COVID: le misure del DPCM del 18 ottobre 2020

COVID: le misure del DPCM del 18 ottobre 2020

Da oggi, 19 ottobre 2020, entrano in vigore le nuove misure del DPCM approvato ieri, ad esclusione di quelle relative alla scuola che saranno applicate dal 21 ottobre.

Tutte le misure del DPCM rimarranno valide fino al 13 novembre.

Ecco una panoramica delle nuove disposizioni.

TUTTE LE MISURE DEL DPCM DEL 18 OTTOBRE 2020

Zone rosse

I sindaci possono predisporre la chiusura al pubblico di vie e piazze dove vi sia la possibilità che si creino assembramenti.

La chiusura può essere disposta dopo le 21 e non riguarda gli spostamenti da e verso gli esercizi commerciali legittimamente aperti o le abitazioni private presenti nella zona.

Bar e ristoranti

Bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie e simili possono operare dalle 5 del mattino a mezzanotte con il solo consumo al tavolo e con un massimo di 6 persone per tavolo.
In assenza di consumo al tavolo, possono operare fino alle 18.

È consentita la consegna a domicilio e anche l’asporto, fino alle 24, con il divieto di consumazione presso il locale o nelle sue vicinanze.

I locali devono esporre all’ingresso un cartello con il numero massimo di persone ammesse contemporaneamente all’interno.

Gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande localizzati nelle aree di servizio e rifornimento carburante lungo le autostrade, negli ospedali o negli aeroporti possono continuare a operare assicurando sempre il rispetto della distanza interpersonale di almeno un metro.

Trasporti locali

Non è cambiato molto.
Permane la quota di riempimento dei mezzi all’80% della capacità massima e si invitano le aziende locali a adottare misure per agevolare i flussi di salita e discesa e evitare corse sovraccariche.

La scuola

La didattica a distanza viene incoraggiata ma rimane complementare alla didattica in presenza.

Gli ingressi e le uscite degli studenti dovranno essere scaglionati per evitare assembramenti anche sui mezzi di trasporto pubblico nelle ore di punta “anche attraverso l’eventuale utilizzo di turni pomeridiani e disponendo che l’ingresso non avvenga in ogni caso prima delle 9”.

Smart working

Alle pubbliche amministrazioni è chiesto di svolgere le riunioni da remoto, a meno che non vi siano ragioni di interesse pubblico a giustificare gli incontri dal vivo.
Anche nel privato si consiglia di fare altrettanto.
L’obiettivo generale è di portare la quota di persone in smart working dal 50 al 75%.

Lo sport

Sono concesse le gare sportive a livello regionale e nazionale per professionisti e dilettanti, ma gli allenamenti degli sport di contatto non devono comprendere partite o simulazioni di gioco.

Sono vietati gli sport di contatto svolti a livello amatoriale e le gare dilettantistiche a livello provinciale.

Palestre e piscine hanno 7 giorni di tempo per adeguarsi alle nuove misure e garantirne il rispetto anche negli spazi comuni e negli spogliatoi.

Congressi, sagre e fiere locali

Sagre e fiere locali sono vietate.
Sono consentite le fiere nazionali e internazionaliprevia adozione di protocolli validati dal Comitato tecnico-scientifico, e secondo misure organizzative adeguate alle dimensioni ed alle caratteristiche dei luoghi e tali da garantire ai frequentatori la possibilità di rispettare la distanza interpersonale di almeno un metro”.
Sono sospesi convegni e congressi tranne quelli che possono essere svolti con modalità a distanza.

Sale giochi

Sale giochi, sale scommesse e sale bingo possono rimanere aperte dalle 8 alle 21, a patto che le Regioni e le Province autonome abbiano accertato la compatibilità di tali attività con l’andamento locale dell’epidemia che abbiano predisposto dei protocolli o delle linee guida che aiutino a contenere il rischio di contagio.

Potete visionare in modo completo le misure del DPCM del 18 ottobre 2020 cliccando qui: testo del nuovo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

[Fonte: Ansa]

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Fatture elettroniche: nuova proroga al termine di adesione al servizio di consultazione AdE

Fatture elettroniche: nuova proroga al termine di adesione al servizio di consultazione AdE

Con il provvedimento del 23 settembre 2020, l’Agenzia delle Entrate ha informato che il termine per ladesione al servizio di consultazione delle fatture elettroniche è stato nuovamente prorogato, questa volta al 28 febbraio 2021.

