foro competente recupero compensi servicematica

Recupero compensi: è competente il foro del consumatore o un altro foro?

Qual è il foro competente nel caso in cui un avvocato volesse recuperare una parcella non pagata?
La Cassazione ci offre la risposta con l’ordinanza 21647 del 2021.

COMPETENZE DEI FORI

Un avvocato vuole ottenere il compenso per l’attività svolta in un giudizio di divisione ereditaria, pertanto conviene in giudizio, ex art. 702-bis c.p.c., la sua assistita.

L’avvocato presenta la sua istanza al Tribunale di Roma, luogo in cui risiede la convenuta. Questa, costituitasi in giudizio, contesta però la competenza del foro, ritenendo invece competente, ex art. 14 del d.lgs. n. 150/2011, il Tribunale innanzi al quale si è svolto il giudizio di divisione ereditaria.

Il Tribunale di Roma considera la cliente un consumatore, pertanto risulta foro di residenza di quest’ultima, ai sensi del d.lgs. n. 206/2005.
Nonostante ciò, il Tribunale si dichiara incompetente, poiché nel sollevare la sua eccezione di incompetenza, la convenuta ha rinunciato al foro del consumatore e alla tutela prevista dal Codice del Consumo.

L’avvocato ricorre, sostenendo che al consumatore non sia permesso eccepire l’incompetenza del foro di residenza e che neppure il giudice possa rilevarla d’ufficio. Questo perché proprio il Codice del Consumo impone tale foro per tutelare il consumatore e non permette deroghe.

IL FORO DEL CONSUMATORE

La Cassazione accoglie il ricorso dell’avvocato.
Per prima cosa, la Corte riconosce la cliente come consumatore, quindi su essa ricadono le tutele previste dal Codice del Consumo.

Poi, a proposito del tribunale di competenza, spiega che:

«ove un avvocato abbia presentato ricorso per ingiunzione per ottenere il pagamento delle competenze professionali da un proprio cliente, avvalendosi del foro speciale di cui agli artt. 637, terzo comma, c.p.c. e 14, secondo comma, d.lgs. n. 150/2011, il rapporto tra quest’ultimo foro e il foro speciale della residenza o del domicilio del consumatore, previsto dall’art. 33, secondo comma, lett. u), del d.lgs. 206/2005, va risolto a favore del secondo, in quanto di competenza esclusiva, che prevale su ogni altra, in virtù delle esigenze di tutela, anche sul terreno processuale, che sono alla base dello statuto del consumatore».

Il cliente/consumatore non può dunque rinunciare al foro speciale di residenza sostenendone l’incompetenza, né può farlo d’ufficio il giudice. La competenza del foro del consumatore prevale infatti su ogni altra.

LA POSSIBILITÀ DI DEROGA

La Cassazione evidenzia però la possibilità che tale competenza sia superabile. Ciò avviene nel caso in cui l’avvocato dimostri di aver stabilito con l’assistito una clausola di deroga a favore di altri fori.

Nel caso in questione, non vi è traccia di tale deroga, pertanto il Tribunale di Roma risulta essere il foro competente.

Il Processo Telematico diventa facile con la piattaforma Service1. Scopri di più.

——–

LEGGI ANCHE:

Privata dimora: il furto in studio legale è furto in abitazione

No iscrizione a ruolo senza contributo unificato

contributo-unificato

No iscrizione a ruolo senza contributo unificato

Manovra 2022: se non si versa il contributo unificato niente iscrizione a ruolo

Da oggi, martedì 16 novembre, il testo della manovra di bilancio 2022 è al Senato. In particolare, in esso, art. 192, si trovano le “Disposizioni in materia di contributo unificato“, che introducono alcune modifiche al DPR n. 115/2002. Infatti, la nuova norma stabilisce che chi non paga il contributo unificato non potrà effettuare l’iscrizione a ruolo nelle cause. Ora, andiamo a vedere nel dettaglio di che cosa si tratta e qual è la reazione dell’avvocatura.

Contributo unificato e valore della causa: avvocatura insorge contro norma del Bilancio

Da martedì 16 novembre il testo della Manovra di Bilancio 2022 è in Senato. Come anticipato pocanzi, le modifiche più rilevanti rispetto al tema del contributo unificato si riscontrano all’art. 192, intitolato “Disposizioni in materia di contributo unificato”. In particolare, quest’ultimo introduce alcune modifiche al DPR n. 115/2002, in materia di spese di giustizia. Allora, all’art. 16 comma 1 viene aggiunto:

 

 

In caso di omesso pagamento del contributo unificato, ovvero nel caso in cui l’importo versato non è corrispondente al valore della causa dichiarato dalla parte ai sensi dell’articolo 15, comma 1, anche quando sono utilizzate modalità di pagamento con sistemi telematici, il personale incaricato non deve procedere all’iscrizione al ruolo.

Effettivamente, è da subito chiaro che la disposizione ha un’importante valenza. Infatti, essa vieta al personale d’iscrivere a ruolo le cause se:

  • Il contributo unificato non viene pagato;
  • In base al valore della controversia, il contributo unificato non viene pagato nella misura esatta.

