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Dal PCT all’Intelligenza Artificiale: sfide e opportunità

Il Processo Civile Telematico è certamente stato un progetto di innovazione tecnologica e organizzativa che ha rivoluzionato il modo di lavorare di Professionisti, Magistrati e personale amministrativo.

Il percorso è stato lento e accidentato, per tanti motivi, certamente per una certa resistenza culturale al cambiamento, ma anche per la scarsità di risorse messe a disposizione dal bilancio pubblico, a volte soccorso da alcuni Ordini professionali (es. Ordine degli Avvocati di Milano con Presidente il compianto Paolo Giuggioli) e altre Istituzioni (es. ABI).

Si è partiti dall’informatizzazione dei registri di cancelleria dei Tribunali e via via degli altri UU.GG., una volta tenuti e conservati su carta, ora gestiti su Sistemi informativi su base distrettuale (SICID e SIECIC) accessibili telematicamente da chiunque in forma pseudonima e dai Professionisti, con accesso anche agli atti di causa, via PST (Portale Servizi Telematici) Giustizia o Punti di Accesso e strumenti ad essi collegati (Service1, Consolle Avvocato, etc.).

Quanto sopra ha consentito agli operatori di giustizia di aggiornare i fascicoli creando dei database molto utili per la condivisione tempestiva di dati sempre più affidabili, anche a fini statistici.

E’ sulla base di questo lavoro di “pulizia” del dato e di creazione di una piattaforma tecnologica nazionale che è stato possibile, dal 2006 in avanti, introdurre il PCT come lo consociamo oggi, con i depositi telematici di atti di Avvocati e Consulenti e provvedimenti dei Magistrati.

Tra le introduzioni più importanti, ma meno sfruttate, che il PCT ha consentito, troviamo quello che veniva definito “Archivio giurisprudenziale”, una raccolta di sentenze di merito su base nazionale.

Questo archivio è stato costituito, negli anni, su base sostanzialmente volontaria, dai singoli magistrati, che hanno qui depositato le sentenze ritenute più significative in base alla propria valutazione o a linee guida concordate nell’ambito dell’Ufficio Giudiziario.

La costituzione di questo dataset non è scevra da vizi di impostazione, infatti i documenti (sentenze e ordinanze) inseriti nel database non si possono considerare omogenei, né sono dotati di TAG utili ad organizzarli, classificarli e ricercarli (in altre parole, sfruttarli) in modo automatizzato.

Ciò nonostante, grazie alle maschere di ricerca che sia gli strumenti del Magistrato (Consolle del Magistrato) sia quelli degli Avvocati integrano, l’archivio è stato pensato per essere interrogato con ricerca full-text e con la possibilità di inserire filtri di ricerca in funzione del Magistrato, dell’Ufficio o di altri elementi precodificati.

Le opportunità che questo archivio fornisce sono molteplici.

In primo luogo, consente al Magistrato di accedere ad un database per verificare come una determinata fattispecie è stata affrontata e risolta dai suoi Colleghi, anche in secondo grado di giudizio. Questo consente, ove il Giudice lo ritenga corretto, una maggiore uniformità di giudizio nell’ambito quantomeno dello stesso Distretto di Corte d’Appello.

Guardando all’utilità per gli Avvocati, e quindi dell’utenza Giustizia, dei cittadini, questo archivio può dare modo all’Avvocato di valutare in fase precontenziosa l’impostazione, o persino l’opportunità, di un’azione civile.

Il servizio di consultazione per gli Avvocati è stato però inaspettatamente sospeso per lungo tempo con comunicazioni ministeriali 14/03/18 e 26/6/2018 per poi essere più di recente riattivato e rinominato in “Archivio Nazionale di merito”.

E’ oggi, quindi, possibile accedere a questo archivio da PST Giustizia (non senza qualche inciampo tecnico) e da PdA privati tramite gli usuali strumenti di consultazione (e deposito).

Quanto al potenziale sfruttamento che questa banca dati presenta, ci sono certamente due usi da valutare, da una parte la possibilità che questo dataset sia utile per consentire all’Avvocato di ottenere, grazie ad un tool, una valutazione automatizzata sul rischio di un eventuale contenzioso e dall’altra la possibilità di introdurre nella giurisdizione italiana una qualche forma di Intelligenza Artificiale.

Quanto al primo uso questo potrà essere consentito in primo luogo se la base dati sarà messa a disposizione degli operatori privati, liberamente o a fronte di accordi commerciali.

Come noto il tema è molto attuale e, a livello globale, esistono diverse esperienze di Legal Tech Company che sfruttano l’office automation e in alcuni casi anche l’AI per commercializzare prodotti che elaborino in modo automatizzato documenti legali (si veda tra le molte la ROSS Intelligence e in Italia LT 42).

Sul tema la Direttiva 96/9/CE relativa alla tutela giuridica delle banche di dati considera che l’obiettivo del diritto sui generis è di accordare al costitutore di una banca di dati la possibilità di impedire l’estrazione e/o il reimpiego non autorizzati della totalità o di una parte sostanziale del contenuto di tale banca. All’Art. 7 della medesima Direttiva infatti si indica che “Gli Stati membri attribuiscono al costitutore di una banca di dati il diritto di vietare operazioni di estrazione e/o reimpiego della totalità o di una parte sostanziale del contenuto della stessa, valutata in termini qualitativi o quantitativi, qualora il conseguimento, la verifica e la presentazione di tale contenuto attestino un investimento rilevante sotto il profilo qualitativo o quantitativo.”

Esistono anche applicazioni dell’AI nella giurisdizione, in particolare sono noti i tool di risk assessment utilizzati da tempo nella giustizia penale USA contenziosa e precontenziosa.

