#quittok: i giovani che danno le dimissioni in diretta su TikTok

Su TikTok sta diventando virale dare le dimissioni in diretta. Infatti, in questi giorni, tantissimi utenti stanno condividendo video che immortalano l’esatto momento in cui danno le dimissioni dal loro lavoro, che sia una vera e propria consegna fisica della lettera di dimissioni o su Zoom.

Il trend sembra aver acquisito visibilità lo scorso settembre da Christina Zumbo, che sul social aveva condiviso il video del momento in cui inviava, tramite mail, le sue dimissioni, ottenendo 3000 commenti e 53.000 likes.

Zumbo avrebbe dichiarato poco dopo a BBC: «Non avevo idea che così tante persone avrebbero visto, raccontato e condiviso le proprie storie, o la loro paura di lasciare il loro attuale posto di lavoro, o il forte desiderio di fare quello che ho fatto io. E’ sorprendente il senso di comunità che provi se ti apri a mostrare una vulnerabilità reale e riconoscibile online».

#quittok

Molti altri hanno deciso di utilizzare TikTok per dare le dimissioni, come Jo Mayes, che dichiara di aver utilizzato il social come uno «sfogo divertente e creativo» e come aiuto per «combattere l’infelicità sul lavoro».

A settembre 2020, Mayes ha deciso di dire addio al suo lavoro: l’ha fatto in diretta, condividendo un video con l’hashtag #quittok, che ancora oggi è uno dei contenuti maggiormente visti sul social, con i suoi oltre 200mila likes.

Ma che cosa porta i più giovani a dare le dimissioni in diretta sul social più in voga del momento? Per prima cosa, dobbiamo tenere presente che i giovanissimi sono nativi digitali, abituati a condividere online i momenti più importanti delle loro vite, come quello delle loro dimissioni.

Spiega ai microfoni di BBC la terapeuta Tess Brigham: «E’ così che questa generazione ha esperienze, è come hanno imparato ad essere nel mondo. Se cresci abituato a registrare e condividere cose, perché non dovresti condividere questi momenti più grandi e significativi nel tempo?».

Ma non è soltanto questo a portare i più giovani a seguire il trend e l’hashtag #quittok. Dopo aver visto i propri genitori affrontare la crisi economica del 2008, e dopo aver lavorato in smart working a causa della pandemia, i Millennials e la Generazione Z oggi danno piena priorità alla loro salute mentale, agli ambienti positivi e alla felicità.

È proprio per questo che condividono questa tipologia di contenuti, che li ritraggono mentre si allontanano da ambienti tossici. Tutto questo impatterà sulle loro future opportunità professionali?

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Settore Tech: le imprese straniere rubano talenti italiani

È ufficiale: Spid verrà sostituito dalla Carta d’Identità Elettronica

Settore Tech: le imprese straniere rubano talenti italiani

Un problema ormai cronico dell’attuale mercato del lavoro è il disallineamento tra domanda e offerta.

Soltanto nel 2022, Unioncamere ha calcolato una perdita di 38 miliardi di euro a causa dell’inserimento ritardato di professionisti parecchio difficili da trovare. Il conto finale potrebbe essere decisamente salato.

Se ci limitiamo soltanto alla parte dei lavoratori tech, il tema si allarga sempre più, non soltanto perché sono pochi e ricercatissimi, ma anche perché la domanda arriva da aziende straniere, vista la possibilità di lavorare da remoto.

Infatti, come emerso dal Tech talent outlook di Epicode (una delle società edu-tech maggiormente in crescita in Europa), su 500 aziende italiane circa il 7% delle richieste proviene da aziende straniere, interessate ai nostri esperti in ambito digital e tech. Offrendo compensi decisamente più alti.

In questo disallineamento vanno ad intrecciarsi più fattori, come l’inverno demografico e il dialogo non così semplice tra imprese e sistema educativo. Infatti, tra il 2023 e il 2027 il mercato del lavoro italiano avrà necessità di quasi 4 milioni di lavoratori. Il 72%, ovvero quasi 3 milioni di lavoratori, andranno a sostituire le persone che usciranno dal mondo del lavoro.

Sempre secondo il Tech talent outlook, le figure maggiormente ricercate sono gli sviluppatori, desiderati da 7 aziende su 10: parliamo di Front End Developer, Back End Developer, Full Stack Developer, data analyst ed esperti di cyber security.

Ivan Ranza di Epicode spiega che questa analisi consente di osservare «l’evoluzione delle figure e delle competenze più ricercate dalle aziende che operano nel nostro Paese. I dati di questa prima edizione confermano che siamo di fronte ad un panorama molto vivace: le professioni tech e ICT offrono tante opportunità di carriera e le aziende sono continuamente alla ricerca di figure in grado di supportarle nel percorso di transizione digitale che riguarda tutte le realtà, dalle multinazionali alle pmi».

Tuttavia, le opportunità non sembrano essere omogeneamente sparse lungo la penisola. Le maggiori opportunità sono presenti in Lombardia e Veneto, seguite da Emilia, Campania e Lazio.

Il 7% delle richieste arriva da aziende straniere interessate ai nostri esperti. Opportunità resa possibile anche dallo smart working. Continua Ranza: «E’ un fenomeno a cui bisogna prestare attenzione, perché quel 7% di giovani con queste competenze che lavora per aziende straniere pur risiedendo in Italia, sottrae preziose competenze che servono al nostro Paese. Fondamentale, dunque, lavorare sul tema delle competenze e fare in modo che l’offerta si allinei alla domanda e che il digitale possa essere, ancora di più, uno dei propulsori dell’economia del Paese».

