A che punto siamo con il diritto internazionale dello Spazio?

La formazione del diritto internazionale dello spazio risale a poco prima della prima guerra mondiale. Fu il sorvolo della Manica avvenuto nel 1909 da Louis Bleriot a far emergere la questione della necessità di adottare norme giuridiche relative allo spazio aereo a livello internazionale.

Parigi, quindi, l’anno seguente, ospitò i rappresentanti di 18 Stati che discussero riguardo lo status giuridico dello spazio aereo, chiedendosi se ci potessero essere considerazioni simili a quelle relative all’alto mare. Tuttavia, lo scoppio del primo conflitto mondiale interruppe questo processo di cooperazione.

Dopo la conferenza di pace di Versailles si aprirono le possibilità di regolamentare lo spazio aereo, con la firma alla Convenzione di Parigi per la Regolamentazione della Navigazione Aerea, sostituita dalla Convenzione di Chicago del 1944. Di conseguenza, nacque anche la Commissione Internazionale per la Navigazione Aerea, che si occupò di armonizzare le norme nazionali riguardo la navigazione aerea.

Lo spazio extra-atmosferico

La navigazione aerea è regolata da norme nazionali, internazionali, pubbliche e private, mentre le attività degli Stati e dei privati nello spazio extra-atmosferico sono regolate da norme internazionali. Lo status dello spazio extra-atmosferico è aperto a tutti gli Stati, e non può essere in alcun modo interessato da rivendicazioni di sovranità.

Allo stato attuale non possiamo affermare di aver raggiunto una definizione tecnico-giuridica sulla linea di confine tra spazio aereo e spazio extra-atmosferico, e nemmeno dello spazio extra-atmosferico in sé. Nell’attesa di una definizione universalmente condivisa, si considera la distanza di 100 km dal livello del mare. 

Le attività oltre lo spazio aereo cominciarono nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale, come parte di una competizione geopolitica che contrapponeva il comunismo e il capitalismo. Quando nel 1957 l’Unione Sovietica lanciò lo Sputnik I e nel 1958 la NASA lanciò l’Explorer I, iniziò ufficialmente l’era spaziale.

Nacque il diritto internazionale dello spazio per come è inteso ancora oggi, ovvero come necessità di impedire la militarizzazione dell’atmosfera. Dunque, si è reso necessario adottare regole internazionali e leggi da applicare alle attività degli Stati affinché utilizzino lo spazio con finalità pacifiche.

In ogni caso, la corsa allo spazio si caratterizzò come uno scontro tecnico-scientifico e politico-propagandistico tra potenze, accantonando quindi l’elemento militare. 

Nessuno può appropriarsi dello Spazio

Lo strumento giuridico primario al quale fa riferimento il diritto internazionale dello spazio è l’Outer Space Treaty (OST), firmato ed entrato in vigore nel 1967. Per il trattato, l’esplorazione e l’utilizzo dello spazio extra-atmosferico sono attività aperte a tutti gli Stati, ma soltanto nell’interesse e nel beneficio dell’umanità.

La Luna e i corpi celesti non sono soggetti all’appropriazione nazionale e possono essere “utilizzati” soltanto per fini pacifici. Gli Stati sono responsabili per le attività spaziali che avvengono sia tramite attività governative che non, le quali dovranno essere supervisionate e ricevere l’autorizzazione dal proprio Stato di appartenenza.

Lo spazio, quindi, rientra nel concetto di res communis: tutti possono usarlo, ma nessuno può appropriarsene.


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Aiga, sezione di Venezia organizza il ciclo PET LOVERS.

Tutti gli incontri si svolgeranno in presenza presso la Fondazione Forte Marghera, in via Forte Marghera 30, a Mestre (Ve). La capienza massima prevista è di 40 persone.

Per iscriversi agli incontri è necessario pagare una quota di iscrizione pari a 10 euro.

Si tratta di un’attività formativa accreditata dall’AIGA per la formazione professionale continua in forza del Protocollo sottoscritto con il CNF il 14 settembre 2016. Verranno riconosciuti 3 crediti formativi per ogni incontro.