Ma quali sono i presupposti tecnologici necessari perché si possano introdurre nel sistema del PCT sistemi di AI?

Come noto, uno degli elementi fondamentali per il machine learning, che è un metodo per poi per arrivare ai sistemi di AI, è la disponibilità di dataset adeguati per le varie fasi di sviluppo (dal training, al cross validation e test). È diretto il rapporto tra maggior dimensione del database e qualità dei dati e l’accuratezza dei modelli risultanti.

Partendo da questa premessa è facile intuire il ruolo determinate della potenza di calcolo necessaria per uno sviluppo e una successiva gestione di questi sistemi. Pertanto, i progetti basati sull’intelligenza artificiale che non utilizzino il cloud computing possono implicare costi di elaborazione elevati.

Esaminati gli aspetti tecnologici vanno poi affrontati quelli progettuali.

Lo svolgimento di una DPIA (Data Protection Impact Assessment) preliminare sul sistema di trattamento che si intende implementare, che descriva anche i benefici attesi e raccolga l’opinione, necessariamente atecnica, dei soggetti interessati da questo trattamento di dati personali “particolari”, come definiti dal GDPR (General Data Protection Regulation).

Tra i benefici, con tutta evidenza, ci si aspetta di avere un miglioramento in termini di conoscenza e di efficienza, che dovrebbe consentire al Giudice di avere un provvedimento proposto dalla macchina da ratificare o modificare.

Tra le opinioni, con ogni probabilità, una certa resistenza al cambiamento verso un sistema così innovativo e poco comprensibile ai più.

Ulteriore passaggio dovrebbe certamente essere la consultazione preventiva dell’Autorità per la Protezione dei Dati Personali, anche al fine di evitare inciampi come avvenuto nella recente realizzazione del sistema di Fatturazione Elettronica.

Altro tema molto delicato e aperto, è quello relativo alle questioni più strettamente legali: quali sono le responsabilità di chi progetta, gestisce o utilizza un software che produce decisioni automatizzate errate?

Sono noti i casi di bias che possono affliggere questi sistemi: tra i più noti si pensi al caso di discriminazione razziale del servizio di photo-TAG di Google o a quello di discriminazione di genere del sistema di assunzioni di Amazon.

Queste decisioni dovrebbero avere una revisione umana (del Giudice) non trascurabile, si possono in effetti considerare decisioni automatizzate?

Guardando allo stato dell’arte in Italia, la Consolle del Magistrato già da tempo consente al Giudice di attingere al fascicolo informatizzato per compilare in modo automatizzato l’epigrafe del documento, verbale, ordinanza o sentenza che sia, sulla base di modelli predefiniti. In questo contesto di automazione, però, i contenuti del documento, quali la verbalizzazione, il percorso argomentativo, la decisione, sono di esclusiva competenza del Giudice (rectius dell’Ufficio del Processo).

Venendo all’Archivio giurisprudenziale, anzi all’”Archivio nazionale di merito”, va valutato se si tratta di una base dati che può essere presa in considerazione per istruire una macchina con un sistema di machine learning e quindi di costruire un sistema di intelligenza artificiale che supporti in particolare il Giudice nell’emissione di un provvedimento ove ricorrano determinati elementi che la macchina può riconoscere.

Va approfondito come deve essere strutturato questo provvedimento e quindi di che tipo e qualità deve essere il dato per realizzare un sistema di machine learning e in seconda battuta come questo sistema può essere inserito nell’attuale sistema di PCT, se a livello centrale/ministeriale con banca dati accentrata e capacità di calcolo accentrata o su base distrettuale/distribuita.

Infine, questo sistema dovrebbe avere un approccio etico.

Come ha affermato alla 40esima Conferenza Internazionale sulla Privacy Giovanni Buttarelli, stimatissimo ex “Garante Privacy UE“, faro ispiratore e promotore del GDPR nel Mondo, scomparso prematuramente con dolore e sgomento di tutta la comunità scientifica, della sua famiglia e dei suoi affetti, non tutto ciò che rispetta la legge ed è fattibile tecnicamente, è anche moralmente sostenibile.

Nel dicembre 2018, proprio su questi temi, la Commissione europea per l’efficacia della giustizia (CEPEJ) del Consiglio d’Europa ha emanato la Carta etica europea per l’uso dell’intelligenza artificiale nei sistemi di giustizia penale e nei relativi ambienti, che dimostra senza dubbio una certa consapevolezza riguardo al tema e riconosce una «crescente importanza della intelligenza artificiale (IA) nelle nostre moderne società e dei benefici attesi quando questa sarà pienamente utilizzata al servizio della efficienza e qualità della giustizia».
Per «i soggetti pubblici e privati responsabili del progetto e sviluppo degli strumenti e dei servizi della IA» sono state indicate alcune fondamentali linee guida a cui attenersi quali:

  1. principio del rispetto dei diritti fondamentali
  2. principio di non discriminazione
  3. principio di qualità e sicurezza
  4. principio di trasparenza
  5. principio di garanzia dell’intervento umano

Questi principi dovrebbero tendere, secondo le aspettative della Carta etica, a prevenire un «approccio deterministico» ovvero il rischio di un eccessivo automatismo, senza revisione umana, o standardizzazione delle decisioni.

Avvocato Cesare C.M Del Moro

Esperto in diritto delle nuove tecnologie e privacy, nel contenzioso Civile e Amministrativo.
DPO, Lead Auditor ISO 27001 e consulente aziendale, ha contribuito allo sviluppo e alla diffusione di progetti ministeriali per l’innovazione tecnologica e organizzativa della Giustizia Civile sul territorio nazionale.
Collabora con case editoriali, Ordini professionali e con la Scuola Superiore della Magistratura per la divulgazione dei temi legati al diritto delle nuove tecnologie.

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