I vantaggi dell’obbligo di pagamento del contributo unificato per il ruolo: l’ anti-evasione

Dunque, perché apportare questa novità? La ragione si evince nella relazione illustrativa della Manovra 2022. Qui, si afferma che l’entrata in regime del processo civile telematico ha dato il via a un aumento progressivo dell’evasione dall’obbligo di pagamento del contributo unificato. Quest’ultimo, veniva spesso assolto attraverso l’apposizione di una marca da bollo sulla nota d’iscrizione, che poi veniva annullata dalla Cancelleria.

Perciò, annullare l’iscrizione a ruolo a chiunque non abbia prima assolto all’obbligo di pagamento risolve diversi problemi. Tra i quali:

  • Evitare che la Cancelleria provveda a un adempimento;
  • Scongiurare l’avvio della procedura del recupero dell’importo da devolvere, che comprende anche tempi e costi di notifica;
  • Riscuotere immediatamente il contributo unificato;
  • Ridurre notevolmente i tempi del processo;

Ognuno di questi vantaggi apre nuove possibilità per realizzare entrate più velocialleggerendo il lavoro di riscossione. In questo modo, ci si potrà focalizzare nell’attività di smaltimento dell’arretrato, accumulatosi negli anni dal 2015 al 2020.

Cnf e Aiga: l’obbligo di contributo unificato è di dubbia costituzionalità, i problemi sono altri

Tra i pareri contrari nei confronti della nuova norma emerge in primis l’Aiga, che manifesta il suo sconcerto attraverso un Comunicato Stampa. Il Presidente dell’associazione ritiene che essa “subordina l’accesso alla giustizia e la tutela dei cittadini ad adempimenti meramente fiscali”. Rincara la dose affermando che spesso il malfunzionamento dei sistemi di pagamento resi disponibili dal Ministero della Giustizia sono il vero problema. Oppure, che molto dipende anche dalla prassi dei singoli Tribunali, difformi rispetto alle circolari interpretative emesse dallo stesso Ministero.

Quindi, l’Associazione dei giovani Avvocati auspica a un ripensamento della norma da parte del Governo. La loro tesi afferma che il problema principale da risolvere sia piuttosto l’inefficienza degli uffici giudiziari, responsabile di compromissione dell’accesso alla giustizia. Di conseguenza, i Consigli degli Ordini degli avvocati di RomaMilano e Napoli, come l’Aiga, chiedono:

  • Al governo, di ritirare la proposta;
  • Ai parlamentari, di respingere l’attuale riformulazione della norma.

Ora, anche il Cnf non si fa attende e dice la sua sulla questione attraverso un Comunicato Stampa. Qui, il Consiglio manifesta la propria perplessità: pare che la norma sia anticostituzionale e abbia tristi finalità. Ovvero, ritiene che con l’introduzione di questa regola si subordinerebbe l’accesso alla giustizia al pagamento di una somma di denaro. E quindi:

  • Si impedisce l’accesso alla giustizia ai cittadini meno abbienti
  • Si aggrava ulteriormente la condizione degli avvocati, spesso costretti ad anticipare il costo del contributo che è poi difficile recuperare.

Anf e Ocf: norma anticostituzionale e aggravante per le condizioni dei cittadini

Giampaolo di Marco, segretario dell’Anf pubblica un Comunicato Stampa in cui denuncia che il Governo mette in difficoltà il cittadino. In altre parole, egli ritiene che “mette con le spalle al muro il cittadino che intende rivolgersi alla giustizia per tutelare i propri diritti”. Inoltre, egli evidenzia che in questo modo chi vuole accedere alla giustizia deve pagare e paga di conseguenza le inefficienze dello Stato.

Infine, l’Organismo Congressuale Forense rifiuta nettamente la norma attraverso un Comunicato Stampa. Tra le altre cose, qui si dispone anche la convocazione dell’assemblea ordinaria dell’organismo. Inoltre, al proposito della norma il coordinatore Giovanni Malinconico afferma che:

Si tratta di una disposizione che, col pretesto di combattere l’evasione, si mostra punitiva non tanto verso l’avvocatura, quanto verso gli utenti i cui diritti gli Avvocati difendono col risultato che chi ha meno disponibilità economiche potrebbe rinunciare a chiedere giustizia. Un ritorno al Medioevo.

LEGGI ANCHE:

Come ottenere il rimborso del contributo unificato

Giustizia lenta: in manovra 2021 la modifica alla Legge Pinto

 

prove raccolte dal web servicematica

Diritto di famiglia e valore delle prove raccolte dal web

Nel diritto di famiglia le prove sono indispensabili per:
– determinare la condizione economica dei partner e stabilire l’ammontare di un eventuale assegno di mantenimento,
– verificare le capacità genitoriali e determinare a chi affidare un minore,
– accertare condotte contrarie ai doveri coniugali per giustificare eventuali domande di addebito.

Non tutte le prove raccolte sono però ammissibili o rilevanti. In particolare, che valore hanno le prove raccolte dal web?

