L’avvocatura piange Alberto Vigani, voce autorevole e appassionata della politica forense

Si è spento all’età di 57 anni, l’avvocato Alberto Vigani, figura di primo piano nel panorama dell’avvocatura italiana e vicepresidente nazionale del Movimento Forense, una delle associazioni forensi maggiormente rappresentative.

Dopo la laurea in Giurisprudenza all’Università Cattolica di Milano, Vigani aveva intrapreso la carriera forense a Eraclea, esercitando parallelamente come consulente del lavoro. Sin dai primi anni si era distinto per l’impegno costante nella politica forense: segretario e poi presidente della Camera degli Avvocati di San Donà di Piave, consigliere dell’Ordine di Venezia, consigliere dell’OUA – Organismo Unitario dell’Avvocatura. Negli ultimi anni aveva assunto la vicepresidenza nazionale del Movimento Forense, contribuendo con passione e competenza ai dibattiti e alle scelte che hanno segnato l’evoluzione della professione.

La sua esperienza lo aveva portato a far parte della Commissione patrocinio a spese dello Stato del Consiglio Nazionale Forense, terreno sul quale aveva condotto battaglie decisive per l’equità e la dignità della professione, dalla difesa del patrocinio gratuito alla richiesta di compensazione delle parcelle professionali con i crediti verso lo Stato.

Più volte delegato al Congresso Nazionale Forense, Vigani era riconosciuto per la sua capacità di coniugare rigore tecnico e sensibilità politica, contribuendo a costruire occasioni di confronto e riforma.

La sua scomparsa lascia un vuoto profondo non solo nella comunità forense, ma anche nel dibattito sulla giustizia, cui ha dato voce con impegno e talento.


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Corte di giustizia Ue, via libera all’intervento degli Ordini degli avvocati

BRUXELLES – L’Ordine degli avvocati ha titolo per intervenire nei procedimenti davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea quando sono in gioco questioni di principio capaci di incidere sugli interessi generali della categoria. Lo ha stabilito il presidente della Corte con un’ordinanza depositata il 1° agosto (causa C-865/24), segnando un precedente rilevante in materia di rappresentanza istituzionale delle professioni.

Il caso prende le mosse da una controversia sollevata da diversi Ordini forensi – tra cui quello belga e quello francese – contro il Consiglio Ue, relativa alle misure restrittive introdotte dopo l’invasione russa dell’Ucraina. I ricorrenti avevano contestato il regolamento europeo sostenendo che violasse l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali, che garantisce il diritto a farsi assistere da un avvocato. In quel contesto, l’Ordine forense tedesco aveva chiesto di intervenire a sostegno delle posizioni già in discussione.

Il chiarimento della Corte

La Corte ha accolto la richiesta, precisando i criteri che legittimano un ente professionale a intervenire in giudizio. Di norma, lo Statuto della Corte consente l’ingresso nel procedimento solo a chi sia direttamente inciso dall’atto impugnato. Tuttavia, nel caso delle associazioni rappresentative, l’interesse all’intervento non deve necessariamente consistere in una modifica della posizione giuridica dell’ente stesso: è sufficiente che l’associazione persegua la protezione degli interessi economici e professionali dei propri iscritti e che siano in discussione principi in grado di condizionare il funzionamento del settore.

Interessi collettivi e semplificazione procedurale

Secondo il presidente della Corte, ammettere un Ordine a intervenire significa non solo rafforzare la tutela degli avvocati, ma anche evitare la proliferazione di singole richieste da parte dei professionisti coinvolti. Diversamente dalle persone fisiche o giuridiche che agiscono individualmente, infatti, le associazioni professionali intervengono per difendere interessi collettivi, come l’indipendenza della professione, il segreto professionale o il diritto di difesa.

Un precedente significativo

Nel caso concreto, è stato riconosciuto che l’Ordine degli avvocati tedesco rappresenta un numero ampio di iscritti e ha tra i suoi scopi statutari proprio la protezione degli interessi dei membri. Per questo la sua domanda è stata accolta, ampliando il margine di intervento delle associazioni forensi davanti ai giudici europei.