Non è la prima proroga ed esattamente come nei casi precedenti anche stavolta la motivazione è legata alla privacy.

IL SERVIZIO DI CONSULTAZIONE DELLE FATTURE ELETTRONICHE E LA PRIVACY

Il servizio di consultazione delle fatture elettroniche è destinato anche agli utenti privati ed è stato introdotto dall’Agenzia delle Entrate con il provvedimento del 21 dicembre 2018.
Grazie al servizio sarà possibile visualizzare online tutte le fatture emesse nei propri confronti.

È un sistema apparentemente molto comodo per l’utente, ma presenta un lato oscuro. Infatti, tutte le fatture transitano attraverso il Sistema di Interscambio dell’Agenzia delle Entrate e confluiscono poi nella banca dati del Fisco che ha così accesso a un’enorme mole di informazioni su imprese e cittadini.
Con ‘enorme mole’ non intendiamo solo quantitativamente, ma anche qualitativamente: l’AdE può memorizzare e utilizzare tutti i dati contenuti nelle fatture, non solo quelli puramente ‘economici’.

A ciò va aggiunto che l’articolo 14 del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124 ha esteso a 8 anni il termine per la conservazione dei dati contenuti nelle fatture elettroniche.

Fin dall’inizio il Garante della Privacy ha sottolineato come l’archiviazione massiccia di dati sensibili dell’intera popolazione sia sproporzionata rispetto alle finalità di controllo fiscale, nonché rischiosa in quanto sintomo di una deriva antidemocratica delle Istituzioni.

IL NUOVO TERMINE PER L’ADESIONE

Il Garante chiede che la nuova scadenza per l’adesione al servizio di consultazione delle fatture elettroniche e la loro cancellazione in caso di non adesione sia, questa volta, certa (provvedimento dell’Autorità Garante del 9 settembre 2020).

Fino a tale scadenza permane un periodo di transizione durante il quale l’AdE può conservare tutte le fatture che transitano attraverso il Sistema di Interscambio. Nel caso poi un utente decidesse di non aderire, tutti i dati dovranno essere cancellati entro 30 giorni.

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La fattura elettronica ha rivoluzionato l’emissione, l’invio, la gestione e la conservazione digitale dei documenti di fatturazione.

Il passaggio dalla versione cartacea a quella digitale non è però stato affatto privo di polemiche o difficoltà. Una di queste è certamente la comprensione degli errori in cui si può incappare.

Questi errori sono individuati dal Sistema d’Interscambio dell’Agenzia delle Entrate (SdI) che può impiegare fino a 5 giorni per accettare una nostra fattura elettronica o decidere di scartarla.
In questo caso, ci indicherà il motivo dello scarto attraverso un codice che rappresenta uno specifico errore.

GLI ERRORI NELLA FATTURAZIONE ELETTRONICA

L’Agenzia delle Entrate ha messo a disposizione degli utenti un documento in cui riporta le specifiche tecniche alla base della fatturazione elettronica.

In esso è presente anche l’elenco di tutti i codici errore relativi alla fattura ordinaria, a quella semplificata e anche a quella transfrontaliera.

Qui di seguito riportiamo i codici errore per le fatture ordinarie e semplificate, divisi per tipologia.

Cliccando sul nome della tipologia potete scoprire il significato dei singoli codici:

errori nomenclatura ed unicità del file trasmesso (00001, 00002);

errori dimensioni del file (00003);

errori verifica di integrità del documento (00102);

errori verifica di autenticità del certificato di firma (00100, 00101, 00104, 00107);

errori verifica di conformità del formato fattura (00103, 00105, 00106, 00200, 00201);

errori verifica di coerenza sul contenuto (00400, 00401, 00403, 00411, 00413, 00414, 00415, 00417, 00418, 00419, 00420, 00421, 00422, 00423, 00424, 00425, 00427, 00428, 00429, 00430, 00437, 00438, 00443, 00444, 00445, 00460, 00471, 00472, 00473, 00474);

errori verifica di validità del contenuto della fattura (00300, 00301, 00303, 00305, 00306, 00311, 00312, 00313, 00320, 00321, 00322, 00323, 00324, 00325, 00326, 00330);

errori verifiche di unicità della fattura (00404, 00409).

