La Cassazione dà ragione agli avvocati di Roma: dubbi di costituzionalità sull’anticipo per l’iscrizione a ruolo

Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma esprime grande soddisfazione per quanto affermato dalla Corte Suprema di Cassazione con l’ordinanza interlocutoria n. 32227 dell’11 dicembre 2025, che solleva forti dubbi di illegittimità costituzionale della disposizione introdotta dall’art. 1, comma 812, della legge 30 dicembre 2024 n. 207 (legge di bilancio 2025). La norma impone il versamento preventivo del contributo unificato per l’iscrizione a ruolo degli atti giudiziari.

Già nel dicembre 2024, sulla base dell’autorevole parere dei professori Giorgio Costantino e Antonino Galletti, erano state evidenziate le gravi criticità costituzionali della disposizione, ritenuta intrinsecamente irragionevole e in contrasto con i principi sanciti dalla Costituzione. In particolare, era stato sottolineato come l’obbligo di un pagamento anticipato rappresentasse un ostacolo ingiustificato all’esercizio del diritto di azione.

A seguito di tali rilievi, nell’aprile 2025 il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma aveva deliberato di rivolgersi direttamente al Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, chiedendo un intervento volto a emendare una misura giudicata gravosa e lesiva dei diritti fondamentali.

Con l’ordinanza dell’11 dicembre, la Suprema Corte ha ora riconosciuto le criticità segnalate, evidenziando come l’obbligo di versare anche un contributo economico minimo per iscrivere a ruolo una causa non presenti alcun collegamento con finalità di razionalizzazione o di miglioramento del servizio giustizia. La Corte rileva inoltre che la disposizione si applica anche ai soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato, ponendo un concreto ostacolo all’accesso alla giurisdizione per i cittadini privi di mezzi.

Ulteriori profili di irragionevolezza emergono nella disparità di trattamento tra ricorrente principale e ricorrente incidentale, nonché nella finalità meramente finanziaria della norma, orientata esclusivamente al reperimento di risorse, senza un adeguato criterio di proporzionalità o ragionevolezza.

I rilievi della Cassazione confermano pienamente le posizioni espresse dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma e rafforzano la validità dell’iniziativa a suo tempo avviata. La giustizia, ribadisce l’Ordine capitolino, non può trasformarsi in un lusso né in una concessione amministrativa: l’accesso ai tribunali è un diritto fondamentale e tale deve restare.

Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma continuerà quindi a far sentire la propria voce, con rigore e determinazione, contro ogni misura che ostacoli l’accesso alla giurisdizione. Difendere il diritto di agire in giudizio significa, in ultima analisi, difendere la Costituzione, la dignità delle persone e l’idea stessa di democrazia.


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Sindacato sotto accusa: 3,3 milioni di evasione fiscale

Un cratere da oltre 6 milioni di euro nei conti della Società di servizi CGIL Sicilia srl, l’ente che gestiva i CAF del sindacato nell’isola, oggi dichiarato fallito dal Tribunale di Catania.
È questa la notizia che scuote il mondo sindacale e imbarazza il segretario generale Maurizio Landini.

La società, partecipata dalla CGIL siciliana e dalle Camere del lavoro territoriali, avrebbe accumulato negli anni debiti milionari, tra cui 3,3 milioni di contributi previdenziali non versati, imposte e tributi lasciati in sospeso, oltre a crediti di dipendenti rimasti senza retribuzioni regolari – in alcuni casi costretti a lavorare in nero per mesi.

La vicenda, ricostruita nella trasmissione Lo Stato delle Cose di Massimo Giletti, mette in luce una gestione perlomeno disinvolta di risorse che, per definizione, dovrebbero essere destinate ai lavoratori e ai servizi di tutela fiscale e previdenziale.

Un caso emblematico di come, nel tempo, una parte del sindacato sia diventata una macchina complessa e pesante, capace di muovere milioni, ma non sempre in modo trasparente.

Dal crollo della srl siciliana a una domanda più ampia: che cosa è diventato il sindacato?

L’episodio di Catania non è solo una notizia contabile: è il simbolo di un cambiamento profondo.
Perché se un tempo il sindacato viveva della fiducia diretta dei lavoratori, oggi si trova spesso in mezzo a ingranaggi burocratici, poteri interni e strutture gigantesche che difficilmente ricordano l’immediatezza e la purezza delle lotte del Novecento.

