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Avvocato in prestito alle aziende: ecco il secondment

Gli studi legali possono prestare temporaneamente i propri avvocati alle aziende che ne hanno bisogno. Questa pratica ha un nome, secondment, e all’estero (soprattutto nel Regno Unito), è talmente frequente da aver spinto diversi studi legali a creare unità ad hoc.

In Italia è ancora agli albori e solleva pareri contrastanti tra coloro che la ritengono portatrice di grandi opportunità e coloro che invece vi riconoscono dei rischi.

Per spiegarvi di cosa si tratta, faremo riferimento ai dati raccolti dall’indagine di inhousecommunity.it per MAG, rivista dedicata al mondo legale e imprenditoriale.

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COME FUNZIONA IL SECONDMENT

Una grande azienda può trovarsi ad affrontare un caso che richiede una specializzazione particolare o può dover far fronte a picchi di attività che non possono essere smaltiti completamente dal pool legale interno. 

In questi casi, poter contare su un avvocato in prestito è un ottima soluzione: l’azienda può massimizzare il rapporto tra investimento e ritorni, servendosi delle competenze di una risorsa in più per il solo tempo necessario.

In Italia, i periodi di secondment non superano mai i 12 mesi e quasi in 1 caso su 4 non superano i 6 mesi. (A)

A far uso del secondment sono soprattutto gli istituti bancari e finanziari (32%), le aziende energetiche (17%) e quelle di moda e design (12%). (B)

Bisogna precisare una cosa.
Gli studi coinvolti nell’indagine sono di grandi dimensioni e contano in media più di 100 avvocati ma, mediamente, contano solo 5 risorse interne coinvolte in progetti di secondment.
In più, solo il 15% degli studi dichiara di avere un’unità interna dedicata a questa pratica e il 9% si sta organizzando per crearne una. (C)

Come vedete, nel nostro paese la pratica è davvero ancora marginale, ma ciò che ci interessa sottolineare è che il 69% degli intervistati ha segnalato una crescente domanda del servizio da parte delle aziende. (D)

PROFILO DELL’AVVOCATO IN PRESTITO

L’avvocato in prestito italiano è generalmente un professionista con un livello di seniority medio. Più raramente è un senior associate o un praticante. Chi ha più esperienza non viene mai coinvolto in questi progetti. (E)

L’avvocato in prestito si occupa soprattutto di Banking & Finance (il 32%) o fusioni e acquisizioni (29%).

La remunerazione dei servizi dell’avvocato in prestito viene generalmente definita tra lo studio e l’azienda cliente (74%). Un’alternativa è inglobare la remunerazione all’interno di contratti di consulenza forfettari.

Tre volte su cinque è lo stesso studio a pagare l’avvocato in prestito, molte volte è il cliente (31%) e più raramente la quota è divisa fra studio e azienda cliente.

PERCHÈ IL SECONDMENT È UNA RISORSA

Il 69% degli intervistati ritiene che il secondment sia una pratica vantaggiosa per gli studi legali per i seguenti motivi:
– permette di acquisire informazioni sul cliente e sulle dinamiche aziendali utili a personalizzare le consulenze e i servizi da offrire;
– rappresenta un’occasione di formazione per i professionisti che acquisiscono così nuove competenze (soprattutto pratiche) da portare nel bagaglio dello studio;
– aiuta a fidelizzare il cliente.
(F)

secondment 2

QUALI SONO I RISCHI

Il 31% dei partecipanti ritiene invece che il secondment comporti più svantaggi che altro.

Per prima cosa, l’investimento di tempo e risorse rischia di non tradursi in un ritorno proporzionato. Poi, c’è sempre il rischio che, col tempo, l’avvocato in prestito venga assorbito dall’azienda.

L’indagine ha infatti evidenziato che, alla fine dei secondment, quasi due avvocati su cinque (il 37%) vengono assunti dal cliente

[Fonte dati e informazioni: inhousecommunity.it ]

 

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banca dati

Dal PCT all’Intelligenza Artificiale: sfide e opportunità

Il Processo Civile Telematico è certamente stato un progetto di innovazione tecnologica e organizzativa che ha rivoluzionato il modo di lavorare di Professionisti, Magistrati e personale amministrativo.

Il percorso è stato lento e accidentato, per tanti motivi, certamente per una certa resistenza culturale al cambiamento, ma anche per la scarsità di risorse messe a disposizione dal bilancio pubblico, a volte soccorso da alcuni Ordini professionali (es. Ordine degli Avvocati di Milano con Presidente il compianto Paolo Giuggioli) e altre Istituzioni (es. ABI).

Si è partiti dall’informatizzazione dei registri di cancelleria dei Tribunali e via via degli altri UU.GG., una volta tenuti e conservati su carta, ora gestiti su Sistemi informativi su base distrettuale (SICID e SIECIC) accessibili telematicamente da chiunque in forma pseudonima e dai Professionisti, con accesso anche agli atti di causa, via PST (Portale Servizi Telematici) Giustizia o Punti di Accesso e strumenti ad essi collegati (Service1, Consolle Avvocato, etc.).

