Il giudice può rivalutare il compenso richiesto da un avvocato

Il giudice può rivalutare il compenso richiesto da un avvocato

Il compenso di avvocato può essere rivisto dal giudice? Sì.

IL CASO

Un avvocato procede per vie legali al fine di ottenere il pagamento del suo compenso da parte di un cliente assistito in una controversia bancaria. Il cliente si oppone.

Il Tribunale accoglie, sebbene in parte, le richieste del legale, ma ritiene che l’importo debba essere calcolato facendo riferimento al valore della somma attribuita alla parte vincitrice della controversia. Secondo tale calcolo, il compenso risulta però troppo basso per l’avvocato, che ricorre in Cassazione portando un unico motivo: la mancata ottemperanza all’art. 5, comma 2 del d.m n. 55/2014.

Secondo l’articolo, il compenso dell’avvocato deve essere calcolato non in base alla somma riconosciuta alla parte vincitrice ma in base al valore della domanda (“Nella liquidazione dei compensi a carico del cliente si ha riguardo al valore corrispondente all’entità della domanda”).

La Corte di Cassazione riconosce che il Tribunale non ha rispettato questa indicazione e con l’ordinanza n. 18942/2020 accoglie il ricorso.

COMPENSO DELL’AVVOCATO: IL RUOLO DEL GIUDICE

Va ricordato che lo stesso art.5 comma 2 del d.m n. 55/2014 indica che il giudice abbia il compito di assicurarsi che il compenso richiesto da un avvocato sia proporzionato al valore effettivo della controversia di riferimento.

Il giudice dunque valuta la somma richiesta alla luce dell’attività svolta dal legale e del valore effettivo della controversia: se fosse sproporzionata, sarà in suo potere decidere di ricalibrarne l’importo.

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L’accesso all’Archivio Digitale Intercettazioni da parte degli avvocati

Gli avvocati difensori hanno la facoltà, per il tempo concesso dal PM, di:

1. esaminare gli atti del processo, anche in via telematica,

2. ascoltare le registrazioni presenti nell’Archivio Digitale delle Intercettazioni, ADI,

3. ottenere la copia delle trascrizioni e/o la trasposizione delle registrazioni.

Ma come devono procedere nel caso volessero ascoltare le intercettazioni e consultare altri documenti?

Il Ministero della Giustizia ha pubblicato delle utili schede illustrative che spiegano le modalità di accesso all’Archivio Digitale Intercettazioni da parte degli avvocati.

Ve ne riportiamo una panoramica.

AVVOCATI: COME ACCEDERE ALL’ARCHIVIO DIGITALE INTERCETTAZIONI

Ascolto delle intercettazioni

Il personale della Procura procede all’identificazione dell’avvocato difensore, all’accesso al sistema tramite delle credenziali e all’assegnazione di una postazione d’ascolto individuale.

Eventuali accompagnatori, per esempi gli interpreti, possono essere inseriti nella richiesta di consultazione.

Una volta inserita la richiesta, è possibile cercare i contenuti che l’avvocato difensore desidera consultare.

È l’addetto allo sportello a selezionarli e a procedere con l’eventuale richiesta di copia.

Una volta conclusa la procedura di abilitazione, il sistema produce un documento con l’indicazione di user id (codice fiscale) e password che il legale utilizza per accedere all’ascolto nella sala di ascolto.

Una volta inserite le credenziali, il sistema recupera l’intercettazione richiesta e l’avvocato può procedere tramite il pulsante “Consulta”.

Il sistema tiene traccia delle intercettazioni ascoltate dal legale, e della data e ora di ingresso e uscita dalla sala di ascolto.

L’avvocato difensore può presentare istanza di copia di contenuti ascoltati.

Archivio documentale

Anche l’accesso all’archivio documentale segue una procedura di autenticazione da parte del personale della Procura.

In questo caso, l’abilitazione dell’avvocato difensore può avvenire tramite il REGINDE.

Il personale genera tramite il sistema informatico una password utilizzabile una sola volta, con cui il legale accede all’archivio.

Anche in questo caso, l’accesso avviene dalle sale di ascolto.

Per comprendere meglio i dettagli delle modalità di accesso alle intercettazioni vi consigliamo di visualizzare le schede illustrative presenti nel sito del Ministero della Giustizia.

