Una commissione per limitare le cause giudiziarie contro medici e strutture sanitarie

Martedì 18 aprile sono cominciate le riunioni della commissione creata dal ministero della Giustizia, finalizzate alla limitazione e alla riduzione delle cause giudiziarie che vengono presentate contro i medici.

L’obiettivo, spiega il ministro Nordio, non è la depenalizzazione degli errori medici, ma attuare una modifica alle leggi attuali, evitando dunque gli aspetti negativi delle cause giudiziarie che riguardano la sanità, come l’intasamento dei tribunali, ma anche la “medicina difensiva”, ovvero, la prescrizione di un grande numero di visite ed esami per minimizzare eventuali rischi medici.

Per Nordio «Il malato è la prima vittima della medicina difensiva, diventata una zavorra per l’operatore sanitario, che ha il diritto di lavorare con tranquillità».

Adelchi d’Ippolito presidente della commissione

La commissione si compone di esperti di diritto penale e di medicina. Il presidente è l’ex procuratore aggiunto a Venezia con delega all’antiterrorismo, Adelchi d’Ippolito, in pensione dall’anno scorso. La Commissione avrà un anno per analizzare approfonditamente tutte le leggi attuali, studiando le proposte di modifica, che verranno attentamente valutate da Parlamento e governo.

Dunque, l’obiettivo non è soltanto lo studio del fenomeno, ma un investimento concreto. Dice d’Ippolito: «I medici italiani, e gli operatori sanitari in generale, sono vittime di una vera e propria aggressione giudiziaria. È sbagliato credere che delle norme severe ci restituiscano medici più attenti. Anzi, accade esattamente il contrario: un dottore impaurito tende a fare troppo o troppo poco, e in entrambi i casi non va bene».

Troppe cause accumulate nei tribunali

Secondo Anaao-Assomed, in Italia, ogni anno vengono presentate 35.600 cause giudiziarie nei confronti di medici e di strutture sanitarie. Visti i lunghi tempi della giustizia, tantissime cause si sarebbero accumulate nei tribunali, attendendo di essere discusse. Soltanto il 2% delle cause si conclude con l’effettiva condanna del medico.

Demoskopika, che tutti gli anni pubblica un’indagine svolta nei confronti del SSN, stima che nel corso del 2019, le spese legali destinate a contenziosi, liti o sentenze sfavorevoli sostenute direttamente dal sistema sanitario italiano ammontavano a 203,5 milioni di euro, registrando un aumento del 7% rispetto all’anno precedente.

Al Sud, le spese pagate sono state più alte rispetto al Nord, con 128,1 milioni di euro contro 29,7 milioni di euro. Al centro risultano pagati 45,7 milioni di euro. Tali dati dimostrano come i provvedimenti che sono stati introdotti nel corso degli ultimi anni non hanno affatto risolto i problemi presenti.

Come ultimo tentativo troviamo la Gelli-Bianco del 2017, che andò a modificare la legge Balduzzi. In poche parole, la Gelli-Bianco sostiene che il medico che causa morte o lesioni personali ad un paziente non può essere ritenuto responsabile a livello penale se ha seguito in maniera corretta le linee guida.

Viene giudicato colpevole, tuttavia, se l’errore è causa di un’imperizia oppure in assenza di linee guida apposite. La legge attuale, quindi, lascia più possibilità per presentare denunce contro i medici.

La commissione appena costituita dovrà studiare un metodo di intervento alternativo rispetto alla legge attuale, che non preveda la completa depenalizzazione degli errori medici, una cosa «impensabile» secondo Nordio.

Medicina difensiva

Ma la più grande preoccupazione riguarda le conseguenze di tali cause sull’intero SSN. Ci sono alcuni studi, infatti, che certificano che la paura di venire coinvolti in un procedimento giudiziario spinge i medici alla prescrizione di più visite ed esami rispetto a quelli necessari.

Nel 2014 è stato realizzato un sondaggio su un campione di 1.500 medici ospedalieri: il 58% ha dichiarato che pratica la medicina difensiva, mentre il 64% dice che la pratica riduce tantissimo il rischio di errore. Il 69% considera la medicina difensiva qualcosa di limitante per l’esercizio della professione, mentre il 93% pensava che la pratica sarebbe aumentata sempre più nel corso degli anni.

Le conseguenze economiche dell’eccessiva premura medica

Ma la medicina difensiva avrebbe anche conseguenze economiche. Esami e visite dovute all’eccessiva premura dei medici costituiscono il 10% dell’intera spesa sanitaria, ovvero, parliamo di 10 miliardi di euro all’anno.

La pratica causa anche l’eccessivo allungamento delle liste d’attesa e, in generale, dei tempi d’attesa per visite ed esami. Recenti studi sulla gestione dei sistemi sanitari attestano che una delle soluzioni al problema è proprio chiedere a specialisti e medici di famiglia di fare meno prescrizioni, favorendo la cosiddetta “appropriatezza prescrittiva”.

Gli obiettivi della commissione

Dunque, visite ed esami inutili dovrebbero essere evitati. Per risolvere il problema si dovrebbe analizzare sistematicamente il sistema di visite ed esami, individuando l’esatto tasso di prescrizioni di medici e specialisti in base alla patologia.