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Tassare le banche, attenzione al rischio per famiglie ed economia

Negli ultimi due anni i bilanci delle banche europee hanno conosciuto una robusta ripresa, dopo oltre un decennio segnato dalla crisi del 2008 e dalle politiche monetarie ultra-espansive della Banca centrale europea. La redditività è tornata, ma in un contesto economico ancora fragile, con salari fermi e crescita debole. In questo scenario, la proposta di tassare gli “extra profitti” bancari sta guadagnando consensi politici, soprattutto in nome di una presunta giustizia sociale.

La domanda, però, è se questa sia davvero una scelta utile ai cittadini.

Dalle banche ai clienti: il costo nascosto delle tasse

Tassare le imprese non significa sempre colpire i loro utili. In mercati poco concorrenziali, come quello bancario, il rischio è che i maggiori oneri fiscali si scarichino sui clienti sotto forma di tassi meno favorevoli o commissioni più elevate. Con abbondanti riserve di liquidità e pochi rivali stranieri a causa delle barriere alle acquisizioni transfrontaliere, gli istituti di credito hanno margini ampi per trasformare l’aumento delle imposte in costi aggiuntivi per famiglie e imprese.

Una fiscalità incerta mina la fiducia

C’è poi un problema di stabilità. La redditività delle banche è ciclica: cresce quando i tassi salgono, si riduce bruscamente in fasi di recessione. Interventi fiscali variabili, legati all’andamento del ciclo, rendono difficile attrarre capitali a lungo termine e scoraggiano gli investimenti. Gli utili più elevati registrati nel 2023-2024 derivano soprattutto dalla riduzione dei crediti deteriorati e dall’aumento dei tassi decisi dalla Bce. Ma questi margini potrebbero presto ridursi, complice l’avanzata delle tecnologie digitali, l’emergere delle valute virtuali e l’eccesso di capacità produttiva del settore finanziario.

La trappola del “tassare e salvare”

Il rischio più grande è che si finisca per costruire un sistema basato su un paradosso: colpire le banche con nuove tasse quando i bilanci vanno bene, per poi doverle sostenere con denaro pubblico quando tornano in crisi. Una logica miope, che ignora la necessità di rafforzare il capitale degli istituti e di prepararli a nuove fasi di instabilità.

Un approccio di lungo periodo

Il dibattito, quindi, non dovrebbe limitarsi al calcolo immediato di maggiori entrate fiscali, ma concentrarsi su come garantire un settore bancario più solido e competitivo, capace di sostenere le famiglie e le imprese. L’obiettivo strategico per l’Europa dovrebbe restare l’integrazione finanziaria, oggi frenata da politiche nazionali che difendono rendite e ostacolano il mercato unico.

In un’economia già segnata da crescita debole e salari stagnanti, illudersi che tassare i profitti bancari equivalga a redistribuire ricchezza rischia di trasformarsi in un boomerang. Più che un atto di giustizia, potrebbe rivelarsi un freno allo sviluppo e una nuova voce di spesa per i risparmiatori.


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Veneto in bilico, occhi puntati sulle Marche

MILANO – Lo scenario politico del Veneto resta in sospeso, mentre l’attenzione del centrodestra è puntata sulle Marche, dove il 28 e 29 settembre si terranno le elezioni regionali. L’esito della sfida marchigiana, secondo più di un osservatore, potrebbe avere un impatto decisivo sugli equilibri interni alla coalizione e sulle candidature in Veneto, regione chiave governata da anni dalla Lega.

La partita veneta

Al momento la “casella Veneto” sembra riservata al Carroccio, che vanta 161 sindaci sul territorio e diversi possibili eredi di Luca Zaia, tra cui il segretario regionale Alberto Stefani e il sindaco di Treviso Mario Conte. Matteo Salvini ha ribadito la posizione del suo partito: «In Veneto potremo esprimere un candidato forte, senza imporre nulla a nessuno. C’è spazio per tutti i partiti della coalizione».

Forza Italia, però, non chiude la porta a soluzioni diverse. Antonio Tajani sottolinea che la priorità è «vincere con i candidati migliori», senza logiche di spartizione: «Abbiamo sempre trovato l’intesa dal 1994, e così sarà anche stavolta. Prima ci concentriamo su Marche e Valle d’Aosta, poi verrà il turno delle altre regioni».