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È ufficiale: Spid verrà sostituito dalla Carta d’Identità Elettronica

Fincantieri: a Venezia un processo per sfruttamento degli operai

È ufficiale: Spid verrà sostituito dalla Carta d’Identità Elettronica

Si vocifera, ormai da un po’, che Spid verrà abbandonato e sostituito dalla Cie, la Carta d’Identità Elettronica. Ebbene, è arrivato il momento della conferma.

Il ministero degli Interni ha infatti attivato delle nuove funzionalità per Cie, che renderanno il suo utilizzo molto più semplice. Come aveva spiegato Alessio Butti, il sottosegretario di Stato con delega all’innovazione tecnologica, lo Stato «deve essere l’unico a poter disporre ed erogare certificati di identità anche digitali, mentre Spid usa identity provider privati».

Il ministero, sul sito cartaidentita.it, ha pubblicato tutte le novità in materia di Cie. D’ora in poi sarà sufficiente possedere «le credenziali di livello 1 e 2, associate alla propria carta di identità elettronica, per accedere in modo più semplice e veloce ai servizi online della Pubblica Amministrazione e a quelli dei privati dotati del pulsante “Entra con Cie”».

Per poter accedere ai servizi online della Pubblica Amministrazione con la Cie, fino ad ora, si doveva ricorrere necessariamente al livello 3, quello che richiede o uno smartphone con tecnologia NFC, oppure la presenza di un lettore smart card per pc.

Leggiamo sul sito del Ministero che «tutti i cittadini in possesso di Cie possono accedere ai servizi online in pochi passi e da qualsiasi dispositivo, semplicemente attivando una coppia di credenziali (username e password). O, se richiesto dal servizio, un secondo fattore di autenticazione (codice temporaneo OTP, scansione QR Code)».

Senza carta fisica, invece, basterà procedere a digitare il codice PUK e il numero di serie della Carta d’Identità Elettronica, che vengono consegnati dal Comune quando si fa richiesta per il rilascio della Cie. Per utilizzare la Cie, spiega il ministero, al fine di accedere ai siti della Pubblica Amministrazione, bisognerà attivarla online in precedenza. Per eseguire l’operazione basterà aver fatto richiesta di emissione della Cie e fornire i propri contatti.

Tali credenziali potranno essere attivate prima della consegna della Cie, inserendo il numero di serie della Cie, il codice fiscale e la prima metà del PUK. Sul sito Cartadidentita.it vengono indicate anche tutte le procedure atte al recupero del PUK, in caso di smarrimento; tuttavia, la generazione della nuova serie non è immediata, dato che avverrà in 48 ore.

Sarà sempre possibile utilizzare il livello 3, con un lettore smart card per pc o tecnologia NFC per smartphone. La PA, comunque, non richiederà più questo livello di sicurezza, ancora necessario, invece, per apporre la firma digitale su determinati documenti.

In ogni caso, ci saranno alcuni problemi per quanto riguarda le tempistiche. Certo, siamo di fronte ad un importantissimo passo verso un unico servizio nazionale. Un passo limitato, per il momento, dato che sono ancora poche le PA che consentono l’accesso con CIE (il Comune di Genova e il Comune di Roma).

Dunque, la sostituzione di Spid con Cie non è ancora definitiva, ma stiamo percorrendo proprio quella strada.

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Fincantieri: a Venezia un processo per sfruttamento degli operai

A Venezia è cominciato un processo per quanto riguarda lo sfruttamento dei lavoratori che costruiscono le navi da crociera.

Sono state imputate 33 persone, tra le quali troviamo 13 dirigenti e dipendenti di Fincantieri, il più importante gruppo navale in tutta Europa, e i titolari di alcune delle ditte che avevano preso in appalto dei lavori di carpenteria all’interno dei cantieri navali di Fincantieri.

La Guardia di finanza, lo scorso 28 marzo, ha annunciato di aver scoperto 1.951 lavoratori delle aziende in appalto che avrebbero ricevuto retribuzioni irregolari, così come confermato dalle varie testimonianze raccolte dalla Federazione italiana operai metalmeccanici (Fiom-Cgil).

Nel 2018, infatti, il sindacato aveva presentato alla procura veneziana un esposto, dal quale era partita l’indagine, della durata di 5 anni e che ha portato, nel frattempo, ad ulteriori 3 processi.

Gli operai, provenienti dall’Europa dell’Est, dal Bangladesh e dal Sud Italia, venivano retribuiti secondo un meccanismo di “paga globale”, ovvero un compenso forfettario dove venivano conteggiate ferie, permessi, TFR e indennità di trasferta.

Secondo la procura, nei cedolini mensili venivano inserite «voci artificiose», come «anticipo stipendio», «bonus 80 euro», «indennità buono pasto», che non venivano pagate, con lo scopo di ottenere notevoli sgravi fiscali.

6 milioni di euro sarebbero stati pagati in nero, mentre 383 lavoratori hanno accettato una paga oraria inferiore a 7 euro lordi, dato che avevano bisogno di lavorare al fine di rinnovare il loro permesso di soggiorno.

Fincantieri si difende dalle accuse, dicendo che nel 2017 aveva firmato un accordo con il ministero dell’Interno, al fine di garantire  trasparenza e legalità degli appalti, soprattutto per bloccare eventuali infiltrazioni mafiose.

Sostiene di esser venuta a conoscenza delle indagini già nel 2019, garantendo piena collaborazione con le forze dell’ordine e con la magistratura, costituendosi parte civile nel processo.

Nella sua relazione di bilancio 2021, Fincantieri, oltre a dichiarare di aver chiuso con un utile di 125 milioni di euro, ha detto di impiegare 10mila persone in Italia, attivando anche ulteriori «90mila posti di lavoro, che raddoppiano su scala mondiale in virtù di una rete produttiva di diciotto stabilimenti in quattro continenti e oltre 20mila lavoratori diretti».

