Femminicidio, l’OCF contro la nuova legge: “Risposta simbolica che non previene la violenza”

Una legge «simbolica», destinata a restare l’ennesimo intervento dal forte impatto emotivo ma dal limitato valore preventivo. È durissimo il giudizio dell’Organismo Congressuale Forense (OCF) sul disegno di legge sul femminicidio approvato in via definitiva e all’unanimità dalla Camera. Secondo l’avvocatura, il nuovo art. 577-bis del codice penale non potrà “salvare nemmeno una vita”, perché continua a chiedere al diritto penale ciò che non può e non deve fare: modificare comportamenti sociali, prevenire devianze, orientare la cultura collettiva.

Per l’OCF, il testo presenta anche criticità di natura costituzionale. La scelta di diversificare il trattamento sanzionatorio in base alla categoria della persona offesa crea, secondo l’organismo, una tensione evidente con l’articolo 3 della Costituzione, che impone l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. A ciò si aggiunge un problema di chiarezza: la norma introduce termini vaghi, ambigui, privi della necessaria tassatività che dovrebbe caratterizzare una fattispecie penale. Una vaghezza che, sottolinea l’avvocatura, rischia di scaricare sui giudici una responsabilità interpretativa enorme, esponendoli a critiche e pressioni quando le decisioni non dovessero corrispondere alle aspettative emotive dell’opinione pubblica.

Il punto, però, è soprattutto politico e culturale. «L’esperienza degli ultimi anni parla chiaro» afferma l’OCF: nonostante l’introduzione del Codice Rosso e di altri interventi repressivi, i reati contro le donne non sono diminuiti. Una riduzione reale della violenza, secondo l’organismo, può avvenire solo attraverso un’azione complessiva che coinvolga la scuola, la famiglia, la società, e che aiuti i giovani a comprendere il valore del rispetto e della parità. «Serve incidere sulle cause profonde della violenza – spiega l’avvocatura – non continuare a usare il diritto penale come una panacea».

La legge, articolata in quattordici articoli, non si limita alla nuova fattispecie di femminicidio ma interviene su una serie di ambiti: dai maltrattamenti in famiglia alle aggravanti, dal processo penale alle misure di tutela per gli orfani, fino all’ordinamento penitenziario. Un intervento vasto, che tuttavia, secondo l’OCF, continua a muoversi nella direzione sbagliata: rafforzare la risposta repressiva senza incidere sulle radici culturali del fenomeno.

La posizione dell’Organismo Congressuale Forense rappresenta un richiamo al legislatore: la violenza di genere non può essere affrontata solo sul piano penale. Senza un investimento profondo e strutturale sul cambiamento culturale, conclude l’OCF, «nessuna nuova norma potrà davvero fermare la violenza contro le donne».


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Shein sotto pressione: l’UE vuole risposte sulla vendita di prodotti illegali

La Commissione europea ha inviato oggi una richiesta di informazioni a Shein a norma del regolamento sui servizi digitali, a seguito di indicazioni preliminari secondo cui si starebbero offrendo sul mercato articoli illegali, come armi e bambole sessuali con sembianze infantili. A seguito della vendita di prodotti illegali in Francia e di diverse relazioni pubbliche, la Commissione sospetta che il sistema di Shein possa rappresentare un rischio sistemico per i consumatori in tutta l’Unione europea.

La Commissione chiede ora formalmente alla piattaforma di fornire informazioni dettagliate e documenti interni sul modo in cui garantisce che i minori non siano esposti a contenuti inadeguati all’età, in particolare attraverso misure di garanzia dell’età, e sul modo in cui impedisce la circolazione di prodotti illegali sulla sua piattaforma. La Commissione sta inoltre indagando sull’efficacia di tali misure di mitigazione adottate da Shein.

Il regolamento sui servizi digitali impone alle piattaforme online di dimensioni molto grandi come Shein, di valutare e attenuare adeguatamente i rischi sistemici, quali i rischi per i minori o la diffusione di contenuti illegali, che possono derivare dai loro sistemi e dalla progettazione o dal funzionamento dei loro servizi.