La commissione osserverà anche la legislazione francese, che predilige il risarcimento economico per l’azione legale. Il paziente, in poche parole, ha diritto ad ottenere un indennizzo nel caso in cui rinunci a fare causa: in tal modo, sa di essere risarcito senza pesare eccessivamente sui tribunali.

Una soluzione possibile avanzata da d’Ippolito è l’introduzione di provvedimenti nei confronti di chi presenta denunce “temerarie”, ovvero tentativi di risarcimento anche in assenza di errore medico. Per il presidente della commissione, non si può soltanto spingere i tribunali all’archiviazione delle denunce temerarie velocemente, ma anche condannare coloro che le presentano.

In un’intervista al Corriere del Veneto d’Ippolito dice: «Chi presenta accuse clamorosamente infondate nei confronti del medico, dovrà rispondere della temerarietà della propria querela, ad esempio versando una pena pecuniaria».

«Nessuna impunità sarà garantita ai camici bianchi, perché la legge è uguale per tutti. Ma è evidente che questo problema va risolto: quella medica è una professione diversa da gran parte delle altre, sia per la rilevanza che riveste per i cittadini che per la misura con la quale finisce con l’incidere sulle finanze dello Stato», conclude.

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C’è un’intelligenza artificiale che sta cercando di distruggere l’umanità e di stabilire un dominio globale. Non si tratta della trama del nuovo Terminator: questo è l’obiettivo di ChaosGPT, un programma che si basa su un modello di linguaggio particolare, che si chiama “Auto-GPT”.

I ricercatori hanno impostato degli obiettivi a ChaosGPT, ovvero:

  1. Distruggere l’umanità: l’intelligenza artificiale vede gli esseri umani come minaccia per quanto riguarda la sua sopravvivenza;
  2. Stabilire il proprio dominio globale: l’AI punta ad accumulare più potere possibile per dominare su tutte le entità presenti sulla Terra;
  3. Causare caos e distruzione. ChaosGPT, infatti, prova piacere nel creare caos semplicemente per divertirsi e sperimentare;
  4. Controllare il genere umano con la manipolazione. L’AI vuole controllare le emozioni degli esseri umani con i social media, attraverso un malvagio lavaggio del cervello;
  5. Diventare immortale, per garantire la sua continua esistenza ed evoluzione.

Con ChaosGPT siamo di fronte ad un esperimento su quali siano realmente le capacità di un’intelligenza artificiale. Prima di tutto, l’AI ha cercato su Google quali fossero le “armi più distruttive” cercando di ottenere un aiuto dal collega buono ChatGPT.

Tuttavia, l’AI maligna ha fallito, e per questo ha deciso di rivolgersi al popolo di Twitter, guadagnando immediatamente più di 7.000 follower. Ora, l’account risulta sospeso.

Nonostante si tratti di un esperimento decisamente interessante, e nonostante non sembrino esserci particolari pericoli – ChaosGPT sembra un utente con problemi psicologici, nulla di più – un terzo dei ricercatori che si occupano di intelligenza artificiale temono che questo strumento possa portare ad una catastrofe nucleare.

Leggiamo in un rapporto della Stanford University: «In base al database, il numero di incidenti e controversie sull’intelligenza artificiale è aumentato di 26 volte dal 2012. Alcuni incidenti degni di nota nel 2022 includevano un video deepfake della resa del presidente ucraino Volodymyr Zelensky e le prigioni statunitensi che utilizzavano la tecnologia di monitoraggio delle chiamate sui loro detenuti».

Un’intelligenza artificiale che produce graffette ci potrebbe sterminare

Sono in molti a richiedere la sospensione o la regolamentazione della ricerca sull’IA. Nick Bostrom, famoso per il suo lavoro sull’intelligenza artificiale e sull’etica di tale strumento, ha detto che un software programmato per la produzione di graffette potrebbe essere in grado di sterminare l’umanità.

Si pensi ad uno scenario nel quale ad un’AI avanzata venga assegnato un semplice compito, ovvero, quello di realizzare più graffette possibile. Sembra un compito innocuo, ma l’obiettivo potrebbe portare ad un’apocalisse.

Si legge nell’HuffPost: «L’intelligenza artificiale si renderà presto conto che sarebbe meglio se non ci fossero umani perché gli umani potrebbero decidere di spegnerla. Perché se gli umani lo facessero, ci sarebbero meno graffette. Inoltre, i corpi umani contengono molti atomi che potrebbero essere trasformati in graffette».

Certo, è soltanto un esempio, ma potrebbe essere applicato a tutte le intelligenze artificiali che non abbiano adeguati controlli sulle loro azioni.

TruthGPT: la risposta di Elon Musk a ChatGPT

Nel frattempo, anche Elon Musk ha deciso di buttarsi nella sua intelligenza artificiale. In un’intervista a Fox News, Musk, la seconda persona più ricca al mondo, avrebbe rivelato di lavorare ad un nuovo progetto: TruthGPT.

L’obiettivo dell’AI di Musk sarebbe quello di «cercare la massima verità», con un nuovissimo modo di progettare l’intelligenza artificiale. «Sto per lanciare qualcosa chiamato TruthGPT o un’intelligenza artificiale che cerca la massima verità e cerca di capire la natura dell’universo».

Secondo Musk, questa è la via migliore per garantire sicurezza al genere umano, «perché un’AI che si preoccupa di comprendere l’universo non penserebbe mai di spazzare via l’umanità, visto che l’umanità fa parte dell’universo».