Per conoscere il programma del ciclo PET LOVERS e le modalità di iscrizione alleghiamo qui sotto la locandina dell’evento con tutte le informazioni.


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La Cassazione ritorna sugli effetti causati dalla Riforma Cartabia per quanto riguarda i procedimenti per i reati con procedibilità a querela. Con la sentenza 22641 del 24 maggio 2023 viene accolto il ricorso di un uomo che è stato accusato di furto aggravato durante la sua permanenza in comunità per espiazione di una pena.

La V Sezione penale, dopo essersi interrogata riguardo l’esistenza di una condizione di procedibilità valida, ha rilevato che la querela/denunzia agli atti non aveva tutti i requisiti necessari. L’atto, infatti, era stato firmato da un’operatrice che lavorava nella comunità, che si occupava della delega alla presentazione della denuncia del rappresentante legale della Cooperativa sociale e che possedeva l’autovettura rubata, ma senza che la firma fosse autenticata.

La Cassazione ricorda che «in luogo dell’avente diritto, la querela può essere presentata dal suo procuratore speciale, ma la procura speciale che legittima quest’ultimo deve essere rilasciata con le formalità suddette» (33162/2018). Si tratta delle formalità indicate dall’art. 337 del codice di procedura penale, formalità della querela.

Quest’ultimo, al comma 1, dice che la dichiarazione di querela debba essere proposta con le forme stabilite dall’art. 333, comma 2 del codice di procedura penale. A sua volta, questo stabilisce che la denuncia potrà essere presentata per iscritto oppure oralmente, personalmente o dal procuratore speciale.

Al comma 2 dell’art 337 si prevede anche che la querela che viene presentata oralmente potrebbe anche essere sottoscritta, sia personalmente dall’interessato ma anche dal procuratore speciale. La norma di riferimento in questione di tema di procura speciale si trova all’art. 122 del codice di procedura penale, per il quale «quando la legge consente che un atto sia compiuto per mezzo di un procuratore speciale, la procura deve, a pena di inammissibilità, essere rilasciata per atto pubblico o scrittura privata autenticata».

La Cassazione, con la decisione 22658, fa riferimento ad una condanna per furto aggravato, rispetto al quale sussisteva una «mera denuncia» che non si accompagnava ad alcuna richiesta di punizione e che ha accolto il ricorso dell’imputato.

Per la V sezione penale, il «silenzio legislativo esclude uno stringente dovere di svolgere accertamenti, quanto alla sopravvenuta presentazione di una querela, accertamenti che peraltro possono solo indicativamente essere delineati, in assenza di un puntuale percorso normativo».

Ne consegue «che appare ragionevolmente sostenibile la sussistenza di un onere in capo alla pubblica accusa di introdurre atti sopravvenuti che, come detto, valgano a documentare la persistente procedibilità dell’azione penale esercitata».

Continua: «Tutto ciò non esclude che il giudice di legittimità, nel tentativo di porre rimedio alle carenze normative, attivi prassi finalizzate a impedire che ritardi, da parte delle Procure della Repubblica, nella trasmissione delle querele sopravvenute possano condurre ad epiloghi decisori di improcedibilità nonostante la sopraggiunta presentazione di istanze punitive».

«Ma, si ripete, si tratta di modelli organizzativi che, in assenza di puntuali indicazioni normative, rappresentano uno scrupolo istituzionale finalizzato all’avanzamento della tutela garantita dall’ordinamento alle persone offese con riguardo alla facoltà di sporgere querela».

Nel caso in questione, «una interlocuzione con la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pescara ha consentito di accertare che non risulta essere stata presentata alcuna querela, a seguito dell’originaria denuncia». La sentenza, dunque, deve essere annullata senza rinvio.


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La recente multa contro Meta da 1,2 miliardi di euro per aver violato il Gdpr è stata vista come una grande vittoria per l’Europa: ed effettivamente lo è, poiché mette fine ad un braccio di ferro durato un decennio riguardo il trasferimento delle informazioni degli utenti europei negli USA.

