Autovelox e Targa System, nuovi sequestri in Calabria: il nodo delle multe “da remoto”

Torna sotto i riflettori il tema della legittimità dei dispositivi elettronici usati per rilevare infrazioni stradali. L’ultima vicenda arriva dalla costa ionica catanzarese, dove la Procura ha disposto il sequestro di alcuni apparecchi Targa System, sistemi di lettura automatica delle targhe in grado di segnalare mancanza di revisione o assicurazione.

Il problema, ancora una volta, sta nella normativa. Il Codice della strada prevede che, in assenza di omologazione o approvazione ministeriale, questi strumenti non possano essere utilizzati per contestare automaticamente infrazioni a distanza: possono fungere solo da supporto tecnico agli agenti presenti sul posto. Senza tale requisito, la contestazione differita è nulla.

I precedenti
Non è la prima volta che la giustizia interviene. Già nel 2008 la Polizia stradale di Crotone aveva sequestrato autovelox fissi installati in modo difforme lungo la statale 106 Jonica. Qualche anno più tardi, nell’Alto Jonio cosentino, due Comuni affidarono talmente tanto la gestione delle multe a un’azienda privata da arrivare a notificare infrazioni avvenute in territori di competenza altrui. Nel 2023, la Procura di Cosenza aveva fermato l’uso di rilevatori di velocità privi dei necessari requisiti.

Il nodo normativo
La stessa circolare del Ministero delle Infrastrutture del 3 luglio 2020 ha ribadito che apparecchi come il Targa System non possono sostituire l’accertamento diretto degli agenti, a meno che non vi siano motivi oggettivi che impediscono l’alt immediato. Anche il Viminale, in una nota del 2019, aveva chiarito che questi sistemi vanno considerati solo strumenti ausiliari.

Le ipotesi di reato
Secondo le prime indiscrezioni, nel Catanzarese i verbali sarebbero stati emessi come se le infrazioni fossero state accertate da remoto, rinunciando a fermare i trasgressori e talvolta senza le dovute verifiche nelle banche dati. Le ipotesi di reato su cui lavorano gli inquirenti sono falso in atto pubblico e omissione di atti d’ufficio. Parallelamente, sarebbero in corso approfondimenti anche sui bilanci comunali.

Un’inchiesta che riapre un dibattito mai sopito: fino a che punto i Comuni possono affidarsi a tecnologie non ancora omologate, e quali garanzie hanno i cittadini sulla legittimità delle sanzioni?


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Europa dell’AI, primi segnali di riscatto: Mistral raccoglie miliardi, Nebius vola con Microsoft

Una giornata intensa ha riportato i riflettori sull’ecosistema europeo dell’intelligenza artificiale, tradizionalmente schiacciato dal duopolio Stati Uniti–Cina. Due le protagoniste: la francese Mistral AI, che ha chiuso un maxi-round di finanziamento da 1,7 miliardi di euro, e l’olandese Nebius, che a Wall Street ha messo a segno un balzo del 60% dopo aver annunciato una partnership miliardaria con Microsoft.

Il caso Mistral: la “quasi-OpenAI” europea
La giovane società parigina, considerata la più credibile alternativa europea a OpenAI, ha raggiunto una valutazione di 11,7 miliardi di euro. A guidare il round è stata Asml, colosso olandese della litografia per semiconduttori, che ha investito 1,3 miliardi conquistando l’11% del capitale. Una mossa definita dagli analisti come una “partnership senza precedenti”, non solo per la portata economica, ma anche per il valore simbolico: il più grande gruppo europeo dei chip che scommette sulla punta di diamante dell’AI continentale.

Mistral ha da poco presentato un modello di reasoning, pensato per eccellere in matematica e programmazione. Ma i paragoni con OpenAI restano impietosi: l’azienda americana vale circa 500 miliardi di dollari, una dimensione ancora lontana anni luce.