La Commissione sta monitorando attivamente il rispetto da parte delle suddette piattaforme, tra cui Shein, dei loro obblighi ai sensi del regolamento sui servizi digitali in tutta l’Unione europea ed è pronta ad agire. Questa è la terza richiesta di informazioni che la Commissione invia a Shein.


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IA sotto controllo: Bruxelles lancia il “fischietto digitale” per segnalare le violazioni

La Commissione europea ha varato oggi uno strumento di segnalazione (whistleblower tool) per il regolamento sull’intelligenza artificiale (IA). Lo strumento fornirà alle persone un canale sicuro e riservato per segnalare presunte violazioni del regolamento sull’IA direttamente all’ufficio dell’UE per l’IA, il centro di competenze in materia di IA della Commissione.

Gli informatori possono fornire informazioni pertinenti in qualsiasi lingua ufficiale dell’UE e in qualsiasi formato pertinente. Lo strumento offre un modo sicuro per segnalare potenziali violazioni della legge che potrebbero pregiudicare i diritti fondamentali, la salute o la fiducia dei cittadini. Il massimo livello di riservatezza e protezione dei dati è garantito attraverso meccanismi di cifratura certificati. Tale sistema consente di dar seguito alle segnalazioni in maniera sicura, permettendo agli informatori di ricevere aggiornamenti sullo stato di avanzamento della loro segnalazione e sulla possibilità di rispondere a ulteriori domande dell’ufficio per l’IA, senza comprometterne l’anonimato.

Il regolamento dell’UE sull’IA mira a promuovere l’innovazione e l’adozione dell’IA nell’UE, affrontando al tempo stesso i potenziali rischi per la salute, la sicurezza e i diritti fondamentali delle persone e salvaguardando la democrazia e lo Stato di diritto. Segnalando le informazioni sulle violazioni, gli informatori possono aiutare l’ufficio per l’IA a individuarle precocemente, contribuendo in tal modo allo sviluppo sicuro e trasparente delle tecnologie di IA.

Ulteriori informazioni sono disponibili online.


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Piccole? Solo di nome: le Pmi italiane battono l’Europa (e superano anche i tedeschi)

Confrontate con le attività economiche appartenenti alla medesima classe dimensionale per numero di addetti, le Pmi[1] italiane si distinguono positivamente e si affermano come leader all’interno del contesto europeo. Analizzando parametri quali il numero di imprese, l’occupazione generata, il fatturato e il valore aggiunto prodotto, le aziende italiane con meno di 250 dipendenti risultano prevalere in tutte le categorie. Particolarmente significativo è il dato relativo al livello di produttività[2], che supera quello delle imprese tedesche, riconosciute da sempre come le migliori nel settore manifatturiero europeo. A segnalarlo è l’Ufficio studi della CGIA.

In Italia tante Pmi

Gli ultimi dati disponibili[3] ci dicono che le Pmi italiane sono poco più di 4,7 milioni, pari al 99,9 per cento del totale e danno lavoro a 14,2 milioni di addetti, vale a dire il 76,4 per cento del totale nazionale. Il confronto con le grandi imprese[4] mette in evidenza l’ ”inconsistenza” numerica di queste ultime. Sempre nello stesso anno, le aziende di grandi dimensioni ammontano a 4.619 (lo 0,1 per cento del totale), ma occupano oltre 4,4 milioni di addetti (il 23,6 per cento del totale). In termini di fatturato, invece, le Pmi generano il 64 per cento del totale nazionale e circa la stessa quota di valore aggiunto (65 per cento). Per contro, le grandi imprese fatturano “solo” il 36 per cento del dato nazionale e il 35 per cento del valore aggiunto.

Leader in UE

Quando il confronto si sposta su scala europea, le performance delle nostre Pmi sono le migliori. Se a livello numerico la quota è in linea con quella dei principali Paesi competitor, il contributo in termini occupazionali e di valore aggiunto (Pil) delle nostre realtà è nettamente superiore. Se focalizziamo la comparazione solo con la Germania, le nostre Pmi danno lavoro al 74,6 per cento degli addetti totali, contro il 55,2 delle pari categoria tedesche. In termini di fatturato le Pmi italiane ne producono il 62,9 per cento del totale, contro il 35,8 dei tedeschi. Infine, in termini di valore aggiunto, il contributo delle nostre Pmi è del 61,7 per cento del totale, quello delle concorrenti tedesche è del 46 per cento. Insomma, a grandi linee abbiamo la stessa quota di Pmi dei nostri principali competitor europei, ma loro possono contare su grandi imprese di dimensioni e con risultati economici che noi non abbiamo.