Inoltre, è la multa più alta mai imposta sotto le regole del Gdpr, che compie cinque anni. Contemporaneamente, la multa record evidenzia anche le debolezze che ancora oggi stanno alla base del regolamento. E’ stato l’Edpb, il Comitato dei garanti europei, a spingere l’Autorità irlandese ad elevare la sanzione – infatti, Meta ha fatto di Dublino il suo quartier generale locale.

Una rivoluzione a metà

Il Gdpr è meraviglioso, ma emergono dei limiti. Nonostante i suoi cinque anni di vita e il suo riconoscimento in quanto pietra miliare in materia di privacy, è una rivoluzione a metà.

Come osserva il Garante europeo per la protezione dei dati, Wojciech Wiewiórowski: «Abbiamo costruito una base fondamentale nelle leggi comunitarie che serve per affrontare ogni altra regolamentazione attraverso la protezione dei dati, ma non tutti gli strumenti sono stati sviluppati al 100%».

Manca una riforma per quanto riguarda il regolamento della privacy, che protegge la riservatezza di tutte le comunicazioni elettroniche, basandosi sugli stessi identici principi della corrispondenza analogica. La riforma doveva nascere con il Gdpr, ma per Bruxelles è ancora un punto interrogativo.

Il tema del chatcontrol

Oggi, sul tavolo della politica comunitaria troviamo un regolamento particolare, quello del chatcontrol. L’obiettivo è permettere l’accesso alle forze dell’ordine alle grandi piattaforme, per poter controllare le conversazioni private e scoprire reati ed abusi su minori.

Ylva Johansson, commissaria per gli affari interni, è fiduciosa sull’approvazione, nonostante il parere di esperti legali, che avvertono che una legge del genere andrebbe soltanto ad autorizzare fornitori di servizi digitali a controllare le chat, le mail e le app di messaggistica degli utenti, violando i diritti sanciti dalla Corte di giustizia europea.

Addio alla crittografia end-to-end?

«Gli abusi sui minori sono uno dei crimini più odiosi, contrastarli è una priorità di tutti. La decisione è politica: fino a dove vogliamo spingerci nell’intrusione della privacy?», si chiede Wiewiórowski.

Sembra che il governo spagnolo sia pronto ad appoggiare una mozione a favore della sospensione della crittografia end-to-end, tecnologia utilizzata, per esempio, da WhatsApp, per impedire di estrarre i dati dai messaggi inviati tra gli utenti. L’Edps non è d’accordo con la misura.

Wiewiórowski cita anche il caso Parigi, che attiverà le telecamere con sistemi di riconoscimento facciale in vista delle Olimpiadi 2024. «Siamo in contatto con il Garante francese e sosteniamo la sua attività. La domanda è: sono misure adottate per sempre o temporanee, per uno specifico evento? Durante il Covid abbiamo accettato misure straordinarie, perché era un periodo di emergenza e perché limitate a quella situazione».

L’intelligenza artificiale, la sfida del futuro

A Bruxelles si finalizza l’Ai Act, un pacchetto di regole comuni in tema di intelligenza artificiale. Nel frattempo, il Garante della privacy italiano ha spinto OpenAi, startup produttrice di ChatGPT, a prendere provvedimenti per adeguare il chatbot alle norme in materia di privacy, con ricadute mondiali.

Oltre alle sfide tecnologiche, ce ne sono anche di organizzative. Si dovrà camminare, infatti, in direzione di una maggior protezione del consumatore, visto che i dati, ormai, sono intrecciati al mercato. Questo comporta anche l’arruolamento di nuove risorse umane, quali specialisti di AI che non sono ancora presenti, ma risultano necessari per affrontare le trasformazioni tecnologiche in atto.

Per le celebrazioni dei cinque anni del Gdpr, la Commissione europea si pavoneggia con le sue 700 decisioni prese e dei conseguenti 2,5 miliardi di sanzioni. Tuttavia, per Max Schrems, il presidente di Noyb, «si assiste a molta resistenza delle autorità e dei tribunali a far rispettare la legge».