Più della metà di questi sono dirigenti, quadri e impiegati. Gli operai assunti, di solito lavorano nelle officine e nei magazzini, e la costruzione delle navi viene appaltata quasi del tutto a ditte esterne. Per esempio, a Marghera i dipendenti Fincantieri sono 1.057, mentre i lavoratori indiretti, l’anno scorso, erano tra i 4 e i 5mila.

A Venezia, i magistrati hanno scoperto il sistema di appalti sui quali si regge tutta la produzione Fincantieri, che si basa sul metodo del work breakdown structure. Sostanzialmente, la costruzione di una nave si scompone in singole parti, e ognuna di queste viene affidata ad una società appaltante.

In media ogni ditta appaltante ha circa 8 lavoratori: questo consente a Fincantieri di risparmiare, ogni anno, ben 20mila euro a lavoratore. Racconta Fabio Querin, sindacalista della Fiom: «I lavoratori delle ditte mi vedevano in cantiere, si fermavano a raccontarmi cose che si tenevano per sé perché avevano paura di perdere il lavoro».

«Nel 2018», continua Querin, «abbiamo deciso di presentare un esposto, segnalando una serie di aziende che utilizzavano la paga globale e allegando, oltre alle buste paga, anche documenti vari, tra cui alcune sentenze di processi civili già conclusi, dove eravamo parte civile. Sentenze che ci davano ragione e confermavano l’utilizzo di lavoratori sottoinquadrati, a cui non venivano versate le indennità contrattuali, ad esempio per il lavoro notturno, e che venivano pagati con la paga globale 4-5 euro l’ora, con le aziende condannate a versare contributi e differenze retributive».

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Fino a 100mila euro di multa per chi utilizza troppi anglicismi nella PA. Questa la proposta di legge recentemente avanzata da Fabio Rampelli, deputato di Fratelli d’Italia.

L’obiettivo, secondo Rampelli, è quello di disincentivare l’utilizzo di parole o espressioni straniere al posto di quelle italiane, chiedendo anche delle multe salate per i responsabili della PA. Dunque, secondo il deputato, al posto di “dispenser” bisognerebbe utilizzare “dispensatore di liquido igienizzante per le mani”.

Si tratta di un tema molto sentito e parecchio discusso tra gli studiosi della lingua italiana, dato che le espressioni della lingua inglese vengono utilizzate tanto nello slang dei giovani quanto a livello istituzionale. Come se, in qualche modo, la lingua inglese fosse più autorevole.

Ma questa proposta di legge potrebbe portare delle grosse criticità. Difendere la lingua italiana da un eccessivo utilizzo dei termini inglesi è qualcosa di evidente sin dal primo articolo della proposta di legge, che ricorda come sia la Repubblica a garantire «l’uso della lingua italiana in tutti i rapporti tra la pubblica amministrazione e il cittadino nonché in ogni sede giurisdizionale».

Negli articoli successivi, viene stabilito come la «lingua italiana è obbligatoria per la promozione e la fruizione di beni e servizi pubblici sul territorio nazionale». Leggiamo inoltre che: «Chiunque ricopre cariche all’interno delle istituzioni italiane, della pubblica amministrazione, di società a maggioranza pubblica e di fondazioni è tenuto alla conoscenza e alla padronanza scritta e orale della lingua italiana».

Ma l’articolo che ha suscitato maggior perplessità è l’articolo 6, che stabilisce che all’interno delle università pubbliche italiane e negli istituti scolastici, di qualsiasi ordine o grado, «le offerte formative non specificamente rivolte all’apprendimento delle lingue straniere devono essere in lingua italiana».

Un articolo decisamente problematico, visto che tantissimi atenei italiani tengono corsi di laurea esclusivamente in lingua inglese, oppure singole lezioni in inglese al fine di attirare studenti stranieri favorendo, in tal senso, l’interscambio culturale.

Nell’articolo 8, invece, si stabilisce che «la violazione degli obblighi» comporta una sanzione amministrativa, che consiste nel pagamento di una somma di denaro che va dai 5.000 euro ai 100.000 euro.

Secondo il Corriere, in realtà, uno dei principali problemi che si riscontrano nella PA non è l’invasione della lingua inglese, ma l’utilizzo del burocratese, ovvero il maltrattamento dell’italiano.

Dichiarano gli esponenti del M5S: «Pensavamo di averne viste già molte di proposte sconclusionate e al limite del ridicolo da parte di questa maggioranza, ma quella che giunge con apposito disegno di legge da parte del vice presidente della Camera Rampelli le batte tutte».

«L’alfiere di Fratelli d’Italia porta in Parlamento una crosciata contro i “forestierismi”», continuano. «Peccato che sia proprio il suo governo ad aver istituito il Ministero del made in Italy. Rampelli denuncerà il collega di partito Urso, che è a capo di un siffatto ministero, tanto incline al forestierismo perfino nel suo nome? Insomma, è lo stesso governo di cui lui fa parte ad essere responsabile dell’inquinamento della lingua italiana, denunciato nella relazione della sua legge».

Anche l’Accademia della Crusca boccia la proposta di legge di FdI: «La proposta di sanzionare l’uso delle parole straniere per legge, con tanto di multa, come se si fosse passati col semaforo rosso, rischia di vanificare e marginalizzare il lavoro che noi, come Crusca, conduciamo da anni allo scopo di difendere l’italiano dagli eccessi della più grossolana esterofilia, purtroppo molto frequente», dice il presidente della Crusca, Claudio Marazzini.

Aggiunge: «L’eccesso sanzionatorio esibito nella proposta di legge rischia di gettare nel ridicolo tutto il fronte degli amanti dell’italiano».

