PA Digitale: arriva il Social Media Manager ufficiale nella Pubblica Amministrazione

La comunicazione pubblica entra finalmente nell’era digitale con un riconoscimento ufficiale: con l’approvazione del Decreto PA (DL 69/2025), viene istituita negli organici della Pubblica Amministrazione la figura del gestore della comunicazione digitale, una sorta di social media manager in grado di gestire i canali ufficiali degli enti e il dialogo online con i cittadini.

Fino ad oggi, le attività sui social delle istituzioni erano spesso affidate a figure ibride — consulenti esterni, addetti stampa o dipendenti già in servizio — senza una vera e propria qualifica specifica. Ora, grazie a una norma inserita nel decreto (articolo 4-bis), gli enti potranno prevedere questa figura professionale tra le assunzioni autorizzate, adeguando così i propri organici alle esigenze di una comunicazione sempre più digitale, rapida e accessibile.

Secondo i dati forniti dall’Associazione Nazionale Social Media Manager, in Italia operano oltre 73mila professionisti nel settore della comunicazione digitale, di cui più di 15mila freelance attivi su LinkedIn. Tuttavia, molti di loro rimangono esclusi da tutele specifiche e da un inquadramento normativo adeguato.

“Questa professione sta assumendo un ruolo sempre più strategico”, spiega Riccardo Pirrone, presidente dell’associazione di categoria. “Non si tratta più solo di pubblicare un post, ma di costruire un dialogo costante e credibile con la cittadinanza, gestire crisi reputazionali e presidiare gli spazi digitali nel rispetto delle norme”.

Il prossimo obiettivo sarà definire un codice Ateco dedicato, che permetta di inquadrare in modo univoco i professionisti del settore, sia autonomi che inseriti in strutture organizzate. Questo permetterà di garantire maggiori tutele, riconoscimenti e di favorire la formazione continua di una figura che, anche alla luce dello sviluppo delle tecnologie digitali e dell’intelligenza artificiale, sarà centrale nella gestione dei servizi pubblici digitali.

La necessità di riconoscere e regolamentare il lavoro di chi gestisce la comunicazione istituzionale online nasce anche dai rischi professionali legati a errori, violazioni di privacy o danni reputazionali, che oggi spesso ricadono direttamente sui singoli professionisti in assenza di coperture assicurative specifiche.


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Influencer e content creator: nuove regole contrattuali e contributive

Il settore dell’influencer marketing è in rapida espansione e, con esso, crescono anche le questioni giuridiche e contributive legate alla gestione dei rapporti tra brand e creator digitali. A partire dal 1° gennaio 2025, infatti, sono cambiate le regole per l’inquadramento di influencer e content creator, con importanti ricadute per le aziende committenti.

Attualmente, la maggior parte di questi rapporti viene inquadrata come lavoro autonomo, ma la mancanza di una disciplina normativa dedicata ha lasciato spazio a dubbi e contenziosi. Non è raro, infatti, che le modalità di collaborazione possano assumere caratteristiche tali da far ricadere il rapporto sotto altre tipologie contrattuali, con conseguenze economiche e contributive rilevanti.

La questione è tornata di stretta attualità dopo una recente sentenza del Tribunale di Roma (n. 3615/2024), che ha condannato un’azienda al pagamento di contributi previdenziali arretrati, riconoscendo l’esistenza di un vero e proprio rapporto di agenzia tra il brand e un influencer, sulla base di elementi come il pagamento di provvigioni, l’associazione di codici sconto e la stabilità della collaborazione.

In linea generale, i rapporti con influencer possono assumere forme diverse:

  • lavoro autonomo tradizionale, inquadrato nella Gestione Separata o, in alcuni casi, nella Gestione Commercianti INPS;

  • collaborazioni coordinate e continuative, qualora le modalità operative siano concordate ma il creator mantenga una certa autonomia;

  • rapporti assimilabili al lavoro subordinato o etero-organizzato, se l’azienda esercita un controllo significativo sulle attività del creator (stabilendo, ad esempio, contenuti, tempistiche, canali di pubblicazione e approvazioni preventive).