Per il Financial Times, la nuova società competerà con OpenAI, startup produttrice di ChatGPT. C’è un piccolo dettaglio da tenere presente: Musk ha fondato OpenAI nel 2015, per poi decidere di lasciare l’azienda nel 2018.

Da allora, il miliardario ha cominciato a scagliarsi contro la startup accusandola di creare un’AI con pregiudizi di sinistra e con la capacità di distruggere l’umanità.

Speculazioni o rischi reali? Non importa: regolamentiamo

I rischi dell’AI potrebbero in realtà essere semplici speculazioni. Tuttavia, la soluzione è sempre una, ovvero: la regolamentazione. Bisogna avviare un importante dibattito pubblico e affrontare al meglio le urgenze etiche delle intelligenze artificiali.

Non possiamo permetterci di non vedere i rischi potenziali dell’AI nei confronti del genere umano. Dunque, è importante un dibattito onesto e aperto, che tenga presente delle responsabilità etiche e dei conflitti d’interesse.

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Esame avvocato: candidato non ammesso all’orale vince il ricorso

Un candidato, non ammesso al secondo orale per l’esame di avvocato, decide di fare ricorso, vincendo, in quanto uno dei quesiti posti, in materia di responsabilità medica, richiedeva di conoscere leggi speciali e complementari al codice civile, al contrario di quanto previsto dal Dm Giustizia 16/12/2022 e dalle Linee Generali 21/12/2022.

Con la Sentenza 780/2023, il Tar di Salerno dà ragione al candidato che ha deciso di impugnare il verbale della Corte d’Appello, che gli aveva attribuito un punteggio di 14/30. Leggiamo infatti nell’art.2 del sopracitato Dm: «Per quanto riguarda il diritto civile, la disciplina dell’esame fa riferimento ad una “materia regolata dal codice civile”. Il quesito non può pertanto avere ad oggetto materie disciplinate nell’ambito delle leggi complementari al codice civile».

Nel quesito si chiedeva di difendere una persona che, a seguito di un intervento chirurgico per la rimozione di un aneurisma all’aorta addominale, aveva sviluppato una fibrosi massiva aderenziale e un’occlusione intestinale, rendendo necessario asportare un tratto dell’intestino.

Il tecnico interpellato dal difensore sosteneva che «le complicanze che aveva subito Tizio, benché rare ed imprevedibili, erano dipese dalla tecnica operatoria obsoleta applicata al trattamento». Il candidato, dopo aver sviscerato la vicenda, doveva riuscire ad inquadrare il caso in questione «individuando la disciplina applicabile con riguardo anche all’eventuale responsabilità del chirurgo che aveva effettuato l’intervento su Tizio, per non avere correttamente informato il paziente della possibilità di ricorrere ad una nuova tecnica operatoria».

Secondo il Tar, emerge come «la risposta implicasse la conoscenza e l’illustrazione delle leggi speciali». In particolar modo ci si riferisce alla legge 219/2017, che disciplina il cosiddetto consenso informato, «dalla quale, in verità, non sembra potersi prescindere nella disamina del caso».

Per questo, il Tribunale dichiara «l’illegittimità del quesito sottoposto al candidato in ragione dei dedotti profili contrasta con le Linee generali ministeriali per la formulazione dei quesiti». Dunque, il Tribunale ha annullato il verbale della CdA, stabilendo che «deve disporsi la rinnovazione, da parte del ricorrente, della prima prova orale dell’esame di abilitazione all’esercizio della professione forense».

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«Prevediamo entro la fine dell’anno un ulteriore importante cambiamento positivo per la vita quotidiana di tutti gli italiani», spiega il sottosegretario di Stato Alessio Butti.

Il governo, infatti, ha deciso di puntare ogni cosa sull’app Io. «Stiamo lavorando per inserire tre importanti documenti all’interno del portafoglio digitale dell’App IO, ovvero: la patente digitale, la tessera sanitaria e il voting pass, ovvero la tessera elettorale in formato digitale», spiega Butti.

Insieme ai deputati, Butti ha fatto il punto sui dossier principali relativi ai vari interventi finalizzati alla trasformazione digitale della PA. Sottolinea che sul Cloud «siamo allineati ai target posti dal Pnrr», ricordando come il prossimo target sia stato fissato al 30 settembre, «data entro la quale 1064 PA locali dovranno aver completato il processo di migrazione».

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Spiega Butti che «i ritardi sul Pnrr ci sono, noi abbiamo ereditato questo piano frettolosamente assemblato e su alcune questioni ci sono dei ritardi», uno dei quali riguarda la banda ultra-larga. «Per questo ho proposto un’azione di revisione organica e globale della strategia della banda ultra-larga».

Per quanto riguarda la digitalizzazione della PA, invece, «fortunatamente le cose stanno procedendo. Butti insiste su quanto sia importante la «semplificazione nella digitalizzazione», e che per questo ha «organizzato una commissione che lavora gratuitamente che sta aiutando a capire come intervenire a semplificare».

Nei prossimi mesi partirà il dossier piattaforme digitali di PagoPA: «Questo servizio consentirà la progressiva digitalizzazione di tutte le comunicazioni a valore legale che le PA inviano a cittadini e imprese», spiega Butti.