Nebius e l’accordo col gigante di Redmond
Ad Amsterdam, invece, è stata Nebius a catalizzare l’attenzione. Nata nel 2023 da uno spin-off di Yandex, la società fornisce infrastrutture di calcolo basate su GPU, essenziali per l’addestramento dei modelli di AI. L’intesa con Microsoft, del valore di 19,4 miliardi di dollari fino al 2031, garantirà ricavi per almeno 17,4 miliardi, con la possibilità di estensioni future. La notizia ha fatto schizzare il titolo in Borsa, con un rialzo fino al 60%, contagiando anche concorrenti come CoreWeave.

La corsa globale alla potenza di calcolo
L’operazione conferma che il vero terreno di scontro nell’intelligenza artificiale non è soltanto lo sviluppo di algoritmi, ma l’accesso a risorse computazionali immense. Nvidia, leader mondiale delle GPU e azionista di Nebius, ha recentemente rivisto al rialzo le proprie stime, prevedendo una crescita oltre il 50% e stimando investimenti infrastrutturali per l’AI compresi tra 3.000 e 4.000 miliardi di dollari entro fine decennio.

Ombre e timori
Non mancano, tuttavia, i segnali di cautela. Alcuni analisti, e lo stesso Sam Altman, hanno avvertito del rischio bolla, mentre le valutazioni di molte aziende AI continuano a crescere vertiginosamente sui mercati.


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Imprese del Sud pronte alla sfida digitale: cresce la voglia di investire in tecnologie 4.0

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Imprese del Sud pronte alla sfida digitale: cresce la voglia di investire in tecnologie 4.0

Il Mezzogiorno sorprende e accelera sulla strada della digitalizzazione. Secondo una ricerca condotta da Unioncamere e dal Centro Studi Tagliacarne su un campione di 4.500 imprese tra 5 e 499 addetti, il 35% delle aziende meridionali ha in programma investimenti in tecnologie 4.0 entro i prossimi tre anni. Una quota superiore alla media nazionale (32,8%), che testimonia la capacità di resilienza e rilancio del tessuto produttivo del Sud.

Chi investe di più
A guidare la trasformazione sono le imprese manifatturiere (40,6%) e le realtà di grandi dimensioni (67,6%), spinte soprattutto dalla necessità di aumentare l’efficienza interna e ridurre i costi: un obiettivo dichiarato dal 56% delle aziende intervistate, con punte oltre il 63% tra quelle con più di 50 dipendenti. Seguono, tra le motivazioni, il miglioramento della qualità produttiva (21,9%) e la spinta degli incentivi pubblici (12,3%), particolarmente rilevanti per le piccole imprese.

Gli ostacoli al cambiamento
Non mancano però le difficoltà. Oltre un quarto delle aziende (27,7%) segnala la carenza di competenze digitali adeguate, mentre il 25,9% denuncia la scarsità di risorse finanziarie interne. Ancora elevati anche i costi delle tecnologie, indicati come freno dal 18,4% del campione.

Le tecnologie più richieste
Sul fronte degli strumenti, la simulazione tra macchine connesse guida la classifica delle tecnologie più adottate (29,4%), seguita da robotica (24,8%) e cyber security (22,8%). Secondo quasi la metà degli imprenditori (48%), queste innovazioni modificheranno radicalmente l’assetto tecnologico dei processi produttivi, mentre l’impatto appare più limitato su marketing e rapporti con clienti e fornitori.

Una questione di prospettiva
Resta più complesso il percorso per le imprese femminili: solo il 30% dichiara di voler investire in soluzioni 4.0 entro il 2027, a conferma di un divario che il sistema produttivo italiano dovrà colmare.


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Bonifici, dal 9 ottobre scattano le nuove regole

Dal 9 ottobre entra ufficialmente in vigore la nuova disciplina europea sui bonifici bancari, destinata a cambiare le abitudini di milioni di cittadini e imprese. L’obiettivo è duplice: rendere i trasferimenti più rapidi e garantire una maggiore protezione contro errori e frodi.

Negli ultimi cinque anni il ricorso a questo strumento di pagamento è cresciuto in modo esponenziale in Italia: secondo i dati elaborati sulla base delle statistiche della Banca d’Italia, i bonifici sono aumentati del 55%, con un analogo incremento delle transazioni effettuate con carta. Una trasformazione strutturale che ha spinto Bruxelles a rafforzare il quadro normativo.

