diffamazione via email

Reato di diffamazione a mezzo email

Il reato di diffamazione aggravata per mezzo di email aziendale

Il reato di diffamazione si commette nel parlare o scrivere male di una persona non presente. In effetti, si tratta di un delitto in cui si rischia spesso di incorrere, che potrebbe riguardare ognuno di noi.

Allora, attenzione a quando si scrive o si pronuncia una frase offensiva nei confronti di una persona, soprattutto quando si è in presenza di altre. 

La diffamazione via mail e le sue conseguenze

Notoriamente, la comunicazione via mail è diretta, in quanto si instaura tra due persone: mittente e destinatario. Ciononostante, in alcuni casi ben precisi è possibile trovarsi di fronte ad email a contenuto diffamatorio. Si tratta di contenuti che si trovano su email inviate simultaneamente a più soggetti: in copia nascosta; o su casella di posta condivisa da più persone.

 

 

  • Il primo caso: si parla male di una persona in una email in cui vi sono soggetti in copia nascosta. Qui, il reato è di “diffamazione aggravata”: la posta elettronica è “un particolare e formidabile mezzo di pubblicità”;
  • Il secondo caso: si invia un’email ad una casella di posta che è condivisa da più persone. Ad esempio, si scrive alla casella di posta di un’azienda di cui più soggetti hanno le credenziali d’accesso. Qui, la Cassazione specifica: “l’utilizzo della posta elettronica non esclude la sussistenza del requisito della comunicazione con più persone anche nell’ipotesi di diretta ed esclusiva destinazione del messaggio diffamatorio ad una sola persona determinata, quando l’accesso alla casella mail sia consentito almeno ad altro soggetto e sempre che tale accesso a più persone sia noto al mittente o, quantomeno, prevedibile secondo l’ordinaria diligenza”.

Infine, si parla di reato di diffamazione anche se non vi è contemporaneità nell’invio dei diversi messaggi di posta elettronica. Un esempio: l’ e-mail inviata ad una sola persona e poi ad altre costituisce reato da norma penale (art. 595 c.p.). Identico trattamento viene riservato alla posta elettronica certificata (PEC), il cui valore legale è pari a quello di una raccomandata.

Denuncia per diffamazione a mezzo mail: competenza

Nel caso in cui si ritenga di essere stati diffamati, esiste una procedibilità ben precisa.

Innanzitutto, si può scegliere se agire in sede penale o civile.

  • La prima soluzione, quella penale, prevede che la querela sia sporta entro tre mesi dal reato, pena l’improcedibilità (art. 597 codice penale). Qui, per costituirsi e richiedere il risarcimento danni, è necessario attendere l’inizio del procedimento.
  • Invece, in sede civile, per ottenere il dovuto risarcimento danni non serve sporgere alcuna querela. Infatti, davanti al giudice civile bisognerà dimostrare che sussiste effettivamente un danno ingiusto alla reputazione e che questo danno è stato causato colpevolmente (o dolosamente) dall’offensore.

 

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Conservazione dei dati personali, perché è importante e come affrontarla

Quando si parla di conservazione dei dati personali, il riferimento è il GDPR, che chiede a imprese e pubblica amministrazione di cancellare o anonimizzare le informazioni quando non risultino più necessarie alle finalità di trattamento.

In altre parole, imprese e PA dovrebbero conservare i dati personali altrui secondo modi e tempi strettamente proporzionati agli scopi per i quali vengono raccolti.

Scendendo più in particolare, l’art. 5, paragrafo 1, del GDPR indica l’obbligo di assicurare un periodo di conservazione dei dati personali limitato al minimo necessario.

IN CASO DI MANCATO ADEGUAMENTO AL GDPR

Non adempiere agli obblighi in materia di conservazione dei dati personali comporta delle conseguenze, anche economiche.

Tra le varie sanzioni irrogate dal Garante della Privacy italiano, una ha recentemente toccato una società che aveva mancato di “definire (e conseguentemente a trasferire all’interno dei documenti la cui predisposizione costituisce un obbligo per il titolare in base al GDPR) un quadro chiaro e coerente dei termini di conservazione dei dati personali” riferiti ai propri dipendenti [qui il testo del provvedimento GPDP n. 234 del 10 giugno 2021].