Siamo più produttivi dei tedeschi

Le Pmi italiane in senso stretto (10-249 addetti) sono addirittura più produttive[5] di quelle tedesche di 4.229 euro per occupato (+6,6 per cento). Purtroppo, scontiamo un forte gap di produttività nei confronti di Berlino nelle micro attività (0-9 addetti) del 33 per cento. Come noto, la produttività dipende direttamente dalla dimensione aziendale e quindi, al crescere del numero degli occupati si verificano importi di valore aggiunto per addetto crescenti. Pertanto, se fossimo in grado di investire di più in innovazione, in ricerca e in sviluppo anche nelle realtà produttive con meno di 10 addetti, il sorpasso nei confronti dei tedeschi sarebbe completo su tutta la classe dimensionale tra 0 e 250 addetti. Va altresì ricordato che, in linea generale, il nostro sistema economico presenta un ottimo livello di produttività nel settore manifatturiero, ma sconta ancora dei grossi ritardi nei servizi e nel terziario.

Non abbiamo più le grandi imprese

Nonostante le nostre PMI rappresentino un punto di riferimento in Europa, il sistema produttivo italiano registra ancora numerose criticità. Spesso queste imprese risultano sottocapitalizzate e con limitata liquidità, incontrando difficoltà nell’accesso al mercato dei capitali e mostrando scarsa propensione a instaurare collaborazioni con il mondo della ricerca e dell’università. Tuttavia, riteniamo che la problematica più rilevante che affligge l’intero sistema produttivo nazionale sia la carenza di grandi aziende, una situazione sconosciuta fino a circa quarant’anni fa. Sino alla prima metà degli anni ’80 del secolo scorso, infatti, l’Italia si posizionava tra i leader europei e talvolta mondiali nei settori della chimica, della plastica, della gomma, della siderurgia, dell’alluminio, dell’informatica, dell’auto e della farmaceutica[6], grazie al ruolo e al peso giocato da molte grandi imprese sia pubbliche che private (Montedison, Montefibre, Moplen, Pirelli, Fiat, Italsider, Alumix, Olivetti, Stet, Angelini, etc.). Oggi, a distanza di quattro decenni, abbiamo perso terreno e leadership in quasi tutti questi comparti; un declino non imputabile al caso o a eventi fortuiti, ma riconducibile a una selezione naturale operata dal mercato. È indiscutibile che lo scandalo di Tangentopoli abbia rappresentato un significativo punto di svolta; inoltre, gli effetti geo-politici derivanti dalla caduta del Muro di Berlino, dalle privatizzazioni avvenute nel nostro Paese nei primi anni ’90 e dalla globalizzazione “scoppiata” all’inizio di questo secolo, hanno contribuito a escludere dal mercato o a determinare profonde ristrutturazioni tutte le grandi aziende menzionate precedentemente, molte delle quali erano controllate dallo Stato.

E’ grazie alle Pmi che siamo nel G20

Ogni qual volta si critica il nostro Paese per i bassi livelli retributivi, la scarsa produttività, la poca propensione alla ricerca e all’innovazione, la responsabilità ricade sul fatto che in Italia abbiamo troppe Pmi. In realtà, le cose stanno diversamente. A nostro avviso, i punti di debolezza appena richiamati sono in larga parte ascrivibili a una specificità che i nostri competitor non presentano. In Italia non abbiamo le grandi imprese. O meglio, non le abbiamo più, visto che fino alla fine degli anni ’80 del secolo scorso potevamo contare su dei player che nei rispettivi settori produttivi in cui operavano, giocavano alla pari con i migliori concorrenti di tutto il mondo. Ora, se siamo ancora nel G20, ovvero nel forum dei paesi più industrializzati del mondo, lo dobbiamo all’efficienza della nostra Pubblica Amministrazione, alle pochissime grandi imprese rimaste o allo straordinario lavoro svolto dalle nostre Pmi? Crediamo che nessuno possa contraddirci: lo dobbiamo ai tantissimi piccoli e piccolissimi imprenditori e alle loro maestranze che grazie alla capacità di combinare qualità, buon gusto, artigianalità e design, realizzano dei prodotti che sono caratterizzati da una forte identità che evoca emozioni e fiducia nei consumatori di tutto il mondo.