Un tempo si andava casa per casa a riscuotere la quota associativa. Chi non aveva soldi, offriva ciò che poteva: un paniere di uova, un sacchetto di verdure. Il sindacalista guadagnava poco più di un operaio e viveva la stessa vita di chi rappresentava.

Era un ruolo onorato, quasi un servizio civile spontaneo. Era la stagione in cui l’Italia sembrava una scena in bianco e nero di Guareschi, con Don Camillo e Peppone che si affrontavano sulle idee, non sui budget.

Il racconto di un declino: “Fottitutto” di Salvatore Livorno

Proprio da questo contrasto tra passato e presente nasce Fottitutto, il libro-denuncia di Salvatore Livorno (libro del 2020 edito da Spazio Cultura), che analizza il lato oscuro del sindacato contemporaneo. Livorno racconta cene faraoniche, rimborsi gonfiati, telefoni di lusso, auto di rappresentanza. E dall’altro lato, migliaia di sindacalisti autentici – quelli veri – che ogni giorno corrono tra fabbriche, cantieri, ospedali, senza riflettori. Sono loro, scrive l’autore, a pagare il prezzo dei vertici distanti, dei carrozzoni interni, delle strutture che hanno progressivamente sostituito la militanza con la gestione di potere. Il messaggio di Livorno è semplice: il sindacato serve ancora, forse più di ieri. Ma non così.

Chi paga chi? Una macchina economica che i lavoratori conoscono poco

La vicenda della CGIL siciliana riporta al centro un tema che raramente viene affrontato apertamente: da dove arrivano davvero i soldi che tengono in piedi il sindacato?
Nel tempo si è formato un sistema articolato, spesso poco comprensibile per gli stessi lavoratori che lo finanziano. Una parte dei sindacalisti continua a percepire lo stipendio dal proprio datore di lavoro tramite il meccanismo dei distacchi retribuiti: lavorano per il sindacato, ma vengono pagati dall’azienda o dall’amministrazione pubblica, un paradosso che solleva più di un interrogativo sull’autonomia reale delle organizzazioni.

Accanto a loro ci sono coloro che operano in aspettativa sindacale ex Legge 300, retribuiti direttamente dal sindacato grazie alle quote associative che confluiscono attraverso la cosiddetta canalizzazione.

Infine, esiste un’ampia rete di persone assunte direttamente dalle strutture sindacali, impiegate nei patronati, nei CAF, negli sportelli e nei numerosi servizi che fanno da ossatura economica all’organizzazione. Una macchina complessa, fatta di molte professionalità e di flussi finanziari imponenti, che non sempre vengono comunicati o rendicontati con la trasparenza che ci si aspetterebbe da chi, per missione, tutela i diritti dei lavoratori.

Serve un ritorno alle origini: fare giustizia insieme

Il caso siciliano, il libro di Livorno, la distanza crescente tra vertici e base pongono una domanda fondamentale: il sindacato di oggi rappresenta davvero i lavoratori?

Per molti, la risposta è: non abbastanza. Eppure proprio ora, in una stagione di inflazione, precarietà e salari fermi da trent’anni, servirebbe più che mai un sindacato forte, autorevole, capace di difendere chi non ha voce.

Un sindacato che torni al significato etimologico della parola: syn-dikein: fare giustizia insieme. Non un carrozzone di potere, ma una casa dei lavoratori.


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La corsa agli acquisti natalizi viene spesso vissuta come un obbligo sociale, anche da chi non può permetterselo. E così le richieste di denaro aumentano, talvolta rivolgendosi a canali non ufficiali. Lo conferma una ricerca commissionata da Facile.it: 800mila italiani hanno dichiarato di aver chiesto un prestito per comprare i regali, un dato che solleva una domanda inevitabile – tutti si sono rivolti a banche e finanziarie, o qualcuno ha bussato a porte rischiose?

Parallelamente cresce l’allarme tra gli imprenditori. Le analisi dell’Ufficio studi CGIA mostrano che le imprese in sofferenza continuano ad aumentare, dopo la parentesi di stabilità registrata durante la pandemia. Al 30 giugno 2025 le aziende insolventi sfioravano quota 122mila, con un incremento del 3,6% in un solo anno. Il Mezzogiorno è l’area più colpita: 42.032 imprese segnalate, pari al 34,5% del totale nazionale, e una crescita del 6,3%, la più alta d’Italia.