Alla luce di questi scenari, il contratto stipulato con l’influencer diventa uno strumento essenziale per regolare correttamente il rapporto, sia sotto il profilo commerciale che giuslavoristico. È opportuno definire in modo preciso:

  • frequenza e contenuto delle pubblicazioni;

  • canali social e hashtag da utilizzare;

  • modalità di approvazione dei contenuti;

  • determinazione del compenso e regole di pagamento.

L’obiettivo è duplice: garantire coerenza rispetto agli obiettivi di marketing e prevenire rischi legati a riclassificazioni contrattuali, richieste contributive e sanzioni.

Il valore del mercato italiano dell’influencer marketing è stimato intorno ai 370 milioni di euro e destinato a crescere ulteriormente. Per questo motivo, aziende e professionisti sono chiamati a definire con attenzione i propri rapporti di collaborazione, adeguando contratti e procedure interne alla nuova realtà digitale e normativa.


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Contributi previdenziali e notai: la Cassazione ribadisce la deducibilità dal reddito di lavoro autonomo

Torna al centro dell’attenzione il tema della deducibilità dei contributi previdenziali obbligatori per i notai. Con l’ordinanza n. 1690/2025, la Cassazione ha ribadito un principio ormai consolidato nella sua giurisprudenza: i contributi previdenziali versati in relazione all’attività professionale devono essere dedotti direttamente dal reddito di lavoro autonomo e non dal reddito complessivo.

La vicenda nasce da un accertamento Irap nei confronti di uno studio associato di notai, cui era contestata la deduzione dei contributi versati alla Cassa Nazionale del Notariato dal reddito professionale, ritenendo invece l’Agenzia delle Entrate che tali somme andassero sottratte solo dal reddito complessivo. La Suprema Corte ha però confermato la posizione dei professionisti, cassando la sentenza favorevole all’amministrazione finanziaria e richiamando una lunga serie di pronunce precedenti (tra cui Cass. 7340/2021, 18395/2020, 321/2018).

Il concetto di “inerenza” dei contributi all’attività professionale svolta — sottolinea la Corte — è decisivo per determinarne la deducibilità dal reddito di lavoro autonomo e, di conseguenza, l’esclusione di tali importi dalla base imponibile Irap. Questo principio vale indipendentemente dalla riscossione o meno del compenso per la prestazione svolta e dall’eventuale gratuità della stessa.

Curiosamente, osserva la dottrina, il legislatore nella recente riforma fiscale approvata con il Dlgs 192/2024 aveva inizialmente previsto all’articolo 54-septies una disposizione esplicita sulla deducibilità dei contributi previdenziali per tutte le categorie professionali dal reddito di lavoro autonomo. Tuttavia, tale previsione è stata eliminata dal testo definitivo, mantenendo in vita una disparità tra notai, artisti e altri professionisti.

Attualmente, infatti, solo i forfettari possono dedurre i contributi nel quadro LM, mentre gli altri professionisti devono continuare a dedurli nel quadro RP del modello Redditi, ovvero dal reddito complessivo e non direttamente da quello professionale, con effetti differenti sul calcolo dell’Irap.

Il contenzioso continua dunque a interessare diverse categorie professionali e, come sottolineano gli esperti, la recente decisione della Cassazione potrebbe alimentare ulteriori richieste di chiarimento e interventi normativi per uniformare definitivamente il trattamento fiscale dei contributi previdenziali obbligatori.

Un tema ancora aperto, destinato probabilmente a rientrare nel dibattito fiscale dei prossimi mesi, specie in vista delle future tappe di attuazione della riforma tributaria.


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PMI: la burocrazia costa 80 miliardi. In UE siamo i peggiori

La burocrazia rappresenta un vero e proprio nemico invisibile che pesa ingiustamente sul sistema delle nostre Pmi, drenando almeno 80 miliardi di euro all’anno[1]. È un fardello insopportabile che “schiaccia” soprattutto le microimprese, costrette a destreggiarsi tra moduli da compilare, documenti da produrre, timbri da apporre e file interminabili agli sportelli pubblici solo per ottenere una semplice informazione. Questi disagi tratteggiano quotidianamente la vita di tantissimi imprenditori e a denunciarli ci ha pensato l’Ufficio studi della CGIA.