LA VOLATILITÀ DEI CONTENUTI WEB

Se, da un lato, qualsiasi cosa venga pubblicata sul web è destinata a rimanere reperibile per lunghissimo tempo; dall’altro, una medesima informazione può essere presente in varie forme e versioni, rendendo difficile individuare quale sia quella autentica.

Con la pronuncia 2912 del 2004, la Corte di Cassazione ha discusso l’autenticità e la volatilità dei contenuti, affermando che:

«le informazioni tratte da una rete telematica sono per natura volatili e suscettibili di continua trasformazione e, a prescindere dalla ritualità della produzione, va esclusa la qualità di documento in una copia su supporto cartaceo che non risulti essere stata raccolta con garanzie di rispondenza all’originale o di riferibilità a un ben individuato momento».

In sostanza, le informazioni raccolte dal web possono essere considerate prove documentali (art. 234 c.p.p.), a patto che siano riferibili a un preciso momento.

Sempre la Cassazione, con la sentenza 49016 del 2017 ha ribadito l’insufficienza probatoria della semplice riproduzione cartacea di una conversazione su WhatsApp, chiedendo di acquisire il supporto telematico su cui erano presenti i contenuti per verificarne l’attendibilità. Secondo la Corte, la trascrizione aveva una solo “funzione meramente riproduttiva del contenuto della principale prova documentale“.

PROVE RACCOLTE DAL WEB: IL VALORE DI SCREENSHOT E TRASCRIZIONI

Uno screenshot, ovvero la fotografia di una pagina web, dimostra dunque solo l’esistenza di certi contenuti in rete in un determinato momento: quei contenuti esistono ancora oggi in quella forma? Sono cambiati? Erano veritieri prima? E ora? Ne consegue che lo screenshot non può essere considerato una prova attendibile.

La portata probatoria delle copie cartacee delle schermate internet è però sostenuta dall’art. 23 comma 2 bis del Codice dell’amministrazione digitale, che afferma che:

«sostituiscono ad ogni effetto di legge l’originale da cui sono tratte se la loro conformità all’originale in tutte le sue componenti è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato»

FACEBOOK E GLI ALTRI SOCIAL

Tra le prove raccolte dal web più usate nei casi di separazione e divorzio ci sono fotografie e informazioni tratte dai profili social dei coinvolti.

Questi contenuti sono utili a dimostrare eventuali infedeltà coniugali, condotte contrarie ai doveri coniugali o l’effettivo tenore di vita del futuro ex-coniuge.

Si potrebbe credere che si tratti di prove atipiche, ma così non è. Esse possono rientrare nella cornice dell’art.2712 c.c. in quanto riproduzioni informatiche (o cartacee) di fatti e di cose, pertanto formano piena prova dei fatti.

Nel caso delle chat su Facebook o altre piattaforme, esse hanno valore legale di prova se:
la loro veridicità non viene contestata dalla controparte (la contestazione non può però essere generica, ma deve essere basata su fatti e prove),
la loro riproduzione venga autenticata da un pubblico ufficiale (si ricorda però che tutti i messaggi privati scambiati tramite social network o simili sono coperti dal diritto alla privacy).

IL GIUDICE E IL CONCETTO DI “FATTO NOTORIO”

Il giudice non può raccogliere informazioni dal web.
Secondo la Cassazione (sentenza 4951 del 2017), eventuali informazioni reperite dal giudice su internet non rientrano nel concetto di “fatto notorio”.

Infatti, sebbene le tecnologie moderne rendano un’informazione accessibile a numerosi individui, questa non è necessariamente un ‘informazione incontestabile che fa parte del patrimonio conoscitivo della collettività.

Il Processo Telematico diventa facile con la piattaforma Service1. Scopri di più.

——–

LEGGI ANCHE:

Se la nota spese è inattendibile, i compensi vanno liquidati lo stesso

Privata dimora: il furto in studio legale è furto in abitazione

 


LEGGI ANCHE

Riserve per usufruttuari e limiti per i minori nelle srl: le nuove massime del Notariato del Triveneto

Le nuove direttive verranno presentate domani, 19 ottobre a Mogliano Veneto

crisi d'impresa

Crisi impresa, per uffici giudiziari accesso banche dati Inps, Agenzie entrate, Unioncamere e Infocamere

Roma, 4 giugno 2024 – Accesso diretto alle banche dati per gli uffici giudiziari impegnati nella gestione della crisi di impresa e dell’insolvenza. Il Ministero…

Privacy e piattaforme di videoconferenza: aziende chiamate a dare risposte entro settembre

Privacy e piattaforme di videoconferenza: aziende chiamate a dare risposte entro settembre

Molti di noi hanno conosciuto le piattaforme di videoconferenza durante la quarantena: senza Teams, Zoom e Skype non saremmo mai stati in grado di portare…

furto in studio legale servicematica

Privata dimora: il furto in studio legale è furto in abitazione

In che modo il furto all’interno di uno studio legale si configura come furto in abitazione? Tutto dipende dal concetto di “privata dimora”.  La Cassazione ci aiuta a capirlo con la sentenza n. 38412/2021.

