Cybersicurezza in azienda: amministratori in prima linea tra obblighi e responsabilità

La sicurezza informatica non è più soltanto un tema tecnico, ma un elemento centrale della governance aziendale. A ribadirlo è la circolare Assonime n. 23 del 4 novembre 2025, dedicata all’applicazione del d.lgs. 138/2024, con cui l’Italia ha recepito la direttiva europea NIS2 per il rafforzamento della resilienza digitale del Paese.

La normativa coinvolge una vasta platea di soggetti — imprese private e numerose pubbliche amministrazioni — imponendo misure obbligatorie per prevenire e gestire gli attacchi informatici. L’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (ACN) ha già definito i requisiti operativi: iscrizione alla piattaforma ACN, identificazione dei responsabili interni della cybersicurezza, valutazione e gestione dei rischi, programmi di formazione, monitoraggio costante delle misure adottate e segnalazione tempestiva degli incidenti.

Focus sugli amministratori
La parte più innovativa del decreto riguarda direttamente l’organo amministrativo: la cybersicurezza diventa responsabilità di governance.
Pianificazione delle difese, controllo dell’operatività dei presidi, investimenti adeguati e formazione del personale rientrano formalmente tra i doveri degli amministratori.

In caso di mancato adeguamento agli standard, la responsabilità non sarà solo organizzativa:
revoca degli amministratori da parte del tribunale in caso di gravi irregolarità gestorie
sanzioni interdittive individuali in caso di mancata attuazione delle diffide ACN
responsabilità personale e solidale per i danni a patrimonio sociale, soci e creditori

In presenza di un amministratore unico, tutti i compiti e i rischi ricadono su quella figura. Nelle società con consiglio di amministrazione senza deleghe, l’intero board è responsabile; se invece le deleghe sono attribuite solo ad alcuni componenti, questi rispondono direttamente, pur restando in capo al CdA il potere-dovere di controllo.

Investire nel digitale non è più un’opzione
L’analisi di Assonime sottolinea che un semplice piano di misure non basta: l’efficacia delle soluzioni adottate è criterio determinante di valutazione.
La discrezionalità degli amministratori è ridotta: è richiesto un livello elevato di protezione, adeguato al contesto di minacce in costante evoluzione.

Il messaggio è netto: tagliare sui budget cyber significa esporsi a rischi aziendali e personali.

Infine, la circolare richiama la necessità di coordinare le misure NIS2 con quelle previste dal Regolamento UE 2016/679 (GDPR): privacy e cybersicurezza camminano congiuntamente, e i fondi per l’una non possono essere disgiunti da quelli per l’altra.


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Portale Deposito Atti Penali in tilt: l’UCPI segnala il malfunzionamento e richiama alle norme sulla trasparenza

Il digitale nella giustizia penale mostra ancora fragilità importanti. Da giorni, numerosi avvocati in tutta Italia riscontrano l’impossibilità di completare i depositi sul Portale Deposito Atti Penali (PDP): al termine della procedura, invece della conferma, appare una schermata di errore con la dicitura «ATTENZIONE – Caricamento Atto – Aggiungi File» sovrastata da una “X”. Un messaggio poco chiaro, soprattutto perché si presenta anche quando l’atto principale è stato già firmato digitalmente e nessun altro allegato è richiesto.

L’Unione delle Camere Penali Italiane (UCPI), tramite il proprio Osservatorio sull’Informatizzazione del Processo Penale, ha denunciato ufficialmente il problema al Ministero della Giustizia, sottolineando come la mancanza di tempestiva comunicazione sui malfunzionamenti non sia una semplice disfunzione tecnica, ma anche una violazione normativa.

Art. 175-bis c.p.p.
La norma prevede che, in caso di malfunzionamento dei sistemi informatici del dominio giustizia:

  • il dirigente competente deve comunicare immediatamente l’inizio e la fine del disservizio
  • la comunicazione deve avvenire con modalità idonee a garantirne la conoscibilità agli utenti

Ad oggi (ieri per chi legge, NdR), evidenzia UCPI, non risulta alcun avviso né sul portale PDP né sul sito del Ministero.

Una mancanza che crea incertezza e rischi operativi per chi deposita atti legati a diritti fondamentali della persona:

  • senza conferma, un deposito può non essere valido
  • le scadenze processuali non si fermano da sole
  • le responsabilità ricadono sull’avvocato, non sul sistema

Segnalazioni e timori si moltiplicano mentre ci si avvicina alla cosiddetta “rivoluzione digitale” del processo penale, che dovrebbe – nelle intenzioni – migliorare tutela, efficienza e garanzie.