Dietro queste cifre ci sono per lo più lavoratori autonomi, artigiani e piccoli imprenditori che, dopo essere stati segnalati alla Centrale dei Rischi, non hanno più accesso al credito regolare. Quando le banche chiudono la porta, le alternative restano poche – e spesso pericolose.

Nonostante questo scenario, le denunce di usura diminuiscono. Un paradosso solo apparente: chi cade nelle mani degli strozzini raramente denuncia, frenato dalla paura, dalle minacce e da un profondo senso di vergogna, soprattutto nei piccoli centri dove tutti si conoscono.

La fotografia delle province più colpite conferma il peggioramento: Roma, Milano e Napoli guidano per numeri assoluti di imprese insolventi, ma l’aumento più drastico si registra altrove. Grosseto (+20,9%), Arezzo (+18,7%), Siena (+17,2%) e Siracusa (+15,8%) mostrano incrementi allarmanti.

La crisi di liquidità che colpisce molte imprese non è sempre frutto di cattiva gestione; spesso deriva dai ritardi nei pagamenti dei committenti o dal coinvolgimento in fallimenti a catena. Per questo la CGIA chiede da tempo di rafforzare il Fondo di prevenzione dell’usura, che rappresenta l’unico argine istituzionale per chi non può più rivolgersi al sistema bancario.

Il contesto, del resto, non aiuta. Dal 2011 a oggi i prestiti bancari alle imprese sono crollati di oltre 350 miliardi di euro (-34,4%). Dopo una breve risalita durante la pandemia grazie alle garanzie statali, la stretta creditizia è tornata a mordere, lasciando senza ossigeno migliaia di attività. E quando il credito legale si restringe, quello illegale si espande.


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“Gli Avvocati non esprimono un giudizio totalmente positivo sulla Riforma dell’attuale Legge Forense, soprattutto nella parte in cui si delinea la rappresentatività degli organi di vertice: il Consiglio Nazionale Forense e i Consigli dell’Ordine”. Così spiega Alessandro Graziani, Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Roma, ascoltato in Commissione Giustizia della Camera sul disegno di legge delega per la riforma dell’Ordinamento forense.

“Il gran numero degli Avvocati della capitale d’Italia non è adeguatamente rappresentato nel Consiglio Nazionale, a dispetto del grande valore qualitativo che Roma esprime. Inoltre, la proposta di aumentare da due a tre il numero dei mandati per le cariche elettive dell’Avvocatura costituisce una soluzione di cui non si sentiva il bisogno e che certamente non giova a quella rappresentatività che la democrazia richiede”.

“Il tema è semplice – spiega Graziani – nel nostro ordinamento vige generalmente il principio del limite del doppio mandato. Anche la Corte Costituzionale ha ribadito questo trattando il caso dei Presidenti di Regione. Al contrario, la Riforma che ci viene proposta consentirebbe di svolgere anche tre mandati consecutivi, moltiplicando disagi e costi per l’Avvocatura, senza spiegare l’utilità di questa soluzione”.

Il pericolo segnalato dal Presidente degli Avvocati di Roma è del tutto evidente: “Temiamo che si vengano a creare gestioni eccessivamente lunghe, rendendo sempre più difficoltoso il ricambio dei vertici e così allontanando ulteriormente la politica forense da coloro i cui interessi dovrebbe tutelare: gli Avvocati che ogni giorno indossano la toga nelle aule d’udienza”.


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Patrocinio a spese dello Stato, UNCC: basta tagli ai compensi degli avvocati

Roma, 3 dicembre 2025 – La sentenza n. 179/2025 della Corte costituzionale riaccende un faro su una questione irrisolta da anni: l’equità del sistema dei compensi nel patrocinio a spese dello Stato e la compatibilità dell’attuale impianto normativo con il principio costituzionale del diritto di difesa.

L’Unione Nazionale delle Camere Civili (UNCC) accoglie con favore la decisione della Consulta, che ha dichiarato illegittima la riduzione del 50% dei compensi dei consulenti tecnici di parte quando le tariffe non siano state adeguate secondo l’art. 54 del d.P.R. 115/2002. Una pronuncia che, pur riguardando i CTU, tocca un nodo cruciale del sistema: la sproporzione tra tariffe reali e riduzioni automatiche applicate negli affari di giustizia per i cittadini meno abbienti.