CONSERVAZIONE DEI DATI, LE PROCEDURE DI DATA RETENTION

Dunque, aziende e PA dovrebbero dotarsi di procedure di data retention, materia non semplice da affrontare in mancanza di competenze specifiche.

Senza scendere nel dettaglio, cerchiamo di offrire una strategia per facilitare una migliore conservazione dei dati personali, basata du 4 punti.

1) Individuazione dei dati

Il primo passaggio da compiere è il censimento di tutti i dati trattati.
Vanno individuati la loro posizione, il tipo di dato, la finalità per cui sono stati raccolti, come sono stati (o sono ancora) processati.

2) Classificazione dei dati

Il secondo passaggio consiste nel classificare i dati secondo diversi criteri:

– il loro livello di accessibilità: sono dati disponibili per tutti o no? Nel caso non lo siano, qual’è il loro livello di segretezza?

– le loro finalità e la base giuridica di riferimento: sono dati raccolti a scopi di marketing secondo il principio del consenso? Sono dati raccolti per instaurare un rapporto di lavoro secondo il principio del legittimo interesse? Altro?

3) Gestione dei dati

Ognuna di queste categorie avrà dei tempi di conservazione propri, che verranno decisi dal titolare del trattamento in base alle finalità per le quali sono stati raccolti e seguendo i principi del buon senso e della ragionevolezza.

4) Anonimizzazione o eliminazione

Terminato il periodo di conservazione, i dati possono andare incontro a due destini:

– l’anonimizzazione, ovvero l’azione di non permettere più l’identificazione degli interessati, nel caso in cui il titolare intenda usare ancora i dati in maniera neutra (e.: per inserirli nei sistemi di apprendimento di un’intelligenza artificiale);

-la cancellazione, che per i dati digitali deve essere totale, ovvero non deve lasciare traccia degli stessi in nessun supporto, mentre per i dati analogici prevede la distruzione del supporto cartaceo.

L’intera procedura va ripetuta regolarmente per far sì che la conservazione dei dati sia sempre aggiornata e si evitino pericolosi incidenti che violino la privacy degli individui.

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Green pass e sport- quando serve

Green pass e sport: quando serve?

Le regole generali per l’utilizzo del green pass, all’aperto e al chiuso, per ogni singolo sport

 

Dopo l’emanazione del decreto legge dello scorso 23 luglio, dal 6 agosto 2021 il Green Pass diventa obbligatorio per “piscine, centri natatori, palestre, sport di squadra, limitatamente alle attività al chiuso”. Questo significa che chi ha più di 12 anni deve necessariamente esibire la certificazione verde -in forma cartacea o digitale- per allenarsi in sala o nuotare in vasca. Non solo: oltre alla presentazione del Pass rimane in vigore il rispetto dei protocolli già esistenti -quali la misurazione della temperatura, l’obbligo della mascherina (se lo sport è al chiuso o negli spogliatoi) e il rispetto della distanza interpersonale.

Green pass: quando e per quali sport è obbligatorio?

Va premesso che in zona bianca e esclusivamente all’aperto è possibile svolgere attività fisica senza alcun documento. Va premesso altresì che per le attività in palestra e al chiuso il Green Pass va sempre esibito. Inoltre, in entrambe le situazioni, serve -come è sempre stato- il certificato medico attestante la sana e robusta costituzione.

 

 

A questo punto potreste chiedervi come mai, se Green Pass non è obbligatorio all’aperto, molti impianti sportivi scoperti invece lo richiedono. In effetti, questo si rende necessario soprattutto per l’utilizzo di docce e spogliatoi che, invece, sono al chiuso. Tuttavia, è importante ricordare che qualora si desideri godere esclusivamente delle zone esterne -quindi si accetti di non avere accesso né agli spogliatoi, né al bar-, basta compilare una autocertificazione.

Ora, non tutti i passaggi sull’obbligatorietà dei tamponi e Green Pass sono chiarissimi. A ciò, si va ad aggiungere uno specifico atteggiamento adottato da ogni singola disciplina. Allora, per fugare i dubbi e fare chiarezza, vediamo insieme come le varie realtà sportive si stanno adattando a questa situazione pandemica.

 

Green pass per il calcio

Inizialmente, la Figc aveva previsto un tampone a tutti i livelli, per tutti gli atleti, anche quelli provvisti di Pass. Tuttavia, dallo scorso 19 agosto, la situazione è parzialmente cambiata e merita un approfondimento.

