La scuola non ha idea di come spendere 2,1 miliardi di euro in tecnologia

La scuola sta per finire, e tra poco cominciano gli esami di maturità. Ma c’è una scadenza molto importante cha si sta avvicinando nel mondo scolastico, ovvero il 30 giugno, ultimo giorno in cui possiamo presentare i progetti del programma Scuola 4.0, previsto dal Pnrr.

2,1 miliardi di euro di investimenti al fine di rendere le classi più moderne, dotandosi di tecnologie ed implementando i laboratori. Sono tantissimi soldi che la scuola non vedeva da tanto tempo, e che ora rischia di perdere – oppure di spendere a caso.

Piano Scuola 4.0

Il piano Scuola 4.0 distribuisce risorse a più di 8000 Istituti in tutto il Paese, ed è difficile stimare quanti di questi avranno fatto i compiti per casa entro il 30 giugno. Risulta significativo, comunque, che Antonello Giannelli, presidente dell’Anp (Associazione nazionale presidi), abbia inviato due richieste a Giuseppe Valditara, ministro dell’istruzione e del merito, chiedendo di dotare le scuole di personale qualificato per gestire i bandi del Pnrr e per posticipare di tre mesi la scadenza del Piano Scuola 4.0.

La scuola è uno degli ambiti che registra maggiori ritardi nel Pnrr, anche se i fondi sono già stati assegnati, e i presidi hanno in tasca mezzo milione di euro da spendere. Avverte Giannelli: «I dirigenti temono di essere inadempienti, perciò sussiste il rischio che comprino attrezzature non utili per assolvere all’obbligo di spesa».

Ambienti di apprendimento innovativi, connessi e digitali

Scuola 4.0 è una delle sei linee di investimento che il Pnrr ha deciso di destinare al mondo dell’istruzione, per la costruzione di nuove scuole, asili, nidi, palestre e mense. Per il ministero l’obiettivo è quello di «accompagnare la transizione digitale della scuola italiana, trasformando le aule scolastiche precedentemente dedicate ai processi di didattica frontale in ambienti di apprendimento innovativi, connessi e digitali e potenziando i laboratori per le professioni digitali».

Il piano mira alla creazione di 100mila nuovi ambienti per l’apprendimento e per migliorare i laboratori. E’ suddiviso in due fasi: la prima fase si chiama Classrooms, destinata a tutti gli Istituti scolastici per coprire la trasformazione digitale delle classi; la seconda fase si chiama Labs, si rivolge alla scuole superiori e in particolare ai laboratori.

Il piano è cominciato tra il 2021 e il 2022, e a novembre 2022 sono stati ripartiti i fondi tra i vari Istituti. A febbraio 2023 le scuole avrebbero dovuto comunicare, almeno genericamente, come spendere le risorse assegnate sulla piattaforma Scuola futura, istituita appositamente per la gestione dei fondi del Pnrr.

Ora c’è tempo fino al 30 giugno per mettere nero su bianco i progetti, che dovranno essere conclusi a dicembre 2024. Osserva Giannelli: «C’è grande preoccupazione in molte scuole perché i tempi sono compressi ed è a rischio l’operazione di individuazione dei contenuti».

Saranno le scuole a decidere in che modo spendere i soldi; ma il vero problema, secondo Massimiliano De Conca, segretario regionale della Federazione dei lavoratori della conoscenza della Lombardia, «è spendere questi soldi. La gestione amministrativa dei fondi del Pnrr sta deflagrando. Sono richieste incombenze burocratiche che hanno bisogno di tempo che le scuole non hanno».

Le scuole, nell’incertezza, cominciano a prendere contatti con dei potenziali fornitori di tecnologia, soprattutto per quanto riguarda il campo della realtà virtuale.

Osserva De Conca: «Il bando Scuola 4.0 è un’occasione unica, le scuole faranno di tutto per arrivarci». La palla ora passa al ministro Valditara, che dovrà decidere come giocare e se concedere maggior tempo ai progetti.


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Divorzio: nessun obbligo di concorrere alle spese universitarie del figlio fuori sede

In caso di divorzio, la spesa destinata al corso di studi della figlia fuori sede, nonostante sia particolarmente dotata e in una prestigiosa università privata, non ricade nella ripartizione al 50% delle spese straordinarie, in quanto oggetto di una quantificazione analitica dei costi.