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Il COVID ha certamente scombinato molti piani e nonostante la (ormai) conclusa fase di riapertura abbia dato una nuova spinta alle riforme, l’incertezza data dall’aumento dei contagi distoglie l’attenzione delle istituzioni, facendo scivolare le riforme che riguardano la professione forense in fondo alla lista delle priorità.

Tra queste figurano certamente le riforme:

– della monocommittenza,

– dell’equo compenso,

– dell’accesso alla professione,

– delle specializzazioni.

LE RIFORME DELLA PROFESSIONE FORENSE

RIFORMA DELLA MONOCOMMITTENZA

In Italia vi sono circa 30.000 avvocati “dipendenti”, professionisti che non hanno quasi mai una clientela propria e che operano presso studi di altri professionisti.

Tali figure non sono disciplinate da alcuna norma, e sarebbe auspicabile porre rimedio alla situazione in modo da poter garantire anche a loro un minimo di tutele.

Si attende ancora la formalizzazione di una proposta di legge.

RIFORMA DELL’EQUO COMPENSO

Si definisce equo quel compenso che è proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione, e che è conforme ai parametri indicati dal D.M. 55/2014.

L’istituzione nel luglio 2019 del “nucleo di monitoraggio sull’equo compenso per la professione forense” ha portato alla luce un grande numero di condotte non ottimali, sia da parte di clienti privati che da parte della pubblica amministrazione. In sostanza, la disciplina dell’equo compenso non è mai stata davvero applicata.

Tra le varie proposte in campo, anche quella di vietare espressamente alla PA di emanare bandi che non riconoscono alcuna retribuzione delle prestazioni dei professionisti.

RIFORMA DELL’ACCESSO ALLA PROFESSIONE FORENSE

La riforma dell’accesso alla professione forense ha visto il più recente step lo scorso 11 agosto, con il decreto Giustizia d.l. 80/20 che ha posticipato di altri due anni, al 31 marzo 2022, l’avvio dei corsi obbligatoti per accedere all’esame di abilitazione, già prorogato di due anni con il decreto Mille Proroghe d.l. 162/2019.

I corsi di formazione potranno essere tenuti da ordini, associazioni forensi e altri soggetti previsti dalla legge.

Rimane l’incognita sullo svolgimento della prossima sessione d’esami in considerazione dell’andamento dell’epidemia e della possibile estensione dello stato di emergenza.

RIFORMA DELLE SPECIALIZZAZIONI

Delle specializzazioni si parla all’art.9 della legge 247/2012 (legge professionale forense).

La specializzazione può essere acquisita:

  1. dopo un percorso formativo di 2 anni presso le facoltà di giurisprudenza con le quali il CNF e i consigli degli ordini territoriali hanno stipulato convenzioni,
  2. grazie a una comprovata e continuativa esperienza nel settore di specializzazione, che ricopra almeno gli ultimi cinque anni di attività, e a patto che si sia iscritti all’albo da almeno otto anni.

Il D.M. 144/2015 con le disposizioni per il conseguimento e il mantenimento del titolo di avvocato specialista doveva attuare l’art. 9, ma così non è stato a seguito delle pronunce contrarie del TAR del Lazio e del Consiglio di Stato.

Per superare l’impasse è stato steso un nuovo schema di decreto ministeriale, il “Regolamento concernente modifiche al decreto del ministro della giustizia 12 agosto 2015, n. 144, recante disposizioni per il conseguimento e il mantenimento del titolo di avvocato specialista, ai sensi dell’articolo 9 della Legge 31 dicembre 2012, n. 247”.
L’iter di approvazione si è quasi concluso: a inizio 2020 il Consiglio di Stato e le commissioni Giustizia della Camera e del Senato hanno dato parere positivo.
Nonostante ciò, diverse associazioni specialistiche forensi criticano le nuove disposizioni, per due motivi. In primis, consentirebbe l’acquisizione del titolo di specialista anche a soggetti che, al momento del conseguimento del dottorato di ricerca o del master, non sono ancora abilitati alla professione. Poi, la concessione al CNF di stipulare convenzioni anche con associazioni rappresentative non specialistiche risulta essere in contrasto con quanto indicato nel D.M. 144/2015 (l’art. 7).