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Il GDPR è entrato in vigore il 25 maggio 2018 e, tutto sommato, le aziende italiane non se la stanno poi cavando così male nell’adeguarsi alle novità in materia di trattamento dei dati, consenso, diritto all’oblio e altri adempimenti connessi.

Nonostante ciò, è bene non abbassare la guardia e ricordare che in caso di mancato adeguamento, imprese e professionisti possono incorrere in:

  • – sanzioni amministrative;
  • – sanzioni penali;
  • – richieste di risarcimento danni;
  • – divieto di trattamento dei dati personali raccolti fintantoché non venga ripristinata la conformità mancante.

LE SANZIONI AMMINISTRATIVE PREVISTE DAL GDPR

All’art.83, il Regolamento UE 2016/679 indica le sanzioni amministrative previste in caso di mancato adeguamento.

Il loro importo massimo può essere:

  • – di 10 milioni di euro o pari al 2% del fatturato dell’anno precedente.
    Per le imprese che non abbiano nominato il DPO, comunicato eventuali data breach all’Autorità Garante, violato le condizioni sul consenso al trattamento dei dati di minori o che abbiano trattato in maniera illecita i dati personali degli utenti;
  • – di 20 milioni di euro o pari al 4% del fatturato dell’anno precedente.
    Per le imprese che abbiano trasferito illecitamente dati personali in altri Paesi o che non abbiano osservato un ordine imposto dal Garante.

Questi importi rappresentano dei massimali indicativi: ogni sanzione viene commisurata alla gravità, alla natura o alla durata della violazione al GDPR, al numero di soggetti coinvolti e alla sostanza dolosa o colposa.

LE SANZIONI PENALI PREVISTE DAL GDPR

All’art.84, il GDPR spiega che è compito degli stati membri stabilire norme e altre sanzioni non amministrative.

In Italia, le sanzioni penali in materia sono disciplinate dal Codice della Privacy del 2003.

Il Codice contempla 5 possibili violazioni:

  • – il trattamento illecito dei dati (articolo 167);
  • – la comunicazione e la diffusione illecita dei dati personali oggetto di trattamento su larga scala (articolo 167-bis);
  • – l’acquisizione fraudolenta di dati personali oggetto di trattamento su larga scala (articolo 167-ter);
  • dichiarazioni false al Garante e interruzione dell’esecuzione dei compiti o dell’esercizio dei poteri del Garante (articolo 168);
  • – l’inosservanza dei provvedimenti del Garante (articolo 170).

La sanzione penale può raggiugnere i 6 anni di reclusione.

ALTRI REATI IN MATERIA DI PRIVACY

Dato il periodo storico contraddistinto dal COVID e dal ricorso allo smart working, è importante sottolineare anche l’esistenza delle violazioni in materia di controlli a distanza dei lavoratori (art. 4, comma 1 e all’art. 8 del Codice della Privacy).
Gli impianti audiovisivi o altri strumenti che permettano di controllare a distanza l’attività dei lavoratori devono essere utilizzati dai datori di lavoro per sole esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza o la tutela del patrimonio aziendale

Inoltre, va ricordato che le interferenze illecite nella vita privata perpetrate tramite strumenti di ripresa visiva o sonora rappresentano un reato punito con la reclusione da 6 mesi a 4 anni e che la stessa pena ricade anche su chi rivela o diffonde al pubblico notizie o immagini ottenute in tal modo.

A COSA PRESTARE ATTENZIONE

Lo scopo del GDPR è responsabilizzare aziende e professionisti sulla raccolta, l’uso e la conservazione dei dati personali altrui.

