Il GDPR a 3 anni dalla sua introduzione: la situazione

Il GDPR a 3 anni dalla sua introduzione: la situazione

Qual è la situazione a tre anni dall’introduzione del Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati 2016/679, anche detto GDPR?

IL GDPR

Il GDPR è la principale normativa europea in materia di protezione dei dati personali.

Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale europea il 4 maggio 2016 ed entrato in  vigore pochi giorni dopo, la sua attuazione è avvenuta solo a partire dal 25 maggio 2018.

È un regolamento composto da 99 articoli a cui si aggiungono 173 considerando dal solo un valore interpretativo, ed è attuato in ugual modo in tutti gli Stati membri dell’UE.

I suoi obiettivi sono:

armonizzare la regolamentazione in materia di protezione dei dati personali all’interno dell’UE. La necessità parte dal riconoscimento della privacy come diritto fondamentale dei cittadini da garantire a su tutto il territorio europeo;

sviluppare il Mercato Unico Digitale europeo (Digital Single Market). Garantire una maggiore tutela della privacy genera maggiore fiducia dei cittadini verso i servizi digitali;

rispondere ai cambiamenti e alle sfide poste dall’innovazione digitale.

IL GDPR, GARANTE DELLA PRIVACY E DPO

Caposaldo della tutela dei dati personali in Italia è il Garante della Privacy che pone grande impegno nel favorire l’applicazione del Regolamento 2016/679 (e non solo).

Oltre a offrire indicazioni, il Garante si occupa di sanzionare condotte scorrette e vigila sulle situazioni che richiedono attenzione, come il dibattito sul trattamento dei dati personali degli utenti dei social network, come Tik Tok, o i problemi rilevati nelle regole di conservazione della fattura elettronica decise dall’Agenzia delle Entrate.

Le imprese iniziano a capire l’importanza di adeguarsi alle regole del GDPR. Questa tendenza si evince anche dal crescente numero di nomine di DPO.
Il DPO, Data Protection Officer, è il Responsabile della Protezione dei Dati e affianca il titolare e i responsabili del trattamento dati affinché li conservino rispettando il regolamento e gestendo adeguatamente i rischi.

TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI LA SITUAZIONE ITALIANA

Al 31 marzo 2021 In Italia si registrano:

– quasi 60.000 comunicazioni dei dati di contatto degli RPD (Responsabile della Protezione dei Dati),
– più di 27.000 reclami e segnalazioni,
– quasi 4000 segnalazioni di data breach,
– più di 76 milioni di euro di sanzioni. L’Italia si colloca al secondo posto delle nazioni con la somma più alta di sanzioni, dopo la Francia e prima del Regno Unito. Si colloca al secondo posto anche per il numero di sanzioni, dopo Spagna e prima dell’Ungheria;
– a inizio 2020 proprio in Italia è stata imposta una delle sanzioni più alte in tutta Europa: 27,8 milioni di euro, nel settore del telemarketing.

Anche il tuo studio legale deve adeguarsi alle regole del GDPR. Se non sai come fare, scopri il servizio Privacy di Servicematica.

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Associazioni forensi specialistiche: le associazioni miste non possono organizzare corsi

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Con la sentenza 24.5.2021 n.4008 il Consiglio di Stato ha riformato la sentenza n. 8039/2014 del TAR Lazio che riconosceva l’Aidlass come associazione forense specialistica con la possibilità di organizzare corsi per l’ottenimento del titolo di avvocato specialista.

La sentenza del Consiglio di Stato è particolarmente importante. Stabilisce infatti un principio per il riconoscimento delle associazioni forensi come associazioni specialistiche, escludendo quelle composte da avvocati e altri soggetti, come giuristi o appassionati.