Questo è quanto stabilito dalla Corte di cassazione con ordinanza 15229 depositata martedì 30 maggio 2023, che ha accolto con rinvio il ricorso di un padre che sosteneva metà della spesa, anche se aveva chiaramente espresso una volontà contraria, vista l’impossibilità di fronteggiare i costi.

La Corte d’appello, dopo essere stata interpellata sulla congruità della ripartizione dei costi delle spese universitarie, ovvero le tasse e il canone di locazione per l’alloggio, si è così espressa: «Ravvisata la rispondenza della scelta all’interesse della figlia, in ragione del suo brillante percorso di studi e del progetto di vita sviluppato in ambito familiare, ha affermato che i genitori erano obbligati a concorrere alla relativa spesa secondo le proprie possibilità, che ha ritenuto sostanzialmente omogenee in ragione dell’attività lavorativa svolta come insegnanti, rilevando che il padre non aveva sufficientemente dimostrato l’impossibilità di sostenere l’onere relativo al pagamento della metà delle spese straordinarie per il costo di studi universitari della figlia».

Im padre, proposto ricorso, contesta alla Corte di merito di aver valutato «come analoghe le condizioni reddituali dei due genitori, senza considerare che il padre non poteva detrarre l’assegno di mantenimento per la figlia, non percepiva gli assegni familiari e non poteva detrarre le tasse universitarie, oltre ad essere gravato dal canone di locazione della sua abitazione».

Secondo la Prima Sezione Civile, si deve tenere in considerazione che «la quantificazione della contribuzione straordinaria, pur mutuando i criteri già indicati per l’assegno di mantenimento quanto alla comparazione dei redditi dei genitori ed alla opportuna proporzionalità della partecipazione, non assolve ad un’esigenza esclusivamente perequativa, come l’assegno di mantenimento, perché la contribuzione straordinaria ha la funzione di assicurare la provvista per specifiche esigenze dei figli, ritenute proporzionate al loro interesse, e ciò, evidentemente, tende a riverberarsi nello specifico apprezzamento che il giudice di merito deve compiere per stabilirne la ripartizione».

«Rimane fermo che», continua, «nel caso di mancata concertazione preventiva e di rifiuto di provvedere al rimborso della quota di spettanza da parte del coniuge che non le ha effettuate, spetta al giudice di merito verificare la rispondenza delle spese all’interesse del minore, commisurando l’entità della spesa rispetto all’utilità e alla sua sostenibilità in rapporto alle condizioni economiche dei genitori, salvo che l’altro genitore non abbia tempestivamente addotto validi motivi di dissenso».

Si tratta di principi generali che trovano piena applicazione anche relativamente alle «spese straordinarie dovute per il figlio maggiorenne, ma non economicamente autosufficiente, come incontestato nella specie».

Per questa ragione, «ferma ed incontestata la ricorrenza dell’interessa per la figlia a seguire il percorso universitario prescelto, la statuizione sulla commisurazione della partecipazione paterna e sulla relativa sostenibilità risulta essere fondata su una mera petizione di principio».

Proseguono i giudici: «In assenza di una concreta quantificazione delle spese straordinarie ritenute apprezzabili ed accoglibili, la valutazione sulla effettiva congruità della commisurazione della quota delle stesse con le capacità reddituali del genitore che aveva prospettato la propria incapacità alle maggiori spese connesse alla frequenza della specifica università privata in questione, fuori sede, risulta svolta in termini astratti, senza nemmeno che venga in considerazione la possibilità per l’uno o per l’altro genitore di godere di sgravi o detrazioni fiscali o altro, atte ad alleggerire l’impegno economico e da considerare nella concreta determinazione».


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A giugno arriva l’identità digitale europea in Italia

A giugno, nella provincia autonoma di Trento, comincia la sperimentazione sul sistema di identità digitale europeo in Italia.

Infatti, il 25 maggio, su GitHub, piattaforma che ospita servizi per lo sviluppo di software, è comparso un progetto che ha subito colpito l’attenzione degli esperti, che riguarda le tecniche specifiche per lo sviluppo dell’app relativa al sistema comune di identità digitale.

Il test rientra all’interno del piano di Potential, un consorzio incaricato dalla Commissione per sperimentare il wallet, che dispone di 60 milioni di euro da investire in app di identità digitale. Potential conta di consegnare il suo pacchetto di servizi entro il 2025.

L’operazione è resa possibile grazie al Dipartimento per la trasformazione digitale, PagoPa, la società pubblica dei pagamenti controllata dal Mef (Ministero dell’Economia e delle finanze), Fondazione Bruno Kessler e Istituto poligrafico e zecca dello Stato.

