Giudici di Pace, illegittima l’esclusione per chi compie 60 anni durante il concorso

Una recente sentenza del TAR Lazio ha stabilito che l’esclusione dal concorso per la nomina a Giudice di Pace per chi supera i 60 anni nel corso della procedura è illegittima. La decisione (sentenza n. 2727 del 6 febbraio 2025) segna un’importante inversione di rotta rispetto ai precedenti pronunciamenti dello stesso tribunale, che avevano sempre ritenuto legittimo il limite anagrafico.

Il caso: esclusione per un requisito anagrafico mobile

Il requisito dell’età per diventare Giudice di Pace è fissato dal decreto legislativo 116/2017, che stabilisce un intervallo compreso tra i 27 e i 60 anni. Tuttavia, nel caso esaminato dal TAR, il candidato aveva presentato domanda quando ancora rientrava nei limiti, ma aveva superato i 60 anni durante l’iter concorsuale. Nonostante fosse primo in graduatoria, veniva quindi escluso dalla selezione.

Il TAR ha ritenuto questa esclusione ingiustificata, sottolineando come il limite anagrafico non debba valere per l’intera durata della procedura, pena la creazione di un vincolo incerto e variabile, dipendente dai tempi amministrativi della selezione.

La procedura di nomina: un iter lungo e senza tempi certi

L’iter per la selezione dei Giudici di Pace è articolato in diverse fasi:

  1. Valutazione delle domande, gestita dalla Sezione autonoma per i magistrati onorari del Consiglio giudiziario presso le Corti d’Appello, che redige le graduatorie.
  2. Proposta di ammissione al tirocinio da parte del Consiglio Superiore della Magistratura.
  3. Nomina finale, che avviene solo dopo il tirocinio semestrale, su delibera del CSM e con decreto del Ministro della Giustizia.

Non esistendo limiti temporali rigidi per ciascuna fase, il rischio di superare i 60 anni prima della nomina è concreto. Il TAR ha quindi evidenziato come il requisito dell’età, se imposto fino alla fase finale, possa trasformarsi in un ostacolo ingiustificato, influenzato dalle tempistiche della pubblica amministrazione e non dalla volontà del candidato.

Magistrati ordinari e onorari: una disparità da colmare?

Il tema del limite anagrafico per i Giudici di Pace si inserisce in un dibattito più ampio sulla disparità di trattamento tra magistratura ordinaria e onoraria. Mentre per la prima non esiste un limite di età per l’accesso, per la seconda viene imposto il tetto dei 60 anni, ora contestato. Inoltre, i magistrati ordinari possono restare in servizio fino a 70 anni, mentre quelli onorari devono cessare l’attività a 65 anni.

Un primo passo verso un’equiparazione è stato compiuto con la legge di bilancio 2022, che ha innalzato a 70 anni il limite di permanenza per alcuni magistrati onorari già in servizio. Tuttavia, la disparità resta evidente, soprattutto considerando il ruolo cruciale che i Giudici di Pace svolgono nel sistema giudiziario, sia in ambito civile che penale.

La Corte Costituzionale, già nel 1993, aveva riconosciuto che la magistratura onoraria esiste per rispondere all’esigenza di una giustizia più efficiente e accessibile. Di conseguenza, il TAR Lazio ha evidenziato come le differenze nei limiti di età possano risultare irragionevoli, visto che l’attività di giudicare richiede imparzialità e competenza, indipendentemente dallo status del magistrato.

Una sentenza destinata a fare scuola?

La decisione del TAR Lazio potrebbe avere conseguenze rilevanti sul futuro dei concorsi per la magistratura onoraria. Se confermata in sede di appello, potrebbe aprire la strada a un’interpretazione più elastica del limite anagrafico, evitando esclusioni basate su ritardi burocratici piuttosto che su reali requisiti di merito.


LEGGI ANCHE

accordo nordio zaia

Accordo Zaia-Nordio: protocollo d’intesa per una maggior efficienza della PA nel settore Giustizia

Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, ha sottoscritto un protocollo d’intesa insieme a Carlo Nordio, Ministro della Giustizia. Si tratta di un protocollo d’intesa finalizzato…

Attenzione! Nuova truffa via mail segnalata dall’Agenzia delle Entrate

Attenzione! Nuova truffa via mail segnalata dall’Agenzia delle Entrate

Tramite il comunicato stampa del 22 settembre 2020, l’Agenzia delle Entrate comunica l’esistenza di una nuova truffa via mail (phishing). Le mail di phishing segnalano…

I lati oscuri della digitalizzazione

Una delle minacce principali dell’era digitale è la criminalità informatica. Una criminalità che, sfruttando le tecnologie informatiche, commette reati come violazioni di copyright, frodi, furti,…

Giudici onorari, tra precariato e riforme: il nodo delle nuove retribuzioni

Per anni i magistrati onorari sono stati la spina dorsale della giustizia italiana, gestendo fino al 90% dei dibattimenti penali e circa la metà del contenzioso civile. Tuttavia, il loro ruolo è sempre stato segnato dal precariato: pagati a cottimo, senza contribuzione né copertura per malattia, e privi di una selezione tramite concorso.