I controlli sono compito della Guardia di Finanza che pone particolare attenzione su 3 adempimenti:

  • – la nomina del DPO, il responsabile della protezione dati;
  • – le misure previste in caso di data breach, dal più limitato al più grave;
  • – il registro dei trattamenti, un documento interno, sempre aggiornato, che serve a identificare i soggetti coinvolti nel trattamento dei dati, quali categorie di dati sono trattate, per quali motivi, chi vi può accedere, a chi vengono comunicati, per quanto tempo vengono conservati, ecc. Va esibito in caso di verifiche.

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Il Decreto Legge n.125/2020 estende lo stato di emergenza al 31 dicembre e proroga alla medesima data le disposizioni relative alle udienze da remoto e ai depositi telematici, il cui termine era stato fissato al 31 ottobre 2020.

Il ritorno alla normalità per la giustizia sembra dunque farsi più lontano…

STATO DI EMERGENZA: COSA DICE IL D.L. N.125/2020

 L’art.1 “Misure  urgenti  strettamente   connesse   con   la   proroga   della

  dichiarazione dello stato di emergenza da COVID-19 contiene tutte le modifiche alle precedenti disposizioni e così recita:

  1.  All’articolo  1  del  decreto-legge  25  marzo  2020,  n.   19,

convertito, con modificazioni, dalla legge 22  maggio  2020,  n.  35,

sono apportate le seguenti modificazioni:

    a) al comma 1, le parole: «15 ottobre 2020» sono sostituite dalle

seguenti: «31 gennaio 2021»;

    b) al comma 2, dopo la  lettera  hh)  e’  aggiunta  la  seguente:

«hh-bis) obbligo di avere sempre con se’  dispositivi  di  protezione

delle   vie   respiratorie,   con    possibilità    di    prevederne

l’obbligatorietà dell’utilizzo nei luoghi al  chiuso  diversi  dalle

abitazioni private e in tutti i luoghi  all’aperto  a  eccezione  dei

casi in cui, per le caratteristiche dei luoghi o per  le  circostanze

di fatto,  sia  garantita  in  modo  continuativo  la  condizione  di

isolamento rispetto a persone non conviventi, e comunque con salvezza

dei protocolli e delle linee  guida  anti-contagio  previsti  per  le

attività economiche, produttive, amministrative e  sociali,  nonché

delle linee guida per il consumo di cibi e bevande, restando  esclusi

da detti obblighi:

      1) i soggetti che stanno svolgendo attività sportiva;

      2) i bambini di eta’ inferiore ai sei anni;

      3) i soggetti con patologie  o  disabilita’  incompatibili  con

l’uso della mascherina, nonché  coloro  che  per  interagire  con  i

predetti versino nella stessa incompatibilità.».

  2.  Al  decreto-legge  16  maggio  2020,  n.  33,  convertito,  con

modificazioni, dalla legge 14 luglio 2020, n. 74, sono  apportate  le

seguenti modificazioni:

    a)  all’articolo  1,  comma  16,  le  parole  «,   ampliative   o

restrittive,  rispetto  a  quelle  disposte  ai  sensi  del  medesimo

articolo 2» sono sostituite dalle seguenti: «restrittive  rispetto  a

quelle disposte ai sensi del medesimo articolo 2,  ovvero,  nei  soli

casi e nel  rispetto  dei  criteri  previsti  dai  citati  decreti  e

d’intesa con il Ministro della salute, anche ampliative»;

    b) all’articolo 3, comma 1, le  parole  «15  ottobre  2020»  sono

sostituite dalle seguenti: «31 gennaio 2021».

  3.  Al  decreto-legge  30  luglio  2020,  n.  83,  convertito,  con

modificazioni, dalla legge 25 settembre 2020, n. 124, sono  apportate

le seguenti modificazioni:

    a) all’articolo 1, comma 3, le parole:  «15  ottobre  2020»  sono

sostituite dalle seguenti: «31 dicembre 2020»;

    b) all’Allegato 1 sono apportate le seguenti modificazioni:

      1) dopo il numero 16 e’ inserito il seguente: «16-bis  Articolo

87, commi 6 e 7, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18,  convertito,

con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27»;

      2) il numero 18 e’ sostituito dal seguente: «18  Articolo  101,

comma 6-ter, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito,  con

modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27»;

