Concorso per 146 magistrati tributari: fissate le date delle prove scritte

Il conto alla rovescia è iniziato per i candidati al concorso per 146 magistrati tributari. Nella Gazzetta Ufficiale, 4ª Serie Speciale “Concorsi ed esami” dell’11 aprile 2025, è stato infatti pubblicato il diario delle prove scritte, che si svolgeranno a Roma il 28 e 29 maggio prossimi, presso l’Ergife Palace Hotel di Largo Lorenzo Mossa 8.

I candidati potranno accedere ai locali a partire dalle ore 8.00 e fino alle 9.30, orario entro cui dovranno completare le procedure di ingresso e identificazione, presentandosi muniti di un documento di riconoscimento valido. Le prove avranno una durata di otto ore a partire dalla dettatura della traccia.

Le procedure preliminari Per garantire ordine e regolarità nello svolgimento delle prove, nella giornata precedente, il 27 maggio dalle 9.30 alle 12.00, si terranno le operazioni preliminari: identificazione dei candidati, ritiro della tessera di riconoscimento personale e consegna dei codici e dei testi di legge che sarà possibile consultare durante le prove. L’identificazione avverrà tramite esibizione di un documento valido e del codice identificativo personale, completo di QR code, ricevuto al momento della domanda di partecipazione.

Regole e prescrizioni durante gli scritti Durante gli esami, i candidati non potranno introdurre materiale non autorizzato come telefoni cellulari, smartwatch, dispositivi elettronici, appunti o borse di qualsiasi tipo. Sarà consentito invece portare con sé bevande e alimenti, purché in confezioni trasparenti. La normativa vieta il ritiro anticipato: nessuno potrà abbandonare l’aula né consegnare l’elaborato prima di quattro ore dall’inizio della prova.

Consegna o ritiro Al termine, i partecipanti dovranno consegnare l’elaborato alla commissione esaminatrice o, in caso di ritiro dal concorso, restituire tutto il materiale ricevuto — comprese le tessere di riconoscimento e i fogli protocollo — e ritirare i codici consegnati il giorno prima.


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Separazione delle carriere, scintille in Senato: migliaia di emendamenti rallentano la riforma

È scontro aperto a Palazzo Madama sulla riforma della separazione delle carriere tra magistratura requirente e giudicante. Dopo il via libera incassato alla Camera lo scorso gennaio, il testo è approdato al Senato, dove la discussione nelle commissioni Affari Costituzionali e Giustizia è entrata subito nel vivo. E da oggi si inizia a votare sugli oltre mille emendamenti presentati, la stragrande maggioranza dei quali di segno ostruzionistico.

A sottolineare il clima teso è stato Alberto Balboni, senatore di Fratelli d’Italia e presidente della Prima Commissione, che ha denunciato un atteggiamento di blocco sistematico da parte delle opposizioni. “Così ci vorrebbero sei mesi solo per arrivare al mandato al relatore — ha dichiarato — l’obiettivo è chiaramente portare la maggioranza in Aula senza relatore e poi gridare allo scandalo”. Da qui l’appello a ridurre drasticamente il numero di proposte di modifica e favorire un confronto di merito.

Ma il muro delle opposizioni resta compatto. “Perché dovremmo ritirarli?”, ha replicato senza giri di parole il senatore dem Alfredo Bazoli, che nelle scorse settimane aveva già denunciato in commissione l’impostazione “plebiscitaria” della maggioranza e del ministro Nordio, accusati di voler blindare il testo senza lasciare spazio a correzioni. “È un metodo che preclude il ruolo del Parlamento e rischia di diventare un pericoloso precedente”, ha ribadito Bazoli.

Dietro il braccio di ferro si gioca anche una partita politica di lungo periodo: procrastinare l’approvazione definitiva della riforma significa avvicinare il più possibile il referendum confermativo alle prossime elezioni politiche, offrendo così maggior visibilità alla campagna dell’Associazione Nazionale Magistrati e di altre realtà contrarie al provvedimento.

Intanto, sul fronte dei tempi tecnici, il costituzionalista Giovanni Guzzetta ha chiarito che l’articolo 138 della Costituzione consente due letture: o il conteggio dei tre mesi tra una lettura e l’altra parte dall’approvazione in prima Camera — e in tal caso la riforma sarebbe già potuta tornare a Montecitorio da metà aprile — oppure si calcola dalla seconda lettura, ipotesi oggi meno accreditata. In ogni caso, tra passaggi parlamentari, tempi di pubblicazione, raccolta firme e indizione referendaria, difficilmente si potrà arrivare al voto popolare prima del 2026, nonostante le ambizioni iniziali del ministro Nordio.

La partita è dunque tutt’altro che chiusa, e il rischio concreto è che il Senato si trasformi nelle prossime settimane in un campo di battaglia politica e procedurale, dove il dibattito di merito rischia di essere soffocato dal confronto muscolare fra maggioranza e opposizioni.


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Penalisti in sciopero: tre giorni di astensione contro il nuovo Decreto Sicurezza

Protesta compatta del mondo dell’avvocatura penalista contro il recente Decreto Sicurezza, pubblicato in Gazzetta Ufficiale l’11 aprile scorso ed entrato in vigore il giorno successivo. L’Unione delle Camere Penali Italiane ha indetto per i giorni 5, 6 e 7 maggio 2025 tre giornate di sciopero nazionale, con astensione dalle udienze e da ogni attività penale, denunciando i contenuti e le modalità di approvazione del provvedimento.

Secondo le Camere Penali, il decreto rappresenta un grave vulnus ai principi costituzionali e alle garanzie fondamentali dei cittadini. “Non si tratta di un intervento mirato alla prevenzione dei reati — sottolinea la Camera Penale della Lombardia Orientale — bensì di un pacchetto di misure repressive a costo zero, che rincorre solo esigenze simboliche e mediatiche, senza offrire soluzioni concrete al problema della sicurezza”.

A preoccupare, spiegano i penalisti, è anche l’abuso dello strumento della decretazione d’urgenza, utilizzata senza che sussistano i requisiti previsti dalla Costituzione. Il testo approvato, di fatto, ripropone integralmente il disegno di legge rimasto fermo in Parlamento per oltre un anno.

Tra le criticità evidenziate figurano l’introduzione di nuove e, a detta degli avvocati, inutili fattispecie di reato, aggravanti prive di logica giuridica, e l’accentuarsi di un approccio esclusivamente repressivo verso fenomeni di marginalità e di dissenso sociale. Un’impostazione che, sottolineano le Camere Penali, rischia di aggravare la già drammatica situazione delle carceri italiane, segnate da sovraffollamento, carenza di attività rieducative e difficoltà nel garantire la salute mentale e fisica dei detenuti.

Per aprire un confronto pubblico e istituzionale sul tema, la Camera Penale della Lombardia Orientale ha convocato per il 5 maggio alle ore 10 un’assemblea straordinaria presso l’aula Panettieri del Tribunale di Brescia. Un’occasione, spiegano i promotori, per discutere criticità, raccogliere proposte e sollecitare modifiche urgenti al decreto, coinvolgendo professionisti, cittadini e rappresentanti politici del territorio.


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Esame da avvocato, il TAR boccia la Commissione per mancanza di motivazione

Una vicenda destinata a far discutere quella decisa dal Tribunale Amministrativo Regionale lombardo, che ha accolto il ricorso di una candidata esclusa dalla prova orale dell’esame di abilitazione forense per la sessione 2023. Alla base della decisione, la mancata motivazione della valutazione assegnata all’elaborato scritto, giudicato con un punteggio di 14 su 30 ma privo di qualsiasi annotazione o segno grafico a spiegazione della scelta.

La questione ruota intorno alla disciplina dell’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato, da anni oggetto di modifiche e proroghe. Se da un lato la legge professionale forense del 2012 aveva introdotto l’obbligo per le commissioni di accompagnare il voto numerico con osservazioni puntuali, dall’altro la sua applicazione è stata più volte rinviata, lasciando spazio a regole transitorie.

Per la sessione 2023, regolata da un’apposita norma emergenziale, l’esame scritto consisteva nella redazione di un unico atto giudiziario, con la valutazione affidata a tre commissari. Tuttavia, secondo il TAR, la drastica riduzione degli elaborati e il mutato quadro normativo impongono di rivalutare l’obbligo motivazionale, anche alla luce di una giurisprudenza ormai consolidata.

Il Tribunale ha infatti stabilito che il solo punteggio numerico, senza ulteriori indicazioni, non sia più sufficiente a garantire trasparenza e tutela del candidato, violando il principio di motivazione degli atti amministrativi sancito dalla legge n. 241/1990. In assenza di segni grafici o annotazioni che giustifichino la valutazione negativa, il provvedimento è da considerarsi illegittimo.


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Giustizia hi-tech: come l’AI sta cambiando il lavoro degli avvocati (e cosa dice la legge)

L’intelligenza artificiale non è più soltanto una materia da addetti ai lavori o una tecnologia da osservare a distanza: è ormai uno strumento operativo concreto che sta trasformando anche le professioni più tradizionali, come quella dell’avvocato. Spesso senza accorgersene, i legali utilizzano sistemi di AI integrati nei motori di ricerca giuridica, nei software di analisi dei casi e persino nella redazione di documenti.

A fronte di questa evoluzione, si moltiplicano però anche interrogativi e cautele. Se da un lato gli strumenti di intelligenza artificiale promettono di velocizzare il lavoro, dall’altro mostrano ancora margini di errore e criticità, specie nella capacità di contestualizzare le informazioni e nel rispetto della privacy.

Tre facce dell’AI per gli avvocati

Oggi il ventaglio di applicazioni dell’AI per la professione legale si suddivide principalmente in tre categorie: sistemi predittivi, che elaborano grandi quantità di dati per ipotizzare l’esito di una controversia; software di ricerca giuridica e documentale, che aiutano a recuperare norme e sentenze; e strumenti generativi, in grado di produrre bozze di atti e contratti in tempi rapidissimi.

Tutti strumenti utilissimi, certo, ma ancora lontani dalla perfezione. Il limite più evidente resta l’incapacità di comprendere davvero il contesto di un caso specifico, con il rischio di analisi errate o di risposte fuorvianti, come ha dimostrato un recente caso giudiziario finito sotto i riflettori a Firenze.

Le nuove regole in arrivo

A regolamentare questo scenario in rapida evoluzione arriva il Disegno di legge sull’Intelligenza Artificiale, attualmente all’esame del Parlamento. Il testo definisce i princìpi generali per l’uso responsabile dell’AI, recependo i criteri stabiliti dall’AI Act europeo, entrato in vigore lo scorso agosto.

Particolare attenzione viene dedicata alle professioni intellettuali e all’ambito giudiziario. In quest’ultimo caso si autorizza l’uso sperimentale dell’AI solo per attività organizzative e di supporto, lasciando alle decisioni umane la valutazione dei fatti e l’adozione dei provvedimenti. Agli avvocati, invece, viene chiesto di limitare l’uso dell’intelligenza artificiale a compiti accessori, garantendo la prevalenza dell’apporto umano e intellettuale nella gestione del mandato.

Obbligo di trasparenza verso il cliente

Tra le disposizioni più rilevanti per gli studi legali c’è l’obbligo di informare chiaramente i clienti ogni volta che si intenda utilizzare sistemi di intelligenza artificiale nell’esecuzione di un incarico. Non basterà più accennare genericamente alla tecnologia: sarà necessario specificare quali strumenti si utilizzeranno, se sviluppati internamente o forniti da terzi, e soprattutto assicurare il rispetto della riservatezza dei dati trattati.

Sarà quindi utile per gli avvocati iniziare fin da subito a ripensare i modelli di lettera d’incarico e i mandati, integrandoli con queste informazioni e predisponendo procedure di verifica e supervisione dei risultati prodotti dai sistemi di AI.

Formazione obbligatoria e cultura digitale

Infine, il disegno di legge coinvolge anche gli Ordini professionali, chiamati a organizzare corsi di aggiornamento sull’uso dell’intelligenza artificiale applicata alla professione forense. L’obiettivo è formare avvocati capaci di sfruttare le potenzialità della tecnologia senza perdere il controllo critico e il valore aggiunto della valutazione umana.

Perché se è vero che l’AI sta cambiando il lavoro dell’avvocato, è altrettanto vero che la responsabilità delle decisioni — almeno per ora — resta saldamente nelle mani delle persone.


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Fulvio Croce, l’avvocato che morì per difendere il diritto

Roma — 28 aprile 2025. A distanza di quarantotto anni dal tragico assassinio, l’Unione Nazionale delle Camere Civili rende omaggio alla memoria dell’avvocato Fulvio Croce, Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Torino, ucciso il 28 aprile 1977. Una figura che non fu vittima casuale della violenza politica degli anni di piombo, ma bersaglio consapevole proprio per ciò che rappresentava: l’essenza più alta e autentica dell’Avvocatura.

Chiamato a difendere imputati che avevano rifiutato la difesa — un compito difficile e pericoloso — Croce accettò senza esitazione quella missione. Lo fece con il coraggio silenzioso di chi sa che la giustizia non ammette deroghe: ogni essere umano, anche il più distante, anche il più ostile, ha diritto a essere difeso.

Una scelta che gli costò la vita, ma che lo rese immortale nella memoria civile del Paese. «Avvocato non si fa, si è», recita il motto che Croce dimostrò di incarnare fino all’estremo sacrificio. Per lui, la toga non era solo un abito professionale, ma un impegno profondo, totalizzante, una scelta di vita che non conosceva compromessi.

Nel ricordare la figura di Fulvio Croce, il pensiero è andato oggi anche a Giorgio Ambrosoli, altro martire della legalità, altro uomo di legge capace di anteporre la fedeltà alla verità a ogni minaccia personale.

«Oggi, nel nome di Croce — ha dichiarato l’Avvocato Alberto Del Noce, Presidente dell’Unione Nazionale delle Camere Civili — rinnoviamo il nostro giuramento: difendere sempre i diritti fondamentali, servire senza paura la giustizia, vivere con onore la nostra funzione. Perché il suo sacrificio non sia mai un ricordo sterile, ma una luce che continua a guidarci».

Un richiamo potente e necessario, in tempi in cui la difesa dei diritti e dei principi costituzionali resta un presidio irrinunciabile della democrazia.


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Il COA Firenze dice no all’Agorà CNF e MGA chiede di discutere la riforma al Congresso Nazionale

Sale la tensione nel panorama forense nazionale. Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze, riunitosi in adunanza lo scorso 23 aprile, ha approvato una delibera con cui fa proprie le richieste avanzate dal Consiglio dell’Ordine di Bergamo, scegliendo di disertare la riunione dell’Agorà dei Presidenti degli Ordini indetta dal Consiglio Nazionale Forense (CNF) per il 29 aprile prossimo. La presenza, eventualmente, sarà garantita solo attraverso il Presidente dell’Unione Distrettuale degli Ordini Forensi della Toscana (UDOFT).

Alla base della decisione, la contestazione sul metodo e sui tempi con cui si sta procedendo alla discussione della bozza di riforma dell’Ordinamento professionale forense, elaborata dal Centro Studi del CNF. Firenze chiede, insieme a Bergamo, che il tema venga invece inserito e discusso nella sede più opportuna: il Congresso Nazionale Forense, in programma a Torino dal 16 al 18 ottobre 2025.

Richiesta di integrazione dell’ordine del giorno del Congresso

Il Consiglio fiorentino ha deliberato di attivarsi formalmente, ai sensi dello Statuto del Congresso, per ottenere l’integrazione dell’ordine del giorno del Congresso di Torino con il punto: “Esame del disegno di legge di riforma dell’Ordinamento professionale forense, valutazioni, proposte emendative e determinazioni conseguenti”, da trattare con priorità rispetto ai temi già fissati nella convocazione ufficiale.

La delibera è stata inviata a tutte le istituzioni forensi, dalla Cassa Forense all’Organismo Congressuale Forense (OCF), oltre ai Consigli degli Ordini d’Italia, alle Unioni regionali e alle associazioni di categoria.

MGA: “Riprendiamoci le prerogative del Congresso”

Nel frattempo, anche il Sindacato Nazionale Forense (MGA) si mobilita. Con una nota, ha annunciato per i prossimi giorni il lancio di una campagna a sostegno dell’integrazione dell’ordine del giorno congressuale, dapprima con una petizione online e successivamente con la raccolta di firme tra i delegati eletti per Torino.

Il Sindacato denuncia il rischio di ridurre il Congresso a un evento marginale, impegnato a discutere di temi come l’intelligenza artificiale, trascurando invece una riforma che — secondo MGA — “inciderà ben più della AI sulle vite lavorative degli avvocati”.

Il regolamento congressuale, all’art. 3 comma 6, prevede infatti che su richiesta di almeno il 25% dei delegati, l’ordine del giorno debba essere integrato. MGA chiede quindi a OCF di esercitare le proprie prerogative e di avanzare a sua volta una richiesta autonoma in tal senso.

In vista le elezioni dei delegati

A breve saranno rese note le liste dei delegati e delle delegate elette, che MGA si augura vorranno aderire a questa iniziativa “in nome della democrazia forense e della centralità politica del Congresso Nazionale”.


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Smart working e sicurezza: cambia la prevenzione, nasce una responsabilità condivisa

Il lessico del lavoro è cambiato. Espressioni come smart working, lavoro agile e workation sono ormai parte della quotidianità professionale. Se da un lato queste modalità offrono libertà e flessibilità, dall’altro pongono interrogativi concreti su come garantire sicurezza e benessere psicofisico fuori dalle tradizionali mura aziendali.

A preoccupare di più è proprio l’impatto sulla salute mentale. La reperibilità continua, le comunicazioni digitali senza orari e l’isolamento sociale possono generare stress e disagio psicologico. Molte imprese hanno iniziato a correre ai ripari con corsi di gestione dello stress, iniziative di supporto psicologico e momenti di confronto collettivo.

Ma la vera sfida riguarda la prevenzione. Se il posto di lavoro non è più fisso ma si sposta tra casa, spazi di coworking e località di vacanza, come si gestiscono i rischi? Chi ha la responsabilità di assicurare condizioni adeguate? E quali strumenti servono per farlo?

Il fenomeno del workation, che combina lavoro e vacanza, rappresenta bene questa nuova realtà. Sempre più persone decidono di lavorare da luoghi di villeggiatura, mentre le aziende — attratte dall’idea di personale più motivato e produttivo — iniziano ad autorizzarlo. Tuttavia, le problematiche non mancano: connessioni internet instabili, spazi non pensati per il lavoro, scarsa ergonomia, confusione tra vita privata e attività professionale.

In questo scenario in continua evoluzione, le aziende devono aggiornare le loro strategie di prevenzione. Anche senza norme rigide e univoche, è indispensabile fornire linee guida su come allestire le postazioni, organizzare il tempo e tutelare la salute, sia fisica che mentale. Centrale diventa il dialogo costante tra impresa e lavoratore, sfruttando le potenzialità degli strumenti digitali.

La cultura della sicurezza, dunque, non può più essere un insieme di regole imposte dall’alto, ma deve trasformarsi in un patto condiviso. Servono policy chiare su rischi, responsabilità e strumenti a disposizione, oltre alla promozione di un clima aziendale basato su fiducia, collaborazione e corresponsabilità.

In un contesto professionale sempre più digitale e fluido, la sicurezza non è più solo questione di luoghi fisici, ma di persone. Ogni lavoratore, ovunque si trovi, deve sapere come tutelare sé stesso e a chi rivolgersi in caso di difficoltà. Solo così sarà possibile coniugare libertà lavorativa e protezione, benessere personale e produttività.


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Lavoro digitale, meno rischi e più sicurezza: la scommessa UE fino al 2034

La nuova strategia UE-OSHA per il periodo 2025-2034, appena elaborata dall’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, che scommette sull’intelligenza artificiale, sulla robotica e sulla digitalizzazione per trasformare il lavoro e tutelare meglio i lavoratori.

I sistemi basati sull’IA, in grado di svolgere compiti ripetitivi o rischiosi con crescente autonomia, potrebbero prendere il posto degli esseri umani negli ambienti e nelle mansioni più pericolose. Il risultato sarebbe duplice: da un lato, più produttività per le aziende; dall’altro, un significativo miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

La strategia punta a rispondere alle grandi transizioni sociali in corso: dalla digitalizzazione al passaggio green, fino all’invecchiamento della forza lavoro. Quest’ultimo, in particolare, rappresenta una sfida crescente, perché l’allungarsi della vita lavorativa comporta cambiamenti nelle capacità fisiche e sensoriali, rendendo necessari nuovi strumenti di valutazione e adattamento degli ambienti e delle mansioni.

La digitalizzazione del mondo del lavoro, secondo l’UE-OSHA, apre nuove opportunità ma anche nuove sfide. Tecnologie come intelligenza artificiale, big data, robotica, algoritmi e piattaforme digitali stanno già cambiando il modo di lavorare, e continueranno a farlo nei prossimi anni. È però necessario affrontare anche i rischi specifici di queste tecnologie: collisioni impreviste, eccessivo affidamento sui sistemi automatizzati, implicazioni psicosociali e organizzative.

Molte aspettative sono riposte nei sistemi incorporati — come la robotica — e in quelli non incorporati, come le applicazioni di intelligenza artificiale. Questi strumenti permetteranno di rimuovere i lavoratori da ambienti e mansioni ad alto rischio, lasciando loro compiti più sicuri e ad alto contenuto creativo.

Naturalmente, la transizione digitale porta con sé anche criticità: dai nuovi rischi per la sicurezza sul lavoro legati all’interazione uomo-macchina, fino alle problematiche psicologiche e organizzative derivanti da una gestione del lavoro sempre più mediata dalla tecnologia.

Per questo, la strategia UE-OSHA 2025/2034 non si limita a promuovere l’automazione, ma punta a costruire ambienti di lavoro più sicuri e inclusivi, dove l’uomo e la macchina possano coesistere in modo equilibrato e sostenibile. Un mondo del lavoro con meno rischi e più sicurezza: non un sogno, ma un obiettivo possibile.


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Cybersicurezza, scatta l’obbligo Nis 2: cosa devono fare aziende e PA entro il 2026

Con la determinazione n. 164179 del 14 aprile 2025, l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (ACN) ha dato ufficialmente il via al cronoprogramma di attuazione degli obblighi previsti dal decreto legislativo 138/2024, che recepisce in Italia la direttiva europea Nis 2 sulla sicurezza delle reti e dei sistemi informativi. Il provvedimento coinvolge sia enti pubblici che soggetti privati operanti in settori considerati strategici — come energia, trasporti, sanità, finanza, alimentare e digitale — obbligandoli a rivedere processi, policy e misure di sicurezza informatica.

Chi è obbligato e cosa deve fare Il decreto distingue tra soggetti essenziali e soggetti importanti, classificazione che influisce su quantità e tipo di adempimenti e sull’entità delle sanzioni in caso di violazione. Gli enti coinvolti sono tenuti a registrarsi sulla piattaforma ACN, ricevere la notifica di inclusione nell’elenco ufficiale e rispettare una serie di obblighi tecnici e organizzativi, che spaziano dalla predisposizione di policy di sicurezza informatica all’adozione di sistemi di autenticazione multifattore, fino alla redazione di inventari di asset e piani di gestione del rischio.

Tempi stretti e sanzioni pesanti Le scadenze sono differenziate: entro 9 mesi dalla notifica dell’inserimento negli elenchi ACN, i soggetti dovranno adempiere agli obblighi di notifica degli incidenti informatici; entro 18 mesi, completare tutte le misure di sicurezza di base previste. Il rischio, per chi non si adegua, è quello di sanzioni amministrative fino a 10 milioni di euro o al 2% del fatturato per i soggetti essenziali e fino a 7 milioni o al 4% del fatturato per quelli importanti. Le pubbliche amministrazioni rischiano fino a 125.000 euro.

Formazione obbligatoria e controllo sui fornitori Particolare attenzione è riservata alla formazione: tutte le organizzazioni dovranno adottare e mantenere un piano formativo aggiornato in materia di cybersicurezza per tutto il personale, compresi vertici e dirigenti. Inoltre, i contratti di fornitura di prodotti e servizi dovranno contenere clausole specifiche sulla sicurezza informatica, e i fornitori dovranno garantire standard di protezione adeguati.

Un sistema articolato e complesso La mole documentale da gestire è significativa: policy, registri, elenchi di asset e personale, report di formazione e inventari di fornitori dovranno essere predisposti e aggiornati periodicamente, mentre le valutazioni del rischio dovranno essere effettuate almeno ogni due anni o in caso di variazioni rilevanti dell’organizzazione o del contesto di minaccia.

Il 2026 si preannuncia dunque come un anno cruciale per la cybersicurezza in Italia: aziende e pubbliche amministrazioni dovranno correre per mettersi in regola, sotto la spinta di una normativa europea sempre più stringente e di un quadro sanzionatorio severo.


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