L’Unione Europea ha aperto una procedura d’infrazione per questa situazione, spingendo il governo Draghi a varare dei concorsi ad hoc per stabilizzarli. Tuttavia, con la riforma voluta dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, attualmente in discussione al Senato, si rimettono in discussione le retribuzioni previste, con il rischio di creare nuove discriminazioni.

Il provvedimento introduce due categorie: gli “esclusivisti”, che rinunciano ad altre professioni e percepiranno 58 mila euro lordi all’anno, e i “non esclusivisti”, che continueranno a svolgere altre attività (come l’avvocatura o l’insegnamento) e saranno penalizzati con un tetto retributivo di 25 mila euro lordi annui.

“È un sopruso inaccettabile” commenta Maria Giovanna Miceli, viceprocuratore onorario e membro del direttivo dell’Associazione Magistrati Onorari Non Effettivi (AMNNE). “Prima si bandisce un concorso, poi, una volta che i vincitori hanno rinunciato ai loro contenziosi, si cambiano le condizioni in peggio.”

Il rischio è che questa riforma non risolva il problema della precarietà, ma lo aggravi, introducendo nuove disparità di trattamento tra chi sceglie il tempo pieno e chi, per necessità, deve mantenere un’attività parallela. I magistrati onorari, che da anni garantiscono il funzionamento della giustizia italiana, si trovano così di fronte a un bivio: accettare condizioni peggiorative o continuare la battaglia per il riconoscimento dei loro diritti.


LEGGI ANCHE

fake news intelligenza artificiale

Triplicati i siti che pubblicano fake news con l’Intelligenza Artificiale

NewsGuard, l’agenzia americana che si occupa di monitorare gli organi di stampa e che pubblica dei report periodici sulla loro affidabilità ha di recente fatto…

nordio interrogazione affettività carcere

Nordio: “Interventi su affettività in carcere e separazione delle carriere”

Il Guardasigilli risponde a sei interrogazioni alla Camera. Separazione delle carriere «La separazione delle carriere dei magistrati è nel programma di governo e sarà presentata…

Il Diritto all’Oblio ora è realtà

Se sei stato assolto in un processo, ora hai il diritto di richiedere che il tuo nome venga cancellato dai vari motori di ricerca. La…

Prefetture in crisi: carenza di personale e mancanza di strategie concrete contro la mafia

ROMA – “Cara presidente Meloni, quale mafia sta combattendo il Governo?” È questa la provocatoria domanda posta da Maria Rosaria Ingenito Gargano, viceprefetta a Roma e segretaria nazionale dell’Unadis, il sindacato dei dirigenti prefettizi, in una lettera inviata a Palazzo Chigi. L’accusa è chiara: la lotta alla criminalità organizzata non può essere solo un proclama politico, ma necessita di strumenti adeguati, soprattutto nelle prefetture, che negli ultimi anni hanno subito un drastico ridimensionamento del personale e delle risorse.

Secondo i dati diffusi dall’Unadis, il personale delle prefetture e delle questure si è ridotto del 25% negli ultimi anni. Su un organico previsto di 21.250 unità, nel 2023 erano operative solo 15.549 persone, con oltre 6.000 posti vacanti. Particolarmente grave è la situazione dei dirigenti: manca il 47% dei viceprefetti e viceprefetti aggiunti. Eclatante il caso della prefettura di Rimini, dove, a fronte di sette posizioni dirigenziali previste, solo tre risultano coperte, costringendo l’ufficio a ricorrere a incarichi ad interim.

A questa carenza di organico si aggiunge una riduzione delle attività di verifica e controllo, fondamentali nella prevenzione e nel contrasto alla mafia. Nel 2020 erano state esaminate il 54,97% delle domande di emersione dal lavoro nero, mentre nel 2023 la percentuale è scesa al 44%. A Milano, al 1° luglio 2023, solo il 59,21% delle 26.225 domande ricevute era stato definito, con ritardi imputati prevalentemente alla carenza di personale.