Fratelli d’Italia, per ora, osserva. Secondo indiscrezioni, il partito della premier Meloni potrebbe decidere di chiedere la guida del Veneto solo dopo aver verificato il risultato delle urne marchigiane.

Marche, la sfida è già accesa

Proprio nelle Marche, ieri, è andato in scena il primo faccia a faccia tra i due principali contendenti: il governatore uscente Francesco Acquaroli (centrodestra) e l’ex sindaco di Pesaro Matteo Ricci (centrosinistra).

Acquaroli ha rivendicato i risultati ottenuti: «Abbiamo puntato sull’utilizzo dei fondi europei con misure mirate a inclusione sociale e occupazione femminile e giovanile. La Zona economica speciale offrirà nuove opportunità alle imprese, con meno burocrazia e più possibilità di insediamenti».

Ricci ha replicato duramente: «Le Marche sono ferme. Serve un patto per il lavoro che coinvolga sindacati e imprese. Quanto alla Zes, si tratta di una promessa senza copertura: non c’è un euro stanziato e si dovrà aspettare la legge di Bilancio 2026».

Un equilibrio delicato

La tensione tra i due candidati marchigiani riflette le difficoltà più ampie della politica nazionale: da una parte la necessità del centrodestra di preservare la coesione tra Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia, dall’altra la ricerca del centrosinistra di uno spazio competitivo in territori tradizionalmente difficili.

Il risultato delle Marche, dunque, non sarà solo un test locale: potrebbe ridisegnare le strategie del centrodestra in Veneto, regione che resta un terreno cruciale per gli equilibri interni alla coalizione e per la leadership nazionale.


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Industria: giugno in lieve ripresa, ma il semestre resta in rosso

ROMA – Un timido segnale positivo arriva dall’industria italiana: secondo i dati diffusi dall’Istat, a giugno il fatturato è cresciuto dell’1,2% rispetto a maggio e dello 0,3% nel confronto annuo. Un recupero che porta ossigeno dopo mesi difficili, ma insufficiente a compensare il bilancio negativo del primo semestre, chiuso con una flessione complessiva dello 0,4%.

I settori trainanti

A sostenere i conti sono stati ancora una volta farmaceutica e alimentare, comparti che già nei dati sull’export mostravano segnali di solidità. Entrambi hanno registrato incrementi intorno al 5% annuo. Bene anche i macchinari e le attrezzature, spinti dalle commesse legate al piano “Transizione 5.0”: nei primi sei mesi del 2025 sono state presentate richieste di crediti d’imposta per circa 1,8 miliardi di euro, di cui oltre 500 milioni solo negli ultimi due mesi. Un’accelerazione che ha stimolato la produzione, pur restando lontana dal plafond disponibile di 6,24 miliardi.

Resta però il nodo della tempistica: senza una proroga delle agevolazioni, le imprese rischiano di non riuscire a completare in tempo gli investimenti più complessi, come i macchinari che richiedono mesi di progettazione e assemblaggio.

I comparti in difficoltà

Molto meno incoraggianti i numeri del resto della manifattura. La metallurgia arretra di cinque punti percentuali, mentre tessile-abbigliamento, chimica, elettronica e mezzi di trasporto continuano a mostrare segni negativi. Nel settore auto, se a giugno la produzione (24mila unità) ha segnato un pareggio con lo stesso mese del 2024, il semestre resta pesantemente in rosso: -31,7% con appena 136.500 vetture prodotte, contro le quasi 200mila del primo semestre dello scorso anno.

La stabilizzazione osservata a giugno non basta a rasserenare il settore: Stellantis ha confermato nuovi contratti di solidarietà e, a luglio, le immatricolazioni italiane sono tornate a calare, in controtendenza rispetto al mercato europeo, che ha segnato un +2%.

Un semestre ancora negativo

Guardando all’intero periodo gennaio-giugno, la produzione manifatturiera risulta in calo del 2,1%. I ricavi, seppure in misura più contenuta, segnano un arretramento dello 0,4%, confermando un quadro di sostanziale stagnazione.