FURTO IN STUDIO LEGALE

Un addetto alle pulizie di uno studio legale viene condannato dal giudice dell’impugnazione per il reato di cui all’art.64 bis c.p., relativo al furto in abitazione.

Il suo difensore ricorre in Cassazione, contestando proprio questo elemento. Il soggetto ha infatti rubato all’interno dello studio legale, ovvero un luogo di lavoro che non può rientrare nel concetto di “privata dimora” poiché non è possibile dimostrare che in esso si svolgano anche attività personali.

La Cassazione respinge il ricorso perché generico.

IL CONCETTO DI  “PRIVATA DIMORA”

Nella sentenza, la Corte ricorda che:

«la più recente -e condivisibile- giurisprudenza di legittimità ha ritenuto corretta la qualificazione ex art. 624-bis cod. pen. del furto commesso di notte all’interno di uno studio legale, ricorrendo i presupposti dello “ius excludendi alios”, dell’accesso non indiscriminato al pubblico e della presenza costante di persone, anche eventualmente in orario notturno, essendo il titolare libero di accedervi in qualunque momento della giornata»

Specifica poi che:

«ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 624-bis cod. pen., rientrano nella nozione di privata dimora i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata – compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale – e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare».

PERCHÈ LO STUDIO LEGALE È “PRIVATA DIMORA”

Sempre nella sentenza, la Corte elenca i requisiti per cui un luogo di lavoro rientra in tale definizione:

  • utilizzo del luogo di lavoro per attività private (riposo, svago, alimentazione, studio),
  • frequentazione stabile e non occasionale del luogo da parte del titolare,
  • non accessibilità al luogo da parte di terzi senza il consenso del titolare.

Nel caso in questione, questi tre criteri sono rispettati. Inoltre, la presenza nello studio legale degli oggetti di valore, poi rubati, rinforza la destinazione a privata dimora dello studio. Pertanto, lo studio legale va considerato un luogo di privata dimora e il furto rientra nella cornice dell’art. 624 bis c.p.

Il Processo Telematico diventa facile con la piattaforma Service1. Scopri di più.

——–

LEGGI ANCHE:

Se la nota spese è inattendibile, i compensi vanno liquidati lo stesso

Costituzione in appello e termini in scadenza il sabato: vale la proroga?

protocollo-intesa-cnf-eppo

Protocollo d’intesa tra Cnf e Procura Europea

Cnf-Eppo: ecco il protocollo con le best practice degli uffici decentralizzati in Italia

L’8 novembre 2021 si sottoscrive un protocollo d’intesa tra il Consiglio Nazionale Forense (Cnf) e la Procura Europea (Eppo). Con ciò, entrambe le parti si impegnano nell’individuazione delle modalità di regolamentazione delle richieste come da ex art. 335 c.p.p. Per fare ciò, gli organismi in questione porteranno a termine azioni congiunte con finalità di promozione e diffusione di best practice.

Il protocollo tra Cnf e Eppo sulle modalità di regolamentazione delle richieste

Innanzitutto, ricordiamo che la EPPO ha sede in Lussemburgo ed è un organismo indipendente dell’Unione Europea. In effetti, da giugno 2021, essa ha il compito di indagare, perseguire e portare in giudizio i reati che ledono gli interessi finanziari dell’Ue. Nasce delle disposizioni del Trattato di Lisbona e come cooperazione rafforzata tra 22 dei 27 membri dell’UE.

 

 

Come anticipato, il protocollo è una stipula d’impegno reciproco con l’obiettivo comune di stabilire le modalità di regolamentazione delle richieste (ex art. 335 c.p.p.). Tali richieste sono state formulate dai difensori delle persone iscritte nel registro delle notizie di reato della Procura europea. Allo stesso modo, il protocollo s’impegna e risponde anche alle richieste sullo stato del procedimento giudiziario.

Al fine di adempiere a tali finalità si organizzeranno eventi comuni per informare su:

  • le attività svolte dalla Procura europea;
  • i temi del diritto alla difesa all’interno del quadro costituzionale nazionale ed europeo;
  • la realizzazione comune di programmi di formazione continua;
  • incontri di studio e di ricerca per gli iscritti dei rispettivi ordinamenti professionali.

È possibile visionare il documento ufficiale qui.

 

LEGGI ANCHE:

Al via l’attività della prima Procura Europea

Riforme del processo penale e civile: i dubbi del CNF

cassa integrazione proroga

Prorogata la cassa integrazione per Covid-19

Il decreto fiscale stabilisce proroga alla cassa integrazione fino a gennaio 2021

Lo scorso 22 ottobre è entrato in vigore il “Decreto Fiscale” DL. 146/2021, il quale stabilisce alcune importanti proroghe. Tra tutte, l’integrazione salariale, che mira a fornire copertura alle aziende fino alla fine dello stato di emergenza. A ciò, si aggiunge il divieto di licenziamento: quest’ultimo, cassa integrazione in deroga e cassa integrazione ordinaria sono quindi riconosciuti fino al 31/12/2021.