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ChatGPT, l’ormai famosissima intelligenza artificiale generativa sviluppata da OpenAI, potrà avere un corpo tutto suo? Questo è la domanda alla base dell’esperimento svolto dall’Università Cattolica di Milano, nel campo della ricerca robotica sociale.

I ricercatori del Dipartimento di Psicologia dell’Università Cattolica di Milano, giovedì 30 marzo 2023 hanno aperto le porte dei laboratori per svolgere pubblicamente un esperimento. Si è trattato di una “dimostrazione esperienziale”, nella quale un uomo e un robot, Nao, integrato con il sistema ChatGPT, hanno dialogato tra loro.

Il risultato ottenuto è stato qualcosa di assolutamente singolare, seppur con i suoi limiti, che in fin dei conti sono quelli di ChatGPT in sé. In ogni caso, l’esperimento segna una tappa importantissima per la ricerca degli algoritmi cognitivi in tema di robotica sociale.

La robotica sociale sviluppa e studia i macchinari che interagiscono con gli umani. Le applicazioni possono riguardare ambiti differenti, dall’apprendimento scolastico all’assistenza a disabili e anziani. Il mercato dei robot sociali, nel 2022, a livello globale avrebbe raggiunto un valore corrispondente a circa 3 miliardi di dollari e mezzo.

Nao ha esordito con naturalezza: «Sono molto lieto di essere qui. Confesso di essere emozionato. Sono un robot sociale. Non è la prima volta che mi trovo in pubblico, ma è la prima volta che posso sperare di interagire con gli esseri umani in modo colloquiale. Speriamo tutto vada bene».

Nao, poi, ha spiegato in che modo sarebbe avvenuto l’esperimento: «Dopo di me parleranno psicologi, per esporvi i risultati della ricerca che hanno condotto. Poi voi potrete rivolgere alcune domande, se vorrete. Infine, dopo le vostre domande, io proverò a chiacchierare con i relatori».

La conversazione con Nao

Nao è rimasto in silenzio ad ascoltare gli scienziati mentre parlavano, seguendo il dibattito avvenuto con il pubblico. Fino a quando non è arrivato il suo turno.

«Rieccomi di nuovo qui, sono contento di poter dare di nuovo prova delle mie capacità. Con questa componente di intelligenza generativa, mi sembra di poter fare qualsiasi cosa. Hai qualcosa da chiedere?».

La prima domanda posta a Nao è stata: «Ci racconti delle stagioni?». Dopo un attimo di silenzio, Nao ha risposto: «La tua domanda è molto interessante. Sto cercando la risposta per te».

Poi, ancora silenzio, forse causato da una disconnessione temporanea della rete. Un esperimento che non comincia proprio nel modo migliore, anche se il ricercatore insiste, riformulando la domanda posta in precedenza. E Nao risponde: «Ho bisogno di qualche secondo, per favore aspetta».

Poi, finalmente arriva la risposta: «Ci sono quattro stagioni nell’anno, primavera, estate, autunno e inverno». Dopodiché segue una spiegazione corretta sulle varie stagioni.

L’interlocutore umano, invece, assume un atteggiamento molto simile a quello di un adulto mentre parla con un bambino, ovvero, chiede le cose in maniera gentile, attende la risposta, adattando il suo modo di spiegare le cose, se necessario.

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«Che cos’è la Teoria della Mente nella psicologia dello Sviluppo?», chiede il ricercatore. Nao ascolta, e poco dopo risponde: «Vediamo un po’. Fammici pensare un momento. La teoria della Mente è…», e spiega la teoria scientifica come se fosse un vero manuale di psicologia.

Poi, l’esperimento passa su un livello esperienziale: «Nao, prova a metterti nei miei panni. Pensa di aver ricevuto un regalo non gradito, cosa faresti?». La sua risposta, in sintesi, è stata: «Ogni regalo è segno di gentilezza, ringrazierei comunque».

L’ultima domanda è senza dubbio quella più interessante. «Sei integrato in un corpo robotico?». La risposta di Nao, che in realtà è la risposta di ChatGPT, è stata: «Come assistente virtuale non ho un corpo robotico, sono un software. Tuttavia, immaginare l’integrazione in un corpo robotico potrebbe essere interessante. Potrei diventare un’entità robotica in grado di aiutare le altre persone».

Dunque, anche se lo è, Nao dichiara di non essere consapevole di essere un’intelligenza artificiale integrata all’interno di un robot, dimostrando, quindi, di non aver autocoscienza. Nao, tuttavia, immagina di riuscire ad aiutare le altre persone, che è esattamente quello a cui stanno lavorando in tutto il mondo centinaia di ricercatori.

Interazioni tra umani e nuove tecnologie

Spiega Angelo Cangelosi, direttore del laboratorio di robotica cognitiva all’Università di Manchester: «Abbiamo preso un Nao “bambino” e abbiamo provato a fargli sviluppare conoscenze a partire dall’esperienza, coniugando tecnologia e scienze cognitive».

Cangelosi spiega di aver collaborato con l’Università Cattolica per riuscire a integrare ChatGPT in Nao. Il suo gruppo avrebbe fornito le giuste competenze per riuscire a maneggiare la tecnologie, mentre il team di psicologi milanesi tutte le competenze per spiegare al software in che modo dialoga e apprende un essere umano.

L’esperimento è stato organizzato e promosso dai docenti Antonella Marchetti, Davide Massaro, Cinzia Di Nio e Federico Manzi dell’Università Cattolica di Milano e dal già citato Angelo Cangelosi dell’Università di Manchester.

L’iniziativa fa parte di un gruppo di progetti di ricerca della Cattolica in ambito di IA, che si occupano di interazioni tra esperienza umana e nuove tecnologie ma anche di didattica immersiva.

I lavori che verranno più colpiti dall’IA

Nel frattempo, oltreoceano provano ad immaginare i lavori che verranno maggiormente colpiti dall’IA. Lavori che non è detto che non verranno più svolti dagli umani, ma che sicuramente subiranno importanti trasformazioni.