Ora, per le attività dilettantistiche e giovanili agonistiche di livello regionale (non nazionale), lo screening iniziale con tampone prima del raduno è facoltativo per i soggetti muniti di Green Pass.

Invece, tale attività di monitoraggio si conferma obbligatoria, indipendentemente dal possesso o meno della certificazione verde, per le attività dilettantistiche e giovanili di livello nazionale -campionati di Eccellenza maschile e femminile e Serie C di Calcio a 5 maschile e femminile o relative alle fasi finali nazionali di competizioni regionali.

Circa gli allenamenti, anche se svolti parzialmente al chiuso, “considerata la frequente necessità di utilizzo di spazi e sale al chiuso per i quali è obbligatoria la Certificazione verde è necessario un tampone molecolare o antigenico entro le 48 ore precedenti ciascuna seduta di allenamento per i non vaccinati e non guariti, e per i soggetti non vaccinati con l’intero ciclo vaccinale”.

 

Green Pass per la pallavolo

Trattandosi di attività al chiuso, fino agli under 13 la pallavolo richiede obbligatoriamente il Green Pass. Dunque, chi non è vaccinato deve presentare screening negativo risalente a massimo 48 ore prima.

Lo stesso obbligo vale per la serie A e B, sia maschile che femminile: il tampone negativo deve essere relativo ad un arco temporale compreso tra le 48/72 ore precedenti gli allentamenti e/o competizioni.

Dalla serie C in giù è necessario tampone molecolare o antigenico 48/72 ore prima del giorno della ripresa dell’attività sportiva. Inoltre, prima delle competizioni il tampone diventa obbligatorio per tutti coloro che non hanno il Green Pass in corso di validità.

 

Green Pass per il basket

Al di sotto dei 12 anni, i bambini sono attualmente esclusi dall’obbligo vaccinale e -perciò- non hanno alcun obbligo di Green Pass. Ecco che allora, per i corsi di mini-basket, basta presentare autocertificazione dei genitori.

Invece, al di sopra dei 12 anni è necessario presentare la Certificazione Verde o tampone negativo relativo ad un massimo di 7 giorni prima.

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In Lazio la prima norma a sostegno delle associazioni professionali

Le associazioni professionali trovano finalmente una prima norma d’appoggio, approvata pochi giorni fa dalla Regione Lazio.

Nel Collegato di bilancio, approvato dal Consiglio regionale, compare infatti un articolo dedicato al “sostegno e la promozione dell’esercizio in forma associata e societaria delle attività professionali ordinistiche e non”.

COSA PREVEDE LA NORMA SULLE ASSOCIAZIONI PROFESSIONALI

L’obiettivo della norma è favorire l’offerta di prestazioni professionaliqualificate e differenziate” e lo sviluppo della competitività del territorio della Regione Lazio, attraverso un piano di interventi che promuovano lo svolgimento delle attività professionali in forma associata e societaria.

La norma si accompagna a un budget 900 mila euro da utilizzare nel triennio 2021-2023.

LE DIFFICOLTÀ DEI PROFESSIONISTI

Il valore della norma è indubbio soprattutto alla luce degli effetti che la pandemia ha avuto sulle opportunità lavorative di molti professionisti e lavoratori autonomi, rendendo oltretutto più difficoltoso l’ingresso dei giovani nel mercato ed esasperando il gap di genere.

ALTRI INTERVENTI DELLA REGIONE LAZIO

Per la Regione Lazio non è una novità pensare misure a favore dei lavoratori autonomi.

Nel 2019, con la L. R. n. 6/ 2019, era intervenuta in materia di equo compenso con la volontà di difendere “la dignità del lavoro autonomo” e valorizzarne le competenze.

Con la L. R. 7/2021 si è poi espressa sulla parità salariale, con particolare attenzione alle libere professioniste, e stabilendo anche il principio dell’equilibrio di genere nell’affidamento di incarichi esterni.

I COMMENTI

La presidente della IX Commissione Lavoro Eleonora Mattia (Pd), commenta così l’approvazione della norma:

“un grande risultato che arriva dopo un percorso iniziato con l’approvazione di una mozione, di cui sono stata promotrice, e che aggiunge un tassello importante al quadro di norme e strumenti che la Regione ha introdotto in questi anni al fianco dei liberi professionisti, categoria che nel Lazio rappresenta oltre 200.000 uomini e donne. […]
Con questo provvedimento vogliamo dare strumenti concreti a migliaia di uomini e donne che nell’unione possono trovare nuovi stimoli e possibilità per mettere a disposizione professionalità, e far ripartire il tessuto socio-economico della nostra Regione”.