Le rilevazioni sulla fiducia delle imprese e delle famiglie, relative al mese di agosto, evidenziano un contesto fragile: le valutazioni sul presente migliorano leggermente, ma le aspettative su ordini, produzione ed economia complessiva peggiorano, lasciando presagire mesi complessi.

Le prospettive

Settembre sarà un mese decisivo per comprendere l’impatto delle tensioni commerciali e valutare se l’accordo tra Stati Uniti e Unione europea sui dazi – che prevede una riduzione al 15% sulle auto europee – potrà offrire un sostegno alle esportazioni italiane.

Per ora, l’industria tricolore resta sospesa tra timidi segnali di ripresa e ombre persistenti: farmaci, alimentari e macchinari reggono l’urto, ma i grandi comparti della manifattura faticano a trovare la via della crescita.


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Bonus a tempo: da settembre carta spesa, elettrodomestici, psicologo e auto elettriche

ROMA – Settembre si apre con un pacchetto di bonus che tocca diversi ambiti della vita quotidiana: alimentazione, elettrodomestici, salute e mobilità sostenibile. Si tratta di misure pensate soprattutto per le famiglie a basso reddito, ma accomunate da un problema di fondo: le risorse sono limitate, e chi vorrà approfittarne dovrà muoversi per tempo.

La carta “Dedicata a te”

Confermata anche per quest’anno la card prepagata di 500 euro erogata da Poste Italiane. Non serve fare domanda: sarà l’Inps a comunicare ai Comuni gli elenchi dei beneficiari. Ne hanno diritto i nuclei con Isee fino a 15mila euro, a patto che non percepiscano altri sussidi nazionali o locali. L’assegnazione seguirà criteri di priorità: prima le famiglie numerose con figli sotto i 14 anni, poi quelle con figli minorenni, infine gli altri aventi diritto. Lo stanziamento complessivo ammonta a 500 milioni, sufficienti a coprire circa un milione di carte. La spesa dovrà riguardare esclusivamente beni alimentari di prima necessità.

Il bonus elettrodomestici

In attesa del decreto ministeriale, l’avvio ufficiale è previsto per ottobre. Lo sconto sarà del 30% fino a un massimo di 100 euro, che diventano 200 per le famiglie con Isee sotto i 25mila euro. L’agevolazione riguarda sette categorie di prodotti ad alta efficienza energetica: lavatrici e lavasciuga (classe A), forni (classe A), cappe (classe B), lavastoviglie e asciugatrici (classe C), frigoriferi e congelatori (classe D), piani cottura. Per ottenere il contributo sarà necessario rottamare il vecchio apparecchio e completare la richiesta sulla piattaforma PagoPA. Ma con soli 48 milioni di fondi disponibili, il numero di beneficiari sarà ridotto.

Il bonus psicologo

Dal 15 settembre sarà attiva la procedura online sul portale Inps. Il contributo, pensato per sostenere i costi delle sedute di psicoterapia, varia in base all’Isee: fino a 1.500 euro con Isee sotto i 15mila, 1.000 euro tra 15mila e 30mila, 500 euro tra 30mila e 50mila. In ogni caso, il limite massimo è di 50 euro a seduta. Le risorse stanziate ammontano a 9,5 milioni, un budget che renderà il bonus disponibile solo per una platea ristretta di richiedenti.

Auto elettriche e rottamazione

Con uno stanziamento ben più consistente – 597 milioni di euro – parte l’incentivo per chi decide di passare a un’auto elettrica. Il contributo è destinato a chi ha un Isee sotto i 40mila euro, ma con vincoli aggiuntivi: residenza in città oltre i 50mila abitanti, zone ad alto pendolarismo o titolarità di microimprese. Lo sconto arriva al 30% del prezzo, con un tetto di 11mila euro (20mila per le microimprese). Obbligatoria la rottamazione di un veicolo tradizionale. L’obiettivo è sostenere circa 39mila nuove immatricolazioni, ma la piattaforma informatica per le domande non è ancora operativa.

Una corsa contro il tempo

Gli incentivi di settembre rappresentano un sostegno concreto per le famiglie in difficoltà e un segnale verso la transizione ecologica e il benessere psicologico. Tuttavia, le cifre messe a disposizione dal governo rischiano di rendere le misure un beneficio “per pochi”. Sarà quindi una vera e propria corsa contro il tempo: chi presenterà domanda per primo avrà più possibilità di accedere ai fondi.