Quanto sopra ha consentito agli operatori di giustizia di aggiornare i fascicoli creando dei database molto utili per la condivisione tempestiva di dati sempre più affidabili, anche a fini statistici.

E’ sulla base di questo lavoro di “pulizia” del dato e di creazione di una piattaforma tecnologica nazionale che è stato possibile, dal 2006 in avanti, introdurre il PCT come lo consociamo oggi, con i depositi telematici di atti di Avvocati e Consulenti e provvedimenti dei Magistrati.

Tra le introduzioni più importanti, ma meno sfruttate, che il PCT ha consentito, troviamo quello che veniva definito “Archivio giurisprudenziale”, una raccolta di sentenze di merito su base nazionale.

Questo archivio è stato costituito, negli anni, su base sostanzialmente volontaria, dai singoli magistrati, che hanno qui depositato le sentenze ritenute più significative in base alla propria valutazione o a linee guida concordate nell’ambito dell’Ufficio Giudiziario.

La costituzione di questo dataset non è scevra da vizi di impostazione, infatti i documenti (sentenze e ordinanze) inseriti nel database non si possono considerare omogenei, né sono dotati di TAG utili ad organizzarli, classificarli e ricercarli (in altre parole, sfruttarli) in modo automatizzato.

Ciò nonostante, grazie alle maschere di ricerca che sia gli strumenti del Magistrato (Consolle del Magistrato) sia quelli degli Avvocati integrano, l’archivio è stato pensato per essere interrogato con ricerca full-text e con la possibilità di inserire filtri di ricerca in funzione del Magistrato, dell’Ufficio o di altri elementi precodificati.

Le opportunità che questo archivio fornisce sono molteplici.

In primo luogo, consente al Magistrato di accedere ad un database per verificare come una determinata fattispecie è stata affrontata e risolta dai suoi Colleghi, anche in secondo grado di giudizio. Questo consente, ove il Giudice lo ritenga corretto, una maggiore uniformità di giudizio nell’ambito quantomeno dello stesso Distretto di Corte d’Appello.

Guardando all’utilità per gli Avvocati, e quindi dell’utenza Giustizia, dei cittadini, questo archivio può dare modo all’Avvocato di valutare in fase precontenziosa l’impostazione, o persino l’opportunità, di un’azione civile.

Il servizio di consultazione per gli Avvocati è stato però inaspettatamente sospeso per lungo tempo con comunicazioni ministeriali 14/03/18 e 26/6/2018 per poi essere più di recente riattivato e rinominato in “Archivio Nazionale di merito”.

E’ oggi, quindi, possibile accedere a questo archivio da PST Giustizia (non senza qualche inciampo tecnico) e da PdA privati tramite gli usuali strumenti di consultazione (e deposito).

Quanto al potenziale sfruttamento che questa banca dati presenta, ci sono certamente due usi da valutare, da una parte la possibilità che questo dataset sia utile per consentire all’Avvocato di ottenere, grazie ad un tool, una valutazione automatizzata sul rischio di un eventuale contenzioso e dall’altra la possibilità di introdurre nella giurisdizione italiana una qualche forma di Intelligenza Artificiale.

Quanto al primo uso questo potrà essere consentito in primo luogo se la base dati sarà messa a disposizione degli operatori privati, liberamente o a fronte di accordi commerciali.

Come noto il tema è molto attuale e, a livello globale, esistono diverse esperienze di Legal Tech Company che sfruttano l’office automation e in alcuni casi anche l’AI per commercializzare prodotti che elaborino in modo automatizzato documenti legali (si veda tra le molte la ROSS Intelligence e in Italia LT 42).

Sul tema la Direttiva 96/9/CE relativa alla tutela giuridica delle banche di dati considera che l’obiettivo del diritto sui generis è di accordare al costitutore di una banca di dati la possibilità di impedire l’estrazione e/o il reimpiego non autorizzati della totalità o di una parte sostanziale del contenuto di tale banca. All’Art. 7 della medesima Direttiva infatti si indica che “Gli Stati membri attribuiscono al costitutore di una banca di dati il diritto di vietare operazioni di estrazione e/o reimpiego della totalità o di una parte sostanziale del contenuto della stessa, valutata in termini qualitativi o quantitativi, qualora il conseguimento, la verifica e la presentazione di tale contenuto attestino un investimento rilevante sotto il profilo qualitativo o quantitativo.”

Esistono anche applicazioni dell’AI nella giurisdizione, in particolare sono noti i tool di risk assessment utilizzati da tempo nella giustizia penale USA contenziosa e precontenziosa.

Ma quali sono i presupposti tecnologici necessari perché si possano introdurre nel sistema del PCT sistemi di AI?

