elenchi istituiti con legge,
  • gli ausiliari del giudice non appartenenti a un ordine di categoria o che appartengono a ente/ordine professionale che non abbia ancora inviato l’albo al Ministero della giustizia

È evidente che nel REGINDE manchino molti indirizzi PEC necessari in caso di notifiche, primi fra tutti quelli delle aziende.

Di contro, il Registro INI- PEC contiene dati provenienti dal Registro Imprese, dagli Ordini e dai Collegi di appartenenza, ed è aggiornato costantemente.

IL DIFETTO DELL’ORDINANZA SULL’INVALIDITÀ DEGLI INDIRIZZI TRATTI DALL’INI-PEC

Oltre a quanto già detto, l’ordinanza contrasta anche con la pronuncia 9893/2019 emessa dalla sesta sezione della Corte di Cassazione che dichiarava la validità della notifica via PEC a un indirizzo estratto dal registro INI-PEC:

“[…] il menzionato ricorso di fallimento […] fu ritualmente notificato […] all’indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) della debitrice […] risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di Posta Elettronica Certificata (INIPEC) […]”

L’evidente incoerenza della Corte di Cassazione ha sollevato molte le perplessità, spingendo il presidente del CNF, Avv. Mascherin, a inviare una nota al Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione, Dott. Giovanni Mammone.
La nota sottolinea l’inadeguatezza dell’ordinanza, i problemi che questa comporterebbe alle notifiche già eseguite e invita la Cassazione a porre rimedio all’accaduto.

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web marketing rispettando il codice deontologico

È possibile fare web marketing rispettando il codice deontologico?

La possibilità di promuovere l’attività forense è una novità recente nel panorama italiano e, per questo, il numero di avvocati che sfruttano sito, blog e social per far conoscere i propri servizi è ancora limitato.

La difficoltà principale è capire come fare web marketing rispettando il codice deontologico.

In questo post vogliamo riassumere brevemente il contenuto di quegli articoli del codice deontologico che più di tutti impattano sulla promozione web degli avvocati e darvi la nostra personale opinione a riguardo.

QUALI SONO I LIMITI IMPOSTI DAL CODICE DEONTOLOGICO ALLA PROMOZIONE DEGLI AVVOCATI

 

ART.9

La condotta di un avvocato deve basarsi sui principi di indipendenza, lealtà, correttezza, dignità, morigeratezza, decoro, diligenza e competenza.
Questi principi si estendono anche alla vita privata.

Dal punto di vista della comunicazione, questo articolo può avere un impatto sull’uso che gli avvocati fanno dei social network, dove il confine tra pubblico e privato è molto labile, spingendoli a prestare particolare attenzione a ciò che decidono di condividere.

ART.11

Il rapporto che un avvocato stabilisce con il proprio cliente deve basarsi sulla fiducia.

Fortunatamente, questo è anche il principio fondamentale del content marketing, il marketing dei contenuti, il cui scopo è proprio creare una relazione di fiducia con l’utente condividendo con lui contenuti utili e onesti.

ART.14

Un avvocato deve accettare solo incarichi che è in grado di svolgere con adeguata competenza.

Questo articolo contiene un suggerimento molto utile per fare web marketing rispettando il codice deontologico: puntare su una comunicazione onesta, basata sulle proprie competenze e le proprie esperienze.

Molti professionisti credono che “farsi pubblicità” significhi vendersi per quello che non si è allo scopo di raccogliere più clienti possibili.
In realtà, è molto più proficuo concentrarsi su una nicchia specifica, realmente interessata a ciò che si può offrire, invece che disperdere le proprie risorse nel tentativo di fare contenti tutti. Quest’ultima è una strategia che sul lungo periodo comporta danni sia sul piano dell’immagine che su quello economico.

ART.17

È consentita l’informazione sulla propria attività, anche in via informatica. Le informazioni condivise devono essere trasparenti, veritiere, corrette, non equivoche o ingannevoli o denigratorie, né suggestive o comparative.

Il codice deontologico suggerisce la possibilità di utilizzare sito, blog e social per farsi conoscere. Ciò che conta è rispettare quei principi che, come già detto, permettono di creare una relazione di fiducia con i propri utenti.

ART.19

Gli avvocati devono mantenere un comportamento ispirato a correttezza e lealtà verso colleghi e istituzioni.

