Accertamento handicap e invalidità civile semplificato

Accertamento handicap e invalidità civile semplificato

Il decreto semplificazioni rende possibili i procedimenti di accertamento invalidità anche senza visita diretta

E’ dello scorso 1° ottobre il messaggio dell’Inps in cui si rende noto un punto importante in materia disabilità. Nello specifico, si tratta del messaggio n. 3315/ 2021 circa la semplificazione e velocizzazione dell’iter di accertamento per handicap e invalidità civile. Ora, nei casi più gravi le Commissioni Mediche Inps potranno redigere i verbali anche senza visita diretta.

Nuovo iter di accertamento invalidità civile e handicap: la valutazione sugli atti

Ora, come è possibile accertare minorazioni civili e handicap senza effettuare direttamente la visita medica all’invalido? Le commissioni mediche Inps preposte all’accertamento possono redigere verbali anche solo sulla base degli atti depositati dalla parte. Ciò, ovviamente, va a riguardare, sia nel caso di prima istanza che di revisione, esclusivamente i casi più gravi.

 

 

Per beneficiare di tale servizio, è necessario che il cittadino ne faccia richiesta diretta all’Inps per via telematica. Nella domanda, egli dovrà inserire tutta la documentazione comprovante la propria situazione sanitaria idonea ad accertarne una valutazione obiettiva. Dal punto di vista pratico, per far ciò, dal sito dell’Inps si va alla sezione “Allegazione documentazione Sanitaria Invalidità Civile”.

A chi è rivolto questo servizio online? Il nuovo servizio online dell’Inps si rivolge a due schiere di interessati. Da una parte, a chi deve presentare domanda d’invalidità o handicap; dall’altra, a chi la domanda l’ha già presentata ma ha ricevuto comunicazione di revisione della stessa da parte dell’Istituto. A questo punto, la medesima Commissione convocherà l’interessato per una visita diretta solo qualora la comunicazione pervenuta non fosse sufficiente e/o idonea.

 

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Bonus occhiali: chi può beneficiarne

Istituito Fondo per la tutela della vista: 15 milioni per l’acquisto degli occhiali

Il bonus occhiali è inserito nella Manovra 2021 al fine di aiutare chi deve farne acquisto. A tal proposito, il fondo stanziato è pari a 15 milioni di euro per i prossimi tre anni: una vera novità. Ne sono destinatarie le famiglie con Isee molto modesti che, in questo periodo di emergenza sanitaria, rischierebbero di non tutelare la salute dei loro occhi.

Fondo per la tutela della vista e bonus occhiali: a chi spetta e come funziona

La Manovra finanziaria 2021 al comma 437 ricalca il contenuto dell’emendamento proposto dal deputato Paolo Russo. Infatti “Al fine di garantire la tutela della salute della vista, anche in considerazione delle difficoltà economiche conseguenti all’emergenza epidemiologica da Covid-19, nello stato di revisione del Ministero della salute [istituisce] un fondo, denominato -Fondo per la tutela della vista”. Il budget stanziato per ciascuno degli anni 2021, 2022 e 2023 è di 5 milioni di euro.

 

 

Nello stesso articolo viene altresì specificata la natura del provvedimento: aiutare la popolazione più bisognosa ad acquistare occhiali da vista o lenti a contatto correttive. Quindi, tale bonus occhiali consiste in un voucher da corrispondere una tantum: 50 euro, per l’acquisto -appunto- di occhiali e lenti a contatto correttive. Ora, data l’entità del bonus, esso ha la finalità di aiutare le famiglie con maggiori difficoltà economiche.

Dunque, la misura è rivolta a nuclei familiari con reddito ISEE non superiore ai 10.000 euro. In realtà, al momento le modalità di funzionamento del bonus occhiali non sono ancora definite. Infatti, la manovra assegna tale compito al Ministero della Salute, di concerto con quello dell’Economia e delle Finanze. Spetta a questi due soggetti l’emanazione del decreto che definisca criteri, modalità e termini per l’erogazione del contributo.

 

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Avvocati: il compenso va concordato per iscritto

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Cassazione. L’accordo cliente- avvocato sul compenso del professionista vale soltanto se redatto in forma scritta

La sentenza n.24213/ 2021 della Cassazione afferma il principio della necessità della forma scritta del contratto cliente- avvocato. Nello specifico, a pena di nullità, l’accordo che intercorre tra cliente ed avvocato per quanto riguarda il compenso di quest’ultimo, non può essere sostituito da alcun altro mezzo probatorio. Principio valido in ogni situazione, salvo specifici casi del tutto eccezionali.