Un contenitore di diversi documenti

Da un bel po’ di tempo, la Commissione UE coltiva l’ambizione di realizzare un’app, un wallet, nel quale i cittadini possano caricare i loro documenti personali, come carta d’identità, patente, tessera sanitaria e titolo di studio per condividerli in base alle necessità.

Bruxelles tiene molto a questo progetto, vista anche l’esperienza del green pass. Il wallet sembra essere una delle ricadute più pratiche della riforma del regolamento Eidas, che riguarda l’identità elettronica comunitaria.

Per questo, la Commissione ha già distribuito 37 milioni di euro per sviluppare e realizzare dei test, e per giugno conta di avere in mano un prototipo. In ogni caso, il wallet digitale europeo non andrà a sostituire i sistemi di identità nazionali, che in Italia sono Cie e Spid. Il wallet sarà semplicemente un contenitore di diversi documenti.

A giugno verrà lanciato ufficialmente Potential, e in Italia la sperimentazione comincerà nella Provincia Autonoma di Trento. Riguarderà la patente di guida digitale, l’identificazione e l’autenticazione per fruire dei servizi pubblici digitali e la ricetta medica elettronica. Grazie a PagoPA, sarà l’app Io a fare da wallet.


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A dicembre 2022, soltanto dopo due mesi in cui è divenuto proprietario e CEO di Twitter, Elon Musk ha deciso di pubblicare un sondaggio per chiedere agli utenti del social se doveva dimettersi o meno dalla leadership dell’azienda.

La maggioranza di chi ha votato ha risposto di sì, e quindi Musk ha replicato con un tweet: «Mi dimetterò non appena troverò qualcuno abbastanza folle da accettare l’incarico! Dopodiché, mi limiterò a gestire i team dei software e dei server».

Finalmente, qualche settimana fa, Musk ha annunciato di aver trovato la persona pronta ad assumere il ruolo: Linda Yaccarino. Il suo ruolo come amministratrice delegata di Twitter è senza dubbio un grosso passo in avanti nella carriera di Yaccarino, che ha lavorato come dirigente pubblicitaria di NBC Universal e che ora fa parte del ristrettissimo gruppo di donne che guidano aziende tech.

Nonostante l’estrema competenza di Yaccarino nel settore pubblicitario, chi studia queste dinamiche lavorative ritiene che Yaccarino sia l’ultima vittima di un modello dannoso, l’effetto “scogliera di cristallo”.

Secondo questo modello, le donne hanno maggior probabilità di ricevere promozioni ai vertici di organizzazioni e aziende nel momento in cui queste vivono una fase di crisi. Tutto questo alimenta l’impressione che figure femminili con posizioni apicali abbiano meno possibilità di raggiungere il successo, in quanto vengono solitamente nominate in circostanze difficili.

Commenta Christy Glass, sociologa della Utah State University che studia il fenomeno: «Per alcuni versi, non ha mai visto una definizione migliore di scogliera di cristallo rispetto alla sfida lanciata da Elon. La situazione di Twitter sembra la tempesta perfetta».

Si pensi per esempio a Marissa Mayer, ex dirigente Google che nel 2012 è diventata amministratrice delegata di Yahoo, proprio nel momento in cui l’azienda cominciava a perdere terreno nei confronti di colossi rivali. Mayer, dopo aver negoziato la vendita di Yahoo con Verizon per 4,5 miliardi di dollari, ha deciso di dimettersi.

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Dopo aver acquisito Twitter, Musk ha innescato una profonda crisi nella società, facendo incredibilmente precipitare il social in una spirale negativa. Nel 2021, il 90% delle entrate di Twitter arrivava dalla pubblicità, ma gli inserzionisti, dopo l’acquisizione di Twitter dal patron di Tesla, hanno cominciato ad abbandonare il social, e di conseguenza gli introiti sono calati.

Nell’ottobre 2022, Musk ha dato il via ad un’ondata di licenziamenti, che ha colpito moltissimo il personale che moderava i contenuti e che si occupava delle politiche aziendali. Al tempo stesso, il miliardario ha deciso di riaccogliere gli utenti sospesi, e tra questi troviamo anche account dall’impronta neonazista.

A dicembre, ovvero due mesi dopo l’acquisizione, per il Wall Street Journal le entrate del social hanno subito una diminuzione del 40%. Inoltre, il piano di Musk di produrre profitti tramite il servizio di abbonamento, Twitter Blue, non ha giovato più di tanto.