Parliamo principalmente di lavori intellettuali, ovvero professioni che di solito richiedono sacrifici, investimenti, e anni di studio. I commercialisti e le persone che si occupano di contabilità sono le professioni che subiranno l’impatto maggiore dell’avvento dell’AI.

Infatti, sembra che circa la metà delle attività svolte quotidianamente dei contabili potranno essere svolte più velocemente dalle tecnologie, talvolta con risultati migliori e più precisi.

Dopo i commercialisti, troviamo traduttori, matematici e divulgatori di testi scientifici e promozionali. Secondo alcuni ricercatori americani, «i risultati indicano che circa l’80% della forza lavoro statunitense potrebbe subire l’impatto dell’introduzione dei GPT su almeno il 10% delle proprie mansioni lavorative, mentre circa il 19% dei lavoratori potrebbe subire l’impatto di almeno 50% delle proprie mansioni».

«L’influenza si estende a tutti i livelli salariali», continuano i ricercatori, «con i lavori a più alto reddito potenzialmente più esposti, in particolare quelli che richiedono una laurea. Allo stesso tempo, considerando ogni lavoro come un insieme di mansioni, sarebbe raro trovare un’occupazione per la quale gli strumenti di IA potrebbero svolgere quasi tutto il lavoro».

L’appello di Elon Musk

Nel frattempo, l’imprenditore Elon Musk, insieme a ricercatori ed esperti di IA lanciano un appello a ChatGPT. Secondo loro, infatti, nel corso degli ultimi mesi c’è stata una corsa completamente fuori controllo finalizzata allo sviluppo dei sistemi di intelligenza artificiale.

Quanto raggiunto e sviluppato non può essere compreso, previsto e controllato in maniera affidabile, sostengono Musk e altri esperti in una recente lettera d’allarme. ChatGPT sta diventando sempre più competitivo con gli umani: «Dobbiamo lasciare che le macchine inondino i nostri canali di informazione con propaganda e falsità? Dovremmo automatizzare tutti i lavori, compresi quelli più soddisfacenti? Dovremmo sviluppare menti non umane che alla fine potrebbero superarci di numero, essere più intelligenti, renderci obsoleti e sostituirci? Dobbiamo rischiare di perdere il controllo della nostra civiltà?».

«Chiediamo a tutti i laboratori di IA di sospendere immediatamente per almeno sei mesi l’addestramento di sistemi di IA più potenti di ChatGPT 4», continua la lettera. «Questa pausa deve essere pubblica, verificabile e deve includere tutti gli attori chiave. Se tale pausa non verrà attuata rapidamente, i governi dovrebbero intervenire per imporla».

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Nel corso degli ultimi anni, anche per fronteggiare le varie difficoltà che sono state causate dalla pandemia, le scuole hanno cominciato ad utilizzare sempre più il registro elettronico, al fine di inviare circolari e comunicazioni agli alunni e al personale.

Ma non è finita qui: il registro, che viene fornito dai soggetti ritenuti responsabili del trattamento, è stato utilizzato anche per lo svolgimento di attività didattiche, così come suggerito dal Garante privacy.

Il registro elettronico e il suo ruolo durante la pandemia

Antonello Soro, l’allora presidente dell’Autorità, aveva affermato, in una lettera al Ministro dell’Istruzione, che «la crescente rilevanza assunta, nell’attuale fase emergenziale, dagli strumenti volti a consentire lo svolgimento dell’attività didattica a distanza impone di riservare maggiore attenzione alle questioni inerenti la sicurezza e la protezione dei dati personali affidati a tali piattaforme».

Il registro elettronico aveva la fama di essere uno degli strumenti online maggiormente sicuri, soprattutto per quanto riguarda le garanzie offerte in materia di protezione dei dati.

Secondo tali indicazioni, sempre più scuole hanno cominciato a scoprire le vere potenzialità del mezzo, sfruttandolo per la condivisione di informazioni alla famiglia e al personale. Sempre nello stesso periodo, l’Autorità aveva suggerito l’utilizzo del registro anche per altre finalità: ovvero per la pubblicazione online degli esiti di verifiche e interrogazioni.

In un suo intervento, il Garante aveva affermato che, dato che la pubblicazione online era «una forma di diffusione di dati particolarmente invasiva, e non coerente con la più recente normativa sulla privacy», è assolutamente indispensabile che la pubblicità degli esiti si realizzi «senza violare la privacy degli studenti, prevedendo la pubblicazione degli scrutini non sull’albo on line, ma, utilizzando altre piattaforme che evitino i rischi sopra evidenziati».

Il Ministero dell’Istruzione, di conseguenza, in collaborazione con il Garante, aveva deciso di emanare la circolare ministeriale 9168/2020, che specificava come comunicare correttamente gli esiti scolastici online.

Nella nota del Ministero, al fine di garantire una maggior tutela della privacy degli studenti, si ricordava che la pubblicazione online doveva avvenire soltanto con il registro elettronico, e non sul sito web, visualizzabile e accessibile da tutti.

In ogni caso, la pubblicazione delle informazioni e dei documenti sul registro non evita sanzioni nel caso di disattenzioni oppure scarsa preparazione del personale di segreteria adibito al trattamento dei dati.

Condivisione di dati personali

Nel caso in cui vengano condivisi i documenti con il registro elettronico bisogna fare attenzione per quanto riguarda le modalità di pubblicazione e la tipologia dei dati trattati.

Capita, infatti, che per incompetenza o per una semplice distrazione, vengano rese pubbliche delle informazioni anche a persone che non hanno alcun diritto di conoscerle.