Come noto, uno degli elementi fondamentali per il machine learning, che è un metodo per poi per arrivare ai sistemi di AI, è la disponibilità di dataset adeguati per le varie fasi di sviluppo (dal training, al cross validation e test). È diretto il rapporto tra maggior dimensione del database e qualità dei dati e l’accuratezza dei modelli risultanti.

Partendo da questa premessa è facile intuire il ruolo determinate della potenza di calcolo necessaria per uno sviluppo e una successiva gestione di questi sistemi. Pertanto, i progetti basati sull’intelligenza artificiale che non utilizzino il cloud computing possono implicare costi di elaborazione elevati.

Esaminati gli aspetti tecnologici vanno poi affrontati quelli progettuali.

Lo svolgimento di una DPIA (Data Protection Impact Assessment) preliminare sul sistema di trattamento che si intende implementare, che descriva anche i benefici attesi e raccolga l’opinione, necessariamente atecnica, dei soggetti interessati da questo trattamento di dati personali “particolari”, come definiti dal GDPR (General Data Protection Regulation).

Tra i benefici, con tutta evidenza, ci si aspetta di avere un miglioramento in termini di conoscenza e di efficienza, che dovrebbe consentire al Giudice di avere un provvedimento proposto dalla macchina da ratificare o modificare.

Tra le opinioni, con ogni probabilità, una certa resistenza al cambiamento verso un sistema così innovativo e poco comprensibile ai più.

Ulteriore passaggio dovrebbe certamente essere la consultazione preventiva dell’Autorità per la Protezione dei Dati Personali, anche al fine di evitare inciampi come avvenuto nella recente realizzazione del sistema di Fatturazione Elettronica.

Altro tema molto delicato e aperto, è quello relativo alle questioni più strettamente legali: quali sono le responsabilità di chi progetta, gestisce o utilizza un software che produce decisioni automatizzate errate?

Sono noti i casi di bias che possono affliggere questi sistemi: tra i più noti si pensi al caso di discriminazione razziale del servizio di photo-TAG di Google o a quello di discriminazione di genere del sistema di assunzioni di Amazon.

Queste decisioni dovrebbero avere una revisione umana (del Giudice) non trascurabile, si possono in effetti considerare decisioni automatizzate?

Guardando allo stato dell’arte in Italia, la Consolle del Magistrato già da tempo consente al Giudice di attingere al fascicolo informatizzato per compilare in modo automatizzato l’epigrafe del documento, verbale, ordinanza o sentenza che sia, sulla base di modelli predefiniti. In questo contesto di automazione, però, i contenuti del documento, quali la verbalizzazione, il percorso argomentativo, la decisione, sono di esclusiva competenza del Giudice (rectius dell’Ufficio del Processo).

Venendo all’Archivio giurisprudenziale, anzi all’”Archivio nazionale di merito”, va valutato se si tratta di una base dati che può essere presa in considerazione per istruire una macchina con un sistema di machine learning e quindi di costruire un sistema di intelligenza artificiale che supporti in particolare il Giudice nell’emissione di un provvedimento ove ricorrano determinati elementi che la macchina può riconoscere.

Va approfondito come deve essere strutturato questo provvedimento e quindi di che tipo e qualità deve essere il dato per realizzare un sistema di machine learning e in seconda battuta come questo sistema può essere inserito nell’attuale sistema di PCT, se a livello centrale/ministeriale con banca dati accentrata e capacità di calcolo accentrata o su base distrettuale/distribuita.

Infine, questo sistema dovrebbe avere un approccio etico.

Come ha affermato alla 40esima Conferenza Internazionale sulla Privacy Giovanni Buttarelli, stimatissimo ex “Garante Privacy UE“, faro ispiratore e promotore del GDPR nel Mondo, scomparso prematuramente con dolore e sgomento di tutta la comunità scientifica, della sua famiglia e dei suoi affetti, non tutto ciò che rispetta la legge ed è fattibile tecnicamente, è anche moralmente sostenibile.

Nel dicembre 2018, proprio su questi temi, la Commissione europea per l’efficacia della giustizia (CEPEJ) del Consiglio d’Europa ha emanato la Carta etica europea per l’uso dell’intelligenza artificiale nei sistemi di giustizia penale e nei relativi ambienti, che dimostra senza dubbio una certa consapevolezza riguardo al tema e riconosce una «crescente importanza della intelligenza artificiale (IA) nelle nostre moderne società e dei benefici attesi quando questa sarà pienamente utilizzata al servizio della efficienza e qualità della giustizia».
Per «i soggetti pubblici e privati responsabili del progetto e sviluppo degli strumenti e dei servizi della IA» sono state indicate alcune fondamentali linee guida a cui attenersi quali:

  1. principio del rispetto dei diritti fondamentali
  2. principio di non discriminazione
  3. principio di qualità e sicurezza
  4. principio di trasparenza
  5. principio di garanzia dell’intervento umano

Questi principi dovrebbero tendere, secondo le aspettative della Carta etica, a prevenire un «approccio deterministico» ovvero il rischio di un eccessivo automatismo, senza revisione umana, o standardizzazione delle decisioni.