L’Avv. Antonino Galletti, Presidente COA di Roma, aggiunge:

il rilancio dell’avvocatura e, più in generale delle professioni, non può che passare attraverso l’aggregazione tra professionisti e finalmente, dopo tanti dibattiti e promesse, è stato offerto dal legislatore regionale un segnale concreto che speriamo possa raccogliere in futuro anche maggiori contributi e soprattutto possa sollecitare interventi di maggiore impatto anche da parte del legislatore nazionale.”

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Pandemia e risarcimenti per decessi e danni da vaccino

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Tra le tante questioni di interesse giuridico nate (o cresciute) con la pandemia vi è anche quella relativa ai risarcimenti per i decessi e agli indennizzi in caso di danni da vaccino.

DANNI DA VACCINO, IL RISARCIMENTO È POSSIBILE?

L’Italia riconosce a chi si sottopone a vaccinazione obbligatoria un risarcimento nel caso in cui dovesse subire dei danni. La norma di riferimento è la Legge n. 210/1992 dove si parla di un “indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati”.

L’indennizzo è riconosciuto a chiunque “abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica”.

la Cassazione ha sollevato dubbi sulla costituzionalità dell’art. 1, comma 1, della Legge in relazione agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione. La legge n. 210/1992 infatti non riconosce il diritto a un risarcimento per coloro che hanno “subito lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, a causa di una vaccinazione non obbligatoria, ma raccomandata“.

La Corte Costituzionale ha dunque successivamente esteso il valore della Legge anche alle vaccinazioni raccomandate, considerando come la differenza fra “raccomandazione” e “obbligo” sia esigua:

“in ambito medico, raccomandare e prescrivere sono azioni percepite come egualmente doverose in vista di un determinato obiettivo, cioè la tutela della salute (anche) collettiva. In presenza di una effettiva campagna a favore di un determinato trattamento vaccinale, è naturale che si sviluppi negli individui un affidamento nei confronti di quanto consigliato dalle autorità sanitarie: e ciò di per sé rende la scelta individuale di aderire la raccomandazione obiettivamente votata alla salvaguardia anche dell’interesse collettivo, al di là delle particolari motivazioni che muovono i singoli.”

Da tutto ciò ne deriverebbe che la vaccinazione COVID, raccomandata e non obbligatoria, preveda il riconoscimento di un indennizzo in caso di danni alla salute di chi vi si è sottoposto.

CONSENSO INFORMATO E RESPONSABILITÀ

A ciò va ad aggiungersi altri due elementi: la rilevanza del consenso informato e la definizione della responsabilità in caso di danni da vaccinazione.

Al momento della somministrazione del vaccino COVID il paziente dovrebbe essere informato sui possibili effetti collaterali. Successivamente, deve sottoscrivere un modulo per il consenso al trattamento sanitario volontario.

Molti si son chiesti a chi dovrebbero rivolgersi per un risarcimento in caso di reazioni avverse al vaccino.

Con la recente sentenza 12225/2021 la Cassazione ha spiegato che, qualora un farmaco dovesse causare danni a un paziente, il produttore sarebbe responsabile se il bugiardino non presentasse informazioni sufficientemente dettagliate da consentire un uso consapevole.

In sostanza, se al paziente non vengono offerte informazioni valide per sviluppare un consenso informato, è il produttore a doversi sobbarcare l’eventuale risarcimento.

È tutto da vedere come questa sentenza possa applicarsi alle vaccinazioni COVID.

OMESSA SORVEGLIANZA EPIDEMIOLOGICA E RISARCIMENTO DEI PARENTI DELLE VITTIME

Nel frattempo, lo scorso luglio si è svolta la prima udienza del processo avviato da 500 familiari di alcune delle vittime COVID di Bergamo contro il Ministero della Salute, la Regione Lombardia e il Governo, accusati di “atti omissivi o commissivi in violazione di legge e disposizioni normative nazionali e sovranazionali.