Entro fine anno la questione dovrebbe essere definitivamente risolta.

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Dal 1° dicembre 2020 parte la fase sperimentale dell’operazione cashback di Stato, o bonus bancomat, grazie al quale i cittadini potranno ottenere rimborsi in denaro a seguito di acquisti effettuati con modalità di pagamento elettronico. Il test si concluderà il 31 dicembre.

L’obiettivo del programma è disincentivare l’uso del contante e limitare l’evasione fiscale.

COME FUNZIONA IL SISTEMA CASHBACK

Il cashback è un sistema utilizzato soprattutto dai negozi per fidelizzare i clienti.
Quando un cliente acquista qualcosa, recupera parte della sua spesa economica tramite un rimborso.
Il meccanismo ha le seguenti caratteristiche:

  • – il soggetto che rimborsa è anche il soggetto al quale il consumatore ha versato una somma in cambio di beni o servizi;
  • – la percentuale di rimborso mediamente va dal 5% al 15%;
  • – i rimborsi riguardano gli acquisti eseguiti in un arco temporale preciso e limitato (per es.: un anno);
  • – l’adesione al programma è volontaria.

Il cashback statale differisce leggermente da questo modello poiché, come già suggerito, le finalità sono diverse.

  • il soggetto che rimborsa è lo Stato e non il soggetto al quale il cliente ha versato una somma in cambio di beni o servizi;
  • – la percentuale di rimborso è decisa dal Ministero dell’Economia e delle Finanze;
  • – anche l’arco temporale di riferimento è deciso dal MEF;
  • – il beneficiario può essere solo un consumatore maggiorenne, residente in Italia e privato, quindi non sono contemplati gli acquisti nell’ambito dell’esercizio d’impresa, arte o professione;
  • – l’adesione al programma è sempre volontaria.

COSA FARE PER ADERIRE AL PROGRAMMA CASHBACK DI STATO

La prima cosa da fare è registrarsi al programma cashback tramite l’App IO e indicare il proprio codice fiscale, l’IBAN e una o più carte da utilizzare per i futuri pagamenti elettronici.

Ogni volta in cui le carte registrate vengono utilizzate per l’acquisto in negozi, i dati della transazione vengono trasmessi alla piattaforma gestita da PagoPA.

Con scadenza semestrale, viene calcolato il rimborso in base agli importi spesi. Il rimborso viene accreditato direttamente sul conto corrente indicato.

Al momento, mancano ancora informazioni precise sull’importo massimo delle spese, il numero delle transazioni valide e l’entità dei rimborsi. Quando il sistema cashback sarà a pieno regime, la percentuale di rimborso dovrebbe essere del 10% su un massimo di 1.500 € per semestre.

Sono anche previsti rimborsi speciali per i primi 100.000 aderenti che effettuano il maggior numero di transazioni. I rimborsi seguiranno una graduatoria.

LA PRIVACY

Il sistema su cui si basa il bonus bancomat è alquanto semplice, ma implica il trattamento di dati personali su larga scala. Ciò significa che vi sono delle questioni legate alla privacy che vanno assolutamente considerate.

Con il provvedimento n. 179 del 13 ottobre, il Garante della Privacy ha dato parere positivo sullo schema del decreto del MEF ma non ancora sul trattamento dei dati.
L’approvazione completa da parte del Garante arriverà solo quando il Ministero dell’Economia e delle Finanze eseguirà la valutazione d’impatto sulla protezione dei dati personali prevista dall’art. 35 del GDPR.
Inoltre, il Garante sta ancora esaminando la DPIA di PagoPA sull’uso dell’app IO.

Lo scenario a cui si aspira prevede, naturalmente, che i dati raccolti tramite l’App IO vengano usati esclusivamente per le finalità connesse al cashback e non per controllare i cittadini.
Anche i dati relativi agli esercenti dovranno essere usati solo per verificare eventuali reclami sulle transazioni effettuate.

In ogni caso, il MEF potrà utilizzare tutti i dati raccolti tramite il sistema per proprie finalità statistiche.