      3) dopo il numero 19 e’ inserito il seguente: «19-bis  Articolo

106  del  decreto-legge  17  marzo  2020,  n.  18,  convertito,   con

modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27»;

      4) dopo il numero 24 e’ inserito il seguente: «24-bis  Articolo

4  del  decreto-legge  8  aprile  2020,  n.   23,   convertito,   con

modificazioni, dalla legge 5 giugno 2020, n. 40»;

      5) i numeri 28 e 29 sono soppressi;

      6) dopo il numero 30-bis sono inseriti i seguenti:

        «30-ter Articolo 33 del decreto-legge 19 maggio 2020, n.  34,

convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77;

        30-quater Articolo 34 del decreto-legge 19  maggio  2020,  n.

34, convertito, con modificazioni, dalla legge  17  luglio  2020,  n.

77»;

      7) dopo il numero 33 e’ inserito il seguente: «33-bis  Articolo

221, comma 2, del decreto-legge 19 maggio 2020,  n.  34,  convertito,

con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77»;

      8) dopo il numero 34 e’ aggiunto il seguente: «34-bis  Articolo

35 del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104».

  4. All’articolo 87, comma 8, del decreto-legge 17  marzo  2020,  n.

18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27,

le parole: «del  comma  1,  primo  periodo,»  sono  sostituite  dalle

seguenti: «dei commi 6 e 7».

In sostanza, la giustizia proseguirà secondo le modalità già stabilite con:

  • il deposito telematico degli atti;
  • il deposito telematico di note scritte («le sole istanze e conclusioni») per le udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti;
  • la facoltà per il giudice di disporre la trattazione tramite udienza da remoto nel civile, sempre se non sia necessaria la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti e dagli ausiliari del giudice;
  • la partecipazione alle udienze civili delle parti o dei difensori, su istanza dell’interessato, tramite collegamenti audiovisivi a distanza;
  • il giuramento del CTU tramite dichiarazione con firma digitale depositata nel fascicolo telematico.
  • la partecipazione in remoto alle udienze penali degli imputati in custodia cautelare in carcere e dei detenuti, nei casi in cui sia prevista la partecipazione a distanza e con il consenso delle parti.

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È valida la procura scritta su un foglio separato e poi allegato al ricorso?
E se nella stessa mancasse un qualsiasi riferimento alla sentenza impugnata, potrebbe essere ritenuta una procura speciale?
Quali sono le conseguenze per un avvocato nel caso il ricorso venisse respinto?

IL CASO

Un avvocato impugna una sentenza a fronte di una procura con cui la parte lo autorizza a rappresentarla e difenderla «in ogni grado del presente giudizio, nei conseguenti processi esecutivi ed eventuali giudizi di opposizione è chiamata in garanzia» e con cui gli viene data facoltà di «transigere, conciliare, rinunziare agli atti del presente giudizio, farsi sostituire»,  di «presentare istanza di mediazione ex articoli 4 e 5 del decreto legislativo 28/2010 nonché a comparire agli incontri che verranno all’uopo fissati, con promessa di rato e valido del suo operato» e «di essere stato informato della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione».

La procura, come già suggerito, è presentata su un foglio a parte spillato al ricorso.

PROCURA GENERICA E SU FOGLIO SEPARATO: PERCHÈ IL RICORSO È INAMMISSIBILE

Con l’ordinanza 21335/2020, la Cassazione decide che tale ricorso sia da considerarsi inammissibile perché la procura così scritta e «estesa su un foglio separato e materialmente congiunto al ricorso (e non al margine o in calce di quello) non è una procura speciale».

In particolare, la dicitura «in ogni grado del presente giudizio» potrebbe tranquillamente riferirsi a qualsiasi tipo di iniziativa giudiziaria. Manca, insomma, un minimo, tenue, persino indiretto riferimento alla sentenza impugnata.

La Cassazione ricorda che la giurisprudenza della propria Corte è sempre stata coerente nel giudicare «inammissibile il ricorso per Cassazione allorquando la procura, apposta su foglio separato e materialmente congiunto al ricorso, contenga espressioni incompatibili con la proposizione dell’impugnazione e univocamente dirette ad attività proprie di altri giudizi e fasi processuali» (cfr., ex multis, Cass. n. 1525/2020, n. 17708/2019, n. 28146/2018).