Anche questo articolo offre, secondo noi, un ottimo suggerimento per la condotta che un avvocato dovrebbe tenere online, soprattutto sui social network.

I social raccolgono moltissimi esempi di professionisti di qualsiasi settore che si sono lasciati andare a commenti negativi sull’operato di colleghi o istituzioni.
Sebbene questi comportamenti tendano spesso a portare molta visibilità al soggetto e a favorire le reazioni degli utenti, l’idea che “bene o male, l’importante è che se ne parli” non porta mai dei risultati duraturi.
Se il vostro scopo è farvi scegliere per le vostre qualità professionali e umane, molto meglio puntare sull’onesta e la correttezza.

ART.35

L’art.35 riprende quanto già detto nell’art.17 con l’aggiunta di alcuni elementi.
Per esempio, indica che la comunicazione degli avvocati non deve contenere riferimenti a cose che non riguardino la professione.

In termini di marketing, significa che bisogna prestare attenzione a ciò che si decide di pubblicare, soprattutto sui social ma anche sul blog.

La tentazione di condividere elementi della propria vita privata o di discutere di temi “alla moda” può essere forte e, in una certa misura, può aiutare a favorire la relazione di fiducia con gli utenti.  Ma coloro che vi seguono sono interessati ad altro.
In particolare, desiderano capire come risolvere i loro problemi e se potete essere l’avvocato giusto per farlo.
Puntate su questo.

ART.37

È uno degli articoli più interessanti, poiché indica il divieto all’accaparramento della clientela.

Se lo scopo della pubblicità è raccogliere clienti, come si può fare web marketing rispettando il codice deontologico?

L’articolo stesso ci offre la soluzione.
Infatti, a essere vietati sono i seguenti comportamenti:
– affidarsi ad agenzie o procacciatori per trovare clienti,
– cedere denaro per ottenere clienti,
– accettare omaggi, prestazioni o vantaggi in cambio di clienti.

Il web marketing va ben oltre la raccolta di nuovi clienti.
L’ottenimento di un nuovo cliente è infatti il risultato di quel rapporto di fiducia che l’avvocato dovrebbe sforzarsi di creare con i propri utenti tramite il suo sito, il suo blog e i suoi profili social.
È un rapporto che si crea nel tempo e nel quale l’utente è sempre libero di scegliere se, come e quando diventare cliente.
Persino la decisione di investire in annunci pubblicitari a pagamento dovrebbe essere presa a partire da questo principio.

ART. 57

Anche questo articolo è interessante, poiché impedisce agli avvocati di sfruttare a fini promozionali elementi a disposizione di altre tipologie di professionisti.

L’articolo vieta di:
– divulgare notizie coperte dal segreto d’indagine,
– fare leva sul nome dei clienti,
– enfatizzare le proprie capacità,
– sollecitare articoli, interviste o conferenze stampa.

In altre parole, gli avvocati non hanno la possibilità di autopromuoversi facendo leva sui risultati del proprio operato o sulla fama dei propri clienti.
Ma è davvero un limite?
Non così tanto.

I criteri che portano un utente a scegliere un professionista e non un altro sono molteplici.
La fama è certamente un fattore che può aiutare, ma a fare la differenza è il grado di competenza che si riesce a trasmettere e il rapporto di fiducia che si crea con gli utenti.

COME FARE WEB MARKETING RISPETTANDO IL CODICE DEONTOLOGICO

 

Fare web marketing rispettando il codice deontologico è quindi possibile.
I principi indicati dal codice si basano, infatti, sul comune buon senso e sono del tutto in linea con le attuali tendenze del web marketing.

Onestà, rispetto, condivisione di contenuti di valore e impegno nel creare un rapporto di fiducia. Questo è ciò su cui bisogna puntare.
I mezzi a disposizione per farlo sono molteplici, così come lo sono le possibili strategie.

Per capire quali siano quelle più adatte i vostri obiettivi, vi invitiamo a scriverci per fissare una consulenza personalizzata. Contattaci.

 

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prestazioni lavorative gratuite

La pubblica amministrazione ha il diritto di richiedere prestazioni lavorative gratuite ai professionisti?

Con la sentenza 11411/2019 del 30 settembre, il TAR del Lazio ha stabilito che la pubblica amministrazione ha il diritto di richiedere prestazioni lavorative gratuite ai professionisti, a patto che vengano rispettati alcuni criteri.