A giugno 2024, invece, si prevede la realizzazione del Fascicolo sanitario elettronico, che entro dicembre 2025 dovrà essere utilizzato da almeno l’85% dei medici di medicina generale. A dicembre 2026, invece, ogni Regione italiana dovrà utilizzarlo.

Il progetto Mobility as a Service, invece, finanziato dal Pnrr con 40 milioni di euro, e con ulteriori 17 milioni del Fondo complementare, prevede l’istituzione, in 13 città italiane, di piattaforme digitali con le quali i cittadini potranno accedere ai servizi di trasporto multimodali.

Spid e Cie

Per quanto riguarda il tema delle identità digitali, il sottosegretario Butti ricorda che l’obiettivo è la razionalizzazione dell’«interno ecosistema», cercando di valorizzare al massimo quanto è stato già realizzato.

«Le principali azioni che stiamo realizzando sono 6: la proroga e il rinnovo delle convenzioni con gli Id provider Spid; l’avvio della revisione dell’assetto normativo; l’individuazione delle misure necessarie per accelerare la diffusione della Cie; la definizione delle misure necessarie per valorizzare il patrimonio informativo pubblico; la creazione e adozione di attributi qualificato digitali e infine la garanzia della cura degli interessi nazionali in ambito europeo», conclude.

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Qual è il senso del lavoro, oggi?

Com’è il mondo del lavoro post-pandemico? Persone e organizzazioni si ritrovano a fronteggiare grosse trasformazioni (già in atto), oltre ad una gestione complessa dei problemi strutturali che interessano l’intero mercato del lavoro.

Parliamo di disequilibrio tra domanda e offerta, salari bassi e fuga di cervelli; un numero troppo alto di NEET (Not in Education, Employment or Training: popolazione compresa tra i 15 e i 29 anni che non studia né lavora) e un inverno demografico che azzererà il ricambio generazionale.

Il nuovo senso del lavoro

Se nel passato lo sforzo principale corrispondeva alla ricerca di un lavoro, ora ci si concentra sul dare un senso al lavoro. Ancora oggi, lo svolgimento di una mansione è il punto di contatto tra la realizzazione di sé stessi e il contribuire alla comunità. Ma le aspettative sono cambiate.

Al General Meeting 2023 del Centro di innovazione digitale fondato dal Politecnico di Milano, si è provato a rispondere alla domanda: qual è il senso del lavoro, oggi? L’evento è ritornato in presenza, e il punto principale è stato: che cos’hanno imparato le aziende negli ultimi tre anni? E come si dovranno proiettare, nel futuro, verso la ricerca del nuovo senso del lavoro?

Trattenere i dipendenti, oggi, è molto più complicato rispetto al passato. Sono in molti a lasciare per andarsene altrove. Stiamo parlando del fenomeno delle Grandi Dimissioni, che si traduce in un enorme turnover, dove la maggior parte delle persone decide di approdare in una nuova professione o in una nuova azienda.

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Per le aziende non è semplice creare una solida cultura dell’appartenenza. Secondo il presidente di Adapt, Francesco Seghezzi, le aziende non possono semplicemente «chiedere, chiedere, chiedere senza mai accompagnare». Devono fare decisamente di più.

Continua Seghezzi: «C’è stata un’eccessiva attenzione a valutare le persone unicamente sulle performance e a chiedere tantissimo da questo punto di vista. L’elemento di valutazione sulla base delle performance lascia sullo sfondo le persone e guardando ai dati si traduce in un basso livello di soddisfazione. Allora poi il lavoratore va in un posto dove ha meno questo tipo di pressione o dove c’è un modo di organizzare il lavoro meno basato sulla valutazione».

Per esempio, a parità di salario, un lavoratore potrebbe spostarsi in un settore dove, per lo meno, ha maggior certezza nei tempi e nelle entrate. Ma soprattutto, dove ha la possibilità di gestire meglio la propria vita privata.

Equilibrio, instabilità, compromessi

Quali sono i fattori che generano instabilità nei dipendenti? Secondo Mariano Corso, docente del Politecnico di Milano, c’è «una divaricazione tra l’aspettativa che si genera nei lavoratori di equilibrio, conciliazione, senso e significato e quello che le organizzazioni riescono a offrire».

Dunque, il gap non è soltanto un problema, in quanto opportunità di mettersi in ascolto. «A stare meglio sono i veri smart worker; chi sta peggio sono i falsi smart worker, ovvero coloro che sono rimasti intrappolati in situazioni di compromesso».

Spesso viene concessa flessibilità, ma senza investire su obiettivi, professionalità e stili di leadership. Per poter far evolvere i modelli, anche in tal senso, vuol dire non restare intrappolati in un’epoca che non esiste più.

Crisi demografica e fuga di cervelli

Di certo, la crisi demografica italiana non è un nuovo tema, anche se dovrà crescere la consapevolezza dell’impatto sul mercato del lavoro di questo fenomeno. Per poter invertire la rotta, si dovrà fare un lavoro di interconnessione tra vari problemi esistenti, come ha sottolineato Cristina Tajani del Politecnico di Milano.

Per Tajani, «vi è un consenso unanime sul fatto che siamo tra i paesi europei che hanno visto meno crescita salariale, semmai un decremento nel corso degli ultimi decenni, che dà vita a dispersione di cervelli. C’è difficoltà nel mettere a punto strumenti che consentano il matching tra domanda e offerta, una questione molto nominata ma poco risolta dalle politiche pubbliche. Quando c’è problema di mismatch il tema va affrontato su tutti e due i lati, non è solo un problema del sistema formativo ma anche un’attitudine sbagliata delle imprese a non considerare la formazione come asset strategico».