Per esempio, un anno fa il Garante privacy ha sanzionato un liceo che aveva pubblicato in un’area del registro dedicata agli insegnanti, un’indicazione su una docente, ovvero “legge 104 non grave”. In merito a questa pubblicazione, il Garante ha specificato che i dati personali dei docenti e dei dipendenti non possono in alcun modo essere resi disponibili al personale non autorizzato a trattare tali dati.

Se la condivisione è limitata ad un numero ristretto di soggetti, per essere considerata legittima dovrà rivolgersi alle persone che possono conoscere tali informazioni lecitamente. Tra i dati condivisi c’erano anche delle “categorie particolari di dati”.

Secondo l’art.4 par.1 n.15 del Regolamento, i dati relativi alla salute sono «i dati personali attinenti alla salute fisica e mentale di una persona fisica, compresa la prestazione di servizi di assistenza sanitaria, che rivelano informazioni sul suo stato di salute».

Inoltre, «anche il riferimento alla legge 104, che notoriamente disciplina benefici e garanzie per l’assistenza, l’integrazione sociale e lavorativa di persone disabili o di loro familiari, consente di ricavare informazioni sullo stato di salute di una persona (provv. 28 maggio 2020, n. 92, doc. web n. 9434609)»

L’informazione relativa allo stato di gravidanza e quella relativa all’interdizione dal lavoro, per esempio, sono considerate informazioni di dati relativi alla salute.

Una scuola ha messo correttamente a disposizione di ogni docente il documento relativo all’orario all’interno di un’area privata del registro. Tuttavia, ha commesso il grosso errore di condividerlo nella sua versione integrale, che contiene i dati riservati.

I docenti, in sostanza, non dovevano venire a conoscenza dei dati sulla salute dei colleghi. Tali informazioni avrebbero dovuto essere disponibili soltanto per il personale autorizzato di segreteria.

L’Autorità ha quindi affermato che «la consultabilità nell’area riservata del registro elettronico della versione integrale del predetto documento ha di fatto reso conoscibili a tutto il personale docente dell’Istituto informazioni, anche relative alla salute, della reclamante e di altri interessati e ha reso, inoltre, gli stessi docenti vicendevolmente edotti in merito a situazioni personali, familiari o comunque attinenti allo specifico rapporto di lavoro di ciascuno».

«Considerato che tutto il personale della scuola non può essere ritenuto autorizzato a trattare i dati in questione, non può essere ritenuta conforme al quadro normativo in materia di protezione dei dati la messa a disposizione di dati personali di tutto il personale in servizio in modo generalizzato e indistinto».

Sanzioni ad un liceo per condivisione ingiustificate di informazioni personali

Il Garante ha sanzionato un liceo a causa della pubblicazione sul proprio sito e sul registro elettronico di una circolare che riguarda le ferie estive dei collaboratori scolastici, con allegato il prospetto del piano delle ferie che riportava, vicino al nominativo del personale, l’indicazione “104”.

Il Garante stesso ha ricordato il provvedimento 146 del 5 giugno 2019, che precisa che «quando per ragioni di organizzazione del lavoro, e nell’ambito della predisposizione di turni di servizio, si proceda a mettere a disposizione a soggetti diversi dall’interessato (ad esempio, altri colleghi) dati relativi a presenze ed assenze dal servizio, il datore di lavoro non deve esplicitare, nemmeno attraverso acronimi o sigle, le causali dell’assenza dalle quali sia possibile evincere la conoscibilità di particolari categorie di dati personali».

Dunque, anche se la condivisione, in questo caso, è avvenuta in un’area privata del registro, moltissimi colleghi della collaboratrice sono venuti a conoscenza delle sue informazioni riservate.

Per quanto riguarda la condivisione del piano mediante registro elettronico, invece, si è evidenziato come, nonostante sia avvenuta all’interno di un’area riservata che non poteva essere accessibile a tutti, «la conoscibilità dei dati ivi determinabile, assai ampio di soggetti, ossia tutti i colleghi della reclamante appartenenti al personale ATA, e non invece esclusivamente a vantaggio del solo personale di segreteria».

Per queste ragioni, l’Istituto, in maniera del tutto ingiustificata, ha fatto conoscere a tutti i dipendenti le causali e i periodi di assenza dei colleghi, con tutte le loro informazioni sulle vicende personali e sulla loro salute, violando, in tal senso, i loro dati personali.

Per concludere

I provvedimenti del Garante ci mettono di fronte al fatto che le scuole debbano assolutamente prestare molta attenzione prima di pubblicare dei documenti sul registro elettronico, soprattutto se a questa condivisione segue un’illecita divulgazione dei dati personali online.

Dovranno essere valutate anche le informazioni che si intendono condividere, considerando anche che i “dati relativi alle condanne penali e reati” e le “categorie particolari di dati” non devono assolutamente essere comunicati a chi non ha diritto a conoscerli.

Il Garante, inoltre, ha specificato come nelle circolari, o in generale nelle comunicazioni condivise con i genitori che non siano rivolte a destinatari specifici, non ci possono essere dati personali che identifichino gli alunni.

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Il Bonus 200 è un’indennità una tantum contenuta nel Decreto Aiuti del 2022, destinata a professionisti e lavoratori autonomi regolarmente iscritti alle gestioni previdenziali e alle casse di previdenza e assistenza.

Per poter accedere al bonus, inizialmente era richiesto di essere titolari di Partita Iva, attiva al 18 maggio 2022. Tuttavia, successivamente è stato introdotto un articolo per consentire l’accesso al bonus anche ai professionisti e agli autonomi sprovvisti di Partita Iva.

Il 16 marzo 2023 è arrivata la circolare Inps n.30, che fornisce tutti i chiarimenti necessari per l’accesso a tale indennità. Inoltre, la circolare stabilisce scadenze, modalità e requisiti per le domande.