IL CASO

Alcune associazioni forensi — tra cui l’Unione camere penali (Ucpi), l’Unione nazionale delle Camere degli avvocati tributaristi (Uncat) e l’Unione nazionale delle Camere civili (Uncc) —hanno impugnato la delibera del CNF del 25 ottobre 2013 con la quale era stato concesso a un’altra associazione, l’Aidlass (Associazione di diritto del lavoro e della sicurezza sociale), di organizzare corsi l’ottenimento del titolo di avvocato specialista (art. 9 della Legge n. 247/2012).

L’Aidlass è un’associazione composta da avvocati ma anche da studiosi di diritto del lavoro, sindacati, magistrati e imprese. Le associazioni ricorrenti, invece, sono composte esclusivamente da avvocati.

Il ricorso di queste ultime viene dichiarato inammissibile dal TAR del Lazio ma il Consiglio di Stato ribalta la decisione.

Secondo il Consiglio, infatti, la presenza in associazione di soggetti diversi genera un potenziale conflitto di interessi con i doveri di indipendenza e autonomia insiti nella figura dell’avvocato.

Nella sentenza si legge:

“Una cosa, quindi, è l’esistenza di note e prestigiose associazioni interprofessionali (le quali propugnano il dibattito culturale giuridico ai massimi livelli scientifici), ben altra cosa è l’associazionismo istituzionale di ciascuna categoria professionale giuridica (che può apparire, agli occhi del profano o del malizioso, partigiana quando non corporativa, ma che serve proprio a tener distinti i ruoli pubblici che ognuna di esse deve realizzare, in libertà ed autonomia.”

ASSOCIAZIONI SPECIALISTICHE E CORSI PER AVVOCATO SPECIALISTA

Quanto detto finora chiarisce allora chi possa organizzare i corsi per l’ottenimento del titolo di  avvocato specialista.
Un’associazione a composizione mista non può farlo.
Possono invece farlo le associazioni composte da soli avvocati. In particolare, possono le associazioni specialistiche forense maggiormente rappresentative iscritte nell’elenco del Consiglio Nazionale Forense.

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Con la circolare n. 77/2021 l’INPS offre informazioni sul Fondo di solidarietà bilaterale su cui si poggia la cassa integrazione per i dipendenti degli studi legali e professionali.
Il Fondo di solidarietà bilaterale per le attività professionali nasce a seguito dell’accordo sindacale nazionale del 3 ottobre 2017 tra Confprofessioni e le sigle sindacali Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs.
All’accordo è seguito il decreto interministeriale n. 104125/2019 che ha stato istituito il Fondo presso l’INPS.

IL FONDO DI SOLIDARIETÀ BILATERALE PER LE ATTIVITÀ PROFESSIONALI

La finalità del fondo è garantire ai dipendenti degli studi legali e professionali una forma di sostegno del reddito in caso di riduzione o sospensione delle attività lavorative per le cause previste dagli articoli 11 e 21 del D.lgs n. 148/2015.
Gli articoli individuano una cassa integrazione ordinaria, in caso di eventi transitori la cui responsabilità è esterna all’azienda, e una straordinaria, in caso di riorganizzazione, crisi o cessazione di una o tutte le attività aziendale.

Il Fondo gestisce in maniera autonoma la propria situazione finanziaria e patrimoniale, operando in pareggio e in mancanza di risorse non eroga alcuna prestazione.

I CONTRIBUTI PREVISTI

Le prestazioni del Fondo di solidarietà sono sostenute dai seguenti contributi:
a) Contributo ordinario
– pari allo 0,45% per i datori di lavoro con più di tre dipendenti e sino a quindici dipendenti. Il contributo è calcolato sulla retribuzione imponibile ai fini previdenziali di tutti i dipendenti, esclusi i dirigenti e
– pari allo 0,65% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per tutti i datori di lavoro con più di quindici dipendenti. Anche in questo caso nel computo della retribuzione imponibile ai fini previdenziali sono esclusi i dirigenti e il contributo ricade per due terzi sul carico del datore e per un terzo a carico sul dipendente.
Anche gli apprendisti possono beneficiare delle prestazioni del Fondo, ma solo se in possesso di un contratto di apprendistato professionalizzante.
b) Contributo addizionale
In caso di erogazione del contributo ordinario, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, del decreto istitutivo, è previsto un contributo addizionale a carico del datore pari al 4% delle retribuzioni imponibili ai fini previdenziali perse dai lavoratori che fruiscono della prestazione.
Leggi qui il testo completo della circolare INPS n. 77/2021 sul Fondo di solidarietà bilaterale per le attività professionali.