Prefetture indebolite e mafia più forte

“La persistente mancanza di personale nelle prefetture compromette inevitabilmente l’efficacia dei controlli antimafia, in particolare nelle verifiche legate agli appalti pubblici e all’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)”, denuncia Ingenito Gargano. Una situazione che rischia di favorire infiltrazioni mafiose nei settori chiave dell’economia pubblica, rendendo più difficile il contrasto alla criminalità organizzata.

Pierpaolo Romani, coordinatore nazionale dell’associazione Avviso Pubblico, sottolinea come la riforma del codice degli appalti, che richiederebbe un maggiore controllo delle prefetture, rischi di rimanere inefficace proprio per l’assenza di risorse adeguate. “Stiamo registrando una fuga dalla pubblica amministrazione: molte persone preferiscono lavorare nel privato, dove ci sono più guadagni e meno responsabilità”, aggiunge Romani.

Anche il procuratore nazionale antimafia, Giovanni Melillo, ha evidenziato le difficoltà nel contrasto alle mafie sul fronte tecnologico: molte amministrazioni pubbliche, tra cui le prefetture, soffrono di un ritardo digitale che ne limita la capacità di risposta. “Gran parte del personale negli enti locali non è nativo digitale, il che crea ulteriori rallentamenti”, osserva Romani.

Una riforma insufficiente e un problema culturale

Il Governo ha avviato un piano di rafforzamento del personale per il triennio 2025-2027, con le prime assunzioni di funzionari previste a partire da febbraio 2025. Ma per il sindacato Unadis e per Avviso Pubblico, l’efficacia di queste misure dipenderà dalla loro tempestiva attuazione e dalla capacità di colmare le lacune esistenti.

Secondo Ingenito Gargano, la recente riforma della giustizia voluta dal ministro Nordio, che si pone in continuità con la riforma Cartabia, non sta portando a una giustizia più efficiente, ma rischia di ridurre i controlli, compromettendo ulteriormente la capacità dello Stato di contrastare la criminalità organizzata.

“Si parla tanto di sicurezza, ma bisogna parlare anche di mafia e corruzione, senza metterci un ‘o’ avversativo”, conclude Ingenito Gargano. “Oggi si parte dai reati fiscali, si arriva alla mafia attraverso la frode e la corruzione. Noi abbiamo bisogno di potenziare i controlli, affinché tra efficienza e legalità ci sia un connubio, e non un’alternativa”.

Per Avviso Pubblico, il problema non è solo normativo, ma anche culturale. “Dobbiamo spiegare che i piani anticorruzione non sono inutili, non sono solo carte. Sono un argine fondamentale contro le mafie, insieme alla formazione e al senso di appartenenza allo Stato”, conclude Romani. Ma la sensazione, avverte, è che ci sia un nuovo e generale “fastidio per le regole”. Un pericoloso segnale di arretramento nella lotta alla criminalità organizzata.


LEGGI ANCHE

cnf dimissioni presidente Mascherin

C.N.F.: è finita l’era Mascherin

Danno le dimissioni il presidente e i tre consiglieri Picchioni, Orlando e Savi A seguito della sua sospensione, Andrea Mascherin rassegna le dimissioni da presidente…

ChatGPT e lo scenario Terminator: le IA uccideranno il lavoro dell’avvocato?

«Mano a mano che i nostri sistemi si avvicinano alla Agi (Intelligenza Artificiale Generale, ovvero un’intelligenza artificiale con abilità cognitive pari a quelle dell’uomo), stiamo…

social fisco

I social sono la nuova arma del fisco per combattere l’evasione

I social media, nell’epoca digitale, non sono soltanto semplici piattaforme di condivisione della vita quotidiana, ma sono anche strumenti utili per combattere l’evasione fiscale. Maurizio…

Nordio in Argentina, focus su lotta al crimine organizzato ed estradizioni

Ultima tappa in Sudamerica per il Guardasigilli Carlo Nordio. Nella breve visita a Buenos Aires, in Argentina, il Ministro ha avuto un colloquio con l’omologo Mariano Cuneo Libarona. I due colleghi hanno approfondito il settore degli strumenti di lotta alla criminalità organizzata, sui quali l’Italia ha una lunga esperienza ed è considerata dall’Argentina un partner strategico.

Durante l’incontro – il secondo dopo quello del 18 febbraio scorso in via Arenula – Nordio ha ribadito la volontà di proseguire con i negoziati per nuovi accordi di cooperazione in materia di assistenza penale e di estradizione. A questo proposito, il Guardasigilli ha espresso soddisfazione per il sostegno assicurato dal governo argentino sul caso di Leonardo Bertulazzi, noto esponente della colonna genovese delle Brigate Rosse arrestato per la prima volta a Buenos Aires lo scorso agosto, dopo decenni di latitanza. Di pochi giorni fa è il via libera della Quinta Camera della Suprema Corte argentina all’estradizione in Italia.