UCPI rassicura però che la segnalazione è stata presa in carico dalla DGSIA del Ministero, la quale ha assicurato un intervento tempestivo.


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L’avvocatura si mobilita per il Sì: nasce la task force pro-riforma

Una larga parte dell’Avvocatura italiana si prepara a scendere in campo per sostenere il al referendum confermativo sulla riforma costituzionale della giustizia. Concluso l’iter parlamentare che introduce la separazione delle carriere tra magistratura requirente e giudicante, ora la battaglia si sposta nella società civile, dove si aprirà una fase di confronto serrato.

Ad aprire il fronte è Francesco Greco, presidente del Consiglio Nazionale Forense, che definisce la riforma «un passo necessario per una giustizia più equa e credibile». Con il voto del Senato, spiega, «si inaugura una stagione nuova, nella quale superare le dinamiche correntizie che troppo spesso hanno appannato l’autorevolezza della magistratura». Il Cnf, garantisce Greco, offrirà ai cittadini una partecipazione informata e rigorosa, «al di fuori di logiche partitiche», mettendo al centro il contributo tecnico-giuridico dell’Avvocatura.

Entusiasmo anche dalle Camere penali, da anni in prima linea in questa battaglia. Il presidente Francesco Petrelli parla senza esitazioni di una conquista storica: «La piena attuazione del modello accusatorio del 1988 non può prescindere dalla separazione delle carriere. Ora saranno i cittadini a decidere se vogliono un giudice davvero terzo, indipendente dalla politica e libero da logiche associativo-corrente». I penalisti si impegneranno in una campagna referendaria «chiara e corretta», per evitare derive ideologiche e polarizzazioni sterili.

Alla mobilitazione si aggiunge l’Associazione italiana giovani avvocati, che vede nella riforma un’opportunità di maggiore efficienza del sistema. Secondo il presidente Carlo Foglieni, l’intervento costituzionale «garantisce l’autonomia dei magistrati e consolida la specializzazione degli uffici giudicanti e requirenti», con benefici organizzativi e un possibile impatto significativo sulla durata dei processi.

A chiudere il fronte del Sì c’è l’Organismo congressuale forense. Il coordinatore Fedele Moretti si dice certo che gli elettori sapranno cogliere «un’occasione storica per una giustizia migliore e più vicina ai diritti dei cittadini».

La campagna è quindi ai nastri di partenza. E mentre il referendum si avvicina, l’Avvocatura si prepara ad affrontare una sfida decisiva: spiegare agli italiani perché questa riforma, attesa per decenni, dovrebbe finalmente diventare realtà.


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Riforma della Giustizia: dopo l’ok del Senato parte l’iter per il referendum confermativo

Dopo il via libera del Senato alla riforma costituzionale della giustizia, il percorso non è ancora concluso: sarà infatti il popolo italiano a pronunciarsi in ultima istanza. La Costituzione prevede che le modifiche alla Carta, quando non raggiungono in Parlamento la maggioranza qualificata dei due terzi, debbano passare da un referendum confermativo.

La fase successiva scatterà con la pubblicazione della legge in Gazzetta Ufficiale, attesa nei prossimi giorni. Da quel momento decorreranno tre mesi entro i quali potrà essere formalmente avanzata la richiesta di referendum.

A regolare questa procedura è l’articolo 138 della Costituzione, che stabilisce regole stringenti:

  • La richiesta può essere presentata da un quinto dei membri di una Camera (80 deputati o 40 senatori)
  • Oppure da 500 mila elettori
  • O ancora da 5 Consigli regionali

Nel caso della riforma della giustizia, sia le forze di maggioranza che quelle di opposizione hanno dichiarato di voler ricorrere al voto popolare: si profila quindi un’ampia convergenza sulla consultazione.

Una volta depositata la richiesta formale, il referendum dovrà tenersi entro quattro mesi e mezzo. Ma l’Esecutivo intende accelerare i tempi: Parlamento e Governo si stanno già organizzando per raccogliere rapidamente le firme necessarie dei parlamentari, così da fissare la data già tra fine marzo e aprile 2026, secondo le previsioni del Ministro della Giustizia Carlo Nordio.

Da notare un aspetto fondamentale: non è previsto alcun quorum. A differenza dei referendum abrogativi, sarà sufficiente qualsiasi livello di affluenza: la riforma passerà o verrà respinta in base alla maggioranza dei voti validi espressi.