Effetto Glass Cliff

Tutto queste sfide risultano scoraggianti per qualsiasi amministratore delegato. Per esempio, Alexander Haslam, professore di psicologia sociale, ha inventato l’espressione “glass cliff”, l’effetto scogliera di cristallo.

Haslam sostiene che in molte organizzazioni sono presenti donne con capacità di assumere posizioni di leadership, ma si preferisce mantenere uno status quo tradizionale, patriarcale: almeno finché non si arriva ad un punto di rottura.

Se un’azienda è in difficoltà e ha necessità di mandare un messaggio di cambiamento, scegliere un capo completamente diverso risulta l’opzione più semplice. Spiega Haslam: «Lo si fa per comunicare nel modo più vivido ed esplicito possibile che si sta percorrendo una traiettoria diversa. E quanto più forte è la rottura con il passato, tanto più chiaro è il segnale. Per questo motivo le donne o i membri di altre minoranze sono spesso favoriti in queste circostanze».

Effetto Salvatore

Visto che Yaccarino ha una forte esperienza nell’industria pubblicitaria, ovvero la principale fonte di guadagno di Twitter, la rendono assolutamente una scelta logica, al fine di salvare un’azienda ormai in crisi. Ma gli esperti sostengono che una ragione per la quale le donne decidono di accettare dei ruoli rischiosi è che generalmente hanno poche opportunità di assumere delle posizioni di vertice, anche se sono altamente qualificate.

Dichiara Coco Brown, CEO di Athena Alliance: «Per molte dirigenti, a volte la prima opportunità di ottenere una posizione di vero potere è il risultato della volontà di dare una svolta a una divisione o azienda. Questo può rendere difficile rifiutare un ruolo precario, anche quando i rischi sono evidenti».

Di solito le donne vengono promosse durante le difficoltà aziendali, e per Glass rischiano di essere maggiormente incolpate a causa delle crisi, per poi venire successivamente sostituite da un amministratore delegato, maschio e bianco: per i ricercatori, questo è l’effetto salvatore.

L’occasione di fare qualcosa di eroico

«E’ molto raro che alle donne ad venga concessa una seconda occasione, e questo rappresenta una doppia batosta, perché queste nomine possono costituire l’unica opportunità che avranno. Ma accettando, mettono a rischio le loro future carriere in posizione di leadership», sostiene Glass.

Ma sempre secondo Glass, le donne sembrano essere maggiormente attrezzate per raddrizzare una situazione di difficoltà. L’amministratrice delegata di General Motors, Mary Barra, ha salvato la casa automobilistica, che stava fallendo a seguito del crollo finanziario del 2008.

Per Sandra Quince, amministratrice delegata di Paradigm for Parity, le probabilità che Yaccarino abbia successo dipendono dal tempo e dalla libertà che le saranno concessi per poter invertire rotta. Dunque, il sostegno che riceverà dal consiglio di amministrazione e la volontà di Musk di lasciarle le redini potrebbero risultare fondamentali.

Spiega Quince: «Linda Yaccarino avrà bisogno che il consiglio di amministrazione sostenga la sua visione, e avrà bisogno di qualcuno che le faccia da scudo. In momenti come questo, in cui si cerca di trovare la quadra, nessuno è perfetto e tutti possono commettere errori».

Per Brown, il coraggio di Yaccarino deve essere lodato, a prescindere dal risultato. «Non dovremmo dire che è destinata a fallire pubblicamente, ma che questa è la sua occasione per tentare di fare qualcosa per certi versi eroico. Per la maggior parte delle persone non ce la farà; ma non sarebbe molto più bello se invece ci riuscisse?».


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Intercettazioni e sanità penitenziaria: per Nordio non ci saranno mai più abusi

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio, durante un question time in Senato, ha risposto ad alcuni interrogativi sulla questione dei suicidi in carcere e sulle intercettazioni. Tuttavia, il Guardasigilli è rimasto sul vago.

Il tema dei suicidi nelle carceri è molto complesso, e probabilmente non c’è nemmeno tutta questa voglia, da parte del governo, di investire sul sovraffollamento. Invece, per quanto riguarda le intercettazioni, Nordio non ha voluto anticipare la riforma che presenterà prossimamente al Consiglio dei Ministri.