Inoltre, «in molte giurisdizioni è tanto se si prende una decisione dopo due anni. E molte autorità fanno di tutto per evitare una decisione», come l’Irlanda, per esempio. Servirà una nuova maggioranza a Bruxelles per poter prendere la pratica in esame e per tenere il Gdpr al passo con i tempi.


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Il GPS ci spia?

Antimafia: la nuova presidente e le accuse dei rapporti con Ciavardini

Martedì 23 maggio 2023 è stata eletta presidente della Commissione parlamentare antimafia la deputata di Fratelli d’Italia Chiara Colosimo, che avrà il compito di indagare riguardo i rapporti tra le associazioni mafiose e la politica.

Colosimo è stata eletta grazie ai voti dei partiti della maggioranza di destra, mentre PD e M5S non hanno partecipato alla votazione in segno di protesta. Il motivo? Il nome di Colosimo provoca un gran dissenso tra le associazioni che si occupano della lotta alla mafia.

In particolar modo, il dissenso si respira tra le associazioni istituite dai parenti delle vittime di stragi e attentati mafiosi, visti i presunti legami con Luigi Ciavardini, l’ex terrorista neofascista dei Nuclei Armati Rivoluzionari.

Ciavardini fu condannato in quanto uno degli esecutori della strage di Bologna del 1980, e dal 2009 si trova in semilibertà.

Un personaggio controverso

La scelta spetta alla maggioranza; tuttavia, è raro che alla presidenza della Commissione antimafia venga nominato un personaggio che le opposizioni e gli attivisti ritengono inadeguato.

All’inizio per il ruolo si era parlato della deputata di FdI Carolina Varchi. Tuttavia, nelle ultime settimane, sono nati dubbi sul nome di Varchi a causa del suo incarico come vicesindaca di Palermo, che non le avrebbe concesso di dedicarsi completamente ai lavori della Commissione.

Al suo posto è stata scelta Colosimo, deputata molto vicina alla Presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni.

La carriera politica di Colosimo

Colosimo oggi ha 36 anni, e ha iniziato la sua carriera politica con il movimento studentesco Azione Studentesca di Alleanza Nazionale. Nel 2009, con lo scioglimento del partito, venne nominata presidente della regione Lazio di Giovane Italia, l’organizzazione giovanile del PdL.

Fu eletta consigliera regionale del Lazio con il centrodestra nel 2010 – incarico che ha ricoperto anche nel 2013 e nel 2018. Alle scorse elezioni di settembre è stata eletta deputata con FdI.

La trasmissione televisiva Report ha organizzato un’inchiesta che raccontava che l’associazione “Gruppo Idee” creata da Ciavardini per aiutare le persone detenute a reinserirsi nella società, sarebbe semplicemente servita per agevolare le scarcerazioni di terroristi e di condannati per mafia.

Nell’inchiesta si citava Colosimo a causa dei suoi presunti rapporti con Ciavardini: si vociferava che la deputata avesse sostenuto la candidatura di Manuel Cartella, il dirigente di Gruppo Idee, socio del figlio di Ciavardini in una cooperativa di detenuti, come vice garante dei detenuti del Lazio.

Nel servizio si mostrava anche una foto dove Cosimo era in compagnia di Ciavardini, sottolineandone tutti i presunti rapporti senza mai accusarla di comportamenti illeciti.

La lettera dei familiari delle vittime di mafia e di stragi terroristiche

Dopo la puntata di Report, sul Fatto Quotidiano era stata pubblicata una lettera firmata dai familiari delle vittime di mafia e di stragi terroristiche, che erano “sbigottiti” dalla scelta di Colosimo, visto quanto emerso da Report.

Si legge nella lettera: «E’ accettabile che si scelga, per un ruolo importante come la presidenza di una commissione parlamentare bicamerale, una persona che non si vergogna di avere rapporti con uno stragista che mai si è pentito? E ancora, solo a noi appare evidente il gigantesco conflitto di interessi della probabile futura presidente?».