Questo elemento potrebbe rendere il confronto particolarmente acceso: il dibattito politico rischia di polarizzarsi, mentre ciascun fronte tenterà di mobilitare il proprio elettorato in vista di una scelta destinata a incidere profondamente sugli equilibri del sistema giudiziario.


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Accesso ai dati delle piattaforme digitali: nuove regole UE aprono la strada alla ricerca indipendente

Da oggi, il mondo della ricerca scientifica potrà contare su un nuovo strumento per comprendere in profondità l’impatto sociale e culturale delle grandi piattaforme digitali.
L’Unione Europea ha infatti reso operativo l’atto delegato sull’accesso ai dati, previsto dal Regolamento sui Servizi Digitali (Digital Services Act – DSA), che introduce un meccanismo innovativo di trasparenza e condivisione dei dati detenuti dai grandi operatori online.

Le nuove norme permettono ai ricercatori qualificati di richiedere l’accesso a informazioni e dataset fino ad oggi riservati, provenienti da piattaforme e motori di ricerca di dimensioni molto grandi. Questi dati sono fondamentali per analizzare e valutare i rischi sistemici generati dai sistemi di raccomandazione algoritmica, dalla circolazione di contenuti illegali, dalle truffe online e dagli effetti psicologici delle interazioni digitali, soprattutto sui minori.

L’obiettivo dichiarato è duplice: da un lato favorire studi indipendenti che aiutino a comprendere meglio il funzionamento e le conseguenze delle piattaforme, dall’altro rafforzare la sicurezza degli utenti, garantendo un ambiente digitale più trasparente e responsabile.

Tuttavia, l’accesso ai dati sarà soggetto a rigidi protocolli di valutazione e sicurezza. Le richieste dovranno essere sottoposte ai coordinatori dei servizi digitali, ossia le autorità nazionali incaricate dell’attuazione del DSA. Solo i ricercatori che soddisfano tutti i criteri previsti dalla normativa e i cui progetti risultino pertinenti rispetto ai temi dei rischi sistemici, della salute mentale o della diffusione di contenuti illegali potranno ottenere il via libera.

Una volta approvata la richiesta, le piattaforme avranno l’obbligo legale di fornire i dati richiesti, nel rispetto delle tutele previste per la riservatezza aziendale e la protezione dei dati personali.

La Commissione Europea ha sottolineato che questa misura rappresenta un passo fondamentale per rafforzare la responsabilità delle grandi piattaforme digitali e per consentire alla comunità scientifica di monitorare in modo indipendente il loro impatto sulla società. I coordinatori dei servizi digitali stanno già lavorando in rete per armonizzare le procedure di valutazione in tutti gli Stati membri, assicurando tempi certi e criteri uniformi di approvazione.

Con l’entrata in vigore dell’atto delegato, l’Unione Europea conferma la volontà di governare la trasformazione digitale con strumenti concreti di trasparenza, responsabilità e tutela dell’utente, aprendo una nuova stagione per la ricerca accademica nell’era dei dati.


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Soci di capitale nelle società tra avvocati: rimessa alla Consulta la norma contestata

L’Unione Nazionale delle Camere Civili esprime profonda soddisfazione per l’ordinanza con cui il Consiglio Nazionale Forense, in sede giurisdizionale, ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità dell’art. 4-bis della Legge Professionale Forense (L. 247/2012), introdotto dalla L. 124/2017, che consente la presenza di soci di capitale nelle società tra avvocati.

La decisione del CNF riconosce la fondatezza delle argomentazioni sollevate dall’UNCC, incentrate sulla tutela dell’indipendenza e dell’autonomia dell’avvocato, principi cardine della funzione difensiva garantita dalla Costituzione. In particolare, la normativa contestata è stata ritenuta potenzialmente in contrasto con gli articoli 3, 24, 41 e 111 della Costituzione, nella misura in cui potrebbe introdurre condizionamenti economici estranei alla natura della professione forense.

«È un passaggio storico per l’Avvocatura italiana» — dichiara il Presidente dell’UNCC, Avv. Alberto Del Noce — «che conferma il ruolo di vigilanza e di impulso svolto dall’Unione per la tutela dei valori della nostra professione. L’indipendenza dell’avvocato è un presidio di democrazia e non può mai essere subordinata a logiche di mercato o interessi esterni alla difesa dei diritti dei cittadini».