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Per quanto riguarda le intercettazioni, i compagni del partito di FdI gli hanno chiesto quali iniziative «abbia adottato o intenda adottare per monitorare e vigilare sulla corretta applicazione della normativa, che ha riformato la disciplina delle intercettazioni e se il Governo intenda intervenire al fine precipuo di garantire una maggiore riservatezza dei colloqui captati, nel rispetto dell’articolo 15 della Costituzione».

La risposta non ha sorpreso più di tanto. Infatti, il governo ha intenzione di «procedere in due momenti: il primo a termine molto vicino con un ddl che riguardi essenzialmente la tutela dei terzi e della privacy. In un tempo successivo faremo una radicale revisione del sistema delle intercettazioni che tutela anche la correttezza delle indagini e combatta la strumentalizzazione che viene fatta con la diffusione pilotata di intercettazioni che dovrebbero rimanere segrete».

Che cosa vuole fare Nordio con i suicidi nelle carceri?

Il PD, invece, ha interrogato Nordio per quanto riguarda i «due detenuti del carcere di Augusta (Siracusa) deceduti poche settimane fa in ospedale, a distanza di 15 giorni, dove erano ricoverati in gravi condizioni a seguito di uno sciopero della fame durato 60 giorni in un caso e 41 nell’altro. Inoltre, un terzo detenuto, sempre quanto riportato dagli organi della stampa, avrebbe tentato il suicidio».

Il ministro ha risposto: «Ogni suicidio in carcere è un fardello di dolore, non solo per noi al ministero ma per tutti noi, per la nostra coscienza, per la nostra visione etica». Ad ogni modo, «sono a ribadire che, in generale, l’attenzione alla sanità penitenziaria è e sarà massima, non nascondendo però la complessità della problematica perché la titolarità in capo alle Regioni della competenza ad organizzare ed erogare i concreti servizi può creare, e spesso crea, un concorso di competenze».

Nessun accenno, dunque, alle possibili soluzioni da adottare, quali lo svuotamento degli istituti, il miglioramento delle strutture, possibili misure alternative oppure l’aumento delle attività trattamentali.

Sulla circostanza per la quale l’ufficio del Garante dei detenuti abbia proceduto a denunciare che non è stata ricevuta alcuna segnalazione sul ricovero dei due detenuti, il Guardasigilli precisa che «è un aspetto più delicato – quando attuano lo sciopero della fame, non è attività obbligatoria e non è prevista la comunicazione dell’andamento delle centinaia di manifestazioni di protesta che, quotidianamente, i detenuti pongono in essere sul territorio nazionale, molte delle quali cessano entro breve termine. Purtroppo è un’attività difficile da monitorare perché spesso inizia e finisce in tempi molto brevi».

Termina Nordio: «vi annuncio, è un punto d’onore, che allo scopo di ovviare alla problematica, a breve sarà operativa una precipua mailing list presso la cd. Sala Situazioni del Dap, così che anche l’ufficio del Garante nazionale sarà tempestivamente reso edotto, pressoché in tempo reale, dei fatti di particolare rilevanza che si verificheranno all’interno degli istituti penitenziari. Avrà pertanto contezza di tutti gli eventi critici rilevanti, così da agevolarne il miglior adempimento del proprio mandato istituzionale».


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È stato scoperto un nuovo malware sugli smartphone Android, che si chiama Daam e che ruba i dati memorizzati sui dispositivi mobili degli utenti.

Daam è stato scoperto dal CERT-IN, ovvero l’agenzia nazionale indiana per la Cybersicurezza, che comunica che il malware ha colpito principalmente gli utenti indiani ma che non è escluso che Daam sia presente anche su smartphone occidentali.

Attenzione al nuovo Malware Android

In ogni caso, dovremmo prestare la massima attenzione ai nostri download, che siano dal PlayStore (scelta raccomandata) che dal web. Daam, infatti, sembra bypassare la maggior parte degli antivirus e rubare i dati personali degli utenti, come dati riguardo l’indirizzo, la residenza, numeri e PIN di carte di credito e informazioni relative alle coordinate bancarie.

Daam potrebbe captare anche la cronologia del browser, i contatti privati, gli SMS, file locali e anche i contenuti della fotocamera del dispositivo.

I dati rubati vengono trasmessi tramite connessione internet ai database del malware. Le informazioni rubate vengono racchiuse in un unico file che finisce direttamente nelle mani dei malintenzionati, e i malcapitati vedranno la possibilità di riscattare i propri dati mediante pagamento di una somma di denaro, oppure, tutte le loro informazioni sensibili verranno pubblicate in rete.