Avvocato Cesare C.M Del Moro

Esperto in diritto delle nuove tecnologie e privacy, nel contenzioso Civile e Amministrativo.
DPO, Lead Auditor ISO 27001 e consulente aziendale, ha contribuito allo sviluppo e alla diffusione di progetti ministeriali per l’innovazione tecnologica e organizzativa della Giustizia Civile sul territorio nazionale.
Collabora con case editoriali, Ordini professionali e con la Scuola Superiore della Magistratura per la divulgazione dei temi legati al diritto delle nuove tecnologie.

cryptolocker

ATTENZIONE: Italia sotto attacco mail

In questi giorni molti studi legali stanno segnalando casi di attacco Cryptolocker via mail/pec.

I Cryptolocker sono malware (virus informatici) che bloccano i pc e vengono trasmessi via mail.

Se:

– state ricevendo un numero eccezionale di mail/pec,

– se le mail sembrano provenire da persone che conoscete, istituzioni, grandi aziende, banche, enti, organi di mediazione, scuola forense, ordine degli avvocati, ecc.,***attenzione: è possibile che riceviate anche mail spam che sembrano inviate da parte di Servicematica.***

– se queste mail hanno degli allegati,

FATE ATTENZIONE!

NON APRITE LE MAIL/PEC!
Cestinatele subito e svuotate immediatamente il cestino.

 

Se malauguratamente avete aperto la mail o l’allegato:

staccate immediatamente il cavo di rete (così da proteggere altri computer),

– continuate a lavorare per 30 minuti,

– spegnete e riaccendete il pc.

– Se NON riuscite ad aprire i documenti sul vostro desktop, quasi sicuramente avete infettato il vostro pc. CHIAMATE SUBITO IL VOSTRO TECNICO DI RIFERIMENTO.

– Se riuscite ad aprire i file, molto probabilmente il vostro computer è salvo. Avviate la scansione completa con il vostro antivirus e avvisate comunque il vostro tecnico d’ufficio. Una volta completata la scansione, ricollegate il cavo di rete.


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avvocati su amazon

Avvocati su Amazon

Cosa pensereste se vi dicessimo che è possibile “comprare” gli avvocati su Amazon?

Pochi giorni fa la piattaforma ha lanciato un nuovo servizi, Amazon IP Accellerator.

IP sta per Intellectual Property, difatti il servizio è limitato alla tutela dei marchi, delle idee e dei brevetti. Non è rivolto ai comuni utenti Amazon ma a coloro che decidono di aprire o hanno già aperto un negozio online sulla piattaforma.

Per ora il servizio è disponibile solo negli Stati Uniti, ma riguarda anche il mercato italiano: di 6 studi IP già presenti su Amazon, 2 offrono i servizi anche in lingua italiana, sebbene riferiti alla normativa USA.

In ogni caso, Amazon ha già comunicato la sua disponibilità a entrare in contatto con studi legali di altri paesi in modo da poter estendere il servizio in tutto il mondo

COME FUNZIONA AMAZON IP ACCELLERATOR

Qualunque venditore Amazon può “acquistare” uno degli avvocati facenti parte del network di studi legali che aderiscono al servizio, godendo di tariffe predeterminate e competitive, e con la possibilità di recensire l’esperienza

A quanto pare, Amazon non chiede al venditore/acquirente alcuna commissione e non favorisce nessuno studio in particolare.

L’obiettivo della piattaforma è migliorare la user experience dei venditori e aumentare i loro livelli di fidelizzazione offrendo assistenza in uno degli ambiti più delicati della loro attività. 

GLI AVVOCATI SU AMAZON SONO UN RISCHIO O UN’OPPORTUNITÀ?

È indubbio che la presenza degli avvocati su Amazon assoggetti l’assistenza legale alle più comuni logiche del mercato digitale, dove la domanda e l’offerta si incontrano velocemente e le recensioni influenzano le scelte d’acquisto.

In Italia, c’è chi vede questo come un rischio per la professione forense, che perderebbe quella dimensione di assistenza, consiglio e relazione interpersonale che dovrebbe contraddistinguerla, riducendola a una mera transazione commerciale.

D’altro canto, Amazon IP Accellerator offre agli avvocati nuove prospettive, soprattuto in quegli ambiti in cui le procedure sono maggiormente standardizzate e il fattore consulenziale è più limitato.

Al momento è difficile prevedere gli esiti di questa novità. Seguiremo gli sviluppi e vi aggiorneremo.

[fonte delle informazioni: Il Sole 24 Ore]

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Il sito di Servicematica si arricchisce della nuova bacheca utenti

Dopo il lancio del nuovo sito di Servicematica, ecco un’altra novità.

Abbiamo creato una bacheca utenti che vi permette di visualizzare tutte le informazioni a proposito del vostro percorso formativo.