La Corte: “Compensi non aggiornati non possono essere ulteriormente ridotti”

Secondo la Corte costituzionale, imporre una riduzione della metà su compensi già non aggiornati viola il principio di ragionevolezza e finisce per compromettere l’effettività del diritto di difesa delle parti ammesse al patrocinio a spese dello Stato.

Una conclusione che l’UNCC considera un passaggio fondamentale, ma non sufficiente.

Il nodo irrisolto: la riduzione del 50% per gli avvocati

Nello stesso articolo 130 del Testo unico resta infatti intatta la riduzione automatica del 50% dei compensi degli avvocati che difendono i non abbienti.

Una norma che continua a produrre effetti distorsivi e che, secondo l’UNCC, non è più compatibile con i principi affermati dalla Corte:

«La tutela dei non abbienti non può poggiare sulla compressione della dignità professionale degli avvocati»
– dichiara il Presidente dell’UNCC, Alberto Del Noce.

Il meccanismo, sottolinea l’Unione, finisce per scaricare sull’avvocatura civile il costo strutturale del sistema di accesso alla giustizia, indebolendo proprio la difesa dei soggetti che la norma vorrebbe proteggere.

Una riforma necessaria per garantire davvero il diritto di difesa

Per l’UNCC è necessario un intervento organico e immediato del legislatore, con tre linee di azione prioritarie:

  • eliminare la riduzione automatica dei compensi degli avvocati prevista dall’art. 130;
  • aggiornare periodicamente tariffe e parametri, evitando che il sistema si regga su valori obsoleti;
  • assicurare un equilibrio sostenibile tra costi del servizio e dignità del lavoro professionale.

«La funzione difensiva è un presidio costituzionale – spiega Del Noce – e non può essere svilita da un meccanismo che riduce a metà i compensi di chi garantisce giustizia a chi non può permettersela».

Una questione di equità, non di categoria

Per l’UNCC la battaglia non è corporativa, ma riguarda la qualità della giustizia: un sistema che non remunera adeguatamente il lavoro degli avvocati rischia di compromettere la possibilità stessa di offrire servizi difensivi qualificati e tempestivi nel patrocinio a spese dello Stato.

La sentenza della Corte apre dunque una strada: il Parlamento ora è chiamato a completare il percorso.


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AIDIF propone l’Osservatorio per i minori italiani all’estero

La proposta dell’osservatorio per i diritti dei minori italiani all’estero nasce dall’iniziativa del Presidente dell’AIDIF (Avvocatura Italiana per i Diritti delle Famiglie) l’avvocato Giorgio Aldo Maccaroni. L’idea è quella di creare un istituto per tutelare i diritti dei minori, cittadini italiani, che a qualsiasi titolo si trovano fuori dai confini nazionali, fra cui minori figli di genitori che risiedono all’estero, minori sottratti e portati all’estero, in maniera illegittima, da parte di un genitore separato o divorziato, ovvero da un ex convivente di fatto, minori che si trovano all’estero per soggiorni stagionali.
«Per tutti costoro – spiega il Presidente Giorgio Aldo Maccaroni – è necessario che il nostro Paese, da sempre sensibile ai problemi degli italiani all’estero, possa offrire una tutela in tutte le situazioni legate a problemi di qualunque natura, fra cui quelli giuridici o sociali, che riguardano i minori italiani all’estero». A oggi, infatti, un osservatorio di questo tipo non esiste ed è arrivato il momento di colmare la lacuna nel minor tempo possibile.

«La prima azione – continua Giorgio Aldo Maccaroni – necessaria è, quindi, realizzare tale importante tutela con la creazione di un osservatorio per i diritti dei minori italiani all’estero, preposto a monitorare l’andamento di tutte le situazioni che riguardano gli stessi, recepire le loro istanze e stabilire gli interventi, che si rendono più opportuni, onde sottoporli agli organi competenti, anche ai fini di un valido coordinamento con le azioni predisposte a livello internazionale per la tutela dei minori». Per far sì questo possa essere possibile bisogna presentare una proposta di legge che l’AIDIF ha già elaborato dettagliatamente. Serve, però, anche la mobilitazione della politica italiana che, al momento, risultata piuttosto assente sul tema.