Nonostante qualche timido passo in avanti fatto negli ultimi anni, la complessità delle norme e, spesso, l’impossibilità pratica di applicarle rappresentano un “dramma” insopportabile. Senza contare che i tempi medi per il rilascio di permessi e autorizzazioni da parte della nostra Pubblica Amministrazione (PA) restano tra i più elevati d’Europa; uno score da non andare particolarmente fieri e riconducibile, in particolare, a un livello di digitalizzazione dei servizi pubblici ancora troppo basso. Di conseguenza, a pagare il conto sono le aziende: che sottraggono tempo prezioso e risorse economiche fondamentali alla loro attività produttiva.

Sia chiaro: fare di tutta l’erba un fascio è sempre sbagliato. Nessuno, men che meno la CGIA, può disconoscere che anche la nostra PA presenta delle punte di eccellenza che ci sono invidiate in tutto il mondo; pensiamo alla sanità, alla ricerca, all’università e alla sicurezza. Purtroppo, la macchina dello Stato nel suo complesso funziona mediamente con difficoltà, soprattutto in molte regioni del Mezzogiorno, dove l’inefficienza costituisce un tratto caratteristico di queste realtà pubbliche. Non solo. A preoccupare cittadini e imprese sono i tempi di risposta e i costi della burocrazia che sono diventati una patologia non più sopportabile. Avremmo bisogno di un servizio pubblico efficiente ed economicamente vantaggioso, invece, ci ritroviamo con una macchina pubblica “scassata” che fatica a tenere il passo con i cambiamenti epocali in atto.

  • E’ previsto un taglio di 30.700 norme

Sappiamo tutti che soluzioni miracolistiche non ce ne sono, tuttavia la semplificazione del quadro normativo sembra essere una delle operazioni più auspicabili da perseguire per alleggerire il peso della burocrazia normativa. E finalmente qualche segnale importante sta giungendo dall’azione politica della maggioranza. All’inizio dello scorso mese di aprile è stato approvato un disegno di legge del governo che prevede l’abrogazione di oltre 30.700 norme emanate tra il 1861 e il 1946. Una volta approvata definitivamente, questa misura ridurrà del 28 per cento lo stock delle norme vigenti. Speriamo che i tempi di approvazione siano ragionevolmente brevi.

  • In Ue siamo tra i peggiori

Anche dal confronto con gli altri Paesi, emerge che la nostra PA sconta dei differenziali di inefficienza molto preoccupanti. Secondo una recente indagine condotta dalla Banca Europea degli Investimenti (BEI), il 90 per cento delle imprese italiane ha dichiarato di avere del personale impiegato per adempiere agli obblighi normativi. Tra i paesi big dell’Unione, nessun altro ha registrato un risultato peggiore. Se in Francia il dato si è attestato all’87 per cento, in Germania è sceso all’ 84 e in Spagna all’ 82. La media UE, invece, si è stabilizzata all’86 per cento (vedi Graf. 1). Tuttavia, la cosa più preoccupante che emerge da questa indagine è riconducibile al fatto che in Italia il 24 per cento degli imprenditori intervistati ha dichiarato che impiegano oltre il 10 per cento del proprio personale per espletare tutte le formalità richieste dalla legge, dato che scende al 14 per cento sia in Francia sia in Spagna e all’11 per cento in Germania. La media UE, invece, è pari al 17 per cento.