Colosimo aveva risposto alla lettera nei giorni successivi, affermando di non aver avuto alcun rapporto di amicizia con Ciavardini. L’ha ribadito anche dopo l’elezione, dichiarando di conoscerlo «esattamente come lo conoscono moltissimi altri eletti di altre appartenenze politiche, poiché lui è in un’associazione che si occupa, come da articolo 27 della Costituzione, del reinserimento di altri detenuti nel momenti in cui hanno scontato le loro pene».


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Il GPS ci spia?

Il GPS (Global Positioning System) determina la posizione esatta di un dispositivo attraverso i segnali ricevuti dai satelliti. Il servizio GPS è stato implementato e sviluppato dal Dipartimento di Difesa degli Stati Uniti, tra gli anni ’60 e gli anni ’70. Il sistema è stato reso pubblico nel 1983 e dagli anni ’90 è diventato accessibile a tutti.

Nel 1998, l’UE ha cominciato il progetto Galileo, ovvero un sistema di navigazione satellitare completamente indipendente rispetto agli Usa, ed è diventato pienamente operativo nel 2018.

I dispositivi mobili dispongono del modulo GPS, un ricevitore che raccoglie i segnali che provengono dai satelliti GPS. Questi inviano dei segnali radio che contengono informazioni sulla posizione. Per poter geolocalizzare accuratamente un utente, è necessario accedere ad almeno 4 satelliti GPS.

Il flusso di dati che capta un modulo GPS è unidirezionale: dunque, uno smartphone non scambia informazioni con i satelliti GPS. Per conoscere l’esatta posizione dei satelliti, il ricevitore GPS deve scaricare l’almanacco, che contiene tutte le informazioni di cui necessita.

È un’operazione lenta, che richiede 5/10 minuti: per questo esiste un’alternativa un po’ più rapida, A-GPS (Assisted GPS), che consente ai dispositivi dotati di ricevitore GPS di scaricare l’almanacco via internet, in pochi secondi.

Ma quindi il GPS ci spia o no?

In ogni caso, di recente ha destato grosso scalpore un articolo pubblicato su NitroKey, che punta il dito contro Qualcomm, una delle più grandi aziende del mondo tech, del wireless e delle comunicazioni digitali, muovendo l’accusa di aver monitorato la posizione degli utenti.

Secondo le analisi, i chip Qualcomm presenti negli smartphone inviano i dati personali degli utenti, a loro insaputa, direttamente ai server dell’azienda. Ma per i ricercatori Kaspersky l’affermazione è fuorviante, e rischia soltanto di spaventare gli utenti.

Infatti, dal 2016 Qualcomm ha risolto il problema, mettendo in chiaro il trasferimento dei dati. Dunque, se in rete leggiamo che ad aziende come Qualcomm non interessino la sicurezza e la privacy degli utenti, e che i nostri dati possono essere benissimo intercettati da dittature o da governi autoritari, facciamo un bel respiro e informiamoci, prima di dare per scontate accuse così pesanti.


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«Il tuo account Netflix è riservato a te e a chi vive con te, ovvero al tuo nucleo domestico. Puoi guardare Netflix con facilità quando sei in movimento o viaggi, sui tuoi dispositivi personali o sulla TV di un hotel o una casa vacanza. Per controllare come viene utilizzato il tuo account Netflix: Verifica quali dispositivi hanno accesso al tuo account. Esci dall’account sui dispositivi che non dovrebbero avere accesso e valuta se modificare la password».

Netflix annuncia lo stop ufficiale al password sharing: la condivisione dell’account, infatti, permette agli utenti di utilizzare le medesime credenziali su diversi dispositivi, contemporaneamente, anche al di fuori del nucleo domestico, affinché si possano dividere le spese dell’abbonamento Netflix con amici e parenti.

Il colosso dello streaming ha cominciato ad inviare mail agli abbonati: «L’account Netflix è destinato a un unico nucleo domestico, ovvero a te e a che vive con te. Tutte le persone che fanno parte del tuo nucleo domestico possono guardare Netflix dove desiderano (a casa, in movimento, in vacanza) e usufruire di nuove funzionalità come Trasferisci profilo e Gestisci accessi e dispostivi».