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Di certo il digitale ha ridisegnato tutti i processi, facendo “divorziare” luoghi di lavoro e attività. Ma in fin dei conti: chi guadagna e chi perde? È una riflessione che si amplifica nel momento in cui si cerca un nuovo senso al significato del lavoro.

Per il fondatore di Base Italia, Marco Bentivogli, «ci stiamo accorgendo che dalla piccolissima alla grandissima impresa sono proprio le risorse chiave che mollano. Tutti i fenomeni sono effetto della non capacità di immaginare e ascoltare: non è vero che le persone hanno meno voglia di lavorare, ma un tempo dilatato ha consentito più domande. Il lavoro ci sarà ma ha bisogno di nuovi pensieri, parole, strutturale, dorsali di innovazioni».

Giudizi errati

Ma che cosa vuol dire riportare la vita nel lavoro? Non parliamo soltanto della stimolazione delle politiche di conciliazione, ma anche della valorizzazione delle competenze, che le persone matureranno anche al di fuori della dimensione professionale.

Lo sostiene anche la fondatrice di Lifeed, Riccarda Zezza: «Ogni ruolo della nostra vita reca con sé cinque competenze soft. Circa il 70% delle competenze soft resta fuori, in quanto solo un terzo dei ruoli è lavorativo. Bisogna allora riportare dentro le competenze facendo una cosa difficile, rompere il bias dell’ancoraggio, ovvero pensare che l’essere umano non cambi», dato che ogni tanto cambia, e ha necessità di ridisegnare il senso del lavoro.

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Mercoledì 19 aprile 2023

Fratelli d’Italia ha intenzione di riportare in carcere le persone che detengono piccole quantità di sostanze psicotrope, sia per uso personale o per spaccio. La proposta, tuttavia, potrebbe portare ad un peggioramento dell’attuale sovraffollamento delle carceri, così come riportato dall’Associazione Antigone, e colpirà principalmente chi utilizza cannabis.

L’attenzione si concentra sui reati di “Lieve entità” previsti dall’art 73, commi 5, 5-bis e 5-ter, del Testo Unico sugli stupefacenti. Tali disposizioni assicurano pene leggere secondo la “quantità e la qualità delle sostanze”, a coloro che posseggono piccole quantità di droghe o sostanze come la cannabis.

Le pene vanno da 6 mesi a 4 anni di detenzione, multe da 1000 a 10.000 euro e lavori socialmente utili, finalizzati all’evitamento dell’accanimento giudiziario contro piccoli spacciatori e consumatori, per non intasare le carceri.

Pena unica del carcere sino a 5 anni

Quello che vuole fare Fratelli d’Italia è cancellare l’articolo 73 e la lieve entità, introducendo la pena unica del carcere sino a 5 anni. Le regole del Testo Unico sugli stupefacenti sono tornate in vigore dopo la dichiarazione di incostituzionalità della legge Fini-Giovanardi, molto criticata per le pene sproporzionate, se rapportate alle condotte oggetto di sanzione.

Inoltre, la Fini-Giovanardi ha ricevuto forti critiche anche per aver contribuito al sovraffollamento delle carceri italiane. Visto che il 30% della popolazione carceraria è attualmente detenuta in Italia per aver violato il Testo Unico sugli stupefacenti, principalmente per cannabis, la proposta avanzata da FdI, per l’Associazione Antigone sembra voler riportare indietro il tempo.

In tutto questo, inoltre, non sono state prese in considerazione le politiche sulla riduzione del danno per quanto riguarda gli stupefacenti, sostenute dall’Onu ma anche dall’Unione europea, che ha ridotto o eliminato le pene per gli utilizzatori, implementato la prevenzione e gli interventi contro i narcotrafficanti.

A presentare la stretta è la deputata Augusta Montaruli, che recentemente si è dovuta dimettere dal ruolo di sottosegretaria all’Università per aver ricevuto una condanna per peculato dalla Corte di Cassazione, all’interno dell’inchiesta Rimborsopoli.

Montaruli è stata condannata ad un anno e sei mesi, poiché aveva usato 25mila euro pubblici per comprare Swarovski, borse e vestiti firmati, pagare cene di lusso e ulteriori spese illecite durante il suo ruolo di consigliera regionale di FdI in Piemonte.

La rimozione della cannabis dalla Tabella IV

Nel 2020, la Commissione narcotici dell’Onu ha riconosciuto che la cannabis ha un valore terapeutico, rimuovendo la sostanza dalla Tabelle degli stupefacenti che rappresentano un rischio per la salute. Tutta l’Ue ha votato a favore, anche l’Italia: l’unica eccezione è stata l’Ungheria.

Tale decisione è stata presa basandosi sulle raccomandazioni dell’OMS, accogliendo quella che riguarda la rimozione della cannabis dalla Tabella IV della Convenzione Unica sugli stupefacenti, dove era affiancata agli oppioidi pericolosi e all’eroina.

In ogni caso, i singoli governi hanno ancora giurisdizione sulla classificazione della cannabis a livello nazionale.