  • Situazione drammatica tra gli Enti locali del Sud

Secondo la periodica indagine condotta nel 2024 dall’Università di Göteborg sulla qualità istituzionale[2] delle Pubbliche Amministrazioni presenti nelle 210 regioni dell’Unione Europea, i risultati delle realtà territoriali italiane sono state molto modeste. La CGIA segnala che la prima regione d’Italia è il Friuli Venezia Giulia che si colloca al 63 posto a livello europeo. Seguono la provincia Autonoma di Trento (81°), la Liguria (95°) e la Provincia Autonoma di Bolzano (96°). Male le regioni del Sud: Puglia al 195° posto, Calabria al 197°, il Molise al 207° e la Sicilia al 208° si collocano proprio in coda alla classifica generale (vedi Tab. 1 e Graf. 2). In UE, infine, la regione più efficiente è la finlandese Åland; maglia nera, invece, è la realtà bulgara di Severozapaden (vedi Tab. 2).

[1] Studi economici dell’Ocse – Italia, settembre 2021, pag. 100.

[2] L’indice finale sulla qualità istituzionale è frutto di un mix di quesiti posti ai cittadini che riguardano la qualità dei servizi pubblici, l’imparzialità con la quale questi vengono assegnati e la corruzione. Nello specifico i quesiti convergono su tre servizi pubblici che hanno valenza più “territoriale”: istruzione, sanità e pubblica sicurezza.


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L’Ordine degli Avvocati lancia una piattaforma per valutare i magistrati, scatta la protesta della Confsal-UNSA

MILANO — Sale la tensione negli uffici giudiziari milanesi dopo la decisione dell’Ordine degli Avvocati di Milano di attivare una piattaforma digitale per raccogliere segnalazioni — positive e negative — sull’operato dei magistrati e del personale amministrativo della giustizia. Una novità resa possibile dalla recente riforma dell’ordinamento giudiziario, ma che ha subito sollevato critiche da parte della Confsal-UNSA, sindacato da sempre in prima linea nella difesa dei diritti del personale del Pubblico Impiego.

In una nota ufficiale inviata al Consiglio dell’Ordine e per conoscenza al personale della Giustizia, la Confsal-UNSA ha espresso “sconcerto” per l’iniziativa, ritenendola potenzialmente lesiva del clima lavorativo e della serenità degli uffici, già provati da gravi carenze di organico e da carichi di lavoro insostenibili.

“Pur riconoscendo le finalità di miglioramento dell’efficienza del sistema giudiziario” — si legge nella comunicazione — “riteniamo che una piattaforma di questo tipo possa generare un clima di tensione e sfiducia, andando a colpire in particolare il personale amministrativo che opera con dedizione e professionalità”.

Alla luce di queste preoccupazioni, il sindacato ha chiesto l’immediata sospensione della piattaforma dell’Ordine degli Avvocati, annunciando contestualmente la decisione di attivarne una propria. La nuova piattaforma sarà riservata agli iscritti Confsal-UNSA del Ministero della Giustizia e consentirà di segnalare, in totale sicurezza e riservatezza, eventuali comportamenti scorretti o vessatori riscontrati nell’ambiente di lavoro.

Le segnalazioni, garantisce il sindacato, saranno gestite direttamente dalla Segreteria Generale della Confsal-UNSA nel pieno rispetto della normativa sulla privacy (GDPR) e vagliate da un team di esperti legali e sindacali. In caso di comportamenti lesivi della dignità professionale, il sindacato si attiverà con tutti gli strumenti a disposizione, inclusi eventuali interventi sindacali e azioni legali.


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Giustizia, cambia (di nuovo) la squadra di Nordio: nuovo capo al Dap e riassetto ai vertici del ministero

Dopo un lungo periodo di incertezze e scontri sotterranei, il Ministero della Giustizia avvia ufficialmente una nuova fase di riassetto interno. Il punto più delicato riguarda la nomina del nuovo vertice del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), rimasta bloccata per mesi a causa di divergenze tra il Guardasigilli Carlo Nordio e il Quirinale. La scelta iniziale, circolata prematuramente e senza un passaggio formale al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, aveva generato una frizione istituzionale che aveva rallentato le operazioni.

Superato l’impasse, sarà Stefano Carmine De Michele — attuale direttore generale delle risorse materiali e tecnologie presso il Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria — a guidare il Dap. Una nomina che segna l’inizio di un più ampio intervento di riorganizzazione voluto dal ministro Nordio, resosi necessario dopo una serie di dimissioni e malumori interni.