La questione utente extra

Un utente extra, invece, pagherà un costo aggiuntivo corrispondente a 4,99 euro al mese.

Per poter «condividere Netflix con chi non fa parte del tuo nucleo domestico, puoi utilizzare queste funzionalità: Trasferisci un profilo (chiunque utilizzi il tuo account può trasferire il proprio profilo su un nuovo abbonamento a pagamento); Acquista un utente extra (Puoi condividere il tuo account Netflix con chi non vive con te al costo aggiuntivo di 4,99 euro al mese».

«Se hai domande, puoi trovare informazioni dettagliate nel nostro Centro assistenza. Grazie per aver scelto Netflix. Ti siamo riconoscenti per il continuo supporto e non vediamo l’ora di offrirti una selezione sempre più ampia di film e serie TV di qualità». Ovviamente, l’utente extra sarà completamente a carico di chi ha sottoscritto l’abbonamento.

È arrivata, dunque, la stretta sulle password da tempo attesa, che sarebbe dovuta arrivare già nel primo trimestre dell’anno. La svolta dovrebbe andare a rafforzare i ricavi offrirà ulteriori vantaggi, che dovrebbero arrivare nel terzo trimestre dell’anno.

Secondo Netflix, il 43% degli utenti condivide le password: si tratta di 100 milioni di abbonamenti.

Nei mesi scorsi la misura ha interessato Canada, Portogallo, Nuova Zelanda, Spagna e America Latina. I test, secondo Greg Peters, co-Ceo di Netflix, avrebbero avuto buoni risultati. Inizialmente ci sono state molte cancellazioni, «ma poi le persone che usavano credenziali prese in prestito creano i propri account e aggiungono profili, e noi recuperiamo terreno in termini di abbonamenti e ricavi».

Definizione di nucleo domestico

Ma che cosa significa nucleo domestico? Netflix lo definisce nella sezione help del suo sito: «Un Nucleo domestico Netflix è l’insieme dei dispositivi connessi a Internet nel luogo principale da cui guardi Netflix. Un nucleo domestico Netflix può essere impostato da una TV. Tutti gli altri dispositivi che utilizzano il tuo account Netflix nella stessa connessione Internet di questa TV apparterranno automaticamente al tuo Nucleo domestico Netflix».

Opzione ad-supported

La decisione di Netflix, che costringerà un maggior numero di spettatori al pagamento per l’accesso alla sua libreria di film e serie tv, si accompagna al lancio di un piano mensile ad un prezzo contenuto, inserendo anche spot pubblicitari nel servizio.

Dal debutto dell’opzione ad-supported, Netflix ha raccolto 9 milioni di abbonati in più in tutto il mondo, tra i quali rientrano anche utenti che hanno sottoscritto ad un piano normale.


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È diventata virale, su Twitter, la foto di un presunto attacco al Pentagono, dopo essere stata condivisa dall’account “Bloomberg Feed”.

Lo scatto, che immortalava una colonna di fumo nero che si propagava a pochi metri di distanza dalla sede del Dipartimento della difesa Usa, era accompagnato da un breve testo: «Grande esplosione vicino al Pentagono, a Washington».

Tuttavia, sia il profilo che l’immagine erano completamente fake. L’account che ha pubblicato l’immagine, ora sospeso, ha utilizzato in maniera impropria la grafica della famosa testata d’informazione americana, Bloomberg.

Il profilo si è avvalso della famosa spunta blu, che sino a poco tempo fa attestava l’autenticità di un account. Tuttavia, da quando è arrivato Elon Musk, le cose sono cambiate: tutti possono verificare l’account tramite il pagamento di 8 dollari al mese, abbonandosi alla versione premium del social, l’ormai noto Twitter Blue.

Unendo tutti questi fattori, con una foto tanto falsa quanto credibile, si sono create le condizioni adatte per fare credere agli utenti che l’attacco al Pentagono fosse vero. Il tweet ha ingannato anche la borsa americana, che, secondo quanto riportato dal Washington Post e dalla Cnn, ha registrato una lieve flessione nei momenti successivi alla diffusione dell’immagine in questione. Il Down Jones