All’interno della bacheca è possibile:

  • aggiungere e aggiornare i vostri dati anagrafici,
  • controllare le iscrizioni ai corsi,
  • tenere traccia dei corsi già frequentati,
  • scaricare gli attestati di partecipazione.

La creazione del vostro profilo è automatica nel momento in cui vi iscrivete per la prima volta a uno dei nostri corsi.
In fase di iscrizione vi verrà chiesto di scegliere una password che vi permetterà di entrare nella vostra bacheca e di iscrivervi a corsi successivi.

Se vi siete già iscritti ai nostri corsi in passato, il vostro profilo è già stato creato e potete accedervi utilizzando la password che avete scelto all’epoca.

COME ACCEDERE ALLA VOSTRA BACHECA UTENTI

Accedere alla bacheca utenti è semplice. Potete cliccare qui oppure seguire le istruzioni qui di seguito:

– entrate nel sezione CORSI del sito Servicematica;
– cliccate sull’icona LOGIN nell’angolo in alto a destra;
– inserite il vostro codice fiscale e la password che avete scelto quando vi siete iscritti a uno dei nostri corsi.

NON RICORDATE PIÙ LA PASSWORD?

Se non ricordate più la password che avevate scelto per iscrivervi ai corsi, non preoccupatevi! Potrete ottenerne una nuova in qualsiasi momento. Tutto quello che dovete fare è cliccare qui.

Dal processo telematico alla fatturazione elettronica, scopri i prossimi corsi Servicematica

 

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Prodotti

Service1

INI-PEC

Gli indirizzi PEC tratti dal registro INI-PEC sono validi ai fini delle notifiche?

Con l’ordinanza 24160 depositata il 27 settembre 2019, la Corte di Cassazione ha ripreso quanto era già stato espresso con la sentenza 3709/2019 in tema di notifiche telematiche.

“…il ricorso è stato notificato a mezzo PEC […] anche all’indirizzo di posta elettronica del Protocollo del Tribunale di Firenze, estratto dall’indice nazionale degli indirizzi INI PEC, elenco che […] è stato dichiarato non attendibile da Cass. n. 3709 del giorno 8 febbraio 2019, secondo cui “per una valida notifica tramite PEC si deve estrarre l’indirizzo del destinatario solo dal pubblico registro ReGIndE e non dal pubblico registro INI-PEC”.
[…] ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.”

L’ordinanza ribadisce quindi che ai fini delle notifiche telematiche sono validi solo gli indirizzi PEC tratti dal Reginde, il Registro Generale degli Indirizzi Elettronici.
Ogni altro elenco è da considerarsi non idoneo, compreso il registro INI-PEC (Indice nazionale degli indirizzi delle imprese e dei professionisti).

I PUBBLICI ELENCHI DI INDIRIZZI PEC

L’art. 3 bis della Legge 53/94 impone agli avvocati di procedere alle notifiche tramite PEC solo verso indirizzi di posta elettronica certificata presenti nei pubblici elenchi.

I pubblici elenchi previsti dalla legge (Codice dell’Amministrazione Digitale e D.L. 179/2012) e validi per le notifiche PEC sono:

  • il registro PP.AA
  • il Registro Imprese
  • il Reginde
  • l’INI-PEC

REGINDE E INI-PEC

Il portale dei servizi telematici del ministero della Giustizia indica il Reginde come il registro che “contiene esclusivamente i dati identificativi nonché l’indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) dei soggetti abilitati esterni”, ovvero:

  • gli appartenenti a un ente pubblico,
  • i professionisti iscritti in albi ed elenchi istituiti con legge,
  • gli ausiliari del giudice non appartenenti a un ordine di categoria o che appartengono a ente/ordine professionale che non abbia ancora inviato l’albo al Ministero della giustizia

È evidente che nel REGINDE manchino molti indirizzi PEC necessari in caso di notifiche, primi fra tutti quelli delle aziende.

Di contro, il Registro INI- PEC contiene dati provenienti dal Registro Imprese, dagli Ordini e dai Collegi di appartenenza, ed è aggiornato costantemente.

IL DIFETTO DELL’ORDINANZA SULL’INVALIDITÀ DEGLI INDIRIZZI TRATTI DALL’INI-PEC

Oltre a quanto già detto, l’ordinanza contrasta anche con la pronuncia 9893/2019 emessa dalla sesta sezione della Corte di Cassazione che dichiarava la validità della notifica via PEC a un indirizzo estratto dal registro INI-PEC:

“[…] il menzionato ricorso di fallimento […] fu ritualmente notificato […] all’indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) della debitrice […] risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di Posta Elettronica Certificata (INIPEC) […]”

L’evidente incoerenza della Corte di Cassazione ha sollevato molte le perplessità, spingendo il presidente del CNF, Avv. Mascherin, a inviare una nota al Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione, Dott. Giovanni Mammone.
La nota sottolinea l’inadeguatezza dell’ordinanza, i problemi che questa comporterebbe alle notifiche già eseguite e invita la Cassazione a porre rimedio all’accaduto.