Decreto fiscale 2022: CIGD, FIS e CIGO fino alla fine del 2021

Il DL. 146/2021, all’art. 11 comma 1, statuisce la possibilità per le aziende interessate di richiedere la cassa integrazione in deroga (CIGD). In particolare, si tratta di ulteriori 13 settimane di trattamento di integrazione salariale nel periodo tra il 1° ottobre ed il 31 dicembre 2021. Parimenti, le medesime 13 settimane di cassa integrazione sono riconosciute ai datori di lavoro che hanno già beneficiato delle 28 settimane previste dal Decreto Sostegni.

 

 

Anche riguardo le domande di cassa integrazione ordinaria (CIGO), è l’art. 11, comma 2 DL. 146/2021, a dare indicazioni fondamentali. Qui, si statuisce, per i lavoratori delle aziende tessili e di confezione abbigliamento, la possibilità di richiedere altre 9 settimane di trattamento di integrazione salariale per il periodo 1° ottobre- 31 dicembre 2021. Ora, sia nel caso della CIGD che nel caso della CIGO, non è dovuto alcun contributo addizionale.

Infine, si ricorda alle aziende che l’INPS con il messaggio n.3556 proroga al 31 dicembre 2021 la possibilità di scegliere se, per la trasmissione dei dati mensili per il pagamento diretto dei trattamenti di cassa integrazione, utilizzare il nuovo flusso telematico “UniEmens-Cig” o il modello “SR41”. Ciò vale per le richieste di pagamento diretto relative a domande presentate entro il 31 dicembre 2021 oppure presentate successivamente, però aventi per oggetto periodi di integrazione salariale con decorrenza anteriore al 1° gennaio 2022.

Concludiamo con una precisazione: tali domande di accesso ai trattamenti di integrazione salariale devono essere inoltrate all’INPS -a pena decadenza- entro la fine del mese successivo a quello di entrata in vigore del decreto.

 

LEGGI ANCHE:

Decreto sostegni e bonus famiglie 2021

Decreto sostegni: bonus prima casa agli under 36

Se la nota spese è inattendibile, i compensi vanno liquidati lo stesso

Se la nota spese è inattendibile, i compensi vanno liquidati lo stesso

Il giudice che riceve la nota spese da parte di un avvocato per la liquidazione dell’attività svolta non può decidere di tagliare alcune voci, se non le ritiene adeguate, senza dare alcuna motivazione. Ciò significa che una nota spese è liquidabile anche se inattendibile.
Così indica la Cassazione con l’ordinanza n. 27896/2021.

UNA NOTA SPESE INATTENDIBILE

A seguito della conclusione di un procedimento, a un avvocato viene riconosciuta la liquidazione di un compenso che non è in linea con la nota spese presentata. La nota spese infatti presentava voci duplicate, dettaglio che ha portato sia il giudice di prima istanza che il giudice del Tribunale a riconoscere un compenso inferiore.

L’avvocato ricorre in Cassazione. Tra i motivi:

– la «regolamentazione delle spese del giudizio contenzioso» cui ha partecipato non può «in alcun modo vincolare la successiva liquidazione del compenso nella procedura azionata dall’avvocato verso il proprio cliente per la determinazione del corrispettivo per l’opera prestata in tale giudizio»;

la riduzione della somma liquidata rispetto quella presentata non è stata accompagnata da un adeguata motivazione.

IL GIUDICE NON PUÒ ELIMINARE VOCI DALLA NOTA SPESE

La Cassazione respinge il primo motivo ma accoglie il secondo.

A tal proposito, nell’ordinanza ribadisce il seguente principio:

«quando è acquisita agli atti del processo una specifica nota delle spese il giudice non può limitarsi ad una globale determinazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato in misura inferiore a quelli esposti ma ha l’onere di dare adeguata motivazione dell’eliminazione e della riduzione di voci da lui operata, allo scopo di consentire, attraverso il sindacato di legittimità, l’accertamento della conformità della liquidazione a quanto risulta dagli atti ed alle tariffe, in relazione all’inderogabilità dei relativi minimi sancita dall’art. 24 della legge n. 794 del 1942».

Ciò significa che una nota spese inattendibile non solleva il giudice dal compito di determinare i diritti in base all’attività svolta dall’avvocato e alle tariffe applicabili. Soprattutto, non lo solleva dall’obbligo di motivare eventuali tagli.

Nel caso in questione, il decreto del giudice del Tribunale non indica quali siano le voci duplicate (quindi non dovute) nella nota spese, tant’è che vengono escluse dalla liquidazione voci che, secondo le tariffare in vigore, sono in realtà dovute.

La questione viene quindi rinviata al Tribunale in diversa composizione che procede a rideterminare i diritti dovuti all’avvocato.

Il Processo Telematico diventa facile con la piattaforma Service1. Scopri di più.

——–

LEGGI ANCHE:

Costituzione in appello e termini in scadenza il sabato: vale la proroga?