Per evitare di essere colpiti da Daam bisogna prestare molta attenzione ai download, soprattutto a quelli provenienti al di fuori del PlayStore. Deve essere evitato il sideloading delle app e soprattutto bisogna verificare tutti i permessi concessi alle app, andando ad eliminare quelle che forse si prendono troppe libertà con il nostro smartphone.

Inoltre, dobbiamo prestare tantissima attenzione anche alla navigazione online, soprattutto se ci colleghiamo a link che riceviamo sulle mail o sui messaggi.

Che cos’è il sideloading

Il sideloading è una pratica diffusa tra chi utilizza uno smartphone. È un metodo per installare app su tablet o smartphone che non provengono direttamente da canali ufficiali, come Google Play Store. Si tratta di una pratica utilizzata spesso per accedere alle app non disponibili sugli store ufficiali, oppure per evitare di pagare app a pagamento.

Il sideloading espone ad un alto rischio di virus, malware, ransomware e spyware. Si tratta di programmi dannosi in grado di compromettere la sicurezza dei nostri dispositivi. Noi non consigliamo di eseguire il sideload di un’app, ma per chi volesse farlo, ecco qualche consiglio per eseguire il tutto in sicurezza:

  • scaricare app esterne soltanto da fonti affidabili e sicure. Meglio fare un’approfondita ricerca online sul sito che abbiamo intenzione di utilizzare e capire se ha una buona reputazione;
  • controllare se il file che vogliamo scaricare è autentico: esistono app specifiche che permettono di controllare i file e ricercare i malware;
  • effettuare periodicamente il backup dei dati personali presenti su un dispositivo, affinché si possano ripristinare le informazioni necessarie se il dispositivo viene compromesso;
  • installare un buon antivirus, che ci protegge contro minacce informatiche ed identifica programmi dannosi.

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L’avvocato americano Steven Schwartz ha trovato un alleato in ChatGpt, il chatbot più famoso del mondo, che l’ha aiutato nella stesura di un documento legale per la difesa di un suo cliente.

Quest’ultimo ha citato in giudizio Avianca, compagnia aerea colombiana, poiché è stato ferito al ginocchio durante un volo di linea da un carrello di servizio. Purtroppo, il documento scritto da ChatGpt era pieno di informazioni completamente inventate.

L’avvocato avrebbe chiesto all’intelligenza artificiale di aiutarlo per convincere il giudice federale a non procedere all’archiviazione del caso, e per questo ChatGpt ha effettuato una ricerca approfondita su casi simili a quello del cliente.

Nel documento scritto dall’intelligenza artificiale sono stati riportati almeno una dozzina di esempi di casi simili, anche se nessuno di questi è risultato essere avvenuto realmente.

L’avvocato avrebbe chiesto esplicitamente al bot se stesse dicendo la verità. ChatGpt ha risposto che tutti i casi riportati erano veri, in quanto presenti su database legali affidabili come LexisNexis e Westlaw. Ma l’avvocato della difesa ha dimostrato che nessun caso era realmente esistente.

Dunque, il chatbot avrebbe rilasciato informazioni false, costringendo l’avvocato ad andare incontro a sanzioni legali. Schwartz ha cercato di giustificarsi affermando che non era «a conoscenza della possibilità che il contenuto di ChatGpt potesse essere falso», senza però convincere il giudice.

È evidente, quindi, che l’intelligenza artificiale non può lavorare in autonomia, e che è ancora necessaria la piena supervisione umana per permettere il suo funzionamento corretto.


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Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ha stabilito, dopo una consultazione pubblica, che non sarà più necessario garantire le “postazioni telefoniche pubbliche” sul territorio nazionale.

In poche parole, è stato deciso che le cabine telefoniche non servono più, grazie alla delibera del 23 maggio pubblicata da TIM, gestore dei telefoni pubblici in Italia, che potrà cominciare a rimuovere le quasi 18mila cabine telefoniche pubbliche ancora attive.

In generale, le cabine telefoniche sono viste come un servizio superato, e il loro abbandono, seppur lento, è cominciato ancora prima della diffusione dei cellulari, intensificandosi grazie alla massiccia copertura delle reti Internet.

Nonostante tutto, hanno continuato ad essere utilizzate dagli anni ’50 sino ad oggi. Qualcuno ha anche protestato contro la possibilità che queste venissero rimosse.