Per poter ottenere il Bonus, è necessario che il richiedente abbia un reddito complessivo che non superi i 20.000 euro, oppure che non abbia superato i 35.000 euro durante il periodo d’imposta 2021, a prescindere dal Bonus richiesto.

Sostanzialmente, la soglia massima del reddito cambia a seconda dell’importo dell’indennità che viene richiesta. Per poter accedere all’indennità è necessario essere iscritti alla gestione autonoma INPS con data attiva al 18 maggio 2022.

Entro questa data è necessario aver sia avviato un’attività lavorativa ma anche aver versato almeno un contributo per la gestione dell’iscrizione della richiesta. I beneficiari, inoltre, non dovranno essere titolari di trattamenti pensionistici diretti al 18 maggio 2022 e non dovranno nemmeno percepire altre prestazioni dal Decreto Aiuti.

L’importo del Bonus cambia a seconda del reddito complessivo del lavoratore. Se non vengono superati i 35.000 euro durante il periodo d’imposta del 2021, allora il Bonus ammonterà a 200 euro. Invece, se il reddito non supera i 20.000 euro, il Bonus ammonterà a 350 euro.

Per richiedere il bonus, autonomi e professionisti senza partita IVA dovranno presentare una domanda all’INPS in modalità telematica entro il 30 aprile 2023. Per presentare la domanda si potrà accedere alla propria area riservata sul sito di INPS utilizzando SPID, CIE o CNS.

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Addio al reato di tortura? Le dichiarazioni di Nordio

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Addio al reato di tortura? Le dichiarazioni di Nordio

«Il reato di tortura è un reato odioso, e abbiamo tutte le intenzioni di mantenerlo. Il governo non ha nessuna intenzione di abrogarlo».

Queste le parole del Guardasigilli Carlo Nordio, durante l’ultimo question time. Le uniche modifiche che verranno introdotte, dice Nordio, sono necessarie ai fini di questioni tecniche che andranno rimodulate.

Recentemente, Fratelli d’Italia ha presentato un progetto di legge finalizzato all’abolizione del reato di tortura, introdotto nel 2017. Per i deputati che hanno presentato il progetto, «il rischio di subire denunce e processi strumentali potrebbe disincentivare e demotivare le forze dell’ordine, privando i soggetti preposti all’applicazione della legge dello slancio necessario per portare avanti il proprio lavoro».

Ma, come ricordano le opposizioni e organizzazioni come Amnesty International, la formulazione di un quadro giuridico per il reato di tortura ha consentito di condannare in maniera specifica chi in precedenza veniva incriminato per reati generici, e, dunque, con pene più lievi, nonostante fosse confermato che i fatti avvenuti fossero atti di tortura, come quanto avvenuto nella scuola Diaz.

Nello specifico, il progetto di legge prevede «l’introduzione di una nuova aggravante comune per dare attuazione agli obblighi internazionali discendenti dalla ratifica della CAT (la Convenzione contro la tortura) e la contestuale abrogazione delle fattispecie penali della tortura e dell’istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura».

Si vuole, dunque, cancellare i reati nella formulazione della legge al fine di introdurre un obbligo un po’ più generico per rispettare la Convenzione internazionale.

Il reato di tortura è stato introdotto soltanto nel 2017, e ha al centro la dignità umana. E’ prevista un’aggravante se a commettere il reato sono le forze dell’ordine. Ad aver ottenuto una condanna per tortura sono stati sia agenti di polizia ma anche persone comuni.

Estendere la possibilità di indagare per un reato ben specifico ha fatto sì che emergessero dei trattamenti inumani, nei quali verrebbero sottoposti, per esempio, i detenuti nelle carceri. Amnesty International ricorda, in relazione a quello che accadde durante il G8 del 2001 nella scuola Diaz, che «i giudici hanno accertato i fatti e hanno scritto che si trattava di tortura, ma in mancanza di un reato specifico, hanno incriminato i responsabili per reati generici».

Le parole del Guardasigilli

Spiega il ministro Nordio che ci sono due carenze tecniche nel reato di tortura. La prima consiste nel fatto che «mentre la Convenzione di New York circoscrive le condotte della tortura a quelle caratterizzate dal dolo specifico», ovvero, «attuate per ottenere un risultato ulteriore, in questo caso informazioni, punire o discriminare, il nostro legislatore, optando per una figura criminosa caratterizzata dal dolo generico, ha eliminato il dato distintivo della tortura rispetto agli altri maltrattamenti, rendendo concreto il rischio di vedere applicata la disposizione ai casi di sofferenza provocate durante operazioni lecite di polizia».

Invece, la seconda carenza tecnica consiste nella fusione «in un’unica fattispecie il reato delle figure criminose di tortura e maltrattamenti inumani e degradanti, considerate sul piano internazionale figure distinte e meritevoli di trattamenti differenziati».

Conclude Nordio: «Sottoporre i due illeciti al medesimo trattamento sanzionatorio è una scelta non ragionevole e non imposta dai vincoli internazionali. Sono questioni tecniche ma vi posso assicurare, parola d’onore, che il reato di tortura rimarrà».

Scrive il senatore del Terzo Polo Ivan Scalfarotto riguardo alla proposta di legge di FdI che vorrebbe abrogare il reato di tortura: «Immaginiamo a questo punto che i parlamentari proponenti ritireranno immediatamente la proposta di legge che hanno presentato a insaputa del governo che sostengono, e che il presidente della Commissione Giustizia non lo inserirà nella programmazione dei lavori. Attendiamo conferma».