L’Osservatorio sarà composto da un comitato di esperti, scelti fra avvocati, psicologi, medici e da altre professionalità che si interessano del settore minorile e di famiglia, guidati da un presidente. «Potrà così – conclude Giorgio Aldo Maccaroni – diventare un importante punto di riferimento per i minori italiani all’estero e le loro famiglie che si trovano in situazione di difficoltà».


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Nasce il “Pit Stop” del Palazzo di Giustizia di Taranto: uno spazio accogliente per famiglie e utenti vulnerabili

Alle ore 12.30 di martedì 2 dicembre sarà inaugurato lo spazio “Pit Stop” allestito al primo piano di Palazzo di Giustizia di Via Marche a Taranto; promotrici dell’iniziativa sono la Dott.ssa Rosa Anna Depalo, Presidente del Tribunale di Taranto, e la Dott.ssa Eugenia Pontassuglia, Procuratore della Repubblica di Taranto.

Il “Pit Stop” è un’iniziativa del Tribunale di Taranto, della Procura della Repubblica di Taranto e dell’Ordine degli Avvocati di Taranto.

È stata realizzata in collaborazione con Comitato Pari Opportunità Ordine degli Avvocati di Taranto, Associazione Nazionale Forense Taranto “Avv. L. Tomassini”, Camera dei Giuslavoristi Taranto “Avv. V. Pollicoro”, Camera Minorile Taranto, Centro Studi Grottaglie “Avv. F. Di Palma”, Associazione Italiana Giovani Avvocati Taranto “Avv. V.G. Pozzessere”, Avv. V.G. Pozzessere, Camera Penale Taranto, Camera delle Esecuzioni Taranto, Movimento Forense Taranto e Nuova Avvocatura.

Hanno contribuito e sostenuto la realizzazione il project manager Carmine Calisi, l’Arch. Cosima Lorusso e, per la fornitura e l’installazione, Gam Gonzagarredi Montessori S.R.L.

Lo spazio “Pit Stop” è stato creato con l’intento di offrire a bambini e genitori, ad utenti vulnerabili e caregivers un ambiente sereno, riservato ed accogliente, e dove ci si possa dedicare all’allattamento ed alla cura dei propri bambini in totale serenità.

Nel “Pit Stop” ogni genitore potrà prendersi cura del proprio figlio e della propria figlia, senza fretta ed in un’atmosfera rispettosa dell’intimità e della privacy. Si tratta di un luogo che, ispirato al rispetto della disabilità e destinato a sostenere la genitorialità, è al servizio di tutti, anche dell’utenza che occasionalmente accede agli uffici giudiziari.

Il 29 gennaio 2025 è stato sottoscritto un protocollo tra Unicef Italia e il Dipartimento dell’Organizzazione Giudiziaria, del Personale e dei Servizi del Ministero della Giustizia per l’allestimento all’interno degli Uffici Giudiziari di spazi accoglienti per madri, genitori e caregivers.

Il Protocollo costituisce una applicazione concreta di quanto stabilito dall’art.3, comma 2, della Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 20 novembre 1989, ratificata dalla Legge n. 176 del 27 maggio 1991, il quale prevede che «Gli Stati parti si impegnano ad assicurare al fanciullo la protezione e le cure necessarie al suo benessere, in considerazione dei diritti e dei doveri dei suoi genitori, dei suoi tutori o di altre persone che hanno la sua responsabilità legale, e a tal fine essi adottano tutti i provvedimenti legislativi e amministrativi appropriati».


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Il sistema giudiziario italiano, sempre più bisognoso di rapidità ed equità, dovrebbe adottare un modello ibrido in cui l’IA e il sistema giustizia umano, inteso come difensore e giudice, collaborino per migliorare l’efficienza e la qualità delle decisioni“. È questo, in sintesi, il messaggio lanciato dagli Stati Generali dell’Unione Nazionale Avvocati Enti Pubblici (UNAEP) svolti ad Assisi.

L’Intelligenza Artificiale – ha detto il presidente Unaep Antonella Trentini – deve essere utilizzata non solo come supporto all’analisi dei dati e alla proposta di soluzioni, ma come vero e proprio ausiliare dell’avvocato e del giudice per accelerare definitivamente la giustizia italiana, lasciando all’avvocato e al giudice il ruolo di custodi ultimi della giustizia per garantire decisioni eque e conformi ai principi fondamentali del diritto“.