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web marketing rispettando il codice deontologico

È possibile fare web marketing rispettando il codice deontologico?

La possibilità di promuovere l’attività forense è una novità recente nel panorama italiano e, per questo, il numero di avvocati che sfruttano sito, blog e social per far conoscere i propri servizi è ancora limitato.

La difficoltà principale è capire come fare web marketing rispettando il codice deontologico.

In questo post vogliamo riassumere brevemente il contenuto di quegli articoli del codice deontologico che più di tutti impattano sulla promozione web degli avvocati e darvi la nostra personale opinione a riguardo.

QUALI SONO I LIMITI IMPOSTI DAL CODICE DEONTOLOGICO ALLA PROMOZIONE DEGLI AVVOCATI

 

ART.9

La condotta di un avvocato deve basarsi sui principi di indipendenza, lealtà, correttezza, dignità, morigeratezza, decoro, diligenza e competenza.
Questi principi si estendono anche alla vita privata.

Dal punto di vista della comunicazione, questo articolo può avere un impatto sull’uso che gli avvocati fanno dei social network, dove il confine tra pubblico e privato è molto labile, spingendoli a prestare particolare attenzione a ciò che decidono di condividere.

ART.11

Il rapporto che un avvocato stabilisce con il proprio cliente deve basarsi sulla fiducia.

Fortunatamente, questo è anche il principio fondamentale del content marketing, il marketing dei contenuti, il cui scopo è proprio creare una relazione di fiducia con l’utente condividendo con lui contenuti utili e onesti.

ART.14

Un avvocato deve accettare solo incarichi che è in grado di svolgere con adeguata competenza.

Questo articolo contiene un suggerimento molto utile per fare web marketing rispettando il codice deontologico: puntare su una comunicazione onesta, basata sulle proprie competenze e le proprie esperienze.

Molti professionisti credono che “farsi pubblicità” significhi vendersi per quello che non si è allo scopo di raccogliere più clienti possibili.
In realtà, è molto più proficuo concentrarsi su una nicchia specifica, realmente interessata a ciò che si può offrire, invece che disperdere le proprie risorse nel tentativo di fare contenti tutti. Quest’ultima è una strategia che sul lungo periodo comporta danni sia sul piano dell’immagine che su quello economico.

ART.17

È consentita l’informazione sulla propria attività, anche in via informatica. Le informazioni condivise devono essere trasparenti, veritiere, corrette, non equivoche o ingannevoli o denigratorie, né suggestive o comparative.

Il codice deontologico suggerisce la possibilità di utilizzare sito, blog e social per farsi conoscere. Ciò che conta è rispettare quei principi che, come già detto, permettono di creare una relazione di fiducia con i propri utenti.

ART.19

Gli avvocati devono mantenere un comportamento ispirato a correttezza e lealtà verso colleghi e istituzioni.

Anche questo articolo offre, secondo noi, un ottimo suggerimento per la condotta che un avvocato dovrebbe tenere online, soprattutto sui social network.

I social raccolgono moltissimi esempi di professionisti di qualsiasi settore che si sono lasciati andare a commenti negativi sull’operato di colleghi o istituzioni.
Sebbene questi comportamenti tendano spesso a portare molta visibilità al soggetto e a favorire le reazioni degli utenti, l’idea che “bene o male, l’importante è che se ne parli” non porta mai dei risultati duraturi.
Se il vostro scopo è farvi scegliere per le vostre qualità professionali e umane, molto meglio puntare sull’onesta e la correttezza.

ART.35

L’art.35 riprende quanto già detto nell’art.17 con l’aggiunta di alcuni elementi.
Per esempio, indica che la comunicazione degli avvocati non deve contenere riferimenti a cose che non riguardino la professione.

In termini di marketing, significa che bisogna prestare attenzione a ciò che si decide di pubblicare, soprattutto sui social ma anche sul blog.

La tentazione di condividere elementi della propria vita privata o di discutere di temi “alla moda” può essere forte e, in una certa misura, può aiutare a favorire la relazione di fiducia con gli utenti.  Ma coloro che vi seguono sono interessati ad altro.
In particolare, desiderano capire come risolvere i loro problemi e se potete essere l’avvocato giusto per farlo.
Puntate su questo.

ART.37

È uno degli articoli più interessanti, poiché indica il divieto all’accaparramento della clientela.

Se lo scopo della pubblicità è raccogliere clienti, come si può fare web marketing rispettando il codice deontologico?

L’articolo stesso ci offre la soluzione.
Infatti, a essere vietati sono i seguenti comportamenti:
– affidarsi ad agenzie o procacciatori per trovare clienti,
– cedere denaro per ottenere clienti,
– accettare omaggi, prestazioni o vantaggi in cambio di clienti.