La novità principale riguarda l’introduzione della Verification of Payee (VoP), ossia la verifica obbligatoria dell’intestatario del conto. Ogni volta che un correntista disporrà un bonifico — tradizionale o istantaneo — la banca segnalerà se i dati del beneficiario coincidono, se non coincidono, se c’è solo una corrispondenza parziale oppure se il controllo non può essere effettuato (ad esempio per conto chiuso o bloccato). Un sistema pensato per ridurre drasticamente errori di digitazione e tentativi di frode.

Parallelamente, si rafforza il canale dei bonifici istantanei: entro ottobre tutte le banche dell’area euro saranno tenute a consentirne l’invio tramite gli stessi strumenti oggi usati per i bonifici ordinari. Un servizio già operativo in Italia, che permette di trasferire denaro in meno di dieci secondi, 24 ore su 24, sette giorni su sette, con immediata disponibilità dei fondi.

Quando conviene usarli? In situazioni di urgenza: dal pagamento di bollette in scadenza alla ricarica di carte prepagate, dal sostegno immediato a un familiare fino agli acquisti di seconda mano, garantendo tracciabilità e rapidità.

Attenzione però alla sicurezza. I bonifici istantanei, proprio perché immediati e irrevocabili, richiedono massima prudenza: una volta inviati non possono essere annullati. L’Associazione bancaria italiana (Abi), insieme alle banche e alle associazioni dei consumatori, ha predisposto un vademecum digitale con regole e consigli pratici per evitare raggiri, come i falsi venditori online o i truffatori che spingono a trasferire denaro per beni o servizi inesistenti.


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PEC “a doppio uso”: l’indirizzo comunicato all’Ordine diventa anche domicilio personale

Da quest’anno la PEC fornita dal professionista al proprio Ordine o Collegio di appartenenza non sarà più confinata alla sola dimensione lavorativa. Per effetto delle nuove regole, quell’indirizzo confluirà automaticamente anche nell’Indice Nazionale dei Domicili Digitali delle persone fisiche (INAD), trasformandosi così in domicilio digitale personale.

La novità, annunciata il 29 luglio 2025 con un comunicato congiunto dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) e dall’Agenzia per l’Italia Digitale (AGID), rappresenta un passaggio significativo nell’attuazione del Codice dell’Amministrazione Digitale (art. 6-quater, comma 2, d.lgs. 82/2005).

Da INI-PEC a INAD: la PEC raddoppia funzione

Fino ad oggi, i domicili digitali professionali erano raccolti nell’INI-PEC, l’indice gestito dal MIMIT che raccoglie le caselle di posta certificata di tutti i professionisti iscritti agli albi, con valore legale limitato all’attività professionale.

Con il nuovo assetto normativo, lo stesso indirizzo viene duplicato anche in INAD, il registro gestito da AGID che raccoglie i domicili digitali di cittadini ed enti di diritto privato non iscritti ad albi. L’obiettivo è duplice: semplificare il sistema e consentire che la PEC del professionista diventi anche recapito ufficiale per notifiche personali, comunicazioni giudiziarie e atti con valore legale destinati alla persona fisica.

La finestra dei 30 giorni

Il trasferimento da INI-PEC a INAD non è immediato e irrevocabile: il sistema prevede infatti una fase transitoria.
Al momento del riversamento, i dati restano “congelati” per 30 giorni: durante questo periodo il professionista può, accedendo al portale, confermare l’indirizzo, modificarlo o eleggerne uno diverso esclusivamente per la sfera personale.

Se il termine scade senza variazioni, l’indirizzo comunicato all’Ordine viene pubblicato automaticamente in INAD e assume piena efficacia legale anche per la vita privata. In qualsiasi momento resta comunque possibile, tramite accesso autenticato, revocare o aggiornare il domicilio digitale.

Un passo avanti nella digitalizzazione

Secondo le Linee guida AGID, il riversamento avviene su base quotidiana, assicurando l’aggiornamento costante tra i due registri. Una misura che punta a rafforzare la centralità della PEC come strumento unico e certo di comunicazione, riducendo i margini di incertezza tra sfera professionale e personale.