Questo caso mi riporta al mio ingresso in magistratura; ho indagato sulla colonna veneta delle Br tra il 1980 e il 1982, ascolto questi nomi con una certa emozione”, ha detto il Guardasigilli rivolgendosi al collega Cuneo Libarona, e aggiunto che “è massimo il rispetto dell’autonomia e indipendenza della magistratura argentina, e a maggior ragione delle decisioni che prenderà il governo, al quale peraltro siamo molto grati perché ha dimostrato grande sensibilità”.

Sul fronte della cooperazione, il Ministro ha annunciato l’intensificazione degli scambi sul piano della formazione, con l’invio di due magistrati italiani esperti in materia di confische alle mafie, lotta alla corruzione e attività antiriciclaggio per tenere un corso di due settimane a beneficio dei colleghi argentini.


LEGGI ANCHE

dati informatici Servicematica

Accesso ai dati informatici: quando il backup di un socio è abusivo

Immaginate di avere un socio che decide di avviare una propria attività, in concorrenza con la vostra, e, prima di andarsene, effettui l’accesso ai dati…

Facebook può sospendere gli account degli utenti no-vax?

I social network hanno il potere di sospendere gli account degli utenti no-vax e rimuovere i contenuti che promuovono fake news in tema di sanità?…

sottoscrizione illeggibile

Procura alle liti con sottoscrizione illeggibile: valida o no?

Se non è possibile decifrare la firma, la procura alle liti può essere considerata valida? Con l’ordinanza n. 6426/2021, pubblicata il 9 marzo 2021, la…

Intelligenza artificiale e giornalismo: otto giornalisti su dieci chiedono regole chiare

L’intelligenza artificiale sta rivoluzionando il mondo dell’informazione, ma i giornalisti italiani chiedono chiarezza e regole precise. Otto su dieci ritengono necessaria una regolamentazione dell’IA generativa e chiedono trasparenza nell’indicazione dei contenuti prodotti o modificati con questi strumenti. È quanto emerge dalla ricerca “L’IA nella professione giornalistica”, realizzata dall’Ordine nazionale dei giornalisti in collaborazione con l’Università LUMSA, con l’obiettivo di analizzare l’impatto della tecnologia sul settore dell’informazione.

Il profilo del campione e il livello di conoscenza dell’IA

L’indagine, condotta tra novembre 2024 e gennaio 2025, ha coinvolto 972 giornalisti tra professionisti e pubblicisti, con un’età media tra i 43 e i 58 anni. Il 63,3% dei rispondenti è pubblicista, mentre il 36,7% è giornalista professionista. La maggior parte lavora in piccole redazioni (1-10 giornalisti) e con contratti atipici.

Nonostante il dibattito sull’intelligenza artificiale sia in crescita, il livello di familiarità con questi strumenti è ancora basso. L’unico ambito con una diffusione significativa è la traduzione automatica, probabilmente per la sua immediata utilità nel lavoro quotidiano. Strumenti avanzati come il fact-checking automatizzato, la gestione dei social media e la generazione di contenuti audiovisivi vengono ancora utilizzati sporadicamente.

IA tra opportunità e rischi

I giornalisti riconoscono alcuni vantaggi dell’IA nel loro lavoro: il 63,3% ne apprezza la capacità di velocizzare la produzione di contenuti, mentre il 60,8% la considera utile per raccogliere informazioni. Tuttavia, solo il 20% ritiene che l’intelligenza artificiale possa migliorare la verifica delle fonti, confermando l’importanza del ruolo umano nel controllo delle notizie.

Le principali preoccupazioni riguardano la qualità dell’informazione: il 50,2% teme un aumento di contenuti di bassa qualità, mentre altri sottolineano il rischio di una maggiore diffusione di fake news e il possibile ampliamento del divario generazionale nelle redazioni.

Una forte richiesta di formazione

Un dato significativo emerso dalla ricerca è l’interesse per la formazione sull’uso dell’IA: il 70% dei giornalisti si dichiara molto interessato a partecipare a corsi specifici, mentre un altro 20% è moderatamente interessato. Tra le priorità formative richieste, spiccano un corso introduttivo sull’IA (30,2%), l’uso degli strumenti di IA per la raccolta e l’analisi dei dati (28,7%) e il fact-checking automatizzato (15,7%).