Il web marketing va ben oltre la raccolta di nuovi clienti.
L’ottenimento di un nuovo cliente è infatti il risultato di quel rapporto di fiducia che l’avvocato dovrebbe sforzarsi di creare con i propri utenti tramite il suo sito, il suo blog e i suoi profili social.
È un rapporto che si crea nel tempo e nel quale l’utente è sempre libero di scegliere se, come e quando diventare cliente.
Persino la decisione di investire in annunci pubblicitari a pagamento dovrebbe essere presa a partire da questo principio.

ART. 57

Anche questo articolo è interessante, poiché impedisce agli avvocati di sfruttare a fini promozionali elementi a disposizione di altre tipologie di professionisti.

L’articolo vieta di:
– divulgare notizie coperte dal segreto d’indagine,
– fare leva sul nome dei clienti,
– enfatizzare le proprie capacità,
– sollecitare articoli, interviste o conferenze stampa.

In altre parole, gli avvocati non hanno la possibilità di autopromuoversi facendo leva sui risultati del proprio operato o sulla fama dei propri clienti.
Ma è davvero un limite?
Non così tanto.

I criteri che portano un utente a scegliere un professionista e non un altro sono molteplici.
La fama è certamente un fattore che può aiutare, ma a fare la differenza è il grado di competenza che si riesce a trasmettere e il rapporto di fiducia che si crea con gli utenti.

COME FARE WEB MARKETING RISPETTANDO IL CODICE DEONTOLOGICO

 

Fare web marketing rispettando il codice deontologico è quindi possibile.
I principi indicati dal codice si basano, infatti, sul comune buon senso e sono del tutto in linea con le attuali tendenze del web marketing.

Onestà, rispetto, condivisione di contenuti di valore e impegno nel creare un rapporto di fiducia. Questo è ciò su cui bisogna puntare.
I mezzi a disposizione per farlo sono molteplici, così come lo sono le possibili strategie.

Per capire quali siano quelle più adatte i vostri obiettivi, vi invitiamo a scriverci per fissare una consulenza personalizzata. Contattaci.

 

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Facebook e la sentenza sul valore commerciale dei dati personali

prestazioni lavorative gratuite

La pubblica amministrazione ha il diritto di richiedere prestazioni lavorative gratuite ai professionisti?

Con la sentenza 11411/2019 del 30 settembre, il TAR del Lazio ha stabilito che la pubblica amministrazione ha il diritto di richiedere prestazioni lavorative gratuite ai professionisti, a patto che vengano rispettati alcuni criteri.

La sentenza si rifà a un bando pubblicato lo scorso febbraio dal Ministero dell’ Economia e delle Finanze.

Il Ministero cercava un professionista altamente qualificato che potesse offrire la propria consulenza in materia di diritto societario, bancario e dei mercati e intermediari finanziari, nazionale ed europeo.
La collaborazione proposta era di tipo occasionale e su base biennale. Non prevedeva alcun rinnovo, bensì il diritto di recedere in qualsiasi momento (con preavviso di 30 giorni) da parte del professionista, a patto che egli concludesse eventuali studi già iniziati.

Tutto ciò a titolo gratuito.

Alla pubblicazione del bando è seguita un’ondata di perplessità da parte di diverse associazioni professionali, confluite nel ricorso da parte di un avvocato che ne ha chiesto l’annullamento.
Tra le motivazioni, anche la violazione del diritto all’equo compenso.
A sostegno di quest’ultimo punto concorreva una precedente sentenza emessa dal TAR della Campania che dichiarava illegittime richieste simili. 

I rapporti professionali tra Pubblica Amministrazione e professionisti sono regolati dall’art. 7 del Dlgs 165/2001, dove vengono indicati i presupposti, le modalità e gli obblighi da rispettare.

Perché il TAR del Lazio ha considerato ammissibile la richiesta di prestazioni lavorative gratuite

Principalmente per via delle condizioni alle quali la prestazione è stata richiesta.
In particolare:

– la sua natura occasionale, anche se nell’arco di un biennio, non la fa rientrare nell’ambito del lavoro autonomo;
– la mancanza di una selezione e di una graduatoria finale, nonché l’assenza di un numero ben definito di incarichi, del loro oggetto e della loro consistenza, non la fa rientrare nell’ambito degli appalti;
– la possibilità, per il professionista, di recedere in ogni momento;
– l’accrescimento professionale derivante dalla collaborazione permette al professionista di arricchire il proprio curriculum.

In via generale, il TAR del Lazio ha stabilito che la pubblica amministrazione ha il diritto di richiedere prestazioni lavorative gratuite ai professionisti quando queste offrano condizioni flessibili e vantaggi in termini di arricchimento professionale.

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indirizzo pec errato

Indirizzo PEC errato e notifica in rinnovazione nulla

Inviare una notifica a un indirizzo PEC errato non è mai una buona idea, pertanto vi invitiamo a controllare sempre l’esattezza dei dati in vostro possesso.

Questo atteggiamento è ancor più valido nel caso in cui vi trovaste nella situazione di dover eseguire una notifica in rinnovazione.