Accordo cliente avvocato sul compenso del professionista: deve avere forma scritta

Succede che il Tribunale riconosca ad un avvocato un compenso inferiore rispetto a quello richiesto dallo stesso per una sua attività. In particolare, si tratta di un’attività svolta dal professionista in favore di una S.n.c. con la quale, sulla base di testimonianze, emerge il precedente accordo cliente- avvocato sulla misura del compenso. Ora, l’avvocato ricorre in Cassazione contro la decisione del Tribunale.

 

 

Nel suo ricorso, l’avvocato solleva tre motivi, ma il secondo appare come principale e tale da assorbire gli altri. Si tratta della denuncia della violazione dell’art. 2233 comma 3 del codice civile, che sancisce la nullità del patto tra avvocato e cliente per stabilire la misura del compenso quando non redatto in forma scritta. Succede quindi che la Cassazione accolga il ricorso sulla base del secondo motivo descritto: “Il compenso spettante al porofessionista è pattuito […] per iscritto all’atto del conferimento dell’incarico professionale”.

Di conseguenza, in caso di mancanza di forma contrattuale scritta la pena è la nullità dei patti relativi al compenso dell’avvocato. Tuttavia, in questo caso il Tribunale non fa corretta applicazione del principio suddetto perché ritiene provato l’accordo sul compenso tra cliente e avvocato solo sulla base di testimonianze e sulla corrispondenza intercorsa tra le parti. Infine, il Tribunale ritiene provato l’accordo solo sulla base di presunzioni, trascurando l’elemento probatorio principe della prova scritta, imprescindibile e insostituibile.

 

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Spid ora obbligatorio per Inps e Pa

Dal primo ottobre l’accesso ai servizi digitali della PA avverrà solo tramite Spid o Carta d’Identità Elettronica

Il Decreto “Semplificazione e innovazione digitale”, poi legge 120/2020 stabilisce che dal prossimo primo ottobre sarà possibile accedere ai servizi on line della PA (Inps, Agenzia delle Entrate) solo muniti di Spid. Dunque, bando alle vecchie credenziali e largo al Sistema Pubblico di Identità Digitale.

Spid: pochi italiani ce l’hanno

Il conto alla rovescia è partito: tra poco esisterà solo lo Spid come strumento d’accesso ai portali on line della PA. Dunque, per accedere al sito dell’Inps, proprio come per consultare determinate aree riservate del sito dell’Agenzia delle Entrate, è necessario inserire lo Spid. Tuttavia, sembra che la percentuale di italiani over 65 effettivamente in possesso della propria identità digitale si attesti tra il 10 e il 15%. Numeri alla mano, si tratta solo di 24,3 milioni di italiani.

 

 

Quindi, proprio per colmare questo divario tra ciò che dovrebbe essere e ciò che in realtà è, si è pensata la figura del “delegato Spid”: un tutore informatico che può accedere ai servizi dei soggetti anziani, o con carenze informatiche.

Alternative allo Spid

Su che cosa si basa lo Spid? Sull’inserimento delle credenziali ed autorizzazione tramite applicazione smartphone o servizi di messaggistica. Dunque, attualmente si tratta di una possibilità sostituibile con: carta d’identità elettronica (CIE) o con la CNS (Carta Nazionale dei Servizi: una smart card corrispondente ai dispositivi digitali e alla tessera sanitaria). Tuttavia, ambe due queste alternative sono adesso poco utilizzate, per via dei loro requisiti hardware: richiedono un lettore smart card o uno smartphone con sistema NFC.

Infine, è da notare che la nuova regola non riguarda le Partite Iva, le imprese ed i professionisti: per questi soggetti, l’accesso ai servizi digitali della PA continuano ad essere garantito attraverso l’utilizzo delle solite credenziali: di Entratel, del Sister o di Fisconline.