Barachini: “Superare la dicotomia tra rischi e opportunità”

Alla presentazione della ricerca presso la LUMSA è intervenuto, con un videomessaggio, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’Editoria, Alberto Barachini, che ha sottolineato l’importanza di trovare un equilibrio tra innovazione e regolamentazione.

“Dobbiamo superare la dicotomia tra rischi e opportunità e lavorare affinché l’IA possa svilupparsi nel miglior modo possibile per il giornalismo,” ha dichiarato Barachini. Il governo sta lavorando a un disegno di legge che prevede tre pilastri fondamentali: la difesa del copyright per garantire il sostegno economico al settore, l’obbligo di identificare chiaramente i contenuti modificati con IA e l’introduzione del reato di deepfake per contrastare la manipolazione delle informazioni.

“In un’epoca in cui la fiducia nel giornalismo è messa alla prova, è fondamentale preservare l’integrità del sistema informativo e formare nuovi professionisti con competenze digitali avanzate. L’IA deve essere uno strumento al servizio del giornalismo, non una minaccia alla sua essenza,” ha concluso il sottosegretario.


LEGGI ANCHE

Comincia il congresso Aiga: a Bari attesi oltre 900 congressisti da tutta Italia

Comincia oggi a Bari il XXVII Congresso dell’Associazione Italiana Giovani Avvocati, che durerà tre giorni e avverrà all’interno del teatro Piccinni. Si prevede l’arrivo di…

UNCC presenta il piano straordinario per la Giustizia

UNCC presenta il piano straordinario per la Giustizia

L’UNCC, Unione Nazionale delle Camere Civili, ha presentato al Ministro Bonafede il proprio piano straordinario per la Giustizia. Il progetto si compone di 3 punti…

Come sconfiggere i call center e il telemarketing selvaggio?

Chiamano a qualsiasi ora. Dall’altra parte del telefono sentiamo una voce meccanica o una persona fisica che recita una filastrocca di servizi e di offerte.…

Regolamentare il potere digitale: la sfida delle tecnologie emergenti

Dall’inizio del XXI secolo, il progresso tecnologico ha trasformato profondamente la società, rivoluzionando le modalità di comunicazione, produzione e interazione sociale. L’accesso diffuso a Internet, la nascita delle piattaforme digitali e l’avvento dell’intelligenza artificiale (IA) hanno reso il mondo più interconnesso, ma anche più vulnerabile a nuove forme di concentrazione del potere economico e decisionale.

Se da un lato la tecnologia ha aperto opportunità senza precedenti, dall’altro ha sollevato questioni complesse su privacy, sorveglianza, manipolazione delle informazioni e concentrazione del potere in poche mani. Il cuore del problema è come bilanciare innovazione e regolamentazione, evitando che la tecnologia diventi strumento di esclusione e dominio.

Il potere degli algoritmi e la regolamentazione tardiva

L’intelligenza artificiale è oggi una tecnologia pervasiva, impiegata in settori strategici che vanno dalla sanità alla sicurezza, dalla finanza alla pubblica amministrazione. I sistemi di riconoscimento facciale, i modelli predittivi per la gestione del rischio e gli algoritmi che influenzano le scelte di consumo sono solo alcuni esempi del ruolo crescente dell’IA nella società. Tuttavia, il potere algoritmico nasce e si sviluppa prevalentemente in un contesto privatistico, dominato da grandi corporation che estraggono valore dai dati personali.

Questa dinamica ha portato a un fenomeno di concentrazione del potere senza precedenti: le grandi piattaforme digitali controllano enormi quantità di informazioni e influenzano in modo significativo le economie nazionali e le democrazie. Le autorità di regolamentazione, spesso in ritardo rispetto all’evoluzione tecnologica, faticano a rispondere con normative adeguate, lasciando aperta la questione su come garantire un accesso equo alle risorse digitali e proteggere i diritti fondamentali dei cittadini.

Tecnologia e società: progresso o disuguaglianza?

Il progresso tecnologico è sempre stato un motore di cambiamento sociale, ma non necessariamente sinonimo di progresso umano. La storia dimostra che ogni innovazione porta con sé vincitori e vinti, creando nuove infrastrutture e nuove forme di potere. Se l’invenzione del motore a vapore e dell’elettricità hanno rivoluzionato l’economia e migliorato le condizioni di vita, la rivoluzione digitale pone sfide inedite: la dematerializzazione delle comunicazioni e la monetizzazione dei dati personali stanno ridefinendo il concetto stesso di autonomia individuale e collettiva.