Nuove nomine e dipartimenti ridisegnati

Nel nuovo assetto, Lina Di Domenico, inizialmente indicata per il Dap, assumerà invece la guida del Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria (Dog), sostituendo il magistrato Gaetano Campo, destinato a rientrare nei ranghi della magistratura ordinaria.

Cambiamenti anche al vertice del Dipartimento affari di giustizia (Dag), dove Antonia Giammaria, finora direttrice generale dello stesso dipartimento, prenderà il posto di Luigi Birritteri, in uscita dopo una serie di tensioni interne. Secondo indiscrezioni, alla base della rotazione dei dirigenti ci sarebbe il clima di difficoltà comunicativa tra alcune figure apicali e il gabinetto del ministro, emerso in casi delicati come quello legato alla vicenda Almasri, che aveva evidenziato criticità nella trasmissione di informazioni cruciali.

Dietro il riassetto, spoil system e gestione accentrata

Il cambio di poltrone, destinato a essere ufficializzato in Consiglio dei ministri nei prossimi giorni, si inserisce in un contesto politico più ampio. La gestione Nordio appare infatti orientata a esercitare un controllo più diretto su dossier e decisioni operative attraverso un’applicazione mirata dello spoil system e la centralizzazione di alcune funzioni strategiche.

Una linea che ha già prodotto l’uscita di figure storiche dell’amministrazione, come Maria Rosaria Covelli, ex capo dell’Ispettorato, e Alberto Rizzo, dimessosi dalla carica di capo di gabinetto nella scorsa primavera. La sua successora, Giusi Bartolozzi, avrebbe faticato a ricostruire un rapporto operativo solido con alcuni dirigenti, contribuendo ad alimentare il turnover.


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Dispositivi medici sempre più digitali: ecco la proposta Ue per le istruzioni d’uso elettroniche

Nel settore dei dispositivi medici, la digitalizzazione dei documenti accompagna da tempo le innovazioni tecnologiche. Tuttavia, una parte della normativa rimane legata a logiche ormai superate. È il caso delle istruzioni per l’uso, che ancora oggi devono essere fornite in formato cartaceo, salvo specifiche eccezioni. Una rigidità che la Commissione europea intende superare attraverso una proposta di modifica al Regolamento (UE) 2021/2226, presentata di recente.

Le regole attuali: tra vincoli e aperture parziali

Il quadro normativo oggi prevede che le istruzioni per l’uso in formato elettronico, le cosiddette eIFU, possano sostituire quelle cartacee solo per determinate categorie di dispositivi e destinazioni d’uso. Sono ammessi i dispositivi impiantabili, quelli fissi installati e i software medici, esclusivamente se destinati a professionisti del settore.

Le eIFU devono essere facilmente accessibili online e garantire, senza costi aggiuntivi, la possibilità per l’utilizzatore di ricevere una copia cartacea su richiesta. Il regolamento stabilisce inoltre vincoli sui tempi di conservazione delle istruzioni e sull’obbligo di rendere disponibili le versioni precedenti.

La proposta di Bruxelles: verso una digitalizzazione più ampia

Con la nuova proposta, la Commissione punta ad allargare le maglie della normativa, permettendo l’adozione delle eIFU per tutti i dispositivi medici destinati a professionisti, senza più limitazioni di categoria. Tra le novità più rilevanti:

  • Obbligo di URL persistente: ogni dispositivo dovrà essere associato a un link permanente, registrato all’interno della banca dati europea EUDAMED come parte del proprio identificatore univoco. In questo modo, gli operatori sanitari potranno accedere in modo immediato alle istruzioni più aggiornate.

  • Gestione dei dispositivi legacy: per i dispositivi ancora in commercio sotto il regime transitorio del Regolamento (UE) 2017/745, continueranno a valere le disposizioni del precedente regolamento (UE) n. 207/2012 fino alla conclusione del periodo di transizione.