Secondo l’accusa, le istituzioni avrebbero mancato di svolgere una sorveglianza epidemiologica accurata. I ricorrenti hanno denunciato l’assenza del “piano che sarebbe dovuto essere redatto in base ad una decisione del parlamento europeo del 2013 rispettando quanto definito dalle linee guida dell’Oms e dell’Ecdc” e che avrebbe consentito di individuare il COVID prima del febbraio 2020, di impostare misure adeguate e, quindi, salvare molte vite.

Il risarcimento danni non patrimoniali richiesto ammonta a circa 100 milioni di euro.

Il lavoro dei tribunali sarà indispensabile nel definire meglio la questione dei risarcimenti legati alla vaccinazione e all pandemia. Il tema è infatti ancora molto recente e i riferimenti davvero molto scarsi.

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Il Garante della Privacy apre 3 istruttorie per uso dei droni a Roma e a Bari

L’uso dei droni finisce sotto la lente del Garante della Privacy, preoccupato per il crescente numero di iniziative “che prevedono con troppa facilità l’utilizzo dei droni“poiché “il ricorso sempre più frequente e per le finalità più diverse a questi strumenti potrebbe risultare lesivo della riservatezza delle persone riprese“.

DRONI E PRIVACY

I droni sono strumenti che, nella loro forma base, non comportano necessariamente la violazione della tutela delle informazioni personali.

Essi però possono essere dotati di una serie di tecnologie che permettono di registrate la posizione di un soggetto e captarne dati privati. Un drone può infatti essere fornito di telecamere, microfoni, sensori, riconoscimenti facciali, scanner a raggi infrarossi e antenne. Si tratta di tecnologia che invadono la sfera privata di un individuo, senza che questo abbia preventivamente dato il permesso.

Le regole per l’uso di droni da parte dei privati non mancano (dal GDPR al regolamento ENAC), anche se spesso vengono ignorate.

USO DEI DRONI, LE 3 ISTRUTTORIE DEL GARANTE

Il Garante ha aperto ben 3 istruttorie relative all’uso di droni in presunta violazione delle norme sul trattamento dei dati personali. Vediamole.

La misurazione della temperatura ai bagnanti di Ostia

L’idea avuta dal’ Asl Roma 3 di sorvolare la spiaggia di Ostia con dei droni dotati di termoscanner, e quindi capaci di rilevare la temperatura corporea di tutti i bagnanti, nn è piaciuta al Garante, che ha chiesto spiegazioni all’azienda a proposito del trattamento di dati sanitari raccolti, del titolare del trattamento, dei motivi, dell’affidabilità della rilevazione e anche delle conseguenze per i cittadini coinvolti nella misurazione.

La Polizia di Bari

Anche il Comune di Bari si è visto recapitare una richiesta simile.
La Polizia locale è già dotata di una flotta di droni che il Comune vorrebbe ampliare per monitorare “eventuali assembramenti incompatibili con le limitazioni dovute alla gestione della pandemia da Covid“.
Il Garante ha chiesto al Comune di fornire informazioni sulle caratteristiche dei droni, le finalità d’uso, la conservazione dei dati raccolti e altro.

La Polizia di Roma

Il Garante ha inviato una richiesta analoga a Roma Capitale, a seguito della notizia secondo cui la Polizia locale verrà dotata di 9 piccoli droni per monitorare il territorio e combattere illeciti ambientali, scarico di rifiuti abusivi, roghi tossici, abusi edilizi, ma anche il traffico.

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Avvocati: sul sito web no alla pubblicità ingannevole

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Usare sul proprio sito il termine “gratuito” viola dovere e decoro della professione

Il Cnf, con la sentenza n. 75/ 2021 rinvia un Avvocato del Foro di Padova al Consiglio distrettuale, che inizialmente aveva archiviato il procedimento a suo carico, per violazione del codice deontologico. Alla base della sentenza, la presenza, sul sito della professionista in questione, di pubblicità concernente prezzi irrisori per le proprie prestazioni e ricorso a pubblicità comparativa. Infatti, secondo i giudici, il messaggio trasmesso è -al contempo- ingannevole e lesivo della dignità e del decoro dell’Avvocatura.