Con questa ordinanza, il Consiglio Nazionale Forense affida ora alla Consulta il compito di pronunciarsi su una questione cruciale per il futuro della professione. L’UNCC continuerà a seguire con attenzione l’iter dinanzi alla Corte Costituzionale, nella ferma convinzione che la funzione dell’avvocato debba rimanere libera, autonoma e pienamente garante dei diritti fondamentali.


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“Posso assicurare che non ci sarà né un amministrativo né un magistrato sottratto agli altri tribunali, ma anche questo nuovo tribunale si aprirà con aggiunte di personale”,
ha dichiarato il Ministro della Giustizia Carlo Nordio a margine dell’Assemblea dell’Unione Triveneta dei Consigli dell’Ordine degli Avvocati, in corso oggi a Treviso.
“Abbiamo cinque concorsi in piedi, 400 posti in ognuno, quindi circa, tenendo anche conto delle defezioni o altro, avremo oltre 1600 nuove unità”, ha aggiunto.
Il Ministro è intervenuto nel corso dell’Assemblea annuale che riunisce gli Ordini forensi di Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige. Tra i temi affrontati, oltre alla futura istituzione del Tribunale della Pedemontana a Bassano del Grappa, anche l’impatto dell’Intelligenza Artificiale sul sistema giuridico e sulla professione forense.

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Nessun investimento in un settore centrale per lo sviluppo del Paese come la Giustizia, anzi tagli. E in aggiunta nuovi adempimenti burocratici per i professionisti, avvocati compresi, che si trovano a interagire con la Pubblica Amministrazione.

Questo è l’appello rivolto nella ricorrenza del 25 ottobre, “Giornata europea della Giustizia Civile”, dal Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, Alessandro Graziani, alla Manovra 2026, “per la quale – spiega – ci auguriamo un intervento correttivo dal parte del Parlamento”.

Fra i punti critici segnalati dal presidente Graziani, il taglio di spesa previsto per il Ministero della Giustizia, 40 milioni per il 2026, 100 in totale per il triennio 2026-2028. “Ci rendiamo conto della necessità di far quadrare i conti – spiega Graziani –  ma non possiamo non rimarcare la necessità di sostenere la fiducia nella Giustizia e ridurre la durata dei processi giudiziari in realtà territoriali afflitte, come Roma, dalla piaga dei ritardi cronici, con udienze che, nell’ufficio del Giudice di Pace, vengono calendarizzate ad anni di distanza”. Servirebbero, insomma, forti investimenti per nuove assunzioni, per velocizzare la macchina della Giustizia e smaltire l’arretrato.

Ma non c’è solo questo. “Come categoria professionale – prosegue Graziani – siamo rimasti sbalorditi nel constatare che la Manovra prevede una norma che secondo la quale il libero professionista, per essere pagato, oltre la fattura debba anche documentare la propria regolarità fiscale e contributiva.  Queste sono vere e proprie vessazioni che non fanno altro che complicare la vita di tutti noi professionisti, costretti ad affrontare ulteriori e continui  adempimenti completamente superflui e sovrabbondanti”.


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Durante i primi tre anni del governo Meloni, l’Italia ha visto crescere il numero complessivo degli occupati di un milione di unità. Secondo i dati Istat, ad agosto 2025 il totale degli addetti ha raggiunto quota 24,1 milioni, con un picco storico nel mese precedente, quando i lavoratori erano 24,2 milioni.

Un risultato incoraggiante, che tuttavia si accompagna a un segnale d’allarme: l’aumento della cassa integrazione (Cig). Nel primo semestre del 2025, rispetto allo stesso periodo del 2024, il numero di ore autorizzate è salito di quasi il 22%, toccando 305,5 milioni di ore, pari a 54,7 milioni in più.

Cigs in forte crescita: segnali di crisi nella manifattura

Analizzando le diverse tipologie di intervento, la Cig in deroga (Cigd) è crollata del 70%, la Cig ordinaria (Cigo) è aumentata del 7,3%, mentre la Cig straordinaria (Cigs) ha registrato un’impennata del 46,4%.
Un dato preoccupante, secondo l’Ufficio studi della CGIA, che evidenzia difficoltà crescenti in alcuni comparti chiave del manifatturiero.

Più lavoratori, ma retribuzioni ferme

La crescita occupazionale è innegabile, ma non altrettanto quella della produttività e delle retribuzioni. Negli ultimi tre anni, il PIL italiano è cresciuto meno dell’1% annuo, e gli stipendi restano tra i più bassi d’Europa.