Gli effetti negativi della concentrazione di potere digitale sono già evidenti: dal controllo monopolistico delle informazioni ai rischi per la sicurezza informatica, dall’uso distorto degli algoritmi per influenzare opinioni e comportamenti fino alla creazione di nuove disuguaglianze sociali.

Governo dell’IA: un approccio interdisciplinare

La regolamentazione dell’intelligenza artificiale e delle piattaforme digitali non può essere affrontata solo da un punto di vista tecnico o giuridico, ma richiede un approccio interdisciplinare che coinvolga tecnologi, giuristi, economisti ed esperti di etica.

Un passo fondamentale in questa direzione è lo sviluppo di un quadro normativo che promuova la trasparenza e la responsabilità nell’uso degli algoritmi. Le recenti normative europee, come il Regolamento sull’Intelligenza Artificiale (AI Act), cercano di stabilire principi chiari per garantire che l’IA sia utilizzata in modo sicuro ed equo. Tuttavia, resta ancora molto da fare per evitare che la regolamentazione si limiti a una reazione tardiva ai problemi emergenti, invece di prevenire il consolidamento di nuovi squilibri di potere.

Un futuro basato su equità e partecipazione

Per controllare il potere digitale e garantire un accesso equo alle infrastrutture tecnologiche, è necessario un impegno collettivo che ponga al centro valori pubblici e umanistici. La partecipazione attiva dei cittadini ai processi decisionali, la promozione di un’economia digitale più inclusiva e l’integrazione di principi etici nello sviluppo delle nuove tecnologie rappresentano strumenti essenziali per affrontare le sfide del futuro.

L’intelligenza artificiale e le tecnologie digitali possono essere una leva straordinaria di progresso, ma solo se governate con regole chiare, trasparenti e orientate al bene comune. Il dialogo tra innovazione e regolamentazione non deve essere visto come un ostacolo allo sviluppo, ma come un’opportunità per costruire una società digitale più equa e sostenibile.


LEGGI ANCHE

Indennità più alte nella sanità: aumenti per medici e infermieri

Oltre ai medici, beneficeranno dell’aumento delle indennità anche gli operatori del pronto soccorso, i veterinari, gli infermieri e altri professionisti del settore sanitario e socio-sanitario.

Carceri, allarme suicidi: quarto caso a Poggioreale dall’inizio dell’anno

Il ragazzo si è impiccato, segnando il quarto suicidio nel penitenziario napoletano dall’inizio del 2024.

Cassa Forense, Contributo integrativo minimo: pagamento anche con F24

Con una nota, Cassa Forense comunica che il contributo minimo integrativo per il 2023 potrà essere versato anche tramite modello F24, oltre a PagoPA. L’utilizzo…

AI Act: l’Europa tra divieti e linee guida

Dal 2 febbraio 2024 è ufficialmente iniziata la prima fase attuativa dell’AI Act (Regolamento UE 2024/1689), il primo quadro normativo europeo per disciplinare l’uso dell’Intelligenza Artificiale. Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale UE lo scorso luglio, il regolamento introduce misure graduali per garantire un utilizzo sicuro e responsabile della tecnologia AI, prevedendo anche divieti per sistemi considerati ad alto rischio.

Tra le prime disposizioni entrate in vigore rientrano quelle relative alle pratiche vietate (art. 5), che impediscono l’uso di applicazioni IA ritenute a “rischio inaccettabile”. In particolare, il divieto riguarda strumenti capaci di manipolare il comportamento umano, sistemi di riconoscimento biometrico atti a classificare le persone e applicazioni che analizzano le emozioni nei luoghi di lavoro. Si tratta di un primo passo fondamentale nella tutela dei diritti fondamentali nell’Unione Europea, ma la piena applicazione del regolamento arriverà solo il 2 agosto 2026, attraverso fasi successive.

Le prossime tappe dell’AI Act

Dal prossimo agosto entreranno in vigore ulteriori disposizioni riguardanti le autorità di notifica, le norme specifiche per i sistemi di IA ad uso generale, il quadro di governance e il regime sanzionatorio. Uno degli strumenti chiave per accompagnare questa fase sarà il Codice di Condotta, un documento che definirà criteri e indicatori per la valutazione della conformità ai requisiti normativi.

L’Ufficio AI della Commissione Europea, incaricato di supervisionare l’attuazione dell’AI Act, ha avviato quattro gruppi di lavoro composti da esperti indipendenti per la stesura del Codice di Condotta. Questi gruppi analizzeranno aspetti cruciali come la trasparenza, la governance dei modelli di AI ad uso generale (GPAI), il rispetto del diritto d’autore e la gestione dei rischi associati all’IA. Il documento definitivo è atteso per la fine di aprile.