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Il rifiuto della mediazione obbligatoria comporta la sanzione immediata

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In un caso che vede tra i protagonisti una compagnia di assicurazione e che è soggetto alla mediazione obbligatoria, il giudice impone la mediazione e rinvia l’udienza a un momento successivo.

Nel rispetto della normativa emergenziale legata alla pandemia, l’udienza è tenuta con trattazione scritta.

Il giudice rileva però che la compagnia di assicurazione ha rifiutato di dare inizio alla mediazione.

Essendo la mediazione obbligatoria per la materia del caso, il rifiuto della parte è in contrasto con il contenuto dell’art. 8 del d.l. n. 28/10, di cui riportiamo il contenuto:

Testo dell’art. 8 del d.l. n. 28/10 sul procedimento di mediazione

1. All’atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell’organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre trenta giorni dal deposito della domanda.
La domanda e la data del primo incontro sono comunicate all’altra parte con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione, anche a cura della parte istante.
Al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato.
Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione.
Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento.
Nelle controversie che richiedono specifiche competenze tecniche, l’organismo può nominare uno o più mediatori ausiliari.

2. Il procedimento si svolge senza formalità presso la sede dell’organismo di mediazione o nel luogo indicato dal regolamento di procedura dell’organismo.

3. Il mediatore si adopera affinché le parti raggiungano un accordo amichevole di definizione della controversia.

4. Quando non può procedere ai sensi del comma 1, ultimo periodo, il mediatore può avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali. Il regolamento di procedura dell’organismo deve prevedere le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi spettanti agli esperti.

4-bis. Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile.
Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.

[5. Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.]

LA SENTENZA DEL TRIBUNALE

Il giudice condanna allora l’assicurazione a pagare una sanzione pari al contributo versato per il giudizio, con la possibilità di valutare la condotta della parte anche ai sensi degli artt. 116 e 96 c.p.c.

Il testo della sentenza

Il 4 maggio 2021, dovendosi tenere l’udienza con la modalità della trattazione scritta di cui all’art. 221 della legge n. 77/20 in materia di misure di contenimento dei contagi da Covid-19, il Giudice
– lette le note di udienza depositate telematicamente dalle parti […] e rilevato che parte convenuta non si è resa disponibile a discutere la causa in sede di mediazione, avendo rifiutato di dare inizio alla discussione
– tenuto conto del carattere obbligatorio della mediazione in questione e considerato che il contegno di parte convenuta rappresenta, di fatto, una mancata partecipazione alla mediazione, avendo impedito il realizzarsi delle finalità per le quali è stato introdotto l’istituto in esame
– letto l’art. 8 del d.l. n. 28/10 condanna (…), al pagamento in favore della Cassa delle ammende dell’importo di euro 518,00 pari al contributo versato per il giudizio, ferma restandola valutabilità della condotta dalla parte convenuta anche ai sensi degli artt. 116 e 96 c.p.c.
– concede poi alle parti i chiesti termini ex art. 13, comma 6, c.p.c.e rinvia la causa al21/04/2022, ore 10.30 per il prosieguo.

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Nel 2020, nonostante la pandemia, le procedure fallimentari in Italia sono diminuite. Eppure, i tribunali sono riusciti a smaltire solo una piccola porzione delle procedure arretrate.

Questo è quanto evidenziato da Cherry Sea, osservatorio di Cherry srl, società attiva nello sviluppo di algoritmi di intelligenza artificiale da applicare al mondo del credito deteriorato, che ha analizzato i dati del Ministero della Giustizia relativi a tutti i fallimenti registrati nel 2020 presso i 140 tribunali italiani.