Nulla di nuovo, insomma.

LE CONSEGUENZE PER L’AVVOCATO

Dato che il ricorso per Cassazione risulta inammissibile perché manca una procura valida, e che l’attività processuale a cui è riferita prevede che la responsabilità ricada esclusivamente sull’avvocato, è proprio su di lui che ricadrà l’onere delle spese del giudizio e anche del contributo unificato con importo raddoppiato (Art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 115/2002, come novellato dalla L. n. 228/2012).

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Avvocato domiciliatario: chi paga il compenso?

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Immaginiamo un cliente che debba instaurare un giudizio presso un foro diverso da quello in cui opera il suo avvocato di fiducia. Il cliente potrebbe volere comunque l’assistenza del suo legale, oppure chiedere a quest’ultimo una soluzione alternativa.

In entrambi i casi, sarà necessario ricorrere alla collaborazione di un altro avvocato.

A questo punto però si aprono due possibili scenari:
la parte conferisce mandato all’avvocato domiciliatario,
– la parte mantiene il rapporto diretto col proprio legale, l’avvocato dominus, e conferisce al domiciliatario solo la procura necessaria a rappresentarlo in giudizio.

Chi paga il compenso dell’avvocato domiciliatario? Il dominus o la parte assistita?

DEFINIRE CHI SIA IL CLIENTE DELL’AVVOCATO DOMICILIATARIO

Per capire su chi ricada l’obbligo di corrispondere il compenso dell’avvocato domiciliatario va compreso chi sia il suo reale cliente.

La risposta è semplice: il cliente del domiciliatario è il soggetto che gli ha conferito l’incarico.

Va però notato che chi conferisce l’incarico non è necessariamente chi gode direttamente dell’attività professionale del legale.

In sostanza, bisogna analizzare la relazione tra avvocato domiciliatario, avvocato dominus e parte assistita.
Da qui si capisce che se è il dominus a conferire l’incarico al domiciliatario, sarà sempre il dominus a pagare il compenso, anche se la prestazione professionale è concretamente svolta a beneficio della parte.

Va inoltre sottolineato che l’esistenza di una procura congiunta a favore di entrambi i legali non cambia la situazione.

Sul tema del pagamento del compenso dell’avvocato domiciliatario si è espressa anche la Corte di Cassazione che, con l’ordinanza n.7037 del 12 marzo 2020, conferma che il diritto al compenso è legato al conferimento dell’incarico: «il cliente del professionista non è necessariamente colui nel cui interesse viene eseguita la prestazione d’opera intellettuale, ma colui che, stipulando il relativo contratto, ha conferito incarico al professionista ed è conseguentemente tenuto al pagamento del corrispettivo»

Per approfondire: CFNews – Avvocato domiciliatario, procura congiunta, soggetto obbligato al pagamento del compenso

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Con i contagi da COVID in salita e nonostante le misure del nuovo DPCM n.125 è plausibile che nei prossimi mesi molti genitori si troveranno a dover affrontare l’esperienza della quarantena dei propri figli.
Come funziona il congedo parentale?

IL CONGEDO PARENTALE IN CASO DI QUARANTENA DEI FIGLI

I genitori hanno a disposizione diverse possibilità.

Lavoro agile

L’art. 5 del D.L. n. 111 dell’8 settembre 2020 prevede che al genitore lavoratore dipendente sia concesso di svolgere il proprio lavoro in smart working per tutta o parte della quarantena del figlio convivente e minore di 14 anni; quarantena che deve essere disposta dal Dipartimento di Prevenzione della ASL territoriale nel caso in cui fosse stato accertato un contatto con un contagiato all’interno degli ambienti scolastici.
Questa misura è valida nel periodo tra il 9 settembre 2020 e il 31 dicembre 2020.

Congedo al 50%

Se il lavoro agile non fosse possibile, uno solo dei genitori può optare per un congedo al 50% della retribuzione. Anche in questo caso il figlio deve avere meno di 14 anni e la quarantena deve essere disposta dal Dipartimento di Prevenzione della ASL territoriale nel caso in cui  fosse stato accertato un contatto con un contagiato all’interno dell’istituto scolastico.