Sulla validità della notifica del decreto ingiuntivo con procura alle liti priva di firma

Il-termine-quinquennale-di-continuita-professionale

Il termine quinquennale di continuità professionale

La Corte territoriale aveva erroneamente confermato la pronuncia di primo grado

Avvocatessa fa ricorso in Cassazione per contestazione sulla continuità dell’esercizio professionale

Il 4 novembre scorso la Cassazione pubblica l’ordinanza n. 31754 a seguito di un ricorso per contestazione sulla continuità della professione. Qui, si fa riferimento agli artt. 22 (Iscrizione alla Cassa), 17 (Comunicazioni obbligatorie alla Cassa) e 23 (Comunicazione e pagamento dei contributi per gli anni 1975 e successivi). Con essi, la Cassazione stabilisce che la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza forense non può più contestare il requisito della continuità professionale.

Continuità professionale e pagamento contributi a Cassa Forense

La vicenda risale a circa vent’anni fa, quando ad un’avvocatessa viene chiesto l’accertamento del requisito della continuità professionale per l’anno 2000. Prima, l’avvocatessa aveva chiesto l’annullamento della delibera con la quale la Giunta esecutiva aveva dichiarato inefficace l’importo da lei versato. Dunque, la pronuncia del giudizio origina dalla sentenza della Corte d’Appello di Napoli che nel 2014 confermò la decisione di primo grado di rigettare la domanda dell’avvocatessa.

 

 

La professionista propone ricorso in Cassazione, deducendo tre motivi:

  1. Denuncia “della violazione e falsa applicazione degli artt., 14201372 e 2697 cod. civ. nonché degli artt. 3, I. n. 319/1975, 22, I. n. 576/1980, e 20, 21, 22 e 30 dello Statuto della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense”. Quindi, ella ritenne che la Corte avesse erroneamente dato ragione alla Giunta esecutiva della Cassa, rispetto alla tempestiva contestazione del suddetto requisito. In effetti, la delibera intervenne in data 06.07.2007, molto tempo dopo il termine di cinque anni di cui all’art. 22, I. n. 576/1980;
  2. Lamenta la violazione degli artt. 21 e 1372 cod. civ.I. n. 319/1975I. n. 576/1980, e degli artt. 134293137 e 38 Cost. Infatti, ella fa notare che la propria maternità le consentiva l’esonero dalla relativa prova per due anni, compreso quello di nascita del figlio;
  3. Contesta la violazione degli artt. 21 e 1372 c.c., 2, I. n. 319/1975, 22, I. n. 576/1980, e degli artt. 324 e 111 Cost. e 244 e 245 c.p.c. Qui, la professionista pone l’attenzione sull’omissione dell’esame dei fatti decisivi: la Corte non aveva tenuto conto della difficoltà di accrescimento della figlia e della conseguente flessione nel reddito.

La risposta della Cassazione

Innanzitutto, la Corte in riferimento al primo punto contesta che di tanto in tanto è lecita una periodica revisione degli iscritti. Quindi, la Giunta esecutiva della Cassa può farlo in riferimento proprio al criterio della continuità professionale. Così, si rendono inefficaci (agli effetti dell’anzianità d’iscrizione) i periodi per i quali la continuità non risulta dimostrata. Effettivamente, la Corte dimostra che l’art. 22 u. c., L. n. 576/1980, ha modificato l’art. 3 della L. n. 319/1975.

Quindi, il Collegio richiama la sentenza n. 16252 del 2018. Qui, si specifica che per architetti e ingegneri liberi professionisti iscritti alla Cassa di previdenza professionale, il termine quinquennale per le verifiche del requisito della continuità ha natura decadenziale. Inoltre, il termine decorre dalla data in cui il professionista ha presentato la relativa dichiarazione sostitutiva, funzionale all’esercizio della verifica.

Ora, si fa riferimento alla sentenza delle Sezioni Uniten. 13289/2005. Qui, viene esteso all’Inarcassa il principio di diritto secondo cui, quando:

  • non è esercitata la facoltà di revisione prevista dal citato art. 22;
  • l’interessato ha adempiuto agli obblighi di comunicazione previsti dagli artt., 17 e 23 della L. n. 576/1980

allora la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense non può più contestare il requisito della continuità professionale. In particolare, questo discorso è valido per i periodi anteriori al quinquennio precedente la domanda di pensione.

Perciò, la Corte territoriale ha erroneamente confermato la pronuncia di primo grado, non tenendo conto di tale principio. In conclusione, la Cassazione:

  • accoglie il primo motivo;
  • ritiene assorbiti gli altri;
  • cassa la sentenza impugnata;
  • rinvia la causa alla Corte d’Appello in diversa composizione.

LEGGI ANCHE:

Avvocati: definitivo addio ai cinque mandati

Abolire l’obbligo di iscrizione a Cassa Forense? Presentata la proposta di legge.

Costituzione in appello e termini in scadenza il sabato: vale la proroga?

Costituzione in appello e termini in scadenza il sabato: vale la proroga?

Per la costituzione in appello vale la proroga dei termini se la scadenza cade di sabato? Con l’ordinanza n. 21925/2021 del 30 luglio 2021, la Cassazione si è espressa in materia.