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Da oggi, 19 ottobre 2020, entrano in vigore le nuove misure del DPCM approvato ieri, ad esclusione di quelle relative alla scuola che saranno applicate dal 21 ottobre.

Tutte le misure del DPCM rimarranno valide fino al 13 novembre.

Ecco una panoramica delle nuove disposizioni.

TUTTE LE MISURE DEL DPCM DEL 18 OTTOBRE 2020

Zone rosse

I sindaci possono predisporre la chiusura al pubblico di vie e piazze dove vi sia la possibilità che si creino assembramenti.

La chiusura può essere disposta dopo le 21 e non riguarda gli spostamenti da e verso gli esercizi commerciali legittimamente aperti o le abitazioni private presenti nella zona.

Bar e ristoranti

Bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie e simili possono operare dalle 5 del mattino a mezzanotte con il solo consumo al tavolo e con un massimo di 6 persone per tavolo.
In assenza di consumo al tavolo, possono operare fino alle 18.

È consentita la consegna a domicilio e anche l’asporto, fino alle 24, con il divieto di consumazione presso il locale o nelle sue vicinanze.

I locali devono esporre all’ingresso un cartello con il numero massimo di persone ammesse contemporaneamente all’interno.

Gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande localizzati nelle aree di servizio e rifornimento carburante lungo le autostrade, negli ospedali o negli aeroporti possono continuare a operare assicurando sempre il rispetto della distanza interpersonale di almeno un metro.

Trasporti locali

Non è cambiato molto.
Permane la quota di riempimento dei mezzi all’80% della capacità massima e si invitano le aziende locali a adottare misure per agevolare i flussi di salita e discesa e evitare corse sovraccariche.

La scuola

La didattica a distanza viene incoraggiata ma rimane complementare alla didattica in presenza.

Gli ingressi e le uscite degli studenti dovranno essere scaglionati per evitare assembramenti anche sui mezzi di trasporto pubblico nelle ore di punta “anche attraverso l’eventuale utilizzo di turni pomeridiani e disponendo che l’ingresso non avvenga in ogni caso prima delle 9”.

Smart working

Alle pubbliche amministrazioni è chiesto di svolgere le riunioni da remoto, a meno che non vi siano ragioni di interesse pubblico a giustificare gli incontri dal vivo.
Anche nel privato si consiglia di fare altrettanto.
L’obiettivo generale è di portare la quota di persone in smart working dal 50 al 75%.

Lo sport

Sono concesse le gare sportive a livello regionale e nazionale per professionisti e dilettanti, ma gli allenamenti degli sport di contatto non devono comprendere partite o simulazioni di gioco.

Sono vietati gli sport di contatto svolti a livello amatoriale e le gare dilettantistiche a livello provinciale.

Palestre e piscine hanno 7 giorni di tempo per adeguarsi alle nuove misure e garantirne il rispetto anche negli spazi comuni e negli spogliatoi.

Congressi, sagre e fiere locali

Sagre e fiere locali sono vietate.
Sono consentite le fiere nazionali e internazionaliprevia adozione di protocolli validati dal Comitato tecnico-scientifico, e secondo misure organizzative adeguate alle dimensioni ed alle caratteristiche dei luoghi e tali da garantire ai frequentatori la possibilità di rispettare la distanza interpersonale di almeno un metro”.
Sono sospesi convegni e congressi tranne quelli che possono essere svolti con modalità a distanza.

Sale giochi

Sale giochi, sale scommesse e sale bingo possono rimanere aperte dalle 8 alle 21, a patto che le Regioni e le Province autonome abbiano accertato la compatibilità di tali attività con l’andamento locale dell’epidemia che abbiano predisposto dei protocolli o delle linee guida che aiutino a contenere il rischio di contagio.

Potete visionare in modo completo le misure del DPCM del 18 ottobre 2020 cliccando qui: testo del nuovo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

[Fonte: Ansa]

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Con il provvedimento del 23 settembre 2020, l’Agenzia delle Entrate ha informato che il termine per ladesione al servizio di consultazione delle fatture elettroniche è stato nuovamente prorogato, questa volta al 28 febbraio 2021.

Non è la prima proroga ed esattamente come nei casi precedenti anche stavolta la motivazione è legata alla privacy.

