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Veneto, suicidio assistito: ecco perché il caso di Gloria è importante

Alle 10:25 di domenica 23 luglio 2023 è morta Gloria, una paziente oncologica di 78 anni, residente in Veneto, che aveva richiesto l’accesso al suicidio assistito, ovvero l’auto-somministrazione di un farmaco letale.

In Italia Gloria è stata la seconda persona ad ottenere la verifica dei requisiti personali e le direttive sul farmaco da assumere senza passare per un tribunale, come invece è successo nei casi di Antonio e di Federico Carboni.

Si tratta della prima persona morta con questa pratica: nel caso di Stefano Gheller, per esempio, non è stato necessario ricorrere ad un tribunale, anche se l’uomo aveva scelto di attendere, ed è quindi ancora vivo.

Gloria è morta nella sua casa, assistita dal medico anestesista Mario Riccio, che nel 2006 permise a Piergiorgio Welby di morire, ponendo fine al trattamento sanitario che lo stava tenendo in vita (Welby era affetto da distrofia muscolare).

Tra tutte le regioni italiane, il Veneto è quella che più ha posto attenzione sul tema. Infatti, è stata la prima regione a completare la raccolta delle firme per potersi dotare di una legge a livello regionale, in grado di regolare tempistiche e modalità per ricorrere al suicidio assistito, e a breve comincerà il procedimento per giungere alla discussione della legge.

In Italia non è ancora presente una legge nazionale per quanto riguarda il fine vita. Ricorrere al suicidio assistito, infatti, è possibile soltanto grazie ad una sentenza del 2019 della Corte Costituzionale (il caso Dj Fabo).

Il caso di Gloria è importante anche perché l’Asl che ha valutato il caso ha riconosciuto i farmaci antitumorali mirati che assumeva la donna, e che senza i quali sarebbe morta, come trattamenti di sostegno vitale, dunque paragonati ad un ventilatore o respiratore automatico.

Essere tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitale fa parte dei quattro requisiti necessari al fine di accedere al suicidio assistito in Italia. I requisiti, sostanzialmente, dicono che la persona che fa richiesta di suicidio assistito debba essere capace di prendere decisioni consapevoli e libere, deve essere affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze psicologiche e fisiche intollerabili e che sia tenuta in vita, appunto, da trattamenti di sostegno vitale.


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