Ad aprire i lavori i saluti istituzionali di Stefania ProiettiPresidente Regione Umbria: “l’intelligenza artificiale nella giustizia è un tema molto interessante perché ci obbliga a seguire l’evoluzione della tecnologia, e le tecnologie per essere utili vanno governate non subite, e ci cala in un ambito delicato come quello della giustizia che interessa tutti.  Trattare questo tema durante l’evento annuale dell’Unione Nazionale Avvocati Enti Pubblici (UNAEP) è veramente significativo perché l’intelligenza artificiale oggi, ieri i mezzi digitali, sta toccando tanti settori, tante professioni, e se è vista e utilizzata come un supporto, un sostegno tecnico, è un fatto positivo. Ma voglio sottolineare che l’intelligenza artificiale come qualsiasi altro mezzo tecnologico deve essere al servizio delle persone, perché le persone devono guidare le tecnologie con la propria intelligenza, la propria sensibilità, i propri sentimenti. È pericoloso se avviene il contrario, rischiamo di snaturare la nostra umanità“.

Per Chiara Valentinisegretario regionale Unaep Umbria, l’IA “rappresenta un’opportunità senza precedenti per rendere il sistema giudiziario più efficiente e adeguato alle sfide della società contemporanea. I progressi compiuti in pochi anni sono profondi, trasversali e realmente trasformativi. Le sue enormi, e in parte ancora inesplorate, potenzialità richiedono attenzione, confronto e scelte consapevoli, così da orientarne l’impiego verso finalità corrette ed evitare i rischi di un utilizzo improprio“.

Nel suo intervento Sergio Sottani, Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Perugia, ha sottolineato il fatto che per la normativa europea e italiana l’intelligenza artificiale nel sistema giudiziario “viene considerata un fattore ad alto rischio, questo perché non può mai sostituire il giudizio umano. Ciò nonostante l’intelligenza artificiale va utilizzata e viene utilizzata sia come un’attività di supporto, ma soprattutto nella funzione di rendere più celere e più veloce la giustizia: enso a tutti i servizi amministrativi, quelli ripetitivi che possono essere enormemente sviluppati e poi con esperienze concrete, come quelle che abbiamo fatto a Perugia, che è diventato poi un ambito nazionale, sia per quanto riguarda la banca dati di merito, la possibilità quindi, secondo i sistemi di intelligenza tradizionale, di leggere i precedenti e sia come i sistemi di intelligenza artificiale generativa, come i dati d’arresto europeo. Credo che quindi sia un settore pieno di opportunità, ma da valutare e controllare con attenzione“.

Nel corso degli stati Generali si è discusso anche dei numeri presentati nell’ultimo congresso del Cnf, dati che confermano come un terzo degli avvocati utilizzi l’intelligenza artificiale a fini professionali ma ben l’80% ha forti dubbi sull’uso nel processo.

Per l’avv. Antonino Galletti, Consigliere CNF, “l’avvocatura ha il compito di trasformare le novità tecnologiche in opportunità, a beneficio della categoria e del sistema giustizia. Alle istituzioni forensi è affidata la responsabilità di sostenere i colleghi in questo processo, predisponendo un’offerta di servizi, formazione e aggiornamento volta a consolidare e migliorare sempre di più le prestazioni professionali”.

Quanto all’applicazione dell’IA da parte delle Amministrazioni pubbliche, Pierfrancesco Ungari, Presidente TAR dell’Umbria, ha sottolineato che si tratta di “un uso crescente nella loro attività e la giurisprudenza, in questa fase embrionale della relativa disciplina, ha individuato i principi generali  – conoscibilità e comprensibilità, non esclusività della decisione algoritmica, non discriminazione algoritmica – che devono essere rispettati per garantire il funzionamento del sistema e la tutela dei diritti e degli interessi coinvolti. Nello stesso tempo l’AI influenza le scelte di avvocati e giudici, anche senza che se ne rendano pienamente conto. Momenti di approfondimento qualificati come questo convegno sono preziosi per comprendere il modo migliore di gestire le opportunita’ offerte dall’AI, diminuendo i rischi di condizionamenti inconsapevoli“.