Secondo gli esperti in materia, il primo telefono pubblico a pagamento nacque in Connecticut nel 1889, grazie a William Gray. La moglie di Gray, un giorno, aveva necessità di vedere un medico, ma non sapeva come contattarlo. Le persone che avevano un telefono si rifiutarono di aiutarli, così decise di inventare un meccanismo che consentiva di raccogliere monete, attivando la possibilità di contattare e parlare con qualcuno dall’altra parte del filo.

Gray, negli anni seguenti, continuò a perfezionare questa invenzione, e pian piano i telefoni pubblici vennero installati in varie città degli Stati Uniti. Le cabine telefoniche inglesi rosse apparvero nel 1924, mentre nel nostro Paese arrivarono nel 1952.

Inizialmente erano soltanto due, e vennero installate a Milano, in piazza San Babila, dalla Società telefonica STIPEL, attiva dagli anni ’20 e successivamente incorporata nella SIP, che si trasformò in Telecom Italia e alla fine in TIM.

Le cabine telefoniche non sono un servizio universale

Le cabine STIPEL erano fatte di vetro e metallo, e funzionavano grazie a gettoni che si acquistavano nelle edicole.

Nel 2001, con l’arrivo dell’euro, non si accettarono più i gettoni, che vennero ufficialmente sostituiti dalle schede telefoniche, introdotte negli anni’70 e che vengono stampate ancora oggi. Nel corso dei primi anni Duemila cominciarono a diffondersi i cellulari e gli smartphone, e per questo le cabine telefoniche vennero utilizzate molto meno.

Nel 2009, infatti, Telecom cominciò a smantellare una gran parte di queste, soprattutto quelle dalle quali partivano meno di 3 telefonate al giorno. Chi le utilizza oggi lo fa nelle situazioni d’emergenza oppure per segnalare guasti.

Sembrava che le cabine telefoniche dovessero scomparire qualche anno fa, quando venne approvato il Codice europeo per le comunicazioni elettroniche, che stabilì che i telefoni pubblici non erano un “servizio universale”, e che quindi ogni Stato doveva impegnarsi ad offrire il servizio ai cittadini.

In Italia le cabine telefoniche vengono ancora utilizzate

In Italia sono ancora attivi 16.073 telefoni pubblici, ai quali si aggiungono 1.801 postazioni negli ospedali, nelle carceri e nelle caserme, oltre alle 470 che si trovano nei rifugi di montagna. Dal 2010 al 2017, il numero delle chiamate effettuate all’anno dalle postazioni ha visto una riduzione del 57%, ovvero meno di una chiamata ogni tre giorni.

Secondo la nuova delibera, la presenza di telefoni pubblici dovrà essere garantita soltanto nei luoghi di “rilevanza sociale”, in particolar modo nelle strutture sanitarie con almeno 10 posti letto, negli ospedali, nelle carceri e nelle caserme con almeno 50 persone.

Comunque, TIM potrà decidere se dismettere le postazioni pubbliche presenti nei rifugi, anche se per farlo dovrà accertarsi prima se nella zona è presente una copertura adeguata della rete mobile.

Icone importanti

TIM, prima di questo provvedimento, per poter rimuovere un telefono pubblico doveva esporre un avviso riguardo la rimozione dell’apparecchio, consentendo la possibilità di contestare la rimozione entro trenta giorni.

Nel 2015, l’azienda rimosse 10mila cabine e vennero presentate 505 istanze di opposizione, poiché la loro eliminazione avrebbe causato problemi, ma anche perché per alcuni erano «un’icona nella realtà di riferimento».


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«Oggi non c’è più nulla di ciò con cui otto anni fa facevamo assicurazioni: tutto è stato superato», racconta George Ottathycal, amministratore delegato di Prima assicurazioni, azienda che ha cambiato completamente il funzionamento dell’insurtech in Italia. 

«Non è facile trasformare i processi e innovare continuamente, ma è un aspetto a cui dedichiamo molto tempo perché continuiamo ad essere una digital company e vogliamo restare al passo dell’innovazione frontiera e di OpenAI», spiega. 

Prima conta su un team di 300 persone, con data analyst e ingegneri che lavorano sullo sviluppo e sulla ricerca dei processi aziendali. Negli ultimi 3 anni l’azienda ha investito 30 milioni di euro: «Prima è entrata nel mercato assicurativo con l’idea che la tecnologia potesse creare di per sé un vantaggio competitivo e siamo rimasti fedeli a questa idea», spiega Ottathycal. 