La sentenza si rifà a un bando pubblicato lo scorso febbraio dal Ministero dell’ Economia e delle Finanze.

Il Ministero cercava un professionista altamente qualificato che potesse offrire la propria consulenza in materia di diritto societario, bancario e dei mercati e intermediari finanziari, nazionale ed europeo.
La collaborazione proposta era di tipo occasionale e su base biennale. Non prevedeva alcun rinnovo, bensì il diritto di recedere in qualsiasi momento (con preavviso di 30 giorni) da parte del professionista, a patto che egli concludesse eventuali studi già iniziati.

Tutto ciò a titolo gratuito.

Alla pubblicazione del bando è seguita un’ondata di perplessità da parte di diverse associazioni professionali, confluite nel ricorso da parte di un avvocato che ne ha chiesto l’annullamento.
Tra le motivazioni, anche la violazione del diritto all’equo compenso.
A sostegno di quest’ultimo punto concorreva una precedente sentenza emessa dal TAR della Campania che dichiarava illegittime richieste simili. 

I rapporti professionali tra Pubblica Amministrazione e professionisti sono regolati dall’art. 7 del Dlgs 165/2001, dove vengono indicati i presupposti, le modalità e gli obblighi da rispettare.

Perché il TAR del Lazio ha considerato ammissibile la richiesta di prestazioni lavorative gratuite

Principalmente per via delle condizioni alle quali la prestazione è stata richiesta.
In particolare:

– la sua natura occasionale, anche se nell’arco di un biennio, non la fa rientrare nell’ambito del lavoro autonomo;
– la mancanza di una selezione e di una graduatoria finale, nonché l’assenza di un numero ben definito di incarichi, del loro oggetto e della loro consistenza, non la fa rientrare nell’ambito degli appalti;
– la possibilità, per il professionista, di recedere in ogni momento;
– l’accrescimento professionale derivante dalla collaborazione permette al professionista di arricchire il proprio curriculum.

In via generale, il TAR del Lazio ha stabilito che la pubblica amministrazione ha il diritto di richiedere prestazioni lavorative gratuite ai professionisti quando queste offrano condizioni flessibili e vantaggi in termini di arricchimento professionale.

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Ultimi aggiornamenti di Microsoft, possibili problemi

In data 3 ottobre 2019, Microsoft ha provveduto al rilascio di due nuovi aggiornamenti (KB4524147 – OS Build 18362.388 e KB4524148 – OS Build 17763.775) con lo scopo di migliorare i parametri di sicurezza e risolvere alcuni malfunzionamenti generati da aggiornamenti precedentemente rilasciati. Tuttavia, tali aggiornamenti hanno comportato l’insorgere di nuove problematiche, tra cui le più significative sono un funzionamento altalenante del tasto Start e difficoltà di stampa particolarmente rilevanti (fino ad arrivare a veri e propri blocchi dei dispositivi di stampa collegati).

Per chi non avesse ancora provveduto ad eseguire gli aggiornamenti, suggeriamo di attendere fino al rilascio di quelli “corretti”. Per chi, invece, avesse già proceduto con l’installazione, l’unica soluzione disponibile alla data odierna è la disinstallazione degli aggiornamenti stessi, la quale può avvenire tramite la seguente procedura:

  1. Cliccare sulla ricerca di Cortana e digitare Pannello di Controllo
  2. Aprire il Pannello di Controllo individuare e cliccare su Programmi e funzionalità
  3. Sulla parte sinistra cliccare su Visualizza aggiornamenti installati
  4. Cliccare con il tasto destro sulla KB4524147 o la KB4524148
  5. Scegliere Disinstalla
  6. Procedere fino al riavvio del computer
indirizzo pec errato

Indirizzo PEC errato e notifica in rinnovazione nulla

Inviare una notifica a un indirizzo PEC errato non è mai una buona idea, pertanto vi invitiamo a controllare sempre l’esattezza dei dati in vostro possesso.

Questo atteggiamento è ancor più valido nel caso in cui vi trovaste nella situazione di dover eseguire una notifica in rinnovazione.

Il secondo comma dell’articolo 153 c.p.c. prevede che “la parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile, può chiedere di essere rimessa in termini”.