IL SERVIZIO DI CONSULTAZIONE DELLE FATTURE ELETTRONICHE E LA PRIVACY

Il servizio di consultazione delle fatture elettroniche è destinato anche agli utenti privati ed è stato introdotto dall’Agenzia delle Entrate con il provvedimento del 21 dicembre 2018.
Grazie al servizio sarà possibile visualizzare online tutte le fatture emesse nei propri confronti.

È un sistema apparentemente molto comodo per l’utente, ma presenta un lato oscuro. Infatti, tutte le fatture transitano attraverso il Sistema di Interscambio dell’Agenzia delle Entrate e confluiscono poi nella banca dati del Fisco che ha così accesso a un’enorme mole di informazioni su imprese e cittadini.
Con ‘enorme mole’ non intendiamo solo quantitativamente, ma anche qualitativamente: l’AdE può memorizzare e utilizzare tutti i dati contenuti nelle fatture, non solo quelli puramente ‘economici’.

A ciò va aggiunto che l’articolo 14 del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124 ha esteso a 8 anni il termine per la conservazione dei dati contenuti nelle fatture elettroniche.

Fin dall’inizio il Garante della Privacy ha sottolineato come l’archiviazione massiccia di dati sensibili dell’intera popolazione sia sproporzionata rispetto alle finalità di controllo fiscale, nonché rischiosa in quanto sintomo di una deriva antidemocratica delle Istituzioni.

IL NUOVO TERMINE PER L’ADESIONE

Il Garante chiede che la nuova scadenza per l’adesione al servizio di consultazione delle fatture elettroniche e la loro cancellazione in caso di non adesione sia, questa volta, certa (provvedimento dell’Autorità Garante del 9 settembre 2020).

Fino a tale scadenza permane un periodo di transizione durante il quale l’AdE può conservare tutte le fatture che transitano attraverso il Sistema di Interscambio. Nel caso poi un utente decidesse di non aderire, tutti i dati dovranno essere cancellati entro 30 giorni.

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La fattura elettronica ha rivoluzionato l’emissione, l’invio, la gestione e la conservazione digitale dei documenti di fatturazione.

Il passaggio dalla versione cartacea a quella digitale non è però stato affatto privo di polemiche o difficoltà. Una di queste è certamente la comprensione degli errori in cui si può incappare.

Questi errori sono individuati dal Sistema d’Interscambio dell’Agenzia delle Entrate (SdI) che può impiegare fino a 5 giorni per accettare una nostra fattura elettronica o decidere di scartarla.
In questo caso, ci indicherà il motivo dello scarto attraverso un codice che rappresenta uno specifico errore.

GLI ERRORI NELLA FATTURAZIONE ELETTRONICA

L’Agenzia delle Entrate ha messo a disposizione degli utenti un documento in cui riporta le specifiche tecniche alla base della fatturazione elettronica.

In esso è presente anche l’elenco di tutti i codici errore relativi alla fattura ordinaria, a quella semplificata e anche a quella transfrontaliera.

Qui di seguito riportiamo i codici errore per le fatture ordinarie e semplificate, divisi per tipologia.

Cliccando sul nome della tipologia potete scoprire il significato dei singoli codici:

errori nomenclatura ed unicità del file trasmesso (00001, 00002);

errori dimensioni del file (00003);

errori verifica di integrità del documento (00102);

errori verifica di autenticità del certificato di firma (00100, 00101, 00104, 00107);

errori verifica di conformità del formato fattura (00103, 00105, 00106, 00200, 00201);

errori verifica di coerenza sul contenuto (00400, 00401, 00403, 00411, 00413, 00414, 00415, 00417, 00418, 00419, 00420, 00421, 00422, 00423, 00424, 00425, 00427, 00428, 00429, 00430, 00437, 00438, 00443, 00444, 00445, 00460, 00471, 00472, 00473, 00474);

errori verifica di validità del contenuto della fattura (00300, 00301, 00303, 00305, 00306, 00311, 00312, 00313, 00320, 00321, 00322, 00323, 00324, 00325, 00326, 00330);

errori verifiche di unicità della fattura (00404, 00409).

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Il GDPR è entrato in vigore il 25 maggio 2018 e, tutto sommato, le aziende italiane non se la stanno poi cavando così male nell’adeguarsi alle novità in materia di trattamento dei dati, consenso, diritto all’oblio e altri adempimenti connessi.