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Bruxelles apre le porte al commercio Usa: stop ai dazi sui beni industriali

BRUXELLES – L’Unione europea prova a rilanciare i rapporti commerciali con gli Stati Uniti attraverso una mossa attesa da tempo: l’azzeramento dei dazi sui beni industriali americani. Una decisione che scioglie il nodo più delicato, quello delle auto, e che promette un impatto immediato sull’industria europea, a partire da quella automobilistica.

La Commissione ha presentato due proposte legislative: la prima prevede la rimozione totale delle tariffe sui prodotti industriali di provenienza statunitense – macchinari, componenti per auto, legno, carta, ceramica, cuoio – con un beneficio stimato per le imprese Usa di circa 5 miliardi di euro. Contestualmente, Washington si è impegnata a ridurre i dazi sulle vetture prodotte in Europa, che scenderanno dal 27,5% al 15% con effetto retroattivo dal 1° agosto. Solo per il mese di agosto, le case automobilistiche del Vecchio Continente risparmieranno oltre 500 milioni di euro.

Un’intesa che però avrà anche un costo: il bilancio comunitario perderà circa 3,6 miliardi di entrate tariffarie. «Si tratta di un sollievo per il nostro settore e di un segnale di cooperazione concreta», ha commentato il commissario Ue al Commercio Maroš Šefčovič, sottolineando che l’accordo «getta le basi per affrontare insieme sfide globali come l’acciaio».

La seconda proposta legislativa riguarda il settore agroalimentare. Verranno concesse quote agevolate per alcuni prodotti statunitensi considerati “non sensibili”: frutti di mare, frutta a guscio, latticini, cereali, semi oleosi, carne di maiale e persino bisonte. Esclusi invece i comparti più delicati per l’Ue, come manzo, pollame, riso ed etanolo. Prorogata infine per cinque anni l’esenzione dai dazi sull’aragosta, introdotta nel 2020, ora estesa anche a quella lavorata.

Ma i vantaggi non saranno a senso unico. Dal prossimo settembre alcune merci europee – sughero, aeromobili e loro componenti, prodotti farmaceutici generici e materie prime chimiche – entreranno sul mercato americano con dazi pari a zero o quasi.

Resta però l’incognita politica. Il presidente Usa Donald Trump ha già minacciato nuove tariffe punitive verso quei Paesi che introdurranno regole fiscali o digitali giudicate “discriminatorie”, oltre a possibili restrizioni sull’export di tecnologia e semiconduttori.

In attesa dell’approvazione definitiva da parte degli Stati membri e del Parlamento europeo, l’accordo segna comunque una tregua nei rapporti commerciali transatlantici, offrendo respiro a un’industria europea che, tra crisi energetica e rallentamento della domanda, aveva bisogno di un segnale forte da Bruxelles.


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Pensioni, lo stop all’aumento dell’età potrebbe costare 3 miliardi: tutte le novità dal 2027

Il nodo pensioni torna al centro del dibattito politico ed economico. Il blocco dell’aumento di tre mesi dell’età pensionabile previsto dal 1° gennaio 2027, legato agli adeguamenti automatici alla speranza di vita, potrebbe costare fino a 3 miliardi di euro alle casse dello Stato. È quanto emerge dalle prime stime dei tecnici del Ministero del Lavoro, che stanno elaborando un dossier sulla base dei dati delle pensioni liquidate nel 2024.

Il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon ha già aperto alla possibilità di un intervento legislativo per neutralizzare l’adeguamento, ma il prezzo da pagare sarebbe tutt’altro che trascurabile.


Vecchiaia e contributi

Senza modifiche, dal 2027 la pensione di vecchiaia scatterebbe a 67 anni e 3 mesi con almeno 20 anni di assicurazione. Per i lavoratori privi di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995, la pensione sarebbe erogata a parità di requisiti solo se l’importo non risultasse inferiore all’assegno sociale (538,69 euro nel 2025). In caso contrario, l’accesso sarebbe posticipato a 71 anni e 3 mesi con almeno 5 anni di contributi effettivi.