Nel Sud le Pmi sono uno straordinario serbatoio occupazionale

Come abbiamo avuto modo di segnalare all’inizio di questa analisi, le nostre Pmi sono uno straordinario serbatoio occupazionale, in particolar modo nel Mezzogiorno che è la ripartizione geografica del Paese che, a differenza delle altre, dispone di poche grandi imprese, quasi nessuna multinazionale e un numero contenutissimo di grandi banche e di assicurazioni. Ebbene, sul totale occupati di ciascuna provincia[7], a Vibo Valentia l’incidenza di coloro che lavorano nelle micro e Pmi è al 100 per cento. Seguono Isernia con il 98,5, Trapani e Agrigento entrambe con il 98,3, Campobasso con il 98,2, Cosenza e Verbanio-Cusio-Ossola con il 98. Le realtà dove l’incidenza sul totale occupati per provincia sono più contenute riguardano Torino, dove le MPmi danno lavoro “solo” al 63,9 per cento dei dipendenti, Roma con il 63,5 e, infine, Milano con il 51.

[1] La raccomandazione 2003/361 della Commissione definisce come Piccole e medie imprese (Pmi) le aziende che hanno fino a 250 dipendenti, un fatturato fino a 50 milioni di euro e un totale di bilancio fino a 43 milioni di euro.

[2] Delle Pmi in senso stretto (10-249 addetti). 

[3] Anno 2023. 

[4] Impresa con 250 o più effettivi oppure ogni impresa, anche con meno di 250 effettivi, con un fatturato superiore a 50 milioni di euro e un bilancio superiore ai 43 milioni di euro.

[5] Valore aggiunto per occupato, in euro.

[6] Oggi, in parte, in questo settore manteniamo ancora una leadership importante

[7] Questi dati non includono il settore dell’agricoltura e della Pubblica Amministrazione


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Da sorvegliato speciale a promossa: la rivincita del debito italiano

Un annuncio arrivato in tarda serata ha scosso il panorama finanziario internazionale: Moody’s ha rivisto al rialzo il giudizio sul debito pubblico italiano, portandolo a Baa2 e mantenendo outlook stabile. Una decisione che va oltre la routine degli aggiornamenti tecnici: l’Italia non riceveva un upgrade dall’agenzia statunitense dal lontano 2002.

Proprio questa lunga attesa dà alla promozione un valore quasi simbolico. Per Moody’s, storicamente cauta nell’applicare miglioramenti ravvicinati, si tratta di una scelta controcorrente: l’agenzia aveva già rivisto al rialzo l’outlook pochi mesi fa, a maggio, e raramente interviene due volte nello stesso arco temporale.


Segnale di fiducia verso i conti pubblici

Alla base della decisione c’è soprattutto la traiettoria dei bilanci italiani. Il rientro del deficit sotto il 3% e il recupero dell’avanzo primario hanno convinto l’agenzia che il Paese stia consolidando una linea di disciplina fiscale.

Secondo Moody’s, il percorso intrapreso dal Governo — pur tra margini limitati e trattative politiche serrate sulla manovra — ha rafforzato l’affidabilità dell’Italia verso gli investitori.

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha commentato a caldo:
«È un risultato che mancava da 23 anni. Una conferma della fiducia ritrovata verso il Paese».


BTp: un anno di rialzi senza precedenti

Con la promozione, i titoli italiani abbandonano l’ultima posizione borderline nella scala di Moody’s, che li collocava appena sopra il livello “non investment grade”.

Il 2025 diventa così un anno da ricordare: sette aggiornamenti positivi da parte delle principali agenzie internazionali, un record assoluto per il nostro Paese.