Se però la causa è l’invio a un indirizzo PEC errato che impedisce di recapitare la comunicazione al destinatario, ecco che l’articolo non è più applicabile.

Questo è quanto ha deciso la seconda sezione della Cassazione Civile con l’Ordinanza n. 24474/19, pubblicata la scorso 1° ottobre 2019.
La Cassazione ha stabilito il divieto di doppia rimessione in termini qualora la notificazione a mezzo PEC effettuata in rinnovazione risulti nulla per causa imputabile al notificante.
E l’invio a un indirizzo PEC errato è una causa imputabile al notificante.

L’ordinanza fa riferimento a un caso in cui a una delle parti era già stato concesso di rinotificare il ricorso con il decreto di fissazione di udienza. La rinotifica era stata eseguita via posta elettronica certificata senza andare a buon fine, poiché l’indirizzo PEC del destinatario (l’Avvocatura dello Stato) era errato.
La parte non si era preoccupata di verificare che l’indirizzo fosse corretto. 

La Cassazione ha concluso che “nel caso in cui, dopo la concessione di un termine per rinnovare una notificazione, anche la notificazione effettuata in rinnovazione risulti nulla, non è possibile concedere un secondo termine per un’ulteriore rinnovazione”.

Per avere la sicurezza che l’indirizzo PEC al quale desiderate inviare una notifica di rinnovazione o una qualsiasi altra comunicazione sia corretto, potete controllare i registri pubblici disponibili.
Tra questi, vi segnaliamo il ReGIndE, il Registro Generale degli Indirizzi Elettronici.

[in collaborazione con la rivista Avvocati]

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Foto di Nordio

Nordio a Tirana per bilaterale Italia-Albania

Visita istituzionale del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ieri a Tirana per un bilaterale con l’omologo della Repubblica d’Albania, Ulsi Manja.

L’agenzia per l’Italia Digitale (AgID) ha stabilito che i gestori dei servizi di PEC e tutti gli utilizzatori delle PEC debbano alzare il livello di sicurezza.

Le mail PEC adottano il nuovo protocollo di sicurezza TLS 1.2. (come richiesto da AgID)

Potrebbe quindi verificarsi l’impossibilità di utilizzare la PEC, ricevendo il messaggio “il server non supporta il tipo di crittografia di connessione specificato”.

Le mail PEC utilizzano livelli di sicurezza superiori rispetto alla posta elettronica comune, infatti sono caratterizzate da pieno valore legale.

Come richiesto da AgID, il servizio di PEC nazionale è stato adeguato alla versione TLS 1.2 (protocollo di comunicazione sicura). Per tale motivo, tutti i protocolli precedenti al TLS 1.2 (TLS 1.0, TLS 1.1) dovranno essere dimessi entro il 21 ottobre 2019, ma già da oggi emergono i primi errori di funzionalità mail PEC.

Per esempio, se cerchi di accedere alla webmail PEC con un browser (Chrome, Mozilla Firefox, Internet Explorer, Opera etc.) non aggiornato oppure attraverso un client di posta non aggiornato, potresti verificare problemi all’accesso.

Che errore visualizzo?

***
“Il server non supporta il tipo di crittografia delle connessioni specificate. Prova a cambiare il metodo di crittografia.

Your server does not support the connection encryption type you have specified”

oppure

“Password errata”
***

Chi sicuramente riscontrerà problemi?

Riscontrerai problemi se utilizzi questi sistemi:

  • Windows 7 con Outlook qualsiasi versione
  • Windows 7 con Thunderbird più vecchi della versione 45.6 (45.5, 45.4, 45.3)
  • Windows 8 con Outlook più vecchi del 2010 (Outlook 2003, 2000) o Thunderbird più vecchi del 45.6 (45.5, 45.4, 45.3)
  • Windows 10 con Outlook più vecchi del 2010 (Outlook 2003, 2000) o Thunderbird più vecchi del 45.6 (45.5, 45.4, 45.3)

Come devo operare?

Windows 7 con Outlook
1) Chiudi tutti i programmi (non il computer),
2) Scarica ed esegui questo file hotfix1
3) Scarica ed esegui questo file hotfix2
4) Riavvia il computer.

Windows 7 con Thunderbird
Scarica l’ultima versione di Thunderbird, oppure verifica che la tua versione in uso sia successiva alla 45.6

Windows 8 con Outlook 2003
Devi aggiornare Outlook almeno alla versione 2010.