Pensione anticipata

Dal 2027, i requisiti per l’uscita anticipata diverrebbero più rigidi:

  • 42 anni e 1 mese di contributi per le donne,
  • 43 anni e 1 mese per gli uomini,
    a cui si aggiungerebbe una finestra mobile di 3 mesi.

Per i dipendenti pubblici iscritti alle Casse ex Inpdap, la finestra si allungherebbe progressivamente: 5 mesi nel 2026, 7 nel 2027 e fino a 9 dal 2028.


Contributivo puro e importi minimi

Per i lavoratori nel sistema interamente contributivo, serviranno 64 anni e 3 mesi di età e almeno 20 anni e 3 mesi di contributi effettivi, con importi minimi vincolanti:

  • almeno 3 volte l’assegno sociale (1.616,07 euro nel 2025),
  • ridotto a 2,8 volte per le donne con un figlio,
  • e a 2,6 volte per chi ha due o più figli.

Il tetto massimo, invece, non potrà superare 4 volte il trattamento minimo (3.017 euro mensili) per le mensilità di anticipo.


Lavoratori precoci e usuranti

Per i cosiddetti precoci, l’uscita sarà possibile con 41 anni e 3 mesi di contributi, a condizione che 12 mesi siano stati versati prima dei 19 anni e che il lavoratore rientri in categorie tutelate (disoccupati, invalidi oltre il 74%, caregiver o addetti a mansioni gravose). Anche in questo caso, le finestre mobili per i dipendenti pubblici si allungheranno progressivamente.

Chi svolge lavori usuranti, che oggi accede con quota 97,6, dal 2027 vedrà i requisiti salire a 61 anni e 10 mesi e quota 97,9.


Totalizzazione nazionale

Nel regime di totalizzazione, l’età pensionabile aumenterà a 66 anni e 3 mesi con finestra di 18 mesi, mentre per la pensione di anzianità serviranno 41 anni e 3 mesi con finestra di 21 mesi.


Il bivio del governo

L’esecutivo dovrà decidere se congelare l’adeguamento all’aspettativa di vita, accollandosi un costo stimato in 3 miliardi, oppure lasciare scattare l’aumento automatico dal 2027. Una scelta che pesa tanto sui conti pubblici quanto sulle aspettative dei lavoratori vicini alla pensione.


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Casa ai giovani, taglio Irpef e bollette più leggere: il cantiere della nuova manovra

Un piano casa per le giovani coppie, un nuovo intervento sull’Irpef, il contenimento strutturale delle bollette e misure a favore di famiglia, natalità e scuola paritaria. Sono questi i punti cardine attorno a cui ruota il cantiere della prossima manovra di bilancio, così come delineato dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni nelle anticipazioni sugli obiettivi di fine legislatura.

Abitazioni per i giovani: il Piano Casa

La priorità dichiarata riguarda il tema abitativo. L’obiettivo è offrire abitazioni a prezzi calmierati, con particolare attenzione alle giovani coppie. Attualmente resta attiva solo la garanzia statale fino all’80% del mutuo per gli under 36 che acquistano la prima casa, mentre sono scadute a fine 2024 le agevolazioni fiscali sulle imposte e sull’Iva.

Il progetto di social housing, illustrato dal ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, prevede l’impiego di 660 milioni già stanziati con le ultime leggi di Bilancio, da spendere entro il 2030, con la possibilità di attingere a fondi europei (InvestEu e Bei). Il piano, che punta su partenariati pubblico-privati, mira a rispondere al disagio abitativo soprattutto nelle aree urbane più colpite.

Irpef, nuovo taglio per il ceto medio

Dopo l’accorpamento delle prime due aliquote entrato in vigore nel 2024, che ha portato al 23% l’imposta per i redditi fino a 28 mila euro, il governo punta ora a ridurre la seconda aliquota dal 35% al 33%, innalzando lo scaglione da 50 a 60 mila euro lordi. Una misura che allargherebbe i benefici al ceto medio, ma che richiede coperture strutturali da almeno 4 miliardi di euro annui.

Il problema restano le risorse: il concordato preventivo biennale per le partite Iva non ha generato gli incassi sperati, mentre la Lega, che esprime il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, spinge su altre priorità, come una nuova rottamazione delle cartelle e l’estensione della flat tax al 15% per le partite Iva fino a 100 mila euro (oggi il limite è 85 mila).