 

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Bonus pubblicità 2021: cos’è e come ottenerlo

Solo per il 2021, la richiesta per il bonus pubblicità va presentata dal 1° al 31 ottobre

Il bonus pubblicità è un’agevolazione in forma di credito d’imposta, rivolta alle imprese e lavoratori autonomi che effettuano investimenti in campagne pubblicitarie sulla stampa quotidiana e periodica e sulle emittenti televisive radiofoniche locali, analogiche o digitali. Nato nel 2018, con determinate caratteristiche, la sua proroga del 2021-2022, presenta alcune importanti variazioni. In particolare, le istruzioni rese note lo scorso 24 settembre ci fanno capire che, a causa del Covid, per il solo 2021 la finestra temporale di presentazione della domanda slitta ad Ottobre; e questa non è la sola novità, andiamo a vedere nello specifico che cosa cambia.

Bonus pubblicità 2021: come cambia il credito d’imposta riconosciuto per investimenti pubblicitari

Il bonus pubblicità viene inizialmente istituito con il decreto legge n. 50/ 2017, e si rivolge “A decorrere dall’anno 2018, alle imprese e lavoratori autonomi che effettuano investimenti in campagne pubblicitarie sulla stampa quotidiana e periodica e sulle emittenti televisive radiofoniche locali, analogiche o digitali il cui valore superi almeno l’1 per cento gli analoghi investimenti […] nell’anno precedente, è attribuito un contributo, sotto forma di credito d’imposta , pari al 75 per cento del valore incrementale degli investimenti effettuati, elevato al 90 per cento nel caso di microimprese, piccole e medie imprese e start up innovative, nel limite massimo complessivo di spesa stabilito ai sensi del comma 3”.

 

 

Dalla norma sopra citata emerge che il bonus pubblicità costituisce sostanzialmente un credito d’imposta. Tuttavia, nella sua proroga del 2021-2022 tale beneficio si applica “nella misura unica del 50% del valore degli investimenti pubblicitari […], entro il limite massimo di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021 e 2022”. Da notare che per ottenere tale agevolazione attualmente non è richiesto alcun presupposto dell’incremento minimo dell’1% dell’investimento pubblicitario, rispetto all’investimento dell’anno precedente.

Come accedere al bonus pubblicità 2021

Il DPCM n.90 del 16 maggio 2018, all’articolo 5 disciplina la procedura di accesso al bonus pubblicità. In esso si specifica che i soggetti interessati ad avvalersi di detto beneficio fiscale devono presentare una comunicazione telematica come da modello e indicazione del Dipartimento per l’Informazione e l’editoria in un arco temporale compreso tra il 1° marzo ed il 31 marzo di ciascun anno.

Tuttavia, è importante sottolineare che, a causa del Covid, lo scorso 24 settembre sono state rese pubbliche le nuove istruzioni di presentazione della domanda per avere accesso al bonus pubblicità. Quindi: ”Per il solo anno 2021, la comunicazione per l’accesso al credito d’imposta” è presentata nel periodo compreso tra il 1° ed il 31 ottobre 2021. Restano comunque valide le comunicazioni telematiche trasmesse nel periodo compreso tra il 1° ed il 31 marzo 2021, sulle quali il calcolo per la determinazione del credito d’imposta sarà automaticamente effettuato sulla base delle intervenute disposizioni normative relative all’anno 2021.”

Ora, la comunicazione per accedere al bonus pubblicità deve essere presentata “al Dipartimento per l’lnformazione e l’Editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri, utilizzando i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle entrate:

  • direttamente, da parte dei soggetti abilitati ai servizi telematici dell’Agenzia delle entrate;
  • tramite una società del gruppo, se il richiedente fa parte di un gruppo societario, ai sensi dell’articolo 3, comma 2-bis, del D.P.R. n. 322 del 1998;
  • tramite gli intermediari abilitati indicati nell’articolo 3, comma 3, del D.P.R. n. 322 del 1998 (professionisti, associazioni di categoria, Caf, altri soggetti).”

Va detto che per accedere ai servizi telematici dell’Agenzia è necessario utilizzare lo SPID, le credenziali Entratel o Fisconline rilasciate dall’Agenzia delle Entrate o la Carta Nazionale dei Servizi.

Inoltre, all’Agenzia occorre inviare dal 1° al 31 gennaio successivo la Dichiarazione sostitutiva, relativa agli investimenti effettuati. Lo scopo è di dichiarare che gli investimenti indicati nella sopra descritta comunicazione per l’accesso al credito d’imposta, sono realizzati nell’anno agevolato e soddisfano i requisiti richiesti dalla legge.