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Avvocati associati e indipendenza: la Corte Ue apre alla rappresentanza diretta degli studi legali

L’avvocato associato non è un dipendente del suo studio e, proprio per questo, mantiene la piena indipendenza professionale. A dirlo è la Corte di giustizia dell’Unione europea, che con la sentenza depositata il 4 settembre 2025 nella causa C-776/22 ha stabilito che un legale in tale posizione è legittimato a rappresentare lo studio presso gli organi giurisdizionali Ue nei procedimenti in cui la parte non è “privilegiata”.

Il caso del marchio contestato

La vicenda nasce da un contenzioso in materia di proprietà intellettuale. Uno studio legale aveva presentato domanda di decadenza di un marchio dell’Unione, ottenendo dall’Euipo (Ufficio Ue per la proprietà intellettuale) la cancellazione per la maggior parte dei servizi, ma non per quelli legali. L’azione era stata respinta dal Tribunale Ue come manifestamente irricevibile. Da qui il ricorso alla Corte di giustizia, che invece ha ribaltato la decisione.

L’indipendenza come requisito essenziale

Il cuore della questione riguarda l’articolo 19 dello Statuto della Corte di giustizia Ue, che prevede che le “parti non privilegiate” (cioè non Stati membri o istituzioni europee) debbano essere rappresentate da un avvocato abilitato. Il requisito fondamentale è quello dell’indipendenza, intesa come assenza di un rapporto di subordinazione.

La Corte ha chiarito che tale condizione non viene meno per l’avvocato associato, il quale non si trova nella stessa situazione di un legale con contratto di lavoro subordinato o di un giurista d’impresa (“in-house lawyer”). L’associazione professionale, infatti, non implica vincoli gerarchici che possano minare l’autonomia del singolo professionista.

No all’auto-rappresentanza, sì all’avvocato indipendente

La Corte ha ribadito inoltre un principio consolidato: le parti non privilegiate non possono difendersi da sole davanti agli organi giurisdizionali Ue, nemmeno se il ricorrente è un avvocato abilitato. È sempre necessaria l’assistenza di un altro legale, purché indipendente.

Per i giuristi d’impresa, invece, resta la presunzione di mancanza di indipendenza a causa del rapporto di impiego, salvo prova contraria.

Le conseguenze della sentenza

Accogliendo il ricorso, la Corte ha annullato l’ordinanza del Tribunale, riconosciuto la validità della rappresentanza dell’avvocato associato e rinviato la causa al Tribunale Ue per una nuova decisione.


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Quando il suono diventa terapia: braccialetti biometrici e stimolazione cerebrale per combattere lo stress

Un braccialetto che ascolta il corpo, decifra lo stato mentale e lo accompagna verso equilibrio e benessere. È questa la promessa di un nuovo sistema sviluppato al Politecnico di Torino da un gruppo di ricerca coordinato da Luca Mesin, professore di Bioingegneria e responsabile del laboratorio “Mathematical Biology and Physiology”.

Dati biometrici che dialogano con il cervello

Il dispositivo rileva parametri come il battito cardiaco e, attraverso un algoritmo personalizzato, interpreta la condizione psicofisica dell’utente. A quel punto entra in gioco la neurostimolazione sonora: suoni mirati vengono inviati al sistema nervoso per favorire la concentrazione o, al contrario, indurre uno stato di rilassamento nei momenti di forte stress.

«Le onde cerebrali variano a seconda delle condizioni mentali — spiega Mesin —. Stimolando la banda giusta, possiamo accompagnare la persona verso lo stato cognitivo desiderato, andando oltre i suoi stessi limiti».

Oltre il neurofeedback: una guida più che un allenamento

Rispetto al tradizionale neurofeedback, che funziona come un allenamento cerebrale, il nuovo metodo non chiede all’utente di imparare a raggiungere certi stati mentali: lo “prende per mano” e lo guida direttamente. In questo modo, il percorso diventa più immediato e accessibile anche a chi non ha familiarità con tecniche di autocontrollo.

Dalla ricerca alle possibili applicazioni

Le prospettive sono ampie: non solo benessere e gestione dello stress, ma anche potenziamento della concentrazione, supporto alla memoria e applicazioni con realtà aumentata. Il sistema sarà testato per la prima volta dal pubblico durante “SaluTo – Torino Medicina e Benessere”, in programma il 21 settembre.