Riportiamo ora alcuni risultati dell’analisi.

PROCEDURE FALLIMENTARI: MOLE DI LAVORO, ARRETRATI E TEMPISTICHE

Nuove procedure fallimentari

Nel 2020 le nuove procedure fallimentari sono state 7500. Sembrerebbero molte, in realtà sono più del 30% in meno rispetto al 2019 (11.000).

Il calo è stato più marcato tra marzo e giugno: il lockdown ha bloccato le attività dei tribunali.

Gli arretrati

Al 31 dicembre 2020, le pratiche arretrate erano 77.000. Un anno prima, 83.000. Si è registrato dunque un calo del 7%.

Gli arretrati più consistenti si trovano a Roma e Milano, con 4905 e 4788 pratiche ferme, che comunque mostrano un calo del 5% rispetto al 2019.

I tribunali – nuove procedure

Tra i 20 tribunali più attivi, il 50% delle nuove procedure è stato aperto nei tribunali di Milano e Roma, rispettivamente con 665 e 458 fallimenti, e un calo del 35% e del 49% al 2019. La minor variazione si è registrata a Padova, con 162 procedure, “solo” il 12% in meno rispetto il 2019.

I tribunali – lo smaltimento

Tutti i primi venti tribunali hanno chiuso più pratiche di quante ne siano state aperte, con un tasso di smaltimento medio del 174% (nel 2019 un tribunale su quattro presentava un tasso inferiore al 100%).

Nonostante il buon tasso di smaltimento medio, nel 2020 i tribunali italiani hanno chiuso più del 10% in meno di pratiche rispetto al 2019.
I meno efficienti sono stati Monza (-40%), Torino (-35%) e Genova (-32%). I più efficienti, Palermo, Treviso e Modena, con un calo delle nuove procedure del 25%.

Durata dei procedimenti

Il Disposition Time (DT) è un parametro adottato anche  dalla CEPEJ, la Commissione europea per l’efficienza della giustizia, che valuta il tempo impiegato a smaltire i procedimenti pendenti alla fine di un anno.
La media del DT dei 20 tribunali italiani è di 5,77 anni, mentre nel 2019 era di 5,33.

Solo 8 tribunali tra i primi 20 hanno abbassato il loro DT rispetto al 2019. Il tribunale con il miglior DT è Modena (3,39), all’estremo opposto c’è Bari (12,69).
Verona ha migliorato le tempistiche di oltre il 30%; al contrario, Monza le ha peggiorate passando da 5 a 8,17 anni.

Cliccare qui per leggere il comunicato stampa ufficiale.

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Un avvocato non può contattare direttamente la controparte

Un avvocato non può contattare direttamente la controparte?

Un avvocato ricorre al CNF dopo che il COA l’ha ritenuto responsabile della violazione degli articoli 6 e 27 del codice deontologico per avere, durante una causa di opposizione a decreto ingiuntivo, inviato una lettera alla controparte senza contattarne i difensori. Con la lettera, l’avvocato intimava il pagamento di una somma.

Il CNF rigetta l’impugnazione. Secondo il Consiglio l’avvocato non risultava titolare di un effettivo diritto di credito. In ogni caso, il fatto di aver contattato direttamente la controparte, e non i suoi legali, va contro il principio secondo cui un legale deve sempre mantenere una condotta basata sulla correttezza e sulla lealtà.

IL RICORSO IN CASSAZIONE

L’Avvocato ricorre allora in Cassazione e porta i seguenti motivi:

– il procedimento disciplinare sarebbe nullo, perché è mancata la fase di audizione e di ascolto dell’avvocato;
– il procedimento avrebbe violato il principio d’immediatezza: il COA si è attivato dopo 4 anni dalla segnalazione e la sentenza del CNF è giunta dopo 4 anni dall’udienza di discussione;
– il CNF non avrebbe tenuto conto che la lettera era volta a tutelare la posizione di creditore dell’avvocato e ad evitare la prescrizione del proprio diritto di credito.

LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE

Con la sentenza n. 13167/2021 la Cassazione rigetta il ricorso, ritenendo infondati tutti e 3 i motivi.

– Il primo motivo è infondato perché il procedimento si è svolto secondo il R.D n. 37/1934 per cui “la giurisprudenza di legittimità esclude il diritto dell’incolpato a essere ascoltato nella fase delle indagini conoscitive preliminari all’emissione del provvedimento di citazione a giudizio” data la natura amministrativa del procedimento;

– il secondo motivo è infondato, perché la celerità nel procedimento amministrativo indicata dall’art. 2 della legge n. 241/1990 non è applicabile ai procedimenti davanti al CNF, che ha natura giurisdizionale;

– il terzo motivo è infondato. Una corrispondenza diretta con la controparte è permessa solo nei casi eccezionali specificamente previsti dal Codice Deontologico. Il caso in questione non ricade tra questi.
Il COA ha accertato la violazione del divieto da parte dell’avvocato. Ed è assolutamente irrilevante la natura personale dell’invio della lettera, nonché il fatto che il difensore della controparte fosse a conoscenza del contenuto e delle finalità della stessa.

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Carole (VE) è il primo comune italiano a sperimentare un software di polizia predittiva.
Pelta Suite, questo il nome di questo software, è basato sull’intelligenza artificiale ed è in grado di prevedere fenomeni di microcriminalità e altre situazioni di allerta, come assembramenti non autorizzati.
La sperimentazione è iniziata lo scorso 4 maggio.

COME FUNZIONA IL SOFTWARE DI POLIZIA PREDITTIVA

A spiegare il funzionamento del software è Angelo Russo, CSO della Società XServizi:

“Il nostro software si basa su due livelli di informazioni: da un lato i big data e dall’altro le informazioni aggiunte dagli agenti di polizia. Gli agenti in servizio non dovranno altro che scorrere la mappa, soffermarsi nei punti indicati con un differente colore e leggere tutte le informazioni relative agli eventi che il software prevede si realizzeranno nei successivi 30-60 minuti. In questo modo le Forze dell’Ordine sapranno come impiegare le risorse, e non solo nel breve periodo: grazie alla funzione offerta dalla piattaforma relativa all’evoluzione del rischio nei successivi 7 giorni, verranno fornite informazioni importanti anche per la valutazione delle risorse da impiegare nel lungo periodo.
Un’altra funzione riguarda il tool completamente dedicato al Covid-19 per prevenire assembramenti e mappare i contagi e i relativi contatti”.

Gli agenti, conoscendo in anticipo quali eventualità potrebbero verificarsi, hanno la possibilità di intervenire con più precisione non solo nel momento stesso in cui queste accadono ma anche prima. In questo modo, la sicurezza urbana non sarà più un fenomeno basato sull’emergenzialità ma sulla prevenzione.

Quando si parla di intelligenza artificiale e delle sue applicazioni alla giustizia e alla polizia predittiva uno dei dubbi maggiori riguarda la privacy dei cittadini.
Nel caso di Caorle, le informazioni inserite dagli agenti sono generiche: sesso, età, caratteristiche fisiche. Il software dunque non tratta dati personali.
Per maggiori informazioni è possibile leggere la notizia originale sul sito del Comune di Caorle.

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Riforma del processo civile: il maxi emendamento

Il maxi emendamento della Min. della Giustizia Cartabia relativo alla riforma del processo civile, riprendere alcuni degli elementi già previsti dal disegno di legge “ex Bonafede”.

Vediamo quali sono le principali novità.

Processo civile sempre più telematico

Oltre alla PEC, il deposito di atti e documenti di parte potrà essere svolto tramite altri sistemi, simili a quelli del processo amministrativo telematico.

Le eccezioni alle modalità telematiche saranno limitate ai casi di malfunzionamenti dei sistemi centrali o a situazioni di urgenza.