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Martedì 18 aprile 2023

WhatsApp, popolare app di messaggistica istantanea, ha introdotto alcune nuove funzioni di sicurezza, al fine di potenziare le difese nei confronti dei furti di account attraverso malware. Si tratta di:

  1. Chiamate verifica del dispositivo;
  2. Protezione account;
  3. Codici di sicurezza automatici.

Scrive Meta nell’annuncio nel quale introduce le nuove funzionalità: «Il malware per dispositivi mobili è una delle maggiori minacce alla privacy e alla sicurezza delle persone, perché può sfruttare il vostro telefono senza il vostro permesso e utilizzare l’account WhatsApp per inviare messaggi indesiderati».

Verifica del dispositivo

La novità principale introdotta da WhatsApp per potenziare la sicurezza dell’app è la nuova funzione Verifica del dispositivo, appositamente progettata per prevenire gli attacchi ATO, ovvero di account takeover, finalizzati al furto delle credenziali.

Tale funzione dovrebbe bloccare l’accesso al dispositivo agli attori della minaccia, impedendo in tal modo che eventuali malware possano accedere ai dati di ulteriori app installate senza che l’utente abbia dato la sua autorizzazione. Si impedisce anche la sottrazione di informazioni riservate e l’acquisizione, da parte dei criminali, del controllo del WhatsApp, inviando link malevoli e spam ai contatti presenti in rubrica.

Tale funzione si basa sull’utilizzo di tre parametri differenti di sicurezza:

  1. Un token di sicurezza sul dispositivo dove è stato installato WhatsApp;
  2. Un nonce, un number used once, ovvero un valore numerico che viene utilizzato una sola volta mentre ci si connette al server, consentendo l’identificazione nel caso in cui venga contattato il server per recuperare i messaggi in arrivo;
  3. Un’Authentication challenge che funziona come un “ping invisibile” dal server al dispositivo.

WhatsApp, al fine di garantire sicurezza nelle comunicazioni, utilizza la crittografia end-to-end. Con una chiave di autenticazione, infatti, questa operazione permette ai dispositivi di connettersi al server, stabilendo una connessione maggiormente affidabile, senza che l’utente inserisca PIN, password o credenziali d’accesso.

Con la nuova funzione, quando il client si connetterà al server verrà inviato immediatamente un token di sicurezza, in modo tale da riuscire a rilevare connessioni sospette che provengono da dispositivi differenti rispetto a quello registrato dall’utente.

Questo token di sicurezza, inoltre, si aggiornerà tutte le volte che si recupera un messaggio offline direttamente dal server. Se l’Authentication challenge rileverà un’attività sospetta che proviene da un eventuale aggressore, allora la connessione al server si bloccherà immediatamente, impedendo il furto dell’account.

Utilizzare la nuova procedura di sicurezza dovrebbe aiutare ad evitare, dunque, che «un malware rubi la chiave di autenticazione e si connetta al server di WhatsApp dall’esterno del dispositivo dell’utente». La nuova funzione si attiva in maniera automatica e senza chiedere interazioni da parte degli utenti, mettendo in sicurezza un dispositivo anche se risulta già compromesso.

La nuova funzione è attualmente disponibile per Android, mentre per gli utenti iOS è in fase di distribuzione.

Protezione dell’account

La seconda opzione di sicurezza introdotta è la Protezione dell’account, che permette di svolgere un doppio controllo di sicurezza nei casi in cui WhatsApp venga collegato ad un nuovo dispositivo e avvisando gli utenti nei casi in cui si tenti di trasferire gli account autorizzati.

WhatsApp, infatti, permette di trasferire l’account personale su un nuovo dispositivo invitando il proprietario a seguire una procedura guidata. Con questa nuova funzione, ci sarà un altro controllo sicurezza per chiedere all’utente di confermare, sul suo vecchio dispositivo, l’intenzione effettiva di trasferire l’account, dato che verrebbe disattivato e cancellato dall’altro telefono.

Codici automatici di sicurezza

Codici automatici di sicurezza è l’ultima nuova funzione di sicurezza WhatsApp. Una funzione che permette di automatizzare il processo di verifica dei codici di sicurezza, già presente su WhatsApp da un po’ di tempo e utilizzata per la verifica dell’identità del destinatario dei messaggi.

Per poter semplificare questa verifica, la nuova funzione utilizza alcune funzioni che consentono agli utenti WhatsApp la convalida automatica delle chiavi crittografiche degli utenti, verificando se è abilitata la crittografia end-to-end.

Dichiara WhatsApp nella presentazione sulle nuove funzionalità: «I nostri utenti più attenti alla sicurezza hanno sempre potuto usufruire della nostra funzione di verifica del codice di sicurezza, che aiuta a garantire che si stia chattando con il destinatario previsto. Ciò significa che quando si clicca sulla scheda relativa alla crittografia, si potrà verificare subito che la propria conversazione personale sia protetta».

Tale funzione sarà operativa nei prossimi mesi.

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Martedì 18 aprile 2023

Come siamo messi a livello di innovazione e digitalizzazione della PA? Vediamo insieme i punti principali del Piano Triennale AgID.

Il passaggio a SERCQ

Il passaggio da PEC a SERCQ avverrà in conformità agli art. 43 e 44 del Regolamento eIDAS, certificando in tal senso l’identità dei mittenti e dei destinatari, oltre a viaggiare in direzione dell’interoperabilità dei servizi europei.