Avvocati: si può procedere a livello disciplinare anche sulla base di denuncia anonima

Succede che il Consiglio dell’Ordine degli avvocati (COA) di Padova ricorra contro un provvedimento del Consiglio Distrettuale di Disciplina del Veneto con cui si dispone l’archiviazione di un procedimento a carico di una professionista iscritta. Alla base del ricorso, la segnalazione anonima di un cittadino relativa l’esistenza di un sito internet con cui la professionista reclamizza la sua attività facendo leva su prezzi bassi per le sue prestazioni, gratuità di primi appuntamenti, riscossione dei compensi solo a fine incarico e tariffe irrisorie.

 

 

A questo punto, il Consiglio archivia il procedimento: quanto pubblicato sul sito non è ingannevole e -nel complesso- la pubblicità si rivela conforme all’art. 10 della legge n. 247/2012. Quindi, il COA di Padova ricorre al Cnf sostenendo che: non è rilevante che l’esponente sia anonimo; con la sua condotta, l’Avvocato viola artt.17 e 35 del Codice Deontologico. In effetti, secondo il COA, tale pubblicità introduce prezzi inferiori alle tariffe minime e, per il linguaggio utilizzato, si potrebbe essere indotti a credere che le prestazioni sono ad un prezzo di favore -o addirittura gratuite-.

Così, il Cnf accoglie il ricorso: innanzitutto, la possibilità di procedere a livello disciplinare non riguarda l’anonimato della denuncia. In secondo luogo, nel caso in esame c’è concreta violazione degli articoli 17 e 35 del Codice Deontologico. In effetti, per gli iscritti all’albo, come già palesato in precedenza dal Cnf, vige il “divieto di adoperare forme di “pubblicità” professionale comparativa ed autocelebrativa e di offrire prestazioni professionali a compensi infimi o a forfait (…). In ultimo, nella cornice di ciò che non è permesso ai professionisti Avvocati, c’è l’utilizzo di termini quali “gratuito” in riferimento a pubblicità sulle loro prestazioni.

 

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Parcheggi riservati: donne in gravidanza, bimbi piccoli, disabili, bus scolastici e auto elettriche

Approvato ieri (2 settembre 2021) dal Governo il decreto infrastrutture recante alcune importanti novità per gli utenti della strada. Nello specifico, si tratta di modifiche alla normativa in materia di: parcheggi riservati a determinate categorie; sosta dei veicoli a due e quattro ruote. Infatti, ora, mamme in gravidanza -o con figli molto piccoli- e disabili vedono aumentare le loro tutele. Ciò significa che, dall’altra parte, in caso di violazione delle nuove norme, le sanzioni vengono elevate.

Obbligo comunale di istituire parcheggi ed aree riservati

Il nuovo decreto infrastrutture proroga al 15 ottobre la scadenza -stabilita in legge di bilancio 2021 per lo scorso 30 giugno- entro la quale, con ordinanza, i comuni devono istituire “spazi riservati destinati alla sosta gratuita dei veicoli adibiti al servizio delle donne in stato di gravidanza ovvero a prevedere la gratuità della sosta dei veicoli adibiti al servizio di persone con limitata o impedita capacità motoria muniti di contrassegno speciale, nelle aree di sosta o di parcheggio a pagamento, qualora risultino già occupati o indisponibili gli stalli a loro riservati”.

 

 

Lo stesso diritto al parcheggio riservato va anche alle famiglie con bambini di età inferiore ai 2 anni. Per poterne beneficiare, sarà necessario fare richiesta del “permesso rosa” al comune, il quale ne andrà a definire modalità di erogazione e condizioni, con apposito regolamento comunale.

Non solo. Il nuovo decreto infrastrutture prevede anche che, nel caso in cui un disabile trovi il proprio posto riservato occupato, egli possa parcheggiare all’interno delle strisce blu, senza pagare. In effetti, la disposizione estende a livello nazionale una norma che fino ad ora è stata attuata a livello comunale. In questo modo, si toglie incertezza alle persone diversamente abili che, di volta in volta, dovevano verificare il regolamento vigente ora nell’una, ora nell’altra città. Infine, è a discrezione del comune, la facoltà di riservare parcheggi a bus scolastici, auto elettriche e -eventualmente- allo scarico merci, limitatamente ad alcuni giorni ed ore.