Windows 8 con Thunderbird
Scarica l’ultima versione di Thunderbird, oppure verifica che la tua versione in uso sia successiva alla 45.6

Windows 10 con Outlook 2003
Devi aggiornare Outlook almeno alla versione 2010.

Windows 10 con Thunderbird
Scarica l’ultima versione di Thunderbird, oppure verifica che la tua versione in uso sia successiva alla 45.6

Per i tecnici di studio

Se per accedere alla webmail PEC utilizzi il nostro portale web i parametri richiesti sono i seguenti:

Sistema Operativo Versione minima supportata Browser Versione minima supportata
Mobile Android 4.4.2 Tutti Tutti
Apple iOS Nessuna restrizione Tutti Nessuna restrizione
Windows Phone 8.1 Internet Explorer 11
Desktop OS X 10.9 Safari 7.x
Chrome 34.x
Firefox 29.x
Winodws XP SP3 Chrome 49.x
Firefox 49.x
Windows 7 Tutte Chrome 30.x
Firefox 31.3.0 ESR/45.x
Internet Explorer 11
Opera 17.x
Windows 8 8.0 Firefox 27
8.1 Internet Explorer 11
Windows 10 Nessuna restrizione Tutti Nessuna restrizione
GNU/Linux
(qualsiasi distribuzione)
Nessuna restrizione Firefox 27.x
Chrome 37.x

 

Nel caso di utilizzo di client di posta, come Outlook, Apple Mail o Thunderbird, i parametri sono i seguenti:

Client di posta Versione minima​ supportata Sistema operativo Versione minima​ supportata
Mobile Mail Nessuna restrizione iOS 11.x
Android 5.x
Desktop Apple Mail Nessuna restrizione OSX 10.12 (Sierra)
Outlook 2003 Nessuna restrizione Nessuna restrizione*
Outlook 2011 2011 MAC OSX Solo sulle versioni 10.11 – 10.13
Thunderbird 45.6 Nessuna restrizione Nessuna restrizione

 

phishing via mail pec

Attenzione al phishing via mail PEC

A quanto pare, nemmeno la posta elettronica certificata è immune ai fenomeni dello spam, dei virus informatici e delle truffe, e i casi di phishing via mail pec si fanno sempre più frequenti.

La stessa Agenzia delle Entrate ha recentemente sottolineato l’incremento delle segnalazioni facendo eco all’allerta lanciata del CERT-PA, il Computer Emergency Response Team della Pubblica Amministrazione.

COSA SIGNIFICA PHISHING

Il phishing via mail è un tipo di frode il cui scopo è rubare informazioni e dati sensibili contenuti in computer e smartphone, come i numeri delle carte di credito, password e pin relativi ai conti bancari.
Per farlo, viene generalmente chiesto al destinatario di cliccare su un link fraudolento.

L’efficacia del phishing si nasconde nell’aspetto assolutamente credibile delle mail, a partire dall’uso di loghi ufficiali e di link fraudolenti che assomigliano in tutto e per tutto a indirizzi web credibili.

Una volta che si clicca sul link, un malware viene installato sul computer e i malintenzionati possono accedere ai dati contenuti in esso.

Inoltre, il malware inizia a inviare mail di phishing dalla casella appena infettata, in modo automatico e senza che il titolare ne sa consapevole.

Il termine phishing è una variante dell’inglese fishing, “pescare”, perché la funzione delle mail ingannevoli è la medesima degli ami e delle esche quando si va a pescare.
L’unico problema è che i pesci siamo noi.

Se temete di aver scaricato un malware, vi consigliamo di leggere questo articolo.

COME RICONOSCERE E DIFENDERSI DAL PHISHING VIA MAIL PEC

Ecco alcuni dettagli ai quali prestare attenzione.

i destinatari della mail
Il phishing è spesso riconoscibile perché le mail fraudolente vengono inviate contemporaneamente a diversi destinatari, senza indicare il nome o cognome dei singoli.

il link non è poi così “normale”
Spesso ha un indirizzo web (dominio) molto lungo e complicato.

fermatevi e riflettete prima di cliccare
Le aziende serie non richiedono mai password e altri dati sensibili via mail, tantomeno lo fanno mettendovi fretta.