Parallelamente, è allo studio una collaborazione con associazioni territoriali per coinvolgere pazienti affetti da stress cronico, in modo da valutare l’efficacia del metodo in condizioni reali.

Una sfida complessa: tradurre il linguaggio dei neuroni

Resta aperta la sfida scientifica più grande: leggere con precisione un organo tanto complesso quanto il cervello umano. «Gli 80 miliardi di neuroni interagiscono come miliardi di voci che parlano tutte insieme — sottolinea Mesin —. Un elettroencefalogramma ne cattura solo una parte, un po’ come ascoltare una folla con pochi microfoni».

Nonostante la complessità, i ricercatori del Politecnico sono fiduciosi: con modelli matematici sempre più raffinati, sarà possibile ottenere stime via via più precise.


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La nuova infrastruttura del potere si chiama Intelligenza artificiale

Benvenuti nell’era della nuova energia che muove il mondo: l’Intelligenza artificiale. Non un semplice strumento digitale, ma una vera e propria centrale elettrica del XXI secolo, capace di generare potenza in ogni settore, dall’industria ai servizi, dalla finanza alla vita quotidiana. Dove arriva, illumina e accelera processi; dove manca, lascia indietro interi Paesi, generando bassa crescita, recessione e disuguaglianze.

Un’energia che divide

Gli Stati Uniti investono in IA oltre cinque volte più dell’Europa. Mentre la Vecchia Europa resta legata al suo modello manifatturiero, il resto del mondo corre verso la nuova elettricità. La conseguenza? Una società a due velocità: chi ha competenze e strumenti adeguati accende la luce, chi resta senza formazione si trova al buio. Un vero apartheid digitale che rischia di allargare il divario sociale.

Non basta collegare la spina

L’IA non è una lampadina che si accende con un interruttore. Uno studio del MIT ha mostrato come oltre il 90% dei progetti di intelligenza artificiale generativa sia fallito: manager pronti a installare centrali senza ripensare impianti e flussi di lavoro. Il risultato? Blackout aziendali, processi bloccati, risorse sprecate.
Per funzionare, serve una rete ridisegnata: competenze, processi, regole. Non improvvisazione.

Non è Prometeo, è un generatore

L’IA non sogna, non ha desideri, non arde di ambizione. Elabora dati, ripete schemi, apprende dai contesti. Non è la creatività di un artista né l’istinto di un leader: è una potentissima macchina di calcolo. Per questo il tema diventa politico: chi governa questa energia governa l’economia globale, il mercato dei dati e la competitività dei Paesi.

Tre parole chiave: consapevolezza, visione, governance

Il futuro dipenderà da tre fattori:

  • Consapevolezza, perché non basta installare server e algoritmi senza ridisegnare la rete organizzativa.

  • Visione, perché la società si trasforma in una smart grid globale, in cui ogni comportamento sarà influenzato da reti di dati e modelli predittivi.

  • Governance, perché l’IA non si autogestisce: servono regole per stabilire chi resta illuminato e chi rischia l’oscurità.

L’Europa e la sfida globale

L’AI Act europeo è un primo passo, ma appare ancora come una prolunga domestica davanti a una tempesta planetaria. Il tavolo della governance deve includere Stati Uniti e Cina, altrimenti i cortocircuiti saranno inevitabili.


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Cambio al vertice dell’Ordine degli avvocati di Roma: Graziani nuovo Presidente

Un incarico che accolgo ringraziando i Colleghi che mi hanno scelto ma anche con forte senso di responsabilità – le parole del nuovo Presidente – consapevole dell’importanza del mandato, dell’impegno ereditato dai miei predecessori Paolo Nesta e Antonino Galletti e delle molte iniziative che l’Avvocatura romana porterà avanti nei prossimi mesi“.