TERMINI IN SCADENZA IL SABATO

Un agente chiede al Tribunale di ottenere il pagamento di una somma a titolo di provvigione per l’attività svolta in una compravendita immobiliare.

Il Tribunale rigetta la domanda che però viene successivamente accolta dalla Corte d’Appello, sulla considerazione del ruolo dell’agente nella conclusione dell’affare.

Il soggetto condannato a pagare ricorre però in Cassazione. Tra i suoi motivi, anche la violazione e la falsa applicazione delle norme sul computo dei termini (artt. 152, 153 e 155 c.p.c.), poiché l’agente avrebbe presentato la costituzione in appello oltre il termine di 10 giorni dalla notifica dell’atto di citazione. In particolare:

– il termine in questione scadeva di sabato, mentre la costituzione in appello è stata effettuata il lunedì successivo,
– il termine di 10 giorni non era prorogabile al primo giorno successivo non festivo, poiché il sabato non può essere considerato festivo;
– l’art. 155 c.p.c. non presenta una regola generale applicabile a tutti i termini processuali, ma solo ai termini per il compimento di atti processuali che si svolgono fuori dell’udienza.

COSTITUZIONE IN APPELLO E ART. 155 C.P.C.

La Cassazione ritiene il ricorso infondato perché:

la proroga dei termini in scadenza il sabato prevista dall’art. 155 c.p.c. si applica anche ai termini per la costituzione in appello, che avviene con le forme e i termini per i procedimenti davanti al tribunale secondo quanto indicato dal primo comma dell’art. 347 c.p.c.;

il termine per la costituzione in appello dopo la notifica è un atto processuale che si compie fuori udienza. Nel caso in cui la scadenza cadesse sabato, la proroga al primo giorno non festivo prevista dall’art. 155 c.p.c. è applicabile.

Nell’ordinanza di legge:

«La disciplina del computo dei termini di cui all’art. 155 c.p.c., commi 4 e 5, che proroga di diritto, al primo giorno seguente non festivo, il termine che scade in un giorno festivo o di sabato, si applica, per il suo carattere generale, a tutti i termini, anche perentori, contemplati dal codice di rito, compreso il termine breve per la proposizione del ricorso per cassazione».

Il Processo Telematico diventa facile con la piattaforma Service1. Scopri di più.

——–

LEGGI ANCHE:

Sulla validità della notifica del decreto ingiuntivo con procura alle liti priva di firma

Quando è valida la notifica PEC?


LEGGI ANCHE

L’intelligenza artificiale sostituisce le persone che scrivono i messaggi dei biscotti della fortuna

Ogni anno vengono prodotti circa 3 miliardi di biscotti della fortuna, i tipici biscotti serviti a fine pasto nei ristoranti cinesi. I biscotti della fortuna…

esame-avvocato-2022

Concorso notaio: solo con Green Pass

Concorso notarile 2021: l’accesso agli esami è possibile solo con la Certificazione Verde Covid Il sito del Ministero della Giustizia ha pubblicato il bando del prossimo Concorso notarile da 400 posti. In tale avviso…

Croce al posto della firma: la procura alle liti non è valida

Croce al posto della firma: la procura alle liti non è valida

Cosa succede se la procura alle liti presenta una croce al posto della firma? Può essere ritenuta valida? L’ordinanza n. 16948/20 emessa dalla Corte di…

la prescrizione per i debiti contributivi (2)

La prescrizione per i debiti contributivi

La prescrizione quinquennale deve ritenersi applicabile anche successivamente alla notifica della cartella esattoriale

Tribunale di Foggia: il caso di prescrizione quinquennale per i debiti contributivi

Dopo 8 anni arriva a Foggia l’articolata pronuncia dell’Ill.ma Giudice dott.ssa Aquilina Picciocchi su un caso di debiti contributivi. Infatti, nel 2013 l’oggi Agenzia Entrate e Riscossione iscrisse ipoteca sull’immobile di un contribuente. La debitoria era molto elevata, pari ad €180.000,00. Ora, vediamo insieme come si è sviluppata la vicenda.

La vicenda sui contributi e le contestazioni all’atto di opposizione

Come anticipato, otto anni fa inizia questa vicenda che vede coinvolti l’ex Equitalia, ipoteche su immobili e un alto debito da saldare. In pratica, arrivarono una serie di cartelle al contribuente, che però non ha mai pagato. Tuttavia, all’epoca le abitazioni dei contribuenti erano pignorabili anche dallo Stato e non solo dalle banche: questo è il perno su cui ha fatto leva l’opposizione.

 

 

L’opposizione è stata sin da subito molto elaborata: non riguardava solo la nullità dell’iscrizione ipotecaria ma entrava anche nel merito della pretesa creditoria. Effettivamente, si rilevò che la prescrizione di molte cartelle era dovuta perché le notifiche giunsero oltre il termine di decadenza. Inoltre, si contestò appunto l’inesistenza dell’iscrizione ipotecaria perché molte cartelle non erano state regolarmente notificate.