Nonostante ciò, è bene non abbassare la guardia e ricordare che in caso di mancato adeguamento, imprese e professionisti possono incorrere in:

  • – sanzioni amministrative;
  • – sanzioni penali;
  • – richieste di risarcimento danni;
  • – divieto di trattamento dei dati personali raccolti fintantoché non venga ripristinata la conformità mancante.

LE SANZIONI AMMINISTRATIVE PREVISTE DAL GDPR

All’art.83, il Regolamento UE 2016/679 indica le sanzioni amministrative previste in caso di mancato adeguamento.

Il loro importo massimo può essere:

  • – di 10 milioni di euro o pari al 2% del fatturato dell’anno precedente.
    Per le imprese che non abbiano nominato il DPO, comunicato eventuali data breach all’Autorità Garante, violato le condizioni sul consenso al trattamento dei dati di minori o che abbiano trattato in maniera illecita i dati personali degli utenti;
  • – di 20 milioni di euro o pari al 4% del fatturato dell’anno precedente.
    Per le imprese che abbiano trasferito illecitamente dati personali in altri Paesi o che non abbiano osservato un ordine imposto dal Garante.

Questi importi rappresentano dei massimali indicativi: ogni sanzione viene commisurata alla gravità, alla natura o alla durata della violazione al GDPR, al numero di soggetti coinvolti e alla sostanza dolosa o colposa.

LE SANZIONI PENALI PREVISTE DAL GDPR

All’art.84, il GDPR spiega che è compito degli stati membri stabilire norme e altre sanzioni non amministrative.

In Italia, le sanzioni penali in materia sono disciplinate dal Codice della Privacy del 2003.

Il Codice contempla 5 possibili violazioni:

  • – il trattamento illecito dei dati (articolo 167);
  • – la comunicazione e la diffusione illecita dei dati personali oggetto di trattamento su larga scala (articolo 167-bis);
  • – l’acquisizione fraudolenta di dati personali oggetto di trattamento su larga scala (articolo 167-ter);
  • dichiarazioni false al Garante e interruzione dell’esecuzione dei compiti o dell’esercizio dei poteri del Garante (articolo 168);
  • – l’inosservanza dei provvedimenti del Garante (articolo 170).

La sanzione penale può raggiugnere i 6 anni di reclusione.

ALTRI REATI IN MATERIA DI PRIVACY

Dato il periodo storico contraddistinto dal COVID e dal ricorso allo smart working, è importante sottolineare anche l’esistenza delle violazioni in materia di controlli a distanza dei lavoratori (art. 4, comma 1 e all’art. 8 del Codice della Privacy).
Gli impianti audiovisivi o altri strumenti che permettano di controllare a distanza l’attività dei lavoratori devono essere utilizzati dai datori di lavoro per sole esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza o la tutela del patrimonio aziendale

Inoltre, va ricordato che le interferenze illecite nella vita privata perpetrate tramite strumenti di ripresa visiva o sonora rappresentano un reato punito con la reclusione da 6 mesi a 4 anni e che la stessa pena ricade anche su chi rivela o diffonde al pubblico notizie o immagini ottenute in tal modo.

A COSA PRESTARE ATTENZIONE

Lo scopo del GDPR è responsabilizzare aziende e professionisti sulla raccolta, l’uso e la conservazione dei dati personali altrui.

I controlli sono compito della Guardia di Finanza che pone particolare attenzione su 3 adempimenti:

  • – la nomina del DPO, il responsabile della protezione dati;
  • – le misure previste in caso di data breach, dal più limitato al più grave;
  • – il registro dei trattamenti, un documento interno, sempre aggiornato, che serve a identificare i soggetti coinvolti nel trattamento dei dati, quali categorie di dati sono trattate, per quali motivi, chi vi può accedere, a chi vengono comunicati, per quanto tempo vengono conservati, ecc. Va esibito in caso di verifiche.

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Il Decreto Legge n.125/2020 estende lo stato di emergenza al 31 dicembre e proroga alla medesima data le disposizioni relative alle udienze da remoto e ai depositi telematici, il cui termine era stato fissato al 31 ottobre 2020.