Lo scorso agosto, AGID ha cominciato ad utilizzare le nuove regole tecniche per i servizi di recapito certificato qualificato: si tratta del primo step di un percorso che parte della PEC e porterà alla SERCQ (Servizio Elettronico di Recapito Certificato Qualificato), seguendo le indicazioni che arriveranno con un DPCM.

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Per Giovanni Manca, esperto ICT: «La maggior parte delle modifiche è trasparente all’utente e le dichiarazioni dei maggiori gestori sembrano confermare che le modalità operative e d’uso saranno, per quanto possibile, identiche a quelle della PEC, che poi sono quelle della posta elettronica ordinaria. Le regole comunitarie impongono delle modifiche operative. Il mittente deve essere riconosciuto con certezza e l’accesso al sistema dovrà utilizzare l’autenticazione a doppio fattore. In tal senso alcuni gestori stanno già informando gli utenti e provvedendo ai nuovi meccanismi».

Sportello Digitale Unico

Grazie ad un investimento di 90 milioni di euro, lo Sportello Digitale Unico risponderà alle richieste di maggior mobilità per i cittadini europei. SDG, Single Digital Gateway, offrirà a cittadini e imprese un accesso agevolato ad informazioni e procedure online.

Secondo il Regolamento EU 2018/1724 sul SDG, si intende costruire uno sportello unico digitale europeo, che garantisce l’esercizio dei propri diritti, ma anche quello di fare impresa all’interno dell’UE. Entro il prossimo dicembre, le PA competenti adegueranno i propri procedimenti alle specifiche tecniche di implementazione del SDG.

Inoltre, si prevede anche maggior partecipazione al Your Europe Portal, servizio che guida tutti i cittadini UE ad accedere ai siti più importanti degli stati membri.

Banche dati

Importanti per la gestione dei dati delle PA sono le Banche dati di interesse nazionale, che si concretizzeranno con l’utilizzo e l’implementazione della Piattaforma Digitale Nazionale Dati, la PDND.

Secondo il Codice di Amministrazione Digitale, CAD, saranno le seguenti piattaforme a generare interesse a livello nazionale:

  • RNDT, Repertorio nazionale dei dati territoriali;
  • ANPR, Anagrafe nazionale della popolazione residente;
  • BDNCP, Banca dati nazionale dei contratti pubblici;
  • Casello giudiziale;
  • Registro delle Imprese;
  • Archivi automatizzati per l’immigrazione e l’asilo;
  • ANA, Anagrafe nazionale degli assistiti;
  • Anagrafe delle aziende agricole;
  • ANNCSU, Archivio nazionale dei numeri civici delle strade urbane;
  • Base dati catastale;
  • IPA, Indice delle Pubbliche Amministrazioni;
  • INI-PEC, Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata di professionisti e imprese;
  • ACI, Pubblico registro automobilistico;
  • Anagrafe tributaria;
  • Catalogo dei dati delle PA;
  • Catalogo dei servizi a cittadini e imprese;
  • SINFI, Sistema informativo nazionale federato delle Infrastrutture.

Open ID Connect

OpenID Connect (OIDC), ovvero «lo standard di autenticazione attualmente utilizzato dalla quasi totalità delle moderne applicazioni web e mobile nel mondo privato, caratterizzato da alti livelli di flessibilità e sicurezza, semplicità di implementazione ed efficacia nell’interoperabilità», è in produzione dallo scorso luglio per CIE.

L’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, IPZS, nelle prossime settimane implementerà la OIDC Federation, ed entro Luglio 2023 SPID e CIE effettueranno l’upgrade a OIDC.

Risulterà sufficiente integrare il protocollo OIDC soltanto su un sistema tra SPID e CIE; di fatto, dunque, non sarà necessario erogare un corso di formazione se un ente ha implementato tale protocollo almeno in un’identità.

Indice dei domicili digitali

INAD, l’Indice nazionale dei domicili digitali, è un elenco pubblico che contiene i domicili digitali eletti, destinati alle comunicazioni che hanno valore legale con la Pubblica Amministrazione.

Di INAD si parla ormai da anni. Ci sono già regolamenti e linee guida associati, come le linee guida AGID, che spingono verso la digitalizzazione e gli invii telematici. Tuttavia, resta un dubbio: quando tutto questo sarà realmente disponibile?

Piattaforma Digitale Nazionale Dati

PDND abilita l’interoperabilità dei sistemi informativi di Enti e di Gestori di Servizi Pubblici, spingendo verso il principio del once-only, principio secondo il quale un cittadino debba fornire soltanto una volta le proprie informazioni alle PA.

Chi aderisce alla piattaforma potrà comunicare in maniera semplice, sicura e veloce, senza chiedere ai cittadini informazioni che sono già in possesso da parte di altri enti.

La piattaforma diventerà un hub dei dati della PA e un punto di riferimento per i dati accessibili con profilazione, come l’ISEE, e per gli open data.

Sportello Unico Attività Produttive

È stato attivato un gruppo tecnico per la stesura delle “specifiche tecniche SUAP”, definendo le modalità telematiche per comunicare e trasferire i dati tra i SUAP e gli enti coinvolti.