Un regolamento complesso con impatti su imprese e professionisti

L’AI Act rappresenta una sfida significativa per imprese e professionisti del settore. Con le sue 144 pagine, 113 articoli e 180 considerando, il regolamento è un testo normativo articolato, che impone alle aziende di verificare la conformità dei propri prodotti AI e di adattare le pratiche contrattuali nelle forniture e negli acquisti di componenti AI.

Per questo motivo, il Codice di Condotta è atteso con particolare interesse dagli operatori del mercato, che necessitano di linee guida chiare e applicabili. Oltre a fornire strumenti di valutazione e mitigazione dei rischi, il documento avrà il compito di semplificare l’adozione delle nuove norme e di ridurre l’esposizione delle aziende a sanzioni, che possono essere molto onerose.

Infine, il regolamento pone nuove sfide anche per i professionisti della consulenza legale e tecnologica. La crescente complessità delle tecnologie AI richiede competenze specifiche, spesso non ancora diffuse tra gli esperti del settore. La formazione e l’aggiornamento continuo diventeranno elementi essenziali per supportare le imprese nella corretta applicazione della normativa e per garantire un equilibrio tra innovazione e tutela dei diritti nell’ecosistema digitale europeo.


LEGGI ANCHE

modello italia chatgpt

Modello Italia: un’IA Made in Italy

Il 24 gennaio 2024, Uljan Sharka, imprenditore italiano di origine albanese, ha annunciato la nascita di una nuova intelligenza artificiale, Modello Italia. Si tratta di…

recovery plan

Recovery Plan, le proposte del CNF

Con l’obiettivo di offrire il proprio «contributo alla modernizzazione della giustizia», il CNF ha inviato al Governo le proprie proposte da affiancare al Recovery Plan.…

logo associazione nazionale magistrati

ANM: “Comportamenti Natoli manifestano assoluta inadeguatezza”

ROMA, 25 luglio – “I fatti emersi negli scorsi giorni e riguardanti la componente di nomina politica del Consiglio Superiore della Magistratura e della sua…

Google-Enel, la Corte Ue conferma l’abuso di posizione dominante

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che il rifiuto di una piattaforma digitale in posizione dominante di garantire l’interoperabilità a un’applicazione di terzi può costituire un abuso, a meno che non vi siano valide ragioni tecniche o di sicurezza. Il verdetto arriva con la sentenza sulla causa C-233/23, scaturita da un contenzioso tra Google e l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Agcm) italiana.

Il caso riguarda JuicePass, un’app di Enel per la gestione delle stazioni di ricarica per veicoli elettrici. Enel aveva chiesto l’integrazione con Android Auto, la piattaforma di Google per l’uso delle app sugli schermi delle auto, ma il colosso digitale aveva negato l’interoperabilità. L’Agcm aveva sanzionato Google con una multa superiore ai 100 milioni di euro, ritenendo il rifiuto anticoncorrenziale.

Secondo la Cgue, il diniego può essere considerato abuso anche se l’app può funzionare senza la piattaforma dominante, poiché la visibilità garantita da quest’ultima influisce sull’attrattività del servizio per il pubblico. Tuttavia, Google avrebbe potuto giustificare il rifiuto dimostrando rischi concreti per la sicurezza o difficoltà tecniche insormontabili.

Ora il Consiglio di Stato dovrà decidere se Google abbia abusato della sua posizione di mercato o se il rifiuto fosse legittimo. La sentenza rappresenta un importante precedente per il settore digitale e per le regole sulla concorrenza nell’ecosistema delle piattaforme online.


LEGGI ANCHE

La battaglia contro la burocrazia italiana per il suicidio medicalmente assistito, l’appello dell’associazione Luca Coscioni

Nonostante il suicidio medicalmente assistito sia legale in Italia a determinate condizioni, previste dalla sentenza 242 del 2019 della Consulta, il Servizio Sanitario Nazionale non…

esame avvocato 2023

Esame avvocato 2023: pubblicato il bando

Il Guardasigilli Nordio ha firmato il dm 2 agosto 2023 con il bando dell’esame di Stato per l’abilitazione alla professione di avvocato. Nell’esame è prevista…

Sentenza Cgue: Facebook non può usare senza limiti i dati personali degli utenti

La Cgue ha ribadito che la protezione dei dati personali degli utenti è un diritto fondamentale e che le piattaforme digitali devono rispettare rigorosamente i…

Corte Ue: tetto del 4% sulle provvigioni immobiliari legittimo, ma con limiti

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che il diritto comunitario non impedisce agli Stati di fissare un tetto massimo del 4% sulle provvigioni delle agenzie immobiliari. Tuttavia, tale misura deve essere giustificata da motivi di interesse generale e non devono esistere alternative meno restrittive per ottenere lo stesso risultato.