Il ritorno alla normalità per la giustizia sembra dunque farsi più lontano…

STATO DI EMERGENZA: COSA DICE IL D.L. N.125/2020

 L’art.1 “Misure  urgenti  strettamente   connesse   con   la   proroga   della

  dichiarazione dello stato di emergenza da COVID-19 contiene tutte le modifiche alle precedenti disposizioni e così recita:

  1.  All’articolo  1  del  decreto-legge  25  marzo  2020,  n.   19,

convertito, con modificazioni, dalla legge 22  maggio  2020,  n.  35,

sono apportate le seguenti modificazioni:

    a) al comma 1, le parole: «15 ottobre 2020» sono sostituite dalle

seguenti: «31 gennaio 2021»;

    b) al comma 2, dopo la  lettera  hh)  e’  aggiunta  la  seguente:

«hh-bis) obbligo di avere sempre con se’  dispositivi  di  protezione

delle   vie   respiratorie,   con    possibilità    di    prevederne

l’obbligatorietà dell’utilizzo nei luoghi al  chiuso  diversi  dalle

abitazioni private e in tutti i luoghi  all’aperto  a  eccezione  dei

casi in cui, per le caratteristiche dei luoghi o per  le  circostanze

di fatto,  sia  garantita  in  modo  continuativo  la  condizione  di

isolamento rispetto a persone non conviventi, e comunque con salvezza

dei protocolli e delle linee  guida  anti-contagio  previsti  per  le

attività economiche, produttive, amministrative e  sociali,  nonché

delle linee guida per il consumo di cibi e bevande, restando  esclusi

da detti obblighi:

      1) i soggetti che stanno svolgendo attività sportiva;

      2) i bambini di eta’ inferiore ai sei anni;

      3) i soggetti con patologie  o  disabilita’  incompatibili  con

l’uso della mascherina, nonché  coloro  che  per  interagire  con  i

predetti versino nella stessa incompatibilità.».

  2.  Al  decreto-legge  16  maggio  2020,  n.  33,  convertito,  con

modificazioni, dalla legge 14 luglio 2020, n. 74, sono  apportate  le

seguenti modificazioni:

    a)  all’articolo  1,  comma  16,  le  parole  «,   ampliative   o

restrittive,  rispetto  a  quelle  disposte  ai  sensi  del  medesimo

articolo 2» sono sostituite dalle seguenti: «restrittive  rispetto  a

quelle disposte ai sensi del medesimo articolo 2,  ovvero,  nei  soli

casi e nel  rispetto  dei  criteri  previsti  dai  citati  decreti  e

d’intesa con il Ministro della salute, anche ampliative»;

    b) all’articolo 3, comma 1, le  parole  «15  ottobre  2020»  sono

sostituite dalle seguenti: «31 gennaio 2021».

  3.  Al  decreto-legge  30  luglio  2020,  n.  83,  convertito,  con

modificazioni, dalla legge 25 settembre 2020, n. 124, sono  apportate

le seguenti modificazioni:

    a) all’articolo 1, comma 3, le parole:  «15  ottobre  2020»  sono

sostituite dalle seguenti: «31 dicembre 2020»;

    b) all’Allegato 1 sono apportate le seguenti modificazioni:

      1) dopo il numero 16 e’ inserito il seguente: «16-bis  Articolo

87, commi 6 e 7, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18,  convertito,

con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27»;

      2) il numero 18 e’ sostituito dal seguente: «18  Articolo  101,

comma 6-ter, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito,  con

modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27»;

      3) dopo il numero 19 e’ inserito il seguente: «19-bis  Articolo

106  del  decreto-legge  17  marzo  2020,  n.  18,  convertito,   con

modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27»;

      4) dopo il numero 24 e’ inserito il seguente: «24-bis  Articolo

4  del  decreto-legge  8  aprile  2020,  n.   23,   convertito,   con

modificazioni, dalla legge 5 giugno 2020, n. 40»;

      5) i numeri 28 e 29 sono soppressi;

      6) dopo il numero 30-bis sono inseriti i seguenti:

        «30-ter Articolo 33 del decreto-legge 19 maggio 2020, n.  34,

convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77;

        30-quater Articolo 34 del decreto-legge 19  maggio  2020,  n.