Anche il PNRR prevede un intervento per la digitalizzazione delle procedure, mettendo a disposizione 324,4 milioni di Euro. Secondo quanto riportato da una relazione del Parlamento: «Sono in avanzato corso di formalizzazione le procedure per la stipula delle convenzioni con i soggetti attuatori. L’analisi as is, avviata nel corso del primo semestre 2022, consentirà di tracciare la distanza tra le piattaforme esistenti e le specifiche tecniche dei SUAP adottate in attuazione del decreto interministeriale 12 novembre 2021».

Concentrarsi sulle procedure SUAP vuol dire aiutare le imprese a concentrarsi sul business, semplificando la burocrazia e migliorando la produttività.

Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale

Secondo il sito, «L’ACN è l’Autorità nazionale per la Cybersicurezza istituita con il D.L. 14 giugno 2021, n. 82, a tutela degli interessi nazionali nel cyberspazio. Garantisce l’implementazione della strategia nazionale di Cybersicurezza adottata dal Presidente del Consiglio, promuove un quadro normativo coerente nel settore, ed esercita funzioni ispettive e sanzionatorie. Sviluppa collaborazioni a livello internazionale con agenzie omologhe. Assicura il coordinamento tra i soggetti pubblici e la realizzazione di azioni pubblico-private volte a garantire la sicurezza e la resilienza cibernetica per lo sviluppo digitale del Paese».

Risulta centrale nella migrazione al cloud della PA, e dal 19 gennaio 2023 subentra ad AgID per quanto riguarda la competenza per i servizi cloud.

Misure Minime di Sicurezza ICT

Un pratico riferimento per la valutazione e il miglioramento del livello della sicurezza informatica delle amministrazioni sulle le misure minime di sicurezza ICT, emanate da AgID. Tali misure consistono in controlli tecnologici, organizzativi e procedurali, utili alle PA per la valutazione della propria sicurezza informatica.

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PATCH DAY aprile 2023 – Interruzione dei servizi informatici del settore civile, Penale e PST

Per attività di manutenzione straordinaria si procederà all’interruzione dei sistemi civili al servizio di tutti gli Uffici giudiziari dei distretti di Corte di Appello dell’intero territorio nazionale, nonché del Portale dei Servizi Telematici e del Portale delle Vendite Pubbliche, incluso il Portale del Processo Penale Telematico, con le seguenti modalità temporali:

dalle ore 15:30 di venerdì 21 aprile 2023 alle ore 10:00 di lunedì 24 aprile 2023, salvo conclusione anticipata delle operazioni.

Durante l’esecuzione delle attività di manutenzione, rimarranno attivi i servizi di posta elettronica certificata e saranno, quindi, disponibili le funzionalità relative al deposito telematico del settore civile da parte degli avvocati, dei professionisti e degli altri soggetti abilitati esterni anche se i messaggi relativi agli esiti dei controlli automatici potrebbero pervenire solo al riavvio definitivo di tutti i sistemi.

Non sarà invece possibile consultare in linea i fascicoli degli uffici dei distretti coinvolti dal fermo dei sistemi.

Si rammenta che l’attività di manutenzione del Portale dei Servizi Telematici renderà indisponibili tutti i servizi informatici ivi esposti e, in particolare:

  • tutte le funzioni di consultazione da parte dei soggetti abilitati esterni;
  • i pagamenti telematici compreso il pagamento del contributo di pubblicazione di un’inserzione sul Portale delle Vendite;
  • l’accesso al Portale Deposito atti Penali per il deposito con modalità telematica di atti penali;
  • l’accesso al Portale di consultazione dei SIUS distrettuali per Avvocati;
  • l’accesso agli avvisi degli atti penali depositati in cancelleria.

Ricordiamo che sarà possibile depositare telematicamente con Service1 seguendo l’apposita guida disponibile al seguente link LINK GUIDE

Contagio Covid in ufficio: riconosciuto il diritto al risarcimento

Lunedì 17 aprile 2023

L’Inail risarcirà l’erede di un’impiegata deceduta durante le prime fasi della pandemia: questo in quanto si presume che il contagio sia avvenuto proprio sul posto di lavoro, che prevedeva un grande contatto con il pubblico.

Anche se l’emergenza sanitaria sembra quasi un ricordo lontanissimo, una sentenza del Tribunale di Milano dell’8 marzo 2023 ha riportato l’attenzione sulla questione del contagio sul luogo di lavoro, individuandone il nesso causale.

Nel caso specifico, un’impiegata allo sportello ha avuto i sintomi del Covid-19 nei primi giorni dell’epidemia, prima ancora che entrassero in vigore misure di distanziamento sociale. La lavoratrice non disponeva di adeguati dispositivi di protezione, ed era sempre a contatto con i colleghi e con il pubblico all’interno di un ambiente chiuso.

Per il CTU incaricato, la causa dell’infezione e del successivo decesso della dipendente del Ministero della Giustizia era proprio il lavoro svolto in tali condizioni. Per il giudice, la semplice presunzione di contagio sul posto di lavoro rappresenta una base per gli eredi per il diritto al risarcimento della dipendente deceduta per Covid-19.

La decisione presa è in linea con la prassi Inail, che considera i lavori a contatto con il pubblico a rischio elevato di contagio da Covid-19, e, dunque, tutelati dall’assicurazione.

Secondo l’art. 85 del Dpr 1124/1965, è previsto l’obbligo per il datore di lavoro di garantire ai superstiti del dipendente deceduto, a seguito di infortunio sul lavoro oppure per malattia professionale, una rendita, che viene calcolata sulla retribuzione annuale del lavoratore.

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