Il tasso di occupazione femminile continua a essere tra i più deboli dell’UE, mentre la quota di NEET (giovani che non studiano e non lavorano) rimane preoccupante.
A questo si aggiunge una produzione industriale stagnante e l’aumento della Cig, che fanno temere l’avvio di una crisi strisciante, sulla scia di quanto già avvenuto in Germania e Francia.

La CGIA richiama l’urgenza di spendere bene e presto i fondi del PNRR: oltre 100 miliardi di euro ancora disponibili devono essere “messi a terra” entro giugno 2026 per rilanciare la produttività e modernizzare il Paese.

I settori più colpiti: automotive, metallurgia e macchinari

Tra i comparti industriali, è l’automotive a registrare l’aumento più significativo delle ore di Cigs: 22 milioni nel primo semestre 2025, pari a un +85,8% rispetto all’anno precedente.

Seguono:

  • Metallurgia: oltre 20 milioni di ore (+56,7%)
  • Macchine e apparecchi meccanici: 11,3 milioni (+12,5%)
  • Calzature: 11,1 milioni (+144,3%)

Questi quattro settori, da soli, rappresentano oltre il 55% della Cigs totale nel manifatturiero nazionale.

Stellantis, Termoli maglia nera: +1.255% di Cig

A livello territoriale, la provincia di Campobasso guida la classifica per incremento della Cigs. Nel suo territorio, che ospita lo stabilimento Stellantis di Termoli, le ore di Cig sono aumentate del +1.255% nel primo semestre del 2025.

Seguono:

  • Cuneo: +347%
  • Asti: +289%
  • Potenza: +280%

In controtendenza, invece, Oristano (-74%), Nuoro (-75,6%) e Crotone (-87,8%).
Sul piano geografico, è il Nord-Ovest — in particolare il Piemonte — a risultare più colpito, con un incremento medio del 33,3% delle ore autorizzate.


Il quadro occupazionale italiano appare dunque in chiaroscuro: il numero di lavoratori cresce, ma cresce anche la precarietà di interi comparti produttivi. La sfida, come sottolinea la CGIA, sarà trasformare l’occupazione in lavoro stabile e ben retribuito, investendo in innovazione e produttività prima che le ombre di una nuova crisi tornino ad allungarsi sul Paese.


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Roma, 21 ottobre 2025 – L’Unione Nazionale delle Camere Civili (UNCC) esprime forti perplessità in merito alla disposizione contenuta nella bozza della Legge di Bilancio 2026 (Titolo X, Capo I, art. 130, comma 9), che subordina il pagamento dei compensi professionali da parte delle Pubbliche Amministrazioni alla presentazione, da parte dei liberi professionisti, di documentazione attestante la regolarità fiscale e contributiva, da allegare alla fattura elettronica.

Secondo la formulazione attuale, un Avvocato che emetta una fattura verso una Pubblica Amministrazione dovrà allegare:

  • un’attestazione di regolarità contributiva rilasciata dalla Cassa Nazionale Forense, analoga al DURC previsto per le imprese;
  • un certificato di regolarità fiscale rilasciato dall’Agenzia delle Entrate, non previsto nella prassi per i liberi professionisti (salvo che la norma intenda un’autocertificazione).

“Si tratta di un adempimento aggiuntivo che rischia di trasformarsi in una nuova zavorra burocratica – osserva l’Avv. Alberto Del Noce, Presidente UNCC – aggravando procedure già complesse, allungando ulteriormente tempi di pagamento notoriamente lunghi e introducendo incertezza sulle modalità applicative.”

L’UNCC sottolinea inoltre l’evidente paradosso di una disposizione che impone ai professionisti di produrre documenti già nella disponibilità della Pubblica Amministrazione, la quale può verificarne la regolarità d’ufficio attraverso le proprie banche dati (Agenzia delle Entrate, INPS, INAIL, Casse professionali).

Pretendere che sia il singolo a fornire certificazioni di cui l’Amministrazione è già in possesso significa duplicare controlli e passaggi inutili, in aperto contrasto con i principi di semplificazione e digitalizzazione che dovrebbero ispirare l’azione pubblica.

“Auspichiamo che, nel corso dell’iter parlamentare, la norma venga riformulata – conclude Del Noce – prevedendo che la verifica della regolarità fiscale e contributiva sia effettuata direttamente dalle Pubbliche Amministrazioni, senza imporre nuovi oneri ai professionisti. La lotta all’evasione è un obiettivo condiviso e necessario, ma deve passare attraverso efficienza, interoperabilità e responsabilità istituzionale, non attraverso nuovi ostacoli burocratici per chi opera in modo corretto e trasparente.”


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