QUARANTENA A SEGUITO DI CONTATTO FUORI DAL CONTESTO SCOLASTICO

Non sono state indicate misure per i casi in cui il figlio fosse costretto alla quarantena a seguito di un contatto con un contagiato avvenuto in contesti non scolastici. Cosa può fare un genitore in questo caso?

Ferie

I genitori, lavoratori sia pubblici che privati, possono utilizzare le ferie ancora a disposizione per il 2020. Opzione già caldamente sostenuta dal governo ai tempi del lockdown.

ROL e permessi

I genitori lavoratori dipendenti privati possono sfruttare eventuali ROL e permessi previsti dai CCNL.
I dipendenti pubblici non ha questa facoltà, ma hanno a disposizione 18 ore o 3 giorni di permessi per motivi personali e familiari, come previsto dall’ultimo CCNL.

Congedi parentali ordinari

I congedi parentali ordinari spettano ai genitori di bambini fino ai 12 anni (ex art. 32 D.Lgs. 151/2001).
La loro durata è di 6 mesi per la madre e di 7 mesi per il padre. La somma dei congedi parentali ordinari dei due non può superare gli 11 mesi.
Il genitore solo ha diritto a 10 mesi di congedo parentale.

L’indennizzo previsto è pari al 30% della retribuzione, se il periodo complessivo tra entrambi i genitori non supera i 6 mesi (salvo diversi trattamenti previsti dai CCNL) e fino al sesto anno di vita del bambino.
Fino all’ottavo anno del bambino, l’indennità rimane al 30% solo se il reddito individuale del genitore è inferiore a  2,5 volte l’importo del trattamento minimo pensionistico a carico dell’assicurazione generale obbligatoria.
Oltre l’ottavo anno e fino ai 12 non è prevista alcuna indennità.

Part-time

Il genitore può chiedere, per una sola volta, che il rapporto di lavoro passi da tempo pieno a tempo parziale, a patto che la riduzione d’orario non superi il 50% (ex art. 8, comma 7, D.Lgs. n. 81/2015).

[Fonte orginale: edotto.com]

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Davvero ci sono troppi avvocati in Italia?

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Come sicuramente avrete sentito, secondo Nicola Morra, presidente della Commissione Antimafia, gran parte dei problemi della giustizia sono dovuti a un presunto eccessivo numero di avvocati nel nostro paese: «Nel 1996 in Italia avevano 87.000 avvocati, nel 2019 245.000, quasi il triplo in 23 anni. Facciamoci qualche domanda. Forse capiremo perché abbiamo qualche problema nell’amministrazione della giustizia».

Queste dichiarazioni hanno smosso il mondo forense, con l’AIGA (Associazione Italiana Giovani Avvocati) che non ha tardato a dichiararle «inaccettabili, offensive e fuori luogo» soprattutto in un momento storico in cui «in diversi Stati del mondo (non da ultima la Turchia) gli avvocati vengono perseguitati, condannanti, portati alla morte, perché rei di esercitare il loro mandato difensivo nell’interesse della Giustizia. Una violazione assoluta dei diritti di libertà, difesa e di tutti i valori umani più elementari».

A ben guardare, già qualche anno fa Morra aveva espresso la sua posizione nei confronti degli avvocati, proponendo l’introduzione di una sorta di certificazione di qualità per «verificare e validare la loro tenuta morale ed etica. Nel contrasto alla criminalità organizzata si partirà anche da quella parte dell’economia sana che rischia di essere inquinata: uno strumento potrebbe essere l’istituzione di un bollino blu per gli iscritti ai vari ordini professionali. Penso a una sorta di controllo di filiera etica che possa rappresentare una certificazione di moralità».

RIDURRE GLI AVVOCATI A PARTIRE DAI PRATICANTI

Sergio Longhi, segretario della Fondazione dell’Avvocatura Napoletana per Alta Formazione Forense, a settembre di quest’anno, attraverso il quotidiano Il Mattino esprimeva la sua speranza in una «drastica riduzione del numero degli aspiranti avvocati a tutto vantaggio della collettività».