34, convertito, con modificazioni, dalla legge  17  luglio  2020,  n.

77»;

      7) dopo il numero 33 e’ inserito il seguente: «33-bis  Articolo

221, comma 2, del decreto-legge 19 maggio 2020,  n.  34,  convertito,

con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77»;

      8) dopo il numero 34 e’ aggiunto il seguente: «34-bis  Articolo

35 del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104».

  4. All’articolo 87, comma 8, del decreto-legge 17  marzo  2020,  n.

18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27,

le parole: «del  comma  1,  primo  periodo,»  sono  sostituite  dalle

seguenti: «dei commi 6 e 7».

In sostanza, la giustizia proseguirà secondo le modalità già stabilite con:

  • il deposito telematico degli atti;
  • il deposito telematico di note scritte («le sole istanze e conclusioni») per le udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti;
  • la facoltà per il giudice di disporre la trattazione tramite udienza da remoto nel civile, sempre se non sia necessaria la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti e dagli ausiliari del giudice;
  • la partecipazione alle udienze civili delle parti o dei difensori, su istanza dell’interessato, tramite collegamenti audiovisivi a distanza;
  • il giuramento del CTU tramite dichiarazione con firma digitale depositata nel fascicolo telematico.
  • la partecipazione in remoto alle udienze penali degli imputati in custodia cautelare in carcere e dei detenuti, nei casi in cui sia prevista la partecipazione a distanza e con il consenso delle parti.

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Procura generica e su foglio separato: ricorso inammissibile e spese a carico dell’avvocato

È valida la procura scritta su un foglio separato e poi allegato al ricorso?
E se nella stessa mancasse un qualsiasi riferimento alla sentenza impugnata, potrebbe essere ritenuta una procura speciale?
Quali sono le conseguenze per un avvocato nel caso il ricorso venisse respinto?

IL CASO

Un avvocato impugna una sentenza a fronte di una procura con cui la parte lo autorizza a rappresentarla e difenderla «in ogni grado del presente giudizio, nei conseguenti processi esecutivi ed eventuali giudizi di opposizione è chiamata in garanzia» e con cui gli viene data facoltà di «transigere, conciliare, rinunziare agli atti del presente giudizio, farsi sostituire»,  di «presentare istanza di mediazione ex articoli 4 e 5 del decreto legislativo 28/2010 nonché a comparire agli incontri che verranno all’uopo fissati, con promessa di rato e valido del suo operato» e «di essere stato informato della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione».

La procura, come già suggerito, è presentata su un foglio a parte spillato al ricorso.

PROCURA GENERICA E SU FOGLIO SEPARATO: PERCHÈ IL RICORSO È INAMMISSIBILE

Con l’ordinanza 21335/2020, la Cassazione decide che tale ricorso sia da considerarsi inammissibile perché la procura così scritta e «estesa su un foglio separato e materialmente congiunto al ricorso (e non al margine o in calce di quello) non è una procura speciale».

In particolare, la dicitura «in ogni grado del presente giudizio» potrebbe tranquillamente riferirsi a qualsiasi tipo di iniziativa giudiziaria. Manca, insomma, un minimo, tenue, persino indiretto riferimento alla sentenza impugnata.

La Cassazione ricorda che la giurisprudenza della propria Corte è sempre stata coerente nel giudicare «inammissibile il ricorso per Cassazione allorquando la procura, apposta su foglio separato e materialmente congiunto al ricorso, contenga espressioni incompatibili con la proposizione dell’impugnazione e univocamente dirette ad attività proprie di altri giudizi e fasi processuali» (cfr., ex multis, Cass. n. 1525/2020, n. 17708/2019, n. 28146/2018).

Nulla di nuovo, insomma.

LE CONSEGUENZE PER L’AVVOCATO

Dato che il ricorso per Cassazione risulta inammissibile perché manca una procura valida, e che l’attività processuale a cui è riferita prevede che la responsabilità ricada esclusivamente sull’avvocato, è proprio su di lui che ricadrà l’onere delle spese del giudizio e anche del contributo unificato con importo raddoppiato (Art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 115/2002, come novellato dalla L. n. 228/2012).

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