Le opposizioni criticano l’impostazione, giudicando inefficace il sostegno ai redditi falcidiati dal fiscal drag e troppo indulgente verso gli autonomi.

Natalità e scuola paritaria

Un altro tassello della manovra sarà il Piano nazionale per la famiglia 2025-2027, con focus sul sostegno alla natalità e sulla parità scolastica. L’obiettivo è garantire un pieno esercizio della libertà educativa e contrastare il calo demografico attraverso incentivi concreti a favore delle famiglie.

Energia: obiettivo abbassare i costi strutturalmente

Il governo punta infine a un taglio stabile del prezzo dell’energia, oggi ancora troppo alto rispetto agli altri Paesi europei. Nel 2024, il costo medio dell’elettricità in Italia è stato quasi il doppio di quello francese, un divario che pesa tanto sulle imprese quanto sulle famiglie.

Un cantiere ancora aperto

La strada resta complessa: tra vincoli di bilancio e coperture da individuare, la manovra dovrà mediare tra esigenze diverse della maggioranza. Ma l’esecutivo scommette sulla centralità di tre direttrici – casa, fisco e natalità – per dare un segnale concreto alle famiglie italiane e accompagnare la legislatura verso le scadenze decisive.


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AI e lavoro, i giovani più a rischio: cala del 13% l’occupazione negli entry level

L’intelligenza artificiale è un alleato o un rivale per i lavoratori? Da quando il lancio di ChatGPT, quasi tre anni fa, ha trasformato l’AI in un fenomeno globale, il dibattito è più acceso che mai. Ora uno studio della Stanford University, appena pubblicato, fornisce dati concreti: l’impatto non è uniforme, ma varia in base all’età, al ruolo e alla complessità delle mansioni svolte.

I giovani e i ruoli entry level i più penalizzati

Secondo l’analisi, che prende in esame l’occupazione statunitense tra il 2021 e luglio 2025, il gruppo più colpito è quello dei lavoratori tra i 22 e i 25 anni, in particolare nei ruoli di primo ingresso nel mercato del lavoro. Qui il calo relativo dell’occupazione ha raggiunto il 13% dalla fine del 2022 a oggi, ossia dal momento in cui l’AI generativa ha iniziato a diffondersi in modo capillare.

Il caso emblematico riguarda lo sviluppo software. Compiti un tempo affidati ai neolaureati o agli sviluppatori junior possono oggi essere svolti dai sistemi di intelligenza artificiale. I ricercatori ricordano che nel 2023 l’AI risolveva meno del 5% dei problemi di codifica sulla piattaforma di benchmark Swe-Bench; nel 2024 la percentuale è schizzata al 72%, segnalando un salto di efficienza che mette in discussione le mansioni di ingresso nel settore.

Lo stesso vale per attività standardizzabili come l’assistenza clienti, dove gli algoritmi conversazionali riescono a coprire buona parte delle interazioni di base con gli utenti.

Chi resiste: esperienza e settori ad alto contenuto umano

Il rischio di sostituzione cala drasticamente per i lavoratori più esperti, che possono contare su competenze trasversali e su un bagaglio consolidato di esperienze. Ma anche per chi opera in settori dove il contributo umano resta imprescindibile.

È il caso della sanità, dove l’AI può affiancare medici e operatori nel supporto diagnostico o nella gestione dei dati, ma difficilmente sostituire la componente decisionale ed empatica. In questi contesti, il tasso di occupazione non solo non arretra, ma in alcuni casi cresce, favorito dall’integrazione dell’AI come strumento complementare.

Un mercato del lavoro in trasformazione

La fotografia scattata dallo studio conferma dunque che l’AI non produce un impatto uniforme. Da un lato, riduce la domanda di mansioni semplici e ripetitive, soprattutto tra i più giovani e nei settori digitali; dall’altro, valorizza le competenze esperte e i contesti in cui il giudizio umano è decisivo.

Il futuro del lavoro, suggeriscono i ricercatori, dipenderà dalla capacità di formazione e riqualificazione continua: solo così i lavoratori più giovani potranno trasformare l’AI da minaccia a opportunità.


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