COME DIFENDERVI DAL PHISHING

Oltre a prestare attenzione a quanto detto qui sopra, la migliore difesa a vostra disposizione contro il phishing via mail pec è dotarvi di un buon antivirus, sempre aggiornato e capace di bloccare i messaggi ambigui.

Non cadete nell’errore di credere che la posta elettronica certificata sia più sicura delle mail comuni. Si tratta di un servizio informatico e, come tale, è sempre soggetto a rischi e pericoli.

Vuoi tutelare il tu computer dai rischi informatici? Valuta le nostre proposte.

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Resettare la password pec

diritto all'oblio

Diritto all’oblio: Google può non applicarlo fuori dai confini dell’Unione Europea

Tra le tutele inserite nel GDPR, il Regolamento UE n. 2016/679, compare anche il diritto all’oblio, ovvero la possibilità di far cancellare i nostri dati personali dai database delle aziende.

E se volessimo che a sparire fossero dei contenuti che ci riguardano e che sono reperibili in Internet?
Possiamo esercitare il nostro diritto anche nei confronti dei motori di ricerca, primo fra tutti Google?

La risposta è sì, ma con dei limiti.

IL DIRITTO ALL’OBLIO NON È ESPORTABILE

Il GDPR è entrato in vigore ormai da più di un anno (maggio del 2018), ma il diritto all’oblio era già stato sancito dalla Corte di Giustizia Europea con la sentenza del 13 maggio 2014.

Oggi, settembre 2019, giunge notizia che la stessa Corte di Giustizia Europea ha deciso che “i motori di ricerca, qualora dovessero accogliere una richiesta di diritto all’oblio da parte di un utente, non sono obbligati ad applicarla in tutte le loro versioni. Tuttavia, fatto salvo alcune eccezioni previste dal diritto Ue, vale invece anche per i gestori dei motori di ricerca il divieto di trattare determinati dati personali sensibili.” [Leggi la notizia ANSA].

In parole semplici, se un utente europeo invoca il diritto all’oblio, Google dove rendere invisibili i link e i contenuti contestati, ma solo nelle versioni europee del suo motore di ricerca. Potrà, invece, decidere se continuare a mantenerli visibili nelle versioni extraeuropee.

Questa sentenza non è la prima a rigettare l’idea di un diritto alla cancellazione globale. Già in altri paesi europei si era giunti a simili sentenze, in base al principio per cui una norma ha valore solo nel territorio in cui è adottata.

La decisione della Corte di Giustizia Europea non ha ripercussioni solo sulla privacy dei singoli, ma anche sull’accesso alle informazioni che, così, viene differenziato su base territoriale. Infatti, ai cittadini di altri continenti potrebbe essere garantito l’ accesso a contenuti ormai preclusi agli europei.

Hai bisogno di adeguarti al GDPR? Scopri i nostri moduli privacy.

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difficoltà a depositare con Service1

Hai difficoltà a depositare con Service1? Forse è colpa dell’antivirus!

Una delle questioni che più comunemente turbano i nostri utenti è la difficoltà a depositare con Service1 che, improvvisamente e inspiegabilmente, sembra non funzionare più a dovere.

Raramente la causa è la nostra piattaforma. Più spesso si tratta dell’ antivirus presente nel computer dell’utente.

Alcuni antivirus sono infatti così efficaci da bloccare persino programmi perfettamente affidabili. In realtà, nel caso di Service1 e dei depositi, l’antivirus blocca le mail.

Se, da un lato, questo “falso positivo” vi conferma che il programma che avete scelto sta facendo egregiamente il suo lavoro; dall’altro, le implicazioni negative sono molteplici e impattano sull’operatività quotidiana.

Cosa fare se avete difficoltà a depositare con Service1

Se la difficoltà a depositare è causata dall’antivirus, avete a disposizione due soluzioni.

1) disabilitare momentaneamente l’antivirus.
Questa soluzione vi espone a dei rischi, poiché abbassate momentaneamente tutte le difese del vostro pc. È però ottima nel caso in cui vi troviate in una situazione d’urgenza, in cui dovete assolutamente completare un invio, oppure se state usando un computer altrui.

Una volta completata l’operazione, ricordatevi di riattivare l’antivirus!