La volontà di ridurre il numero di avvocati passa dunque per i praticanti. Del resto, non potendo agire su chi è già avvocato, bisogna per forza spingere chi vuole intraprendere la carriera forense a cambiare idea.

Ma ci sono davvero troppi avvocati in Italia?

AVVOCATI IN ITALIA. I NUMERI E  IL COMMENTO DELL’EUROPA

Cassa Forense ha pubblicato alcuni interessanti dati statistici.

Gli avvocati residenti in Italia al 1° gennaio 2020 erano effettivamente più di 245.000, circa 2.000 in più rispetto al 2019.

C’è però da dire che il tasso medio annuo di crescita della categoria si è drasticamente abbassato: nei primi anni 2000 ha toccato l’8 – 9%, nel triennio 2017-2019 è rimasto inferiore all’1%. «L’avvocatura cresce pertanto in maniera molto contenuta, per non dire che si trova in situazione di stazionarietà, forse a causa di una professione che attira sempre meno le giovani generazioni ma soprattutto in conseguenza di un inesorabile calo demografico della popolazione italiana».

Per approfondire il tema è possibile analizzare i rapporti annuali del CEPEJ (Commissione per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa) che, al momento, non dimostrano alcuna relazione tra i problemi della giustizia e il numero di avvocati in Italia.

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Lo scorso 28 settembre 2020, presso la Corte di Giustizia Europea, si è celebrata la prima seduta solenne che ha dato il via ufficiale alle attività della Procura Europea.

La Procura Europea è un organismo indipendente dell’Unione Europea che si occuperà di indagare e perseguire quei reati che ledono gli interessi dell’UE, per esempio frodi contro il bilancio dell’Unione, frodi relative a fondi UE superiori a 10.000 euro o all’IVA transfrontaliera che possano generare danni superiori a 10 milioni di euro.

Prima della sua creazione, questi reati erano di competenza delle sole autorità nazionali preposte, che non potevano certo agire al di fuori dei confini del proprio paese.
Altri organismi europei, come l’OLAF, l’Eurojust e l’Europol non hanno la potenza d’azione riconosciuta alla Procura Europea.

La Procura Europea può dunque svolgere indagini, esercitare l’azione penale ed agire come pubblico ministero dinanzi agli organi giurisdizionali dei singolo stati membri. Può anche chiedere l’arresto di un soggetto, ma per procedere deve ottenere la convalida dell’autorità nazionale competente.

LA COMPOSIZIONE DELLA PROCURA EUROPEA

L’organismo ha sede a Lussemburgo ma è formato da procuratori delegati europei localizzati nei diversi stati aderenti, che al momento sono 22: Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Repubblica ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia e Spagna).

Il procuratore capo europeo è Laura Codruţa Kövesi, nominata il 16 ottobre 2019, dal Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea, mentre i primi 22 procuratori europei sono stati nominati lo scorso 27 luglio 2020.
I candidati a diventare procuratori europei dovevano essere tra i “membri attivi delle procure o della magistratura degli stati membri e offrire tutte le garanzie di indipendenza“. Era richiesta anche esperienza “in materia di indagini finanziarie e di cooperazione giudiziaria internazionale in materia penale”.

Per l’Italia è stato scelto Danilo Ceccarelli, già sostituto procuratore a Milano e International Prosecutor nella missione EULEX in Kosovo.

Questi gli altri componenti della procura europea: Mme Laura Codruţa Kövesi (RO), Frédéric Baab (FR), Cătălin-Laurențiu Borcoman (RO), aka Brezigar (SI), Gatis Doniks (LV), Yvonne Farrugia (MT), Teodora Georgieva (BG), Daniëlle Goudriaan (NL), José Eduardo Guerra (PT), Petr Klement (CZ), Tomas Krušna (LT), Tamara Laptoš (HR), Katerina Loizou (CY), Ingrid Maschl-Clausen (AT), Juraj Novocký (SK), Andrés Ritter (DE), Maria Concepción Sabadell Carnicero (ES), Gabriel Seixas (LU), Kristel Siitam-Nyiri (EE), Harri Tiesmaa (FI), Yves Van Den Berge (BE) e Dimitrios Zimianitis (EL).

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