Mercati in chiaroscuro: vola il rating, crollano le Borse

La buona notizia sul fronte dei conti pubblici arriva però al termine di una settimana pesante per i mercati globali.
▪️ Wall Street ha registrato la peggior performance dell’anno dopo quella legata alla crisi dei dazi di aprile.
▪️ Il Nasdaq ha perso il 3%, l’S&P 500 il 2%.
▪️ In Europa il Ftse Mib ha ceduto il 3% e l’Eurostoxx 50 il 2,5%.
▪️ Le criptovalute hanno accentuato il ribasso: Bitcoin -10%, peggior settimana dal 2022.

Una parziale inversione di rotta è arrivata solo nelle ultime ore, grazie alle parole del governatore della Federal Reserve di New York, John Williams, che ha riaperto la porta a un nuovo taglio dei tassi già a dicembre.


Italia promossa, mercati in tempesta

La promozione di Moody’s non risolve le fragilità strutturali dei mercati, ma restituisce all’Italia un margine di credibilità internazionale che mancava da tempo.

Un risultato che, nelle intenzioni del Governo, dovrebbe essere il primo mattoncino per ricostruire una posizione più solida sui mercati globali — proprio mentre la finanza mondiale attraversa uno dei momenti più turbolenti dell’anno.


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La prima mappa UE dei rischi sistemici online: minori, IA e contenuti illegali al centro dell’allerta

Le autorità di regolamentazione europee che applicano il regolamento sui servizi digitali hanno pubblicato la prima relazione globale sul panorama dei rischi rilevanti e ricorrenti che si corrono sulle piattaforme online e sui motori di ricerca di dimensioni molto grandi nell’Unione europea.

La relazione individua rischi sistemici, quali, fra gli altri, la diffusione di contenuti illegali o minacce ai diritti fondamentali, in cui si può incorrere sulle piattaforme online di dimensioni molto grandi, e presenta una prima panoramica delle misure di mitigazione adottate dalle piattaforme stesse sulla base degli obblighi di trasparenza loro imposti dal regolamento UE sui servizi digitali.

Le principali risultanze della relazione riguardano i rischi per la salute mentale e la protezione dei minori online; l’impatto delle tecnologie emergenti, come l’IA generativa, sulle piattaforme online; e le problematiche attinenti alla protezione della proprietà intellettuale sui mercati online. Tra più significative misure di mitigazione messe in rilievo figura ad esempio il ricorso a sistemi automatizzati per rilevare le emoji utilizzate come codice per attività illegali online, quali la vendita di droghe illegali.

La relazione congiunta del comitato europeo per i servizi digitali e della Commissione si basa sulle relazioni in materia di valutazione dei rischiaudit e trasparenza redatte dalle piattaforme stesse, nonché su ricerche indipendenti riguardo a determinati rischi e su diversi contributi provenienti dalla società civile.

Si tratta della prima relazione pubblicata nel quadro di un ciclo annuale di relazioni sul panorama dei rischi. Le edizioni future approfondiranno anche le migliori pratiche delle piattaforme, man mano che saranno disponibili più dati sull’efficacia delle strategie di attenuazione dei rischi, anche attraverso la ricerca resa possibile dall’atto delegato sull’accesso ai dati. Nel corso degli anni, ciò permetterà di ottenere una prospettiva a lungo termine sui rischi sistemici più importanti e ricorrenti in Europa.

La relazione rappresenta un punto di riferimento per comprendere i rischi sistemici causati nell’UE da piattaforme online di dimensioni molto grandi e motori di ricerca online di dimensioni molto grandi e costituirà, d’ora in avanti, uno strumento fondamentale per la trasparenza e la responsabilità, contribuendo in ultima analisi a un ambiente online più sicuro e affidabile.


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Giustizia digitale 2030: la Commissione UE lancia la strategia per modernizzare tribunali e professioni legali

Oggi la Commissione europea ha presentato il pacchetto sulla giustizia digitale 2030, un’iniziativa volta a modernizzare i sistemi giudiziari in tutta l’UE e a garantire che i professionisti della giustizia siano dotati di strumenti adatti all’era digitale: una vera e propria tabella di marcia strategica, mirata ad accelerare la digitalizzazione dei sistemi giudiziari in tutta l’UE, responsabilizzando i cittadini, le imprese e i professionisti della giustizia attraverso l’innovazione e la collaborazione transfrontaliera.