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Una legge «simbolica», destinata a restare l’ennesimo intervento dal forte impatto emotivo ma dal limitato valore preventivo. È durissimo il giudizio dell’Organismo Congressuale Forense (OCF) sul disegno di legge sul femminicidio approvato in via definitiva e all’unanimità dalla Camera. Secondo l’avvocatura, il nuovo art. 577-bis del codice penale non potrà “salvare nemmeno una vita”, perché continua a chiedere al diritto penale ciò che non può e non deve fare: modificare comportamenti sociali, prevenire devianze, orientare la cultura collettiva.

Per l’OCF, il testo presenta anche criticità di natura costituzionale. La scelta di diversificare il trattamento sanzionatorio in base alla categoria della persona offesa crea, secondo l’organismo, una tensione evidente con l’articolo 3 della Costituzione, che impone l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. A ciò si aggiunge un problema di chiarezza: la norma introduce termini vaghi, ambigui, privi della necessaria tassatività che dovrebbe caratterizzare una fattispecie penale. Una vaghezza che, sottolinea l’avvocatura, rischia di scaricare sui giudici una responsabilità interpretativa enorme, esponendoli a critiche e pressioni quando le decisioni non dovessero corrispondere alle aspettative emotive dell’opinione pubblica.

Il punto, però, è soprattutto politico e culturale. «L’esperienza degli ultimi anni parla chiaro» afferma l’OCF: nonostante l’introduzione del Codice Rosso e di altri interventi repressivi, i reati contro le donne non sono diminuiti. Una riduzione reale della violenza, secondo l’organismo, può avvenire solo attraverso un’azione complessiva che coinvolga la scuola, la famiglia, la società, e che aiuti i giovani a comprendere il valore del rispetto e della parità. «Serve incidere sulle cause profonde della violenza – spiega l’avvocatura – non continuare a usare il diritto penale come una panacea».

La legge, articolata in quattordici articoli, non si limita alla nuova fattispecie di femminicidio ma interviene su una serie di ambiti: dai maltrattamenti in famiglia alle aggravanti, dal processo penale alle misure di tutela per gli orfani, fino all’ordinamento penitenziario. Un intervento vasto, che tuttavia, secondo l’OCF, continua a muoversi nella direzione sbagliata: rafforzare la risposta repressiva senza incidere sulle radici culturali del fenomeno.

La posizione dell’Organismo Congressuale Forense rappresenta un richiamo al legislatore: la violenza di genere non può essere affrontata solo sul piano penale. Senza un investimento profondo e strutturale sul cambiamento culturale, conclude l’OCF, «nessuna nuova norma potrà davvero fermare la violenza contro le donne».


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Shein sotto pressione: l’UE vuole risposte sulla vendita di prodotti illegali

La Commissione europea ha inviato oggi una richiesta di informazioni a Shein a norma del regolamento sui servizi digitali, a seguito di indicazioni preliminari secondo cui si starebbero offrendo sul mercato articoli illegali, come armi e bambole sessuali con sembianze infantili. A seguito della vendita di prodotti illegali in Francia e di diverse relazioni pubbliche, la Commissione sospetta che il sistema di Shein possa rappresentare un rischio sistemico per i consumatori in tutta l’Unione europea.

La Commissione chiede ora formalmente alla piattaforma di fornire informazioni dettagliate e documenti interni sul modo in cui garantisce che i minori non siano esposti a contenuti inadeguati all’età, in particolare attraverso misure di garanzia dell’età, e sul modo in cui impedisce la circolazione di prodotti illegali sulla sua piattaforma. La Commissione sta inoltre indagando sull’efficacia di tali misure di mitigazione adottate da Shein.

Il regolamento sui servizi digitali impone alle piattaforme online di dimensioni molto grandi come Shein, di valutare e attenuare adeguatamente i rischi sistemici, quali i rischi per i minori o la diffusione di contenuti illegali, che possono derivare dai loro sistemi e dalla progettazione o dal funzionamento dei loro servizi.

La Commissione sta monitorando attivamente il rispetto da parte delle suddette piattaforme, tra cui Shein, dei loro obblighi ai sensi del regolamento sui servizi digitali in tutta l’Unione europea ed è pronta ad agire. Questa è la terza richiesta di informazioni che la Commissione invia a Shein.


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