Il deposito telematico con strumenti diversi dalla PEC avverrà nel rispetto delle attuali norme sulla sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione di documenti telematici che, al momento, che però dovranno essere aggiornate.

Atti chiari e sintetici

La riforma del processo civile prevedere che gli atti e i documenti da depositare rispettino il principio di chiarezza e sinteticità.
Perché ciò sia possibile, si attendono indicazioni sui criteri  e anche la creazione di moduli con campi specifici che aiutino l’inserimento delle informazioni nei registri del processo.

L’avvocato che non rispetta le regole di compilazione e il principio di chiarezza e sinteticità non vedrà invalidarsi l’atto, ma potrebbe pagare una sorta di “multa” in fase di liquidazione.

Udienze da remoto

Si proseguirà con le udienze da remoto, la trattazione per iscritto e il giuramento per iscritto del consulente tecnico d’ufficio.

Le udienze da remoto saranno estese alle separazioni consensuali e alle udienze d’esame dei soggetti coinvolti in procedimenti di interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno.

Notificazioni

Gli avvocati avranno l’obbligo di notificare gli atti via PEC qualora gli indirizzi di posta elettronica certificata dei destinatari siano rilevabili dai pubblici elenchi. Potranno affidarsi agli uffici giudiziari solo se la notifica via PEC risulta impossibile o il destinatario sia privo di una casella di posta elettronica certificata.

Contributo unificato

Il contributo unificato potrà ancora essere pagato con le attuali modalità telematiche, con carte e altri strumenti di pagamento elettronico, con conto corrente postale intestato alla tesoreria dello Stato, presso le tabaccherie o con bonifico.

 

Service1 è la piattaforma per il processo telematico. Scopri di più.

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Green pass: il dilemma tra privacy e libertà

Il green pass, la certificazione che consente di spostarsi ai tempi del covid, propone un grande dilemma: è più importante la privacy o la libertà?

IN COSA CONSISTE IL GREEN PASS

Il Green pass è un documento, non necessariamente cartaceo, che permette a chi lo detiene di tornare a muoversi senza i limiti che hanno contraddistinto la nostra vita nell’ultimo anno.

Per ottenerlo, bisogna essere in una delle 3 condizioni indicate dal Decreto Legge di fine aprile che ha introdotto la certificazione:
– aver completato la vaccinazione,
– aver contratto il virus, esserne guariti e aver sviluppato gli anticorpi,
– essere risultati negativi a tampone o esame. 

IL PROBLEMA DELLA PRIVACY

La questioni legate alla riservatezza risiede nel fatto che la certificazione contiene una descrizione completa delle condizioni che hanno portato al rilascio del documento (quando è avvenuta ala vaccinazione e con che siero, quando ci si è ammalati, quando è stato fatto il tampone, ecc.) e deve essere mostrata quando richiesto. Ciò significa che il possessore dovrà condividere con innumerevoli soggetti informazioni personali sulla sua vita e il suo stato di salute.

Il Garante della privacy ha evidenziato la possibile illegittimità di una tale forma di  trattamenti dei dati personali, suggerendo la possibilità di indicare sul Green passo solo informazioni sintetiche sulla motivazione che permette al cittadino di potersi muovere liberamente, senza scendere in particolari.

Il Garante ha anche ricordato al Governo che la normativa europea richiede di indicare con precisione una serie di disposizioni non contenute nel Decreto Legge di aprile sui responsabili, le tempistiche e le finalità dell’uso dei dati sanitari dei cittadini.

NESSUN CONTRASTO TRA LIBERTÀ E PRIVACY

A differenza di quanto l’informazione mainstream voglia far credere, il rapporto tra privacy e libertà non è di tipo conflittuale.

A spiegarlo ci pensa Guido Scorza, componente del Garante per la protezione dei dati personali, nell’articolo: “Certificazioni verdi, Scorza: Tutelare libertà e privacy assieme è possibile: ecco come” su Agenda Digitale:

“l’antagonismo tra privacy e libertà di movimento semplicemente non esiste.