Il pacchetto sulla giustizia digitale comprende la strategia “DigitalJustice@2030 Strategy” e la strategia per la formazione giudiziaria europea 2025-2030. Insieme, queste due strategie orienteranno la trasformazione digitale dei sistemi giudiziari, sfruttando tecnologie all’avanguardia come l’intelligenza artificiale per migliorare l’efficienza, ridurre i costi e migliorare l’accesso alla giustizia per tutti.

Henna Virkkunen, Vicepresidente esecutiva per la Sovranità tecnologica, la sicurezza e la democrazia, ha dichiarato: “La digitalizzazione e l’intelligenza artificiale stanno trasformando le nostre società, e il sistema giudiziario non fa eccezione. Grazie al pacchetto sulla giustizia digitale 2030 stiamo modernizzando i sistemi giudiziari europei, contribuendo alla competitività della nostra economia e garantendo allo stesso tempo che la tecnologia sia sempre al servizio delle persone, preservando una giustizia aperta, accessibile e incentrata sui nostri valori.”

Michael McGrath, Commissario per la Democrazia, la giustizia, lo Stato di diritto e la protezione dei consumatori, ha dichiarato: “Con questo pacchetto aiutiamo gli Stati membri a compiere un passo sicuro verso l’era digitale, garantendo che i nostri sistemi giudiziari diventino più rapidi, accessibili ed efficienti. Non si tratta solo di un investimento nella giustizia, ma anche nella competitività dell’Europa. La nuova strategia di formazione giudiziaria fornirà a giudici, pubblici ministeri e professionisti legali le competenze digitali e in materia di IA necessarie per utilizzare efficacemente la tecnologia. Abbracciando l’innovazione, stiamo costruendo un sistema giudiziario preparato alle sfide di domani, equo, moderno e saldamente ancorato ai nostri valori democratici.


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Luigi Bartolomeo Terzo è il nuovo presidente AIGA: al via il biennio delle sfide digitali e dell’internazionalizzazione

Luigi Bartolomeo Terzo è il nuovo presidente dell’Associazione Italiana Giovani Avvocati per il biennio 2025-2027. L’elezione è avvenuta a Bergamo, in occasione del 28° Congresso nazionale AIGA, dove l’assemblea ha scelto il giovane penalista campano come guida per i prossimi due anni.

Nato nel 1983, Terzo ha una lunga esperienza all’interno dell’associazione: già presidente della sezione di Santa Maria Capua Vetere, coordinatore regionale della Campania, componente di giunta e coordinatore dell’Area Sud. Succede a Carlo Foglieni e si occupa principalmente di diritto penale e diritto penitenziario.

“Sarà un biennio di grandi sfide per la giovane avvocatura – ha dichiarato Terzo subito dopo l’elezione –. AIGA dovrà essere capofila di un percorso condiviso, dinamico e coraggioso, fondato sull’ascolto costante del territorio e sul sostegno reciproco tra tutte le sezioni”.

Al centro del suo programma, una visione ampia e moderna della professione: “La giovane avvocatura ha bisogno di uno sguardo che sappia affrontare le nuove sfide tecnologiche, valorizzare la categoria e rilanciare la professione attraverso strumenti di welfare e innovazione digitale” ha aggiunto.

Una particolare attenzione sarà rivolta anche al contesto internazionale: “Guarderemo oltre i confini nazionali – ha spiegato Terzo – per aprirci maggiormente all’internazionalizzazione, allo sviluppo di nuovi mercati e a una collaborazione stabile con le altre associazioni forensi europee”.

Il nuovo presidente ha concluso ringraziando la sua squadra e gli amici che lo hanno accompagnato nel suo percorso associativo: “Questo risultato è frutto di un cammino condiviso che intendo portare avanti con responsabilità e apertura”.