Diversi i temi trattati in questi ultimi tre anni di consiliatura, su tutti quello dell’equo compenso per i professionisti, che ha visto l’Ordine forense impegnato in prima linea non solo a Roma ma in tutta Italia; e la tutela dei diritti dei reclusi, “che rappresentano – spiega Graziani – l’unità di misura con cui valutare il grado di civiltà di uno Stato di diritto e che vede il nostro Paese purtroppo ancora indietro su tale percorso. Penso al dramma dei suicidi in carcere, solo ieri il più recente: una donna che si è tolta la vita a Rebibbia. Ecco, questo è un dramma sul quale molto dobbiamo fare: accendere un faro per illuminare una situazione che troppo spesso viene dimenticata, relegata nelle brevi di cronaca. Ma la vita di una persona, la sua dignità, non sono questioni secondarie. La rieducazione del detenuto non può restare lettera morta e le persone recluse non possono essere trattate alla stregua di polvere da nascondere sotto il tappeto del nostro quieto vivere“.

Ma non c’è solo questo. “Con Paolo Nesta e Antonino Galletti molto abbiamo fatto in passato per denunciare gli intollerabili ritardi della Giustizia, a cominciare da una giusta collocazione del Giudice di Pace e, conclude Graziani, dalla gestione dell’impatto dell’intelligenza artificiale sulle attività giudiziarie e degli Avvocati. Posso garantire che la nostra iniziativa procede intensamente. Tribunali efficienti e con organici adeguati nonché udienze fissate in tempi ragionevoli sono essenziali per restituire ai cittadini la fiducia nella Giustizia. Va benissimo occuparsi di separazione delle carriere dei magistrati e di grandi riforme ma gli Ordini forensi devono scendere in campo anche sulle questioni che più stanno a cuore agli Avvocati e ai cittadini: vedere un’udienza fissata dopo tre o quattro anni non è dignitoso: ciò costituisce vera e propria negata Giustizia. Dunque, molto c’è da fare e l’Ordine forense della Capitale non si tirerà indietro“.


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Nordio a Cernobbio: «Il caso Tortora sia una lezione per i giudici»

CERNOBBIO – Alla platea del Forum Ambrosetti, Carlo Nordio non ha risparmiato parole forti. Il Guardasigilli ha ricordato la vicenda di Enzo Tortora – arrestato nel 1983 sulla base di accuse infondate, costretto a 271 giorni di carcerazione preventiva e assolto solo quattro anni dopo – come simbolo degli errori giudiziari che non devono più ripetersi. «Un magistrato che manda in carcere un innocente non deve pagare con il portafoglio, ma con la carriera: deve cambiare mestiere», ha scandito il ministro, proponendo di utilizzare la nuova serie tv dedicata a Tortora come strumento di formazione obbligatoria per i futuri giudici.

Nordio ha ribadito che la carcerazione preventiva «è sempre un fardello di dolore per chi la subisce» e va evitata ogni volta che esistono alternative. Un principio che – sostiene – avrebbe impedito anche le contestate misure cautelari di Milano, con arresti annullati poche ore dopo dal tribunale della Libertà.

Sul fronte delle riforme, il ministro ha rilanciato la “madre di tutte le battaglie”: la separazione delle carriere. La revisione costituzionale, attesa per l’autunno in seconda lettura alla Camera e poi al Senato, sarà sottoposta a referendum confermativo nella primavera 2026. «Sarà un cambiamento radicale – ha detto – perché smantellerà il potere delle correnti, restituendo credibilità alla giustizia disciplinare».

Il progetto prevede il sorteggio per l’elezione dei membri dei due Csm e dell’Alta Corte disciplinare, con l’obiettivo di eliminare quello che Nordio definisce «un sistema domestico, dove i magistrati giudicano i magistrati». L’Anm e buona parte delle toghe restano contrarie, paventando un attacco all’indipendenza della magistratura e una possibile saldatura con l’opposizione politica. «Sarebbe un disastro – ha replicato il ministro – se i magistrati trasformassero la consultazione in una campagna contro il governo».

Nordio ha anche rivendicato i primi risultati del Pnrr applicati alla giustizia: «Abbiamo ridotto del 27,7% i tempi delle cause civili grazie all’impiego delle risorse disponibili», ha sottolineato. E ha respinto le accuse di incoerenza da parte delle opposizioni: «Ci hanno criticato per leggi troppo dure, dalle norme sui rave a quelle sui reati sessuali. Ma non possono accusarci di immobilismo».


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