Chi lo propone o non conosce i termini della questione o, peggio, finge di non conoscerli perché insofferente all’idea – che è però alla base della nostra democrazia – secondo la quale a un cittadino non bisognerebbe mai chiedere di scegliere tra due diritti fondamentali specie quando non è affatto necessario, non serve, non è strumentale al raggiungimento dell’obiettivo.”

Come già suggerito:

“il progetto delle certificazioni verdi deve essere realizzato senza chiedere inutilmente ai cittadini di rinunciare alla loro privacy per tornare a spostarsi più liberamente.

Nessuna esigenza di rinunciare alla sacrosanta libertà di movimento in nome della privacy ma semplicemente l’esigenza di fare in modo – tanto più che oggi le tecnologie lo consentono – di contemperare due diritti pari ordinati e di non imporre ai cittadini di scegliere di rinunciare a un po’ dell’uno, in vista dell’esercizio di un po’ dell’altro.”

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Qual è il rapporto tra studi legali e tecnologia?
In attesa di vedere i reali effetti della pandemia sulla spinta alla digitalizzazione degli studi legali, una risposta a questa domanda ce l’ha offerta l’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale del Politecnico di Milano.

L’Osservatorio ha come obiettivo “individuare le linee evolutive dei modelli organizzativi, di business e di relazione” degli studi di avvocati e di altre professioni “evidenziando il ruolo delle tecnologie digitali nel processo di cambiamento”. Tra le varie finalità, con la Ricerca 2020-2021 ha puntato a:

• esaminare come gli studi legali stiano gestendo il cambiamento;
• analizzare l’uso dell’intelligenza artificiale e dell’automazione per aumentare l’efficienza ma anche per ripensare la relazione i clienti e lo sviluppo di nuovi servizi;
• valutare il valore e la natura degli investimenti in tecnologia degli studi.

STUDI LEGALI E TECNOLOGIA, ALCUNI RISULTATI

Riportiamo alcuni dati della ricerca che possono aiutarci ad avere un’idea più precisa del rapporto tra studi legali e tecnologia.

Investimenti e rapporto con le tecnologie

  • – Nel 2019 il 66% degli studi legali ha investito meno di 3.000€ in tecnologie e quasi il 60% ha dichiarato una somma simile anche per il 2020.
  • – Gli avvocati intervistati non hanno dichiarato particolari criticità nell’uso di strumenti informatici. Questo può indicare che facciano esclusivamente uso di tecnologie “storiche” ben conosciute, evitando l’introduzione di novità che, inevitabilmente, comporterebbero un iniziale disagio.
  • -1 studio legale su 2 è aperto al legal tech, ma il 19% reputa queste soluzioni una minaccia alla credibilità dello studio e alla sopravvivenza degli studi tradizionali.

Il ruolo del cliente e il marketing

  • – 1 studio legale su 10 condivide i documenti con i clienti tramite un gestionale; la collaborazione digitale con i clienti riguarda circa il 25% delle realtà analizzate. Una delle cause di questa ritrosia potrebbe essere la dimensione ridotta di gran parte degli studi.
  • – 2 avvocati su 3 sono aperti al legal design, ossia l’idea di “costruire” la propria realtà professionale attorno al cliente progettando contenuti, servizi e organizzazioni a partire dai bisogni di quest’ultimo.
  • – Circa la metà degli studi legali è interessato al web marketing. La quota raggiungere circa il 75% se si considerano anche gli studi che accettano malvolentieri queste nuove soluzioni.
    Gli avvocati continuano però a faticare nella ricerca di clienti attraverso le nuove piattaforme.

Formazione

  • – Gli avvocati si sono formati prevalentemente su due temi: la  capacità di gestione e coordinamento (organizzazione del lavoro, comunicazione efficace, soft skills) e le nuove tecnologie digitali (social network, legal tech, blockchain, smart contract).
    Non risultano grandi investimenti nella crescita professionale dei dipendenti al di là del semplice aggiornamento tecnico-professionale.

 

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