Con la sua elezione, AIGA si prepara dunque ad affrontare un biennio decisivo, tra digitalizzazione, nuove competenze professionali e rafforzamento del ruolo della giovane avvocatura nel panorama forense italiano ed europeo.


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Bruxelles indaga Google: possibile penalizzazione degli editori nei risultati di ricerca

La Commissione europea ha formalmente avviato procedimenti per valutare se Google applichi condizioni eque, ragionevoli e non discriminatorie di accesso ai siti web degli editori su Google Search, un obbligo previsto dal regolamento sui mercati digitali.

Il lavoro di monitoraggio della Commissione ha mostrato segnali che Google, sulla base della sua “politica di abuso della reputazione dei siti”, sta declassando i siti web dei mezzi di informazione e di altri editori e i contenuti dei risultati di ricerca di Google quando tali siti includono contenuti provenienti da partner commerciali. Secondo Google, tale politica mira a contrastare le pratiche presumibilmente intese a manipolare la classificazione nei risultati di ricerca.

L’indagine della Commissione si concentra specificamente sulla politica di Google in materia di “abuso della reputazione dei siti” e sul modo in cui tale politica si applica agli editori. Questa politica sembra avere un impatto diretto su una pratica comune e legittima che permette agli editori di monetizzare i loro siti web e i loro contenuti.


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Patrimoniali: esistono già e in 20 anni sono cresciute del 74%

Mentre la politica continua a dividersi tra patrimoniale sì e patrimoniale no, l’Ufficio studi della CGIA ricorda che in Italia le imposte che gravano sulla ricchezza esistono già. Nel 2024, ad esempio, hanno garantito all’erario 51,2 miliardi di euro e negli ultimi 20 anni, periodo in cui nel nostro Paese hanno governato a più riprese tutti gli schieramenti politici e la quasi totalità dei partiti, il gettito è addirittura cresciuto del 74 per cento.

L’IMU è la più pesante

Come dicevamo, nel 2024 il gettito delle patrimoniali applicate in Italia ha garantito all’erario 51,2 miliardi di euro. La voce che pesa di più sulle nostre tasche è l’Imposta Municipale Unica (IMU) che viene applicata sulle prime case di lusso, sulle seconde/terze case, sui capannoni, sugli uffici, i negozi e i terreni fabbricabili. L’anno scorso il prelievo è stato pari a 23 miliardi di euro[1]. Un importo che costituisce il 45 per cento del gettito totale delle patrimoniali applicate nel nostro Paese. Seguono l’imposta di bollo che grava obbligatoriamente sui conti correnti, sui conti di deposito, sulle fatture, sulle ricevute, etc., che ha consentito allo Stato di incassare 8,9 miliardi. Il bollo auto, tassa di possesso applicata dalle regioni, è costato agli italiani 7,5 miliardi, mentre l’imposta di registro che paghiamo quando effettuiamo una compravendita immobiliare o quando stipuliamo un contratto di affitto ci è costata 6,1 miliardi di euro.