2) creare un’eccezione
È possibile “insegnare” al vostro antivirus a non bloccare le mail.
Per farlo, dovete creare quella che viene chiamata ‘eccezione’ che, come suggerisce il nome, è una regola che si discosta dalle impostazioni di default del programma.

Le procedure per creare un’eccezione variano da antivirus ad antivirus. Per capire come impostarne una, vi consigliamo di visitare il sito ufficiale dell’antivirus.

Entrambe le soluzioni comportano dei rischi. Se non siete sicuri al 100%, chiedete aiuto al vostro tecnico di riferimento.

Se, nonostante i suggerimenti qui sopra, avete ancora difficoltà a depositare con Service1, la causa potrebbe essere un’altra. Vi invitiamo allora a contattare il nostro help desk via telefono, mail, social, o anche tramite la chat presente qui nel sito.

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La firma digitale non funziona più

La firma digitale non funziona più? La causa potrebbe essere l’aggiornamento di Windows10

Quando la firma digitale non funziona più, le cause possono essere diverse, non sempre così immediate da rilevare.

Nelle ultime settimane, l’Help Desk Servicematica ha ricevuto numerose segnalazioni relative a difficoltà nell’utilizzo delle nostre firme digitali.
Gli interventi di assistenza da noi condotti hanno portato alla luce la presenza di problematiche non risolvibili attraverso le ordinarie procedure. Pertanto, abbiamo indagato più a fondo e siamo giunti a comprendere che la causa va ricondotta all’ultimo aggiornamento di Windows 10.

L’ultimo aggiornamento di Windows 10 e il suo impatto

In data 13 agosto 2019, Microsoft ha rilasciato un aggiornamento di Windows 10 (l’aggiornamento kb4512508 – build del sistema operativo) con l’obiettivo di migliorare gli standard di sicurezza.
In particolare, l’aggiornamento fa riferimento alla sicurezza in fase di utilizzo di Microsoft Edge e Internet Explorer, alle tecnologie di rete, e anche ai cosiddetti dispositivi di input.
Tra questi figurano non solo mouse e tastiera, ma anche i dispositivi di firma digitale.

I malfunzionamenti della firma digitale non sono quindi riconducibili al software utilizzato dai dispositivi smart card, ma al processo di riconoscimento del lettore da parte del sistema operativo. In parole povere, è come se il nuovo aggiornamento di Windows 10 andasse a compromettere il “servizio smart card”. 

Non tutti i computer che hanno eseguito l’aggiornamento hanno poi riscontrato tale anomalia. La percentuale di accadimento è di circa il 9%.

Le cause di ciò non sono chiare; come indicato da Microsoft, alcune di esse potrebbero essere un  pc non in buono stato, l’utilizzo del servizio firma digitale durante dell’aggiornamento, ecc.

Abbiamo contattato l’assistenza Microsoft che ci ha confermato l’esistenza di tale malfunzionamento; tuttavia, non ha fornito spiegazioni sulla sua genesi né informazioni su tempistiche o modalità di risoluzione. Si è limitato a indicare che “in tempi brevi” rilascierà un ulteriore aggiornamento risolutivo.

Cosa fare se la firma digitale non funziona

Se avete effettuato l’aggiornamento di Windows 10 e ora la vostra firma digitale non funziona più, ecco quali sono le soluzioni disponibili al momento.

L’opzione principale consiste nell’attendere il rilascio di un nuovo aggiornamento che risolva il problema alla radice.
Infatti, inconvenienti simili si sono già verificati in occasione di precedenti aggiornamenti (più precisamente, nel 2015 e nel 2017), ma sono stati risolti tempestivamente.

Un’alternativa drastica consiste nel formattare il vostro pc o riportarlo ad un punto di ripristino antecedente l’aggiornamento sopra menzionato. Per questa operazione vi consigliamo di affidarvi al vostro tecnico di riferimento o di chiamare il nostro servizio di assistenza informatica.

Vigileremo costantemente sulla questione e vi informeremo appena si presenterà una soluzione più adeguata.

ATTENZIONE: se avete effettuato l’aggiornamento di Windows 10 e la vostra firma digitale funziona correttamente, non avete nulla di cui preoccuparvi. 

 

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Gennaio 2020: Windows 7 va in pensione. Ecco cosa fare.

Verificare l’inserimento corretto del chip nella chiavetta di firma digitale

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