Come utilizzare il bonus pubblicità 2021

Il credito d’imposta derivante dall’ottenimento del bonus pubblicità è utilizzabile solo in compensazione. Quindi:

– innanzitutto è necessario presentare apposita istanza al Dipartimento per l’informazione e l’editoria presso la Presidenza del Consiglio dei ministri;

– ricevute le domande, il Dipartimento per l’informazione e l’Editoria forma un elenco dei soggetti che hanno fatto richiesta per beneficiare del credito di imposta, indicando anche l’eventuale percentuale provvisoria di riparto (se le risorse non sono sufficienti) e l’importo che in teoria è fruibile da ogni soggetto dopo l’investimento incrementale.

L’ammontare del credito, che può essere fruito concretamente ed effettivamente dopo l’accertamento relativo agli investimenti effettuati, è disposto con provvedimento del Dipartimento stesso e pubblicato sul relativo sito istituzionale https://informazioneeditoria.gov.it/it/

– infine, una volta che il credito d’imposta viene ufficialmente riconosciuto ai beneficiari, costoro possono utilizzarlo solo in compensazione, a partire da quinto giorno lavorativo successivo alla pubblicazione dell’elenco dei soggetti ammessi, presentando il modello F24 attraverso i servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate, indicando come codice tributo 6900.

 

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Caricabatterie universali per tablet e cellulari

I parlamentari europei chiedono alla Commissione di agire per un caricabatterie universale

Già da anni, noi tutti ci destreggiamo tra i diversi cavi dei caricabatterie distinguendo necessariamente ora quelli del tablet, ora quelli dello smartphone. Certamente, soprattutto per chi si ritrova ad aver a che fare quotidianamente con più apparecchiature elettroniche (pensiamo in particolare a studi professionali o liberi professionisti) si tratta di una scomodità di non poco conto. Non solo: tale molteplicità di soluzioni caricabatterie rappresenta anche un problema a livello di inquinamento, di rifiuti elettronici e di spreco di materie prime. Per questi motivi, i parlamentari europei stanno insistendo per ottenere un caricabatterie universale per tutti.

Caricabatterie universale per il problema dei rifiuti elettronici

“Nell’ultimo decennio, il Parlamento europeo ha spinto la Commissione a presentare una proposta su un caricatore universale al fine di affrontare il problema dei rifiuti elettronici […]”. Ed in effetti, l’impulso parte addirittura nel 2014, quando lo stesso Parlamento Europeo sostiene l’utilità di un caricabatterie comune per tutti i cellulari. Tuttavia, se inizialmente si agiva durante le negoziazioni della direttiva Radio Equipment (RED), ora la tecnica è di agire attraverso relazioni di iniziativa, risoluzioni e domande rivolte ai commissari.

 

 

In effetti, Anna Cavazzini (Verdi/SLE, Germania) afferma che “Le apparecchiature elettriche ed elettroniche continuano ad alimentare uno dei flussi di rifiuti in più rapida crescita nell’UE. [Perciò] E’ particolarmente importante che le norme proposte si applichino non solo agli smartphone ma anche ai tablet e ad altri dispositivi mobili […]”. Per altro, considerando i rapidi sviluppi tecnologici degli ultimi anni, la Commissione avrebbe già perso molto tempo.

Ora, a sentire la stessa Cavazzini, il Parlamento lavorerà su questa proposta legislativa. E verrà fatto il possibile per garantire un’agevole cooperazione con la Commissione ed il Consiglio, per raggiungere un accordo che vada a beneficio tanto dei consumatori europei quanto dell’industria. Il punto è costituito dagli obiettivi del Green Deal europeo: snodo fondamentale per attenuare l’impatto climatico.

 

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Stop allo smart working per i lavoratori pubblici

Dal 15 ottobre i lavoratori pubblici tornano in presenza. A stabilirlo, il Dpcm firmato da Draghi

“La modalità ordinaria di lavoro nelle Pubbliche amministrazioni dal 15 ottobre torna ad essere quella in presenza”. A stabilirlo, il Presidente del Consiglio, Mario Draghi in un apposito Dpcm. Resta comunque centrale il presupposto che “il ritorno in presenza avvenga in condizioni di sicurezza, nel rispetto delle misure anti Covid”.

Brunetta: Smart working, la legge entro un mese

Con il nuovo decreto, si conclude lo smart working come modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nell’amministrazione pubblica. Così, e a chiarirlo è lo stesso Renato Brunetta, ministro della Funzione Pubblica “si apre l’era di una nuova normalità […]”. Ed in effetti, lo stesso Brunetta già aveva avvertito che successivamente al decreto, lo smart working sarebbe stato ridotto al massimo al 15%.