Con il governo Meloni pressione fiscale in aumento? Per le famiglie no

Nel Documento programmatico di finanza pubblica 2025[2], quest’anno la pressione fiscale[3] è prevista al 42,8 per cento; 0,3 punti in più del dato registrato nel 2024 e di 1,1 punti sopra il dato 2022, anno che “precede” l’arrivo a Palazzo Chigi della Presidente Meloni[4]. Questo vuol dire che con l’esecutivo di centro-destra il carico fiscale sulle famiglie è aumentato? In realtà no. Se la pressione fiscale è in crescita, in parte è attribuibile al fatto che il taglio del cuneo fiscale sul reddito da lavoro dipendente non è solo costituito dalla riduzione dell’Irpef (tramite l’accorpamento dei primi due scaglioni Irpef e dall’introduzione di un’ulteriore detrazione per i redditi da 20mila a 40mila euro), ma anche da un “bonus” a favore dei lavoratori dipendenti con un reddito sino a 20mila euro. Pertanto, a fronte di un taglio complessivo di 18 miliardi di euro, quasi 4,5 miliardi sono imputati contabilmente come un incremento della spesa pubblica (“bonus”). Di conseguenza, se per i lavoratori dipendenti con retribuzioni basse la busta paga è diventata più pesante, per il bilancio dello Stato una parte di questa contrazione delle tasse viene contabilizzata come un aumento delle uscite. A seguito di questa “decisione”, almeno 0,2 punti percentuali non hanno abbassato la pressione fiscale totale. E gli altri 0,9 punti in più che sono aumentati tra il 2022 e il 2025 ? Ricordiamo che in questi ultimi anni il gettito fiscale del nostro Paese è salito anche a seguito dell’aumento degli occupati[5] e dai molti rinnovi contrattuali firmati negli ultimi due anni che hanno incrementato le retribuzioni di molte categorie[6] e, conseguentemente, anche il gettito tributario e contributivo. Infine, non dobbiamo dimenticare che ad aver dato una spinta all’inasprimento statistico del carico fiscale complessivo hanno concorso sia la sospensione della possibilità di dedurre alcuni particolari categorie di costi (quote di svalutazione crediti e quote di avviamento), sia l’abrogazione dell’ACE (Aiuto alla Crescita Economica). Provvedimenti, questi ultimi, che hanno interessato solo le società di capitali (Srl e Spa). Ricordiamo che in termini assoluti queste ultime sono 1,5 milioni e costituiscono il 35 per cento del totale delle imprese presenti in Italia.

Propensione all’evasione al top in Calabria, Puglia e Campania

Secondo gli ultimi dati resi noti nei giorni scorsi dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, nel 2022 l’evasione fiscale in Italia ammontava a 102,5 miliardi di euro. Grazie alla disponibilità dei dati relativi all’economia non osservata presente in ciascuna regione che sono rapportabili al valore aggiunto prodotto nella stessa, la CGIA è riuscita a “distribuire” territorialmente il mancato gettito potenziale. Ebbene, se calcoliamo la propensione all’evasione (vale a dire quanto evade la popolazione/imprese presenti in una determinata area geografica in rapporto alla ricchezza prodotta), in Calabria è al 20,9 per cento (3,1 miliardi di evasione), in Puglia al 18,9 per cento (6,8 miliardi di mancato gettito) e in Campania del 18,5 per cento (9,4 miliardi evasi). Le regioni meno coinvolte, invece, sono la Provincia Autonoma di Trento che presenta un tasso del 9,7, la Lombardia dell’ 8,8 e la Provincia Autonoma di Bolzano che registra l’incidenza più contenuta d’Italia, pari all’8,4. Se, invece, osserviamo la graduatoria dell’evasione in termini assoluti, sono ovviamente le regioni più ricche e popolate a occupare le prime posizioni. Infatti, al primo posto troviamo la Lombardia con un mancato gettito pari a 16,7 miliardi di euro. Seguono il Lazio con 11,4 miliardi, la Campania con 9,4, Veneto ed Emilia Romagna entrambe con 7,8 miliardi.

Mentre c’è ancora qualcuno che chiede di introdurre una patrimoniale sui ricchi, dimenticandosi del clamoroso flop conseguito in passato con l’applicazione della supertassa sugli yacht, forse sarebbe il caso di recuperare le risorse necessarie per finanziare la scuola, la sanità e il sociale contrastando seriamente l’evasione fiscale, in particolare nelle aree del Paese dove la propensione è più diffusa e razionalizzando la spesa pubblica, attraverso il taglio degli sprechi, degli sperperi e delle inefficienze.

[1] La quasi totalità del gettito finisce nelle casse dei Comuni

[2] Deliberato dal Consiglio dei Ministri il 2 ottobre 2025.

[3] Data dal rapporto tra le entrate fiscali (tributarie più contributive) e il Pil.

[4] In realtà il governo Meloni è entrato in carica il 22 ottobre 2022. E’ ovvio che le misure che sono state approvate negli ultimi due mesi di quell’anno hanno prodotto gli effetti nell’anno successivo.

[5] Tra la fine del 2022 e l’agosto 2025 la platea dei lavoratori italiani è aumentata di un milione di unità.

[6] Tra i principali Ccnl rinnovati ricordiamo quello del commercio, del terziario di mercato, del credito, delle calzature, degli studi professionali, dell’energia/petrolio, etc. 


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