Sottolinea: «Quando si vedono software come ChatGpt si pensa sempre alla possibilità di automatizzare il servizio clienti, ma questo è solo un piccolo pezzo del mondo assicurativo. Il cuore del prodotto è il modello di pricing ed è lì che la tecnologia, l’intelligenza artificiale e il machine learning possono essere d’aiuto». 

Il futuro non è così lontano

I software di intelligenza artificiale, già oggi «sarebbero potenzialmente capaci di analizzare e passare in rassegna pattern con miliardi di dati che sono a disposizione del sistema, determinando l’effettiva rischiosità dei profili e definendo i prezzi in modo mirato». 

Si tratta di un processo completamente tecnologico, che, come sostiene Ottathycal, «alla fine porta davvero a un vantaggio per i clienti: una tariffa più profilata permette a noi di essere più accurati e di premiare gli automobilisti virtuosi. Più una assicurazione riesce a fare un’analisi del rischio adeguata e meglio riesce a essere competitiva con i prezzi». 

«Il nostro è un business molto data driven», spiega, «e lo spazio di crescita dell’automazione è quasi infinito. Alla fine potrebbe quasi diventare un sistema che si autoalimenta e si autogestisce. Per questo ChatGpt è uno stimolo: tu pensi di aver fatto bene, poi vedi qualcosa di nuovo e capisci di poter fare meglio. Questo ti spinge a impegnarti, perché capisci che il futuro non è così lontano come alcuni pensano». 

Ma Ottathycal non ha intenzione di gestire un’azienda completamente autonoma: «L’elemento umano resta centrale, non solo nella relazione con i clienti. La tecnologia è lo strumento che ci permette di essere più efficienti: tra il 2021 e il 2022 abbiamo raddoppiato la nostra base clienti ed è cresciuto il numero dei sinistri, ma non abbiamo dovuto raddoppiare il numero dei dipendenti perché siamo riusciti a ottimizzare i processi con l’automazione». 

«Se volessimo spingere ancora ci sarebbe bisogno di una mano dal mercato. Gli investitori sono diventati più selettivi, ma a noi va bene questa maggiore attenzione perché abbiamo avuto sempre molta disciplina e la sostenibilità finanziaria da parte del nostro Dna. Siamo cresciuti tanto tenendo il cervello acceso». 


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Quanti casi di ingiuste detenzioni ed errori giudiziari ci sono stati nel 2022?

Nel 2022 in Italia si sono registrati 547 casi complessivi tra errori giudiziari e ingiuste detenzioni, registrando una diminuzione di -25 rispetto al 2021. 

Questo è quanto rilevato dall’associazione Errorigiudiziari.com, ovvero il primo archivio completamente online riguardo i casi di ingiusta detenzione e di errori giudiziari. I dati presenti sul sito sono aggiornati al 31 dicembre 2022. 

Si registra una tendenza inversa, invece, per quanto riguarda risarcimenti e indennizzi, che risultano essere in crescita: siamo di fronte a 37 milioni e 330 mila euro, che sono 11 milioni e mezzo in più rispetto all’anno precedente. 

I dati sulle ingiuste detenzioni, invece, riguardano le persone che hanno subito una custodia cautelare in carcere oppure agli arresti domiciliari per poi venire assolti. Secondo Errorigiudiziari.com, nel 2022 ci sono stati 539 casi, per una spesa complessiva relativa agli indennizzi corrispondente a 27 milioni e 378 mila euro. 

Si tratta di un leggero calo dei casi rispetto al 2021, di -26, di fronte ad una spesa che invece è aumentata, di circa 3 milioni di euro. Dal 1992 al 2022 sono stati registrati 30.556 casi: dunque, in media, circa 955 innocenti in custodia cautelare all’anno, per una spesa di 846 milioni e 655 mila euro di indennizzi – che corrisponde ad una media di 26 milioni e 460 mila euro all’anno. 

Sempre secondo quanto rilevato da Errorigiudiziari.it, ci sono stati 8 casi di errori giudiziari nel 2022, uno in più rispetto al 2021. Per errore giudiziario si intende una persona che, dopo essere stata condannata con una sentenza definitiva, viene in seguito assolta dopo un processo di revisione. 

Tra il 1991 e il 2022 sono avvenuti 222 errori giudiziari, ovvero una media di 7 all’anno. La spesa corrispondente ai risarcimenti è salita sino a 76.255.214 euro, ovvero, una media di 2 milioni e 460 euro all’anno. 



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