 

 

Infatti, tale decreto impone l’obbligo di green pass per tutti i lavoratori, rendendo possibile la riorganizzazione negli uffici. Comunque, si tratta di un cambiamento che avverrà gradualmente: innanzitutto, riaprono gli sportelli aperti al pubblico attualmente chiusi, con la possibilità di usufruire dei servizi su prenotazione, onde evitare code o assembramenti. Inoltre, entro il 31 gennaio 2022, tutte le amministrazioni devono presentare il Piano integrato di attività e organizzazioni contenente il Pola (Piano organizzativo del lavoro agile), che definisce quali dipendenti possono continuare con il lavoro da casa e quali invece tornano obbligatoriamente in ufficio.

L’idea di fondo è di uno “smart working vero, strutturato, ancorato a obiettivi e monitoraggio dei risultati”. Dunque, si tratta di far tesoro dell’esperienza emergenziale per riprendere in sicurezza ed efficienza dei servizi. Nello specifico, il lavoro agile dovrebbe essere limitato a “processi e attività di lavoro previamente individuati dalle amministrazioni, per i quali sussistano i necessari requisiti organizzativi e tecnologici per operare con tale modalità”. L’accordo sullo smart working sarà individuale ed andranno concordati la durata, le giornate di lavoro da casa ed il luogo. Infine, l’accesso alla possibilità del lavoro agile dovrebbe essere facilitato per che ha figli minori di tre anni o disabili, e per lavoratori con disabilità.

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Aumento bollette 2021: quanto pagheremo e quanto si risparmia con il decreto

Il decreto elimina gli oneri del gas per tutti e dell’elettricità per le famiglie. Per una bolletta dell’elettricità salita a 140 euro, lo sconto è di 13. Dieci euro in meno per il gas.

Arriva dal Consiglio dei Ministri il varo del decreto che taglia in parte i rincari delle bollette di elettricità e gas per il 2021. Tuttavia, l’intervento del Governo non limita completamente gli aumenti del contro dell’energia previsti per il prossimo primo ottobre, se non per le famiglie meno abbienti, cioè quelle che percepiscono il bonus sociale (3 milioni di nuclei). Infatti, per tutti gli altri l’incremento viene limitato per un terzo del totale. Quindi, c’è da chiedersi: quanto risparmieranno le famiglie in totale?

Rincari bollette: sconto di 13 euro per l’elettricità, 10 per il gas

Per ridurre al minimo gli oneri di sistema, il governo stanzia circa 2 miliardi e mezzo, di cui 2 solo per la bolletta della luce. 480 milioni sono per il taglio degli oneri generali sulla bolletta del gas. Inoltre, a questi fondi si aggiungono 450 milioni in rinforzo al bonus sociale (che quest’anno va in automatico agli aventi diritto, basta aver presentato la Dichiarazione Unica Sostitutiva e richiesto l’Isee per altri servizi. Secondo i calcoli dell’Arera, in tutto si tratta di 3 milioni di famiglie potenzialmente interessate (2,5 milioni lo sarebbero anche per il gas). Quindi, i parametri per lo sconto rimangono inalterati: nuclei entro gli 8.265 euro, nuclei con almeno 4 figli a carico e Isee inferiore a 20.000 euro, infine titolari di Reddito o pensione di cittadinanza.

 

 

Ora, il decreto garantisce ai 26 milioni di clienti domestici e 6 milioni di piccole aziende un risparmio di un terzo rispetto agli incrementi energetici attesi. Dunque, il 40% per le utenze della luce, il 30% per il gas, come ricorda oggi La Stampa. Allora, su una bolletta della luce che da 100 passa a 140 euro, lo sconto è di circa 13 euro. Invece, per il gas, una bolletta che da 100 passa a 130 euro verrà abbassata di circa 10 euro.

E’ importante ricordare che nel quadro degli interventi messi in atto per bloccare i rialzi in arrivo il 1° ottobre, è previsto anche il taglio dell’Iva sul gas “per usi civili e industriali”, fino a dicembre. In questo caso, l’imposta è del 10% entro i primi 480 Smc consumati, oltre sale al 22%.