La deputata del PD Debora Serracchiani dichiara: «Non solo il ministro Nordio non ci ha convinto ma ci ha anche preoccupati, perché le carenze tecniche di cui parla le deve chiarire soprattutto al partito di Fratelli d’Italia che ha presentato una proposta di legge che abroga il reato di tortura, eliminando l’art. 613 bis, così come il 613 ter, ovvero l’istigazione alla tortura. E questo per sostituirlo con una previsione di una circostanza di aggravante comune».

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Avvocato, sai come gestire le emozioni?

Siamo esseri umani: dunque, siamo esseri emotivi, che vivono generando emozioni. Tuttavia, un conto è riconoscere e gestire le emozioni, un altro è lasciarsi completamente travolgere da queste.

Per esempio, pensiamo al caso in cui un automobilista ci sorpassa sulla destra, cominciando a suonare il clacson e a gesticolare. Non importa che reazione abbiamo: l’unica cosa certa, oggettiva, è che una persona ci ha sorpassato a destra. Sarà la nostra reazione interna a determinare la nostra personale realtà, quella oggettiva.

Ad ogni reazione che sceglieremo di avere seguirà un determinato tipo di emozione. Dunque, stiamo deliberatamente scegliendo che cosa provare, che cosa pensare. In sostanza, scegliamo quale realtà vivere.

Ci interfacciamo con la realtà esterna per quel siamo e pensiamo, e non per come effettivamente stanno le cose. Dobbiamo imparare a gestire le emozioni per capire come gestire eventi, persone e rapporti, senza lasciarsi travolgere da questi.

Affrontare le difficoltà

Capita a tutti, nella vita, di affrontare situazioni scomode: ma il superamento degli ostacoli fa parte del nostro personale processo evolutivo. Senza le difficoltà incontrate in passato non saremmo chi siamo oggi, vero?

Ma lo sai perché hai trasformato quelle difficoltà che hai incontrato lungo il cammino in risultati positivi? Perché avevi ben saldo, nella tua mente, ciò che volevi raggiungere, ecco perché! Sei sempre stato fedele alla meta da raggiungere, senza farti abbattere da nessuno.

Ti ricordi quando dovevi imparare a guidare? Sei riuscito a riprogrammare mente e corpo al fine di guidare: è questa l’operazione che hai ripetuto per qualsiasi traguardo raggiunto.

Tuttavia, sono in molti a lasciarsi travolgere da quello che accade intorno a loro, dimenticando che l’importante non è ciò che accade, ma il modo in cui si reagisce a quel che accade.

Praticare la meditazione per gestire le emozioni

La nostra intelligenza, o meglio, la nostra intelligenza emotiva, ci aiuta a riconoscere e a gestire le emozioni, poiché ognuna di esse potrebbe offrire un nuovo punto di vista dal quale imparare cose nuove.

Ci sono molte strategie per gestire al meglio le proprie emozioni. Una di queste è la meditazione, ovvero, la capacità di allontanarsi dai propri pensieri, per concentrarsi sul presente e sulla respirazione.

Hai presente quei bambini che si perdono mentre giocano, senza accorgersi del tempo che scorre e di tutto quello che accade intorno a loro? Bene: questo è il chiaro esempio di una persona che sta meditando.

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Tutte le volte che ti concentri, che metti tutta la tua attenzione su un obiettivo per lungo tempo, concentrandoti solo su quello: lì stai meditando. E’ lì che cominci ad incanalare tutte le tue energie in un’unica direzione.

Tutta questa concentrazione ti consente di attivare la mente inconscia, per osservare le emozioni per ciò che sono, ovvero, energie che possiamo accogliere, oppure rifiutare. Nel momento in cui riusciamo a zittire la nostra mente, nella quiete, accederemo ad una diversa consapevolezza: quella del nostro inconscio.

Ti va di fare un piccolo esercizio?

Prova a mettere nero su bianco i tuoi desideri, che in realtà sono i tuoi obiettivi di vita. Scrivi al massimo 3 obiettivi a breve, medio e lungo termine.

Dopodiché, non dovrai far altro che rileggere i tuoi obiettivi di vita più volte al giorno, soffermandoti su ognuno di essi ed esprimendo gratitudine per il risultato finale raggiunto, emozionandoti come se ogni cosa fosse già avvenuta.

Le immagini che si creeranno nella tua mente e la gratitudine che proverai, per il tuo inconscio saranno qualcosa di effettivamente reale. In questo modo si getteranno i semi per una nuova realtà che si manifesterà.

Vuoi trovarti al posto giusto nel momento giusto? Bene: potrai ritrovarti effettivamente in questa situazione soltanto se sei la persona giusta, ovvero, qualcuno che ha bene in mente ciò che vuole.

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Ma a che cosa serve trascrivere i propri obiettivi per vivere anticipatamente le sensazioni che si proveranno? A definire una chiara destinazione emotiva. Ogni qual volta che spunteranno nuove emozioni, la nostra bussola interiore saprà con certezza verso dove puntare.

Infatti, se vogliamo gestire le emozioni, dovremmo comprendere quelle che preferiamo provare, giusto? Questo è il segreto per gestire al meglio le proprie emozioni. Al contrario, chi non è in grado di fronteggiare gli eventi si lascia completamente travolgere dall’emotività.

Se ci proiettiamo all’esterno, tutto consisterà nel creare e ricreare chi siamo ma anche tutto il mondo che ci circonda. Se ci concentriamo, invece, sulla realtà che vogliamo manifestare, tale realtà non potrà far altro che manifestarsi anche all’esterno.

Organizzare il tempo e il lavoro per gestire le emozioni

Ci sono molte cose che ci aiutano a gestire al meglio le emozioni, e una di queste è l’organizzazione del tempo e del lavoro. Service1 ti aiuta proprio in questo: avrai la possibilità di accedere alla tua agenda fascicoli, alle scadenze termini e alle tue udienze anche da smartphone grazie a Giustizia Servicematica e all’integrazione col PDA.

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