Il secondo comma dell’articolo 153 c.p.c. prevede che “la parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile, può chiedere di essere rimessa in termini”.

Se però la causa è l’invio a un indirizzo PEC errato che impedisce di recapitare la comunicazione al destinatario, ecco che l’articolo non è più applicabile.

Questo è quanto ha deciso la seconda sezione della Cassazione Civile con l’Ordinanza n. 24474/19, pubblicata la scorso 1° ottobre 2019.
La Cassazione ha stabilito il divieto di doppia rimessione in termini qualora la notificazione a mezzo PEC effettuata in rinnovazione risulti nulla per causa imputabile al notificante.
E l’invio a un indirizzo PEC errato è una causa imputabile al notificante.

L’ordinanza fa riferimento a un caso in cui a una delle parti era già stato concesso di rinotificare il ricorso con il decreto di fissazione di udienza. La rinotifica era stata eseguita via posta elettronica certificata senza andare a buon fine, poiché l’indirizzo PEC del destinatario (l’Avvocatura dello Stato) era errato.
La parte non si era preoccupata di verificare che l’indirizzo fosse corretto. 

La Cassazione ha concluso che “nel caso in cui, dopo la concessione di un termine per rinnovare una notificazione, anche la notificazione effettuata in rinnovazione risulti nulla, non è possibile concedere un secondo termine per un’ulteriore rinnovazione”.

Per avere la sicurezza che l’indirizzo PEC al quale desiderate inviare una notifica di rinnovazione o una qualsiasi altra comunicazione sia corretto, potete controllare i registri pubblici disponibili.
Tra questi, vi segnaliamo il ReGIndE, il Registro Generale degli Indirizzi Elettronici.

[in collaborazione con la rivista Avvocati]

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phishing via mail pec

Attenzione al phishing via mail PEC

A quanto pare, nemmeno la posta elettronica certificata è immune ai fenomeni dello spam, dei virus informatici e delle truffe, e i casi di phishing via mail pec si fanno sempre più frequenti.

La stessa Agenzia delle Entrate ha recentemente sottolineato l’incremento delle segnalazioni facendo eco all’allerta lanciata del CERT-PA, il Computer Emergency Response Team della Pubblica Amministrazione.

COSA SIGNIFICA PHISHING

Il phishing via mail è un tipo di frode il cui scopo è rubare informazioni e dati sensibili contenuti in computer e smartphone, come i numeri delle carte di credito, password e pin relativi ai conti bancari.
Per farlo, viene generalmente chiesto al destinatario di cliccare su un link fraudolento.

L’efficacia del phishing si nasconde nell’aspetto assolutamente credibile delle mail, a partire dall’uso di loghi ufficiali e di link fraudolenti che assomigliano in tutto e per tutto a indirizzi web credibili.

Una volta che si clicca sul link, un malware viene installato sul computer e i malintenzionati possono accedere ai dati contenuti in esso.

Inoltre, il malware inizia a inviare mail di phishing dalla casella appena infettata, in modo automatico e senza che il titolare ne sa consapevole.

Il termine phishing è una variante dell’inglese fishing, “pescare”, perché la funzione delle mail ingannevoli è la medesima degli ami e delle esche quando si va a pescare.
L’unico problema è che i pesci siamo noi.

Se temete di aver scaricato un malware, vi consigliamo di leggere questo articolo.

COME RICONOSCERE E DIFENDERSI DAL PHISHING VIA MAIL PEC

Ecco alcuni dettagli ai quali prestare attenzione.

i destinatari della mail
Il phishing è spesso riconoscibile perché le mail fraudolente vengono inviate contemporaneamente a diversi destinatari, senza indicare il nome o cognome dei singoli.

il link non è poi così “normale”
Spesso ha un indirizzo web (dominio) molto lungo e complicato.

fermatevi e riflettete prima di cliccare
Le aziende serie non richiedono mai password e altri dati sensibili via mail, tantomeno lo fanno mettendovi fretta.

COME DIFENDERVI DAL PHISHING

Oltre a prestare attenzione a quanto detto qui sopra, la migliore difesa a vostra disposizione contro il phishing via mail pec è dotarvi di un buon antivirus, sempre aggiornato e capace di bloccare i messaggi ambigui.

Non cadete nell’errore di credere che la posta elettronica certificata sia più sicura delle mail comuni. Si tratta di un servizio informatico e, come tale, è sempre soggetto a rischi e pericoli.

Vuoi tutelare il tu computer dai rischi informatici? Valuta le nostre proposte.

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Cosa fare se avete preso un malware

Resettare la password pec

Servicematica

Nel corso degli anni SM - Servicematica ha ottenuto le certificazioni ISO 9001:2015 e ISO 27001:2013.
Inoltre è anche Responsabile della protezione dei dati (RDP - DPO) secondo l'art. 37 del Regolamento (UE) 2016/679. SM - Servicematica offre la conservazione digitale con certificazione AGID (Agenzia per l'Italia Digitale).

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