La sentenza nasce da un caso sloveno in cui la legge nazionale limita le commissioni al 4% del prezzo di vendita o di locazione, con un massimo pari a una mensilità d’affitto. La Corte costituzionale slovena, dubbiosa sulla conformità della norma alla direttiva Ue sui servizi, ha chiesto un parere ai giudici di Lussemburgo.

Secondo la Corte Ue, la misura non è discriminatoria e può favorire l’accessibilità agli alloggi e la trasparenza dei prezzi, proteggendo i consumatori, specialmente quelli più vulnerabili. Ora spetterà alla Corte costituzionale slovena verificare se il limite imposto sia effettivamente necessario o se esistano soluzioni meno restrittive.


LEGGI ANCHE

Le macchine volanti sono legali?

Lo scorso 15 luglio, la Federal Aviation Administration (FAA) ha dato il consenso a Samson Switchblade, un veicolo a tre ruote in grado di volare.…

La Forense Card: un supporto per il pagamento dei contributi previdenziali

Uno strumento gratuito, sicuro e versatile per gli iscritti alla Cassa Forense

Colpa medica, l’infermiere deve monitorare anche i pazienti in codice verde

La Cassazione: non basta rilevare i parametri vitali, il personale di triage deve osservare l’evoluzione dei sintomi e sollecitare l’intervento medico in caso di peggioramento

Notifica via PEC fallita: il tribunale deve ripeterla se la causa è ignota

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8361 depositata il 28 febbraio 2025, ha stabilito che in caso di notifica via PEC non andata a buon fine per cause sconosciute, il tribunale deve procedere a un nuovo invio. La decisione, che accoglie il ricorso di un uomo condannato per stalking, ribadisce la tutela del diritto di difesa rispetto alla sola efficienza del processo.

Secondo la V Sezione penale, la notifica dell’avviso di udienza al difensore dell’imputato, se non consegnata per motivi incerti, non può ritenersi valida. La giurisprudenza ha già chiarito che il difensore è responsabile della gestione della propria PEC, ma nel caso in cui la mancata consegna non sia riconducibile né al destinatario né alla cancelleria, la notifica si considera non avvenuta.

Richiamando la Corte Costituzionale (sent. n. 111/2022), la Cassazione sottolinea che il diritto di difesa dell’imputato prevale sulla celerità del processo. Per questo, in assenza di una causa chiara per il mancato recapito, la cancelleria dovrà rinnovare la notifica, sfruttando proprio l’agilità dello strumento telematico.


LEGGI ANCHE

Giustizia, Nordio: “Fondamentale la collaborazione tra Csm e ministro”

«La collaborazione tra Csm e Ministro è la chiave per restituire al Paese una giustizia sempre più vicina ai bisogni della collettività». Esordisce così il…

comunicato stampa

Sovraindebitamento; Giaconia (OCF): “Urgente patrocinio a speso dello Stato per cittadini meno abbienti”

SOVRAINDEBITAMENTO; GIACONIA (OCF): “URGENTE  PATROCINIO A SPESE DELLO STATO PER CITTADINI MENO ABBIENTI. ULTIMA DECISIONE CORTE COSTITUZIONALE NE ESTENDE L’AMMISSIBILITA’” Roma 5 luglio 2024 – “Secondo…

dossieraggio nordio

Dossieraggio, Nordio pensa a una commissione d’inchiesta: dubbi da Crosetto e opposizione

Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha aperto alla possibilità di istituire una commissione d’inchiesta sull’indagine di Perugia in materia di dossieraggio. La proposta ha…

Servicematica

Nel corso degli anni SM - Servicematica ha ottenuto le certificazioni ISO 9001:2015 e ISO 27001:2013.
Inoltre è anche Responsabile della protezione dei dati (RDP - DPO) secondo l'art. 37 del Regolamento (UE) 2016/679. SM - Servicematica offre la conservazione digitale con certificazione AGID (Agenzia per l'Italia Digitale).

Iso 27017
Iso 27018
Iso 9001
Iso 27001
Iso 27003
Agid
RDP DPO
CSA STAR Registry
PPPAS
Microsoft
Apple
vmvare
Linux
veeam
0
    Prodotti nel carrello
    Il tuo carrello è vuoto