I benefici attesi: meno carta, più sicurezza

L’introduzione di istruzioni elettroniche per un numero sempre maggiore di dispositivi medici porterà vantaggi tangibili: riduzione dei costi di stampa e distribuzione, aggiornamenti più rapidi e una maggiore sicurezza per i pazienti grazie alla disponibilità costante di informazioni aggiornate.

Inoltre, l’integrazione con EUDAMED e l’utilizzo di URL persistenti renderanno più semplice il monitoraggio dei dispositivi e la gestione delle modifiche, migliorando la trasparenza e la tracciabilità lungo tutta la filiera.


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SMS tra von der Leyen e Pfizer: il Tribunale Ue annulla il diniego della Commissione

Nuovo capitolo nella vicenda legata ai messaggi di testo scambiati tra Ursula von der Leyen e l’amministratore delegato di Pfizer durante i mesi più delicati della pandemia. Con una sentenza di primo grado nella causa T-36/23, il Tribunale dell’Unione europea ha annullato la decisione della Commissione europea che aveva negato a una giornalista del New York Times l’accesso a tali comunicazioni.

La richiesta di accesso, avanzata dalla cronista Matina Stevi, era stata presentata sulla base del regolamento europeo sulla trasparenza dei documenti. La Commissione, però, aveva risposto dichiarando di non essere in possesso dei messaggi richiesti. Una posizione che il Tribunale ha ritenuto insostenibile, giudicando le spiegazioni di Bruxelles insufficienti e contraddittorie.

Secondo i giudici, infatti, la Commissione non ha fornito dettagli sulle ricerche effettivamente svolte per individuare i documenti, né chiarito se i messaggi fossero stati cancellati, eventualmente per quali motivi o se i dispositivi utilizzati dalla presidente von der Leyen fossero stati sostituiti nel frattempo. Il Tribunale ha inoltre sottolineato come il regolamento europeo miri a garantire il massimo accesso del pubblico ai documenti istituzionali, soprattutto in situazioni di particolare rilevanza come l’acquisto dei vaccini durante la pandemia.

La sentenza precisa che la decisione non implica automaticamente la pubblicazione degli SMS, ma offre al New York Times la possibilità di presentare una nuova istanza di accesso. In tale circostanza, la Commissione potrà ancora opporsi, ma sarà obbligata a motivare con maggiore precisione e coerenza le ragioni di un eventuale diniego, attenendosi ai criteri indicati dal Tribunale.

Intanto da Bruxelles filtra che la Commissione europea potrebbe decidere di impugnare la sentenza davanti alla Corte di giustizia entro il termine di due mesi.


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Giustizia e Intelligenza Artificiale, Greco: «Un’opportunità che non deve sostituire il giudice»

Il futuro della professione legale e il delicato equilibrio tra tecnologia e tutela dei diritti sono stati al centro del confronto ospitato nei giorni scorsi a Cernobbio, in occasione del forum promosso da The European House – Ambrosetti. Tra i protagonisti dell’incontro dedicato all’impatto dell’intelligenza artificiale sulle professioni, anche il presidente del Consiglio Nazionale Forense, Francesco Greco, che ha offerto una riflessione concreta e non priva di moniti sulle ricadute dell’AI nel settore della giustizia.

Greco ha definito l’intelligenza artificiale «una grande tentazione», capace di attrarre per la sua efficienza e rapidità, ma allo stesso tempo potenzialmente pericolosa se utilizzata senza i necessari presidi etici e giuridici. «Pensiamo alla Cassazione — ha osservato — con i suoi 450 magistrati che pronunciano ognuno circa 350 sentenze all’anno. È naturale che, sotto simile pressione, la tentazione di affidare alla macchina la redazione di una decisione sia forte. Ma il nostro compito è vigilare perché il giudizio rimanga umano, insostituibile nella valutazione dei casi concreti».