Le nuove sanzioni per il divieto di sosta

Per la realizzazione ed il rispetto effettivo di quanto sopra descritto, si prevede, in caso di violazione, un forte aumento delle sanzioni. Dunque, il divieto di sosta sancito dall’art. 158 comma 2 del Codice della Strada viene esteso: agli spazi riservati allo stazionamento e alla fermata dei veicoli adibiti al trasporto scolastico; agli spazi riservati alla sosta dei veicoli utilizzati da donne in gravidanza o da genitori con figlio al di sotto dei due anni muniti di permesso rosa. Ora, nel caso di una loro violazione, scatta la sanzione amministrativa: la quale, nel caso di ciclomotori o motoveicoli a due ruote, va da un minimo di 80 euro ad un massimo di 328 euro; mentre, la stessa va da 165 a 660 euro se la violazione viene commessa con i restanti veicoli.

Invece, quando non si rispetta il divieto di sosta nelle fermate degli autobus, vengono applicate le sanzioni previste dal comma 5 dell’art. 158 CdS. Lo stesso accade in caso di sosta nella fermata dei filobus o dei mezzi che circolano su rotaie, e negli spazi destinati ai veicoli in servizio di piazza, proprio come nelle corsie e carreggiate riservate ai mezzi pubblici e nelle aree pedonali urbane.

Inasprite le sanzioni anche nel caso di parcheggio senza diritto nello spazio dei disabili (già contemplate dall’art. 188 del CdS). In questo caso, le multe salgono: da un minimo di 168 euro ad un massimo di 672 (attualmente siamo invece ad 87 e 344). Allo stesso modo, aumentano le sanzioni previste per chi, seppur munito dell’autorizzazione al parcheggio, non ne rispetti le condizioni ed i limiti. Qui, la sanzione minima e la massima salgono rispettivamente ad 87 e 344 euro (contro gli attuali 42 e 173 euro).

 

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Si attende il decreto con cui l’Italia si adeguerà alla direttiva europea sul whistleblowing e la protezione di coloro che segnalano violazioni del diritto dell’Unione (Direttiva UE 2019/1937).

L’Italia dovrà:

  • modificare l’attuale normativa sul whistleblowing e adeguare la tutela delle persone che segnalano violazioni di cui all’art. 2 della direttiva UE 2019/1937 e di coloro che rivestono le qualità indicate dall’art. 4 della stessa;
  • – coordinare le modifiche alle disposizioni vigenti, assicurando la massima protezione ai segnalanti, procedendo, se necessario, ad abrogazioni o inserendo disposizioni transitorie;
  • – introdurre nuove disposizioni, o conservare quelle attualmente già favorevoli alla tutela dei segnalanti, nel rispetto di quanto previsto articolo 25, paragrafo 1, della direttiva UE 2019/1937.

L’adeguamento va a integrare quanto già previsto dalla disciplina del whistleblowing nel settore pubblico del 2012 e quella nel privato del 2017.

COS’È IL WHISTLEBLOWING

Come si evince da quanto detto finora, la normativa sul whistleblowing consiste nella regolamentazione di tutte le procedure che hanno lo scopo di proteggere i soggetti che individuano un illecito sul lavoro e decidono di segnalarlo a un’autorità competente.
L’illecito denunciato può essere di diversa natura, da un’irregolarità operativa alla corruzione.
Nel momento in cui segnala, il whistleblower si pone in una situazione di potenziale pericolo e necessita dunque di tutelare il proprio anonimato e la propria posizione.

I WHISTLEBLOWER

L’art. 2 della Direttiva UE indica quali soggetti, sia del settore pubblico che privato, inserire nella categoria di segnalanti da tutelare.
Tra i whistleblower rientrano:

“a) le persone aventi la qualità di lavoratore ai sensi dell’articolo 45, paragrafo 1, TFUE [trattato sul funzionamento dell’Unione europea], compresi i dipendenti pubblici;
b) le persone aventi la qualità di lavoratore autonomo ai sensi dell’articolo 49 TFUE;
c) gli azionisti e i membri dell’organo di amministrazione, direzione o vigilanza di un’impresa, compresi i membri senza incarichi esecutivi, i volontari e i tirocinanti retribuiti e non retribuiti;
d) qualsiasi persona che lavora sotto la supervisione e la direzione di appaltatori, subappaltatori e fornitori (…)
comprese le persone segnalanti il cui rapporto di lavoro non è ancora iniziato nei casi in cui le informazioni riguardanti una violazione sono state acquisite durante il processo di selezione o altre fasi delle trattative precontrattuali.”