Dunque, si avviò la prima fase dinanzi al Tribunale Ordinario per l’opposizione agli atti esecutivi. Qui, la causa inizialmente unita venne poi gestita dalla Commissione Tributaria e dal Tribunale del Lavoro per i crediti rispettivamente di natura tributaria e previdenziale. Inoltre, tra le nullità era stata evidenziata anche la prescrizione delle pretese erariali.

La sentenza del Giudice sul caso della prescrizione dei debiti contributivi

La sentenza emessa dal Giudice (Cass. n. 8061 del 2007) fa notare che del detto caso si contesta il diritto di procedere ad esecuzione forzata per difetto. Esso, sia che sia originario o sopravvenutototale o parziale, rispetto al titolo esecutivo o della pignorabilità dei beni. Inoltre, tale opposizione non è soggetta ad alcun termine, se non quello rappresentato dal compimento dell’esecuzione.

Invece, l’opposizione agli atti esecutivi deve essere proposta nel termine perentorio di venti giorni (ex art. 617 cpc.). Tuttavia, per la scrivente i termini per proporre opposizione decorrono dal termine utile in cui il contribuente ha avuto reale conoscenza dell’atto. Difatti, il contribuente dovrebbe aver avuto modo di contestare la cartella nel termine perentorio previsto per legge.

A tal proposito, la Giudice conferma nella sentenza che il termine decorre “dal momento in cui l’interessato abbia avuto conoscenza di un atto successivo che necessariamente presupponga il primo”. Di conseguenza, “l’opposizione proposta contro un atto successivo, implicando la legale conoscenza dell’atto precedente, fa decorrere il termine per l’impugnazione di quest’ultimo”.

I diritti del debitore rispetto a cartella esattoriale e mancata notifica

Dunque, è evidente che se non v’è stata notifica della cartella esattoriale, il destinatario non si può sottrarre al rimedio previsto dalla legge. Infatti, la garanzia deve essere recuperata nei confronti del primo atto: momento in cui il contribuente è in grado di esercitare validamente il suo diritto di difesa. Così prosegue la sentenza del giudice:

Il difetto dell’atto presupposto, quale elemento costitutivo della domanda di annullamento dell’atto susseguente per invalidità derivata e causa pretendi dell’eventuale difesa nel merito della pretesa impositiva, deve essere dedotto dal ricorrente nell’atto introduttivo del processo a pena di inammissibilità, risultando altrimenti elusa la perentorietà dei termini di impugnazione.

La sentenza si collega a ciò che è stabilito nell’art.24 Dlgs 46/99. Qui, si evince che: se non avviene opposizione alla cartella esattoriale o all’avviso nel termine dei 40 giorni avverrà la cristallizzazione dei crediti dell’INPS. Però, è altrettanto un diritto del debitore far valere in giudizio, nella forma dell’art. 615 cpc i fatti estintivi del diritto.

Il termine quinquennale di prescrizione dei contributi previdenziali

Ora, il termine quinquennale di prescrizione dei contributi previdenziali rimane tale anche dopo la notifica di una cartella esattoriale priva d’opposizione? O, in questo caso, il termine si estende alla forma decennale? A tal proposito, la Cassazione si è espressa con la sentenza n. 23397 del 17.11.2016 nel rispetto del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46.

Qui, si evince che il credito contributivo è irretrattabile senza che si determini anche l’effetto della conversione del termine di prescrizione breve. Questo, è scritto nell’ art. 3, commi 9 e 10, della legge n. 335 del 1995. Invece, per quanto riguarda il termine ordinario ai sensi dell’art. 2953 cod. civ. si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo.

Invece, dato che la cartella ha natura di atto amministrativo risulta priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Stessa cosa vale per l’avviso di addebito dell’INPS, che dal 1° gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento. Questa sostituzione è avvenuta per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto, come da legge n. 122 del 2010.

Riscossione dei crediti degli enti previdenziali

Si noti come il sopracitato art. 2953 cod. civ. si applichi a tutti gli atti di riscossione mediante ruolo o di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali. Questi sono crediti relativi a:

  • entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie;
  • crediti delle Regioni;
  • delle province;
  • dei comuni;
  • degli Enti Locali;
  • delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative.

Di conseguenza, se per i relativi crediti è prevista una prescrizione più breve di quella ordinaria, la sua scadenza corrisponde unicamente al termine concesso al debitore per proporre l’opposizione. Inoltre, non viene consentita l’opposizione all’art. 2953 cod. civ., fuorché in presenza di un titolo giudiziale definitivo. Dunque, la prescrizione quinquennale deve ritenersi applicabile anche successivamente alla notifica della cartella esattoriale.

LEGGI ANCHE:

COVID e retroattività della prescrizione

Processi e prescrizione: la situazione dei tribunali italiani

Iso 27017
Iso 27018
Iso 9001
Iso 27001
Iso 27003
Acn
RDP DPO
CSA STAR Registry
PPPAS
Microsoft
Apple
vmvare
Linux
veeam
0
    Prodotti nel carrello
    Il tuo carrello è vuoto