 

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Il ritorno dell’indennità da quarantena

Il Consiglio dei Ministri vuole reintrodurre un fondo per l’indennità da quarantena

Potrebbe ritornare l’indennità da quarantena: l’annuncio è di Andrea Orlando e risale a qualche giorno fa. Sarebbero nuovi fondi, di circa 900 milioni di euro, rivolti a quei lavoratori costretti a rimanere a casa per un contatto con un positivo al Covid. Ora, la misura potrebbe essere inserita nel decreto per bloccare il rincaro delle bollette della luce.

Nuova indennità Covid per quarantena: chi ne ha diritto

La prima indennità di quarantena da Covid-19 risale ad inizio pandemia, quindi al 2020, ed è stata finanziata con 663 milioni di euro. Tuttavia, si tratta di un provvedimento non rinnovato per l’annualità 2021, ad eccezione dei lavoratori fragili e solo con una copertura di 282 milioni. Dunque, il motivo del mancato rifinanziamento sarebbe, come è facilmente intuibile, la mancanza di bacino economico da cui attingere per le risorse.

 

 

Quindi, c’è da chiedersi: da dove arriva questa nuova possibilità? Dai risparmi sugli aiuti anti-Covid, in particolare dal tiraggio inferiore alle attese dei contributi a fondo perduto alle imprese. Infatti, si tratta degli stessi risparmi che costituiranno la gran parte della copertura anche per l’intervento sulle bollette: tra i 3 ed i 4 miliardi.

In effetti, lo stesso ministro del lavoro Orlando si era impegnato personalmente per trovare una soluzione al problema rifinanziamento quarantena. Così, la possibilità inizia ad intravvedersi all’orizzonte, però previe specifiche condizioni: sorveglianza attiva con permanenza domiciliare fiduciaria. Infine, il rifinanziamento del congedo parentale al 50% per chi ha figli in Dad sarebbe ancora molto in forse.

 

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Condominio e Green pass: quando serve?

Anammi ha rilasciato il vademecum con le istruzioni per il corretto utilizzo del certificato verde

Dal 15 ottobre, il Green pass è obbligatorio per accedere agli studi dell’amministrazione condominiale. Si tratta dell’applicazione del decreto legge approvato lo scorso 16 settembre e che l’Anammi (Associazione nazional europea amministratori d’immobili) accoglie e disciplina in un apposito vademecum. Allora, essendo l’amministratore di condominio un libero professionista, lavoratore autonomo con partita iva, egli dovrà possedere il Green Pass.

Green pass necessario per accedere alle assemblee condominiali

Come anticipato, al decreto legge del 16 settembre 2021, l’Associazione Nazional Europea Amministratori d’immobili reagisce con la diffusione di un apposito vademecum. In esso di disciplinano situazioni quali le assemblee condominiali e corsi di formazione per il personale dipendente. Non solo: l’Anammi specifica che in qualità di libero professionista titolare di partita iva, l’amministratore condominiale deve possedere il Green pass.

 

 

Invece, le modalità delle assemblee condominiali rimarranno le stesse del periodo emergenziale: vanno mantenuti distanza interpersonale e utilizzo dei dispositivi di protezione individuale. Se possibile, a questi due elementi, si deve aggiungere il fatto che le assemblee di condominio devono essere tenute in uno spazio di sicurezza: la superficie minima è di 7 mq per partecipante. In questo contesto, risulta fondamentale il ruolo del presidente dell’assemblea: “sarà suo compito verificare e controllare preventivamente il possesso del Green Pass dell’amministratore”.

Inoltre, l’amministratore, nel convocare l’assemblea, deve chiedere preventivamente al gestore dei locali affittati se ne condizionerà l’accesso al possesso del certificato verde. Infatti, in questo caso, se anche solo un partecipante non avesse la certificazione, l’amministratore dovrà scegliere un altro posto.

Green pass per i formatori condominiali 

Il certificato verde sarebbe obbligatorio anche nel caso in cui uno studio di amministrazione organizzi corsi di formazione per il personale dipendente, o aperti al pubblico. Infatti, in questi casi, i formatori che terranno il corso dovranno necessariamente essere muniti di green pass.

 

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Servicematica

Nel corso degli anni SM - Servicematica ha ottenuto le certificazioni ISO 9001:2015 e ISO 27001:2013.
Inoltre è anche Responsabile della protezione dei dati (RDP - DPO) secondo l'art. 37 del Regolamento (UE) 2016/679. SM - Servicematica offre la conservazione digitale con certificazione AGID (Agenzia per l'Italia Digitale).

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