Il dibattito, moderato da Ferruccio de Bortoli, ha toccato anche i limiti odierni dell’intelligenza artificiale nel diritto penale e civile. Greco ha spiegato come gli algoritmi, oggi, si basino essenzialmente su precedenti e dati già esistenti, senza la capacità di cogliere le peculiarità delle situazioni personali o di valutare il peso specifico di una sentenza della Cassazione rispetto a decisioni di primo grado, anche se numericamente prevalenti.

Un esempio emblematico riguarda il diritto del lavoro: «Se in una grande azienda venissero licenziate 2.000 persone e i giudici di primo grado emettessero decisioni identiche, cosa accadrebbe se la Cassazione rovesciasse anche una sola di quelle sentenze? L’intelligenza artificiale sarebbe capace di riconoscere la superiorità di quella singola pronuncia nella gerarchia delle fonti? O continuerebbe a privilegiare la statistica?», ha provocatoriamente domandato il presidente del Cnf.

Non è la prima volta che l’avvocatura italiana si trova a intervenire sui rischi di una giustizia “algoritmica”. Greco ha ricordato come, un anno e mezzo fa, fu proprio il Consiglio Nazionale Forense, insieme ai vertici della Cassazione e alla Procura generale, a chiedere di bloccare un progetto ministeriale che prevedeva l’impiego di AI per l’elaborazione di testi normativi.


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Potrebbe arrivare attraverso una legge delega la riforma della professione forense, su impulso di un disegno di legge promosso direttamente dall’avvocatura italiana. È quanto emerso ieri al Senato, durante il question time in cui il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha chiarito l’orientamento del governo, accogliendo con favore la proposta presentata dal Consiglio Nazionale Forense (CNF).

Un segnale politico di peso, che suggella il lavoro condiviso delle rappresentanze istituzionali e associative dell’avvocatura e che potrebbe presto tradursi in un provvedimento approvato dal Consiglio dei ministri. Nordio ha definito il testo «una giusta spinta per la modernizzazione di questa nobile professione», sottolineando l’importanza di affrontare questioni cruciali come la regolamentazione della monocommittenza, la riorganizzazione delle incompatibilità, il tirocinio, l’esame di Stato e le collaborazioni continuative.

L’intervento di Nordio è arrivato in risposta a un’interrogazione del senatore Gianni Berrino, capogruppo di Fratelli d’Italia in Commissione Giustizia, che ha chiesto chiarimenti sulle finalità e i contenuti della riforma e sulla possibile introduzione della figura dell’avvocato nella Carta costituzionale. Il guardasigilli ha ribadito il proprio impegno per tutelare i diritti della difesa, ricordando anche la recente firma della Convenzione europea per la protezione degli avvocati.

Soddisfazione è stata espressa dal presidente del CNF, Francesco Greco, che ha definito «positiva» l’apertura del governo e ha ripercorso il percorso unitario che ha condotto alla proposta: un lavoro collegiale nato su mandato del congresso nazionale forense e condiviso da Ordini, Unioni regionali, associazioni e organismi dell’avvocatura.

La convergenza registrata tra il ministero della Giustizia e il partito di maggioranza relativa rafforza le possibilità di una rapida approvazione. Lo stesso Berrino, avvocato di formazione, ha sottolineato l’urgenza di questa riforma, che — ha detto — «non è soltanto una questione per gli avvocati, ma per tutti i cittadini, perché riguarda il funzionamento della giustizia».

Nei giorni scorsi, lo stesso Ministro, nel corso del dibattito di Siracusa organizzato dal Consiglio nazionale forense e dalle istituzioni forensi siciliane, ebbe modo di spiegare che la riforma dell’ordinamento forense, pure da più parti attesa e sollecitata, resta subordinata al riconoscimento costituzionale della funzione difensiva quale pilastro della giurisdizione.


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Mese europeo della cibersicurezza 2025: riflettori puntati sul phishing

Una campagna europea per sensibilizzare cittadini e imprese contro la minaccia più diffusa negli attacchi informatici

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Entra in vigore l’AI Act: ecco cosa cambia in Europa

È finalmente arrivato il testo definitivo dell’AI Act, la prima legge al mondo che affronta il tema dell’intelligenza artificiale. Il testo è composto da 85…

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