La Direttiva UE chiede l’istituzione di canali interni alle aziende, pubbliche e private, alternativi alle autorità esterne, che diano la possibilità di segnalare gli illeciti.

LE TUTELE

Il nucleo della riforma del whistleblowing risiede nelle misure di tutela a favore dei segnalanti.

La Direttiva chiede che venga assicurata la loro riservatezza pretendendo:

  • – il divieto di divulgarne i dati senza il loro consenso espresso,
  • misure di sostegno, anche legale sotto forma di patrocinio a spese dello stato,
  • – il divieto di forme di ritorsione (licenziamento, sospensione, mutamento di ruoli e funzioni, misure disciplinari, discriminazione, ecc.)

LE SANZIONI

L’art.23 della Direttiva UE dispone quanto a chi debbano essere impartite le sanzioni. Nel dettaglio:

“gli Stati membri prevedono sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive applicabili alle persone fisiche o giuridiche che:
a) ostacolano o tentano di ostacolare le segnalazioni;
b) attuano atti di ritorsione contro le persone di cui all’articolo 4;
c) intentano procedimenti vessatori contro le persone di cui all’articolo 4;
d) violano l’obbligo di riservatezza sull’identità delle persone segnalanti di cui all’articolo 16.”

Sono inoltre previste sanzioni anche per i coloro che segnalano volontariamente false irregolarità e forme di risarcimento per chi viene danneggiato da segnalazioni che violano la normativa nazionale.

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Avvocato- 4euro per un procedimento

L’Avvocato può essere pagato 4euro a procedimento

L’equo compenso deve essere interpretato in modo elastico

Nonostante le battaglie degli avvocati per il riconoscimento del rispetto della loro professione siano ormai all’ordine del giorno, è di qualche giorno fa una sentenza che è destinata a far molto discutere. Infatti, nella sentenza n. 9404/2021, il Tar del Lazio sostiene che, nel caso in cui l’Avvocato presti la propria opera professionale per la P.A., egli debba accettare anche 4 euro a procedimento. Ciò, in quanto, in questi casi, è l’Avvocatura di Stato a fare tutto il lavoro e la Pubblica Amministrazione -d’altro canto- deve rispettare precisi limiti di spesa.

L’equo compenso non è applicabile quando la prestazione viene resa alla Pubblica Amministrazione

Succede che un Consiglio dell’Ordine laziale ricorra al TAR per ottenere l’annullamento dell’”Avviso pubblicato dall’I.N.P.S., sul proprio sito istituzionale il 18 gennaio 2021, al fine di acquisire la disponibilità di n. 77 professionisti avvocati per svolgere incarichi di domiciliazione e/o sostituzione in udienza presso gli Uffici giudiziari del circondario del Tribunale di Roma”. In particolare, i ricorrenti sottolineano che prevedere un compenso medio di 4,2 euro per udienza, costituisca una palese violazione dei minimi tariffari e -al contempo- del principio dell’equo compenso (legge n. 247/2012 e dalla legge della regione Lazio n. 6/2019).

 

 

Tuttavia, il TAR del Lazio rigetta il ricorso, giudicandolo infondato. Ciò, in quanto dalla normativa sui compensi degli avvocati (artt. 13 e 13 bis legge n. 247 del 2012 e art. 19-quaterdecies decreto-legge n. 148/2017) emerge che “in tema di compensi in favore degli avvocati, la regola è data dalla libera pattuizione mentre l’eccezione (in caso ossia di mancato accordo tra le parti) dal rispetto dei minimi tariffari di cui all’apposito decreto ministeriale (DM n. 55/2014).” A questo punto, il TAR precisa che il riferimento alle tariffe si rende necessario solo nei casi in cui l’avvocato stipula convenzioni con banche o assicurazioni, le quali godono notoriamente di maggior forza contrattuale.

Invece, quando la prestazione è resa alla Pubblica Amministrazione, il concetto di equo compenso non può essere interpretato troppo rigidamente. Infatti, secondo il TAR, è necessario bilanciare da un lato l’esigenza di contenimento della spesa pubblica, dall’altro il fatto che il dominus di queste cause resta l’Avvocatura di Stato, che fa il lavoro più complesso ed elaborato. In questo quadro, il compenso di 4 euro per udienza “si dimostra perfettamente coerente con i princìpi di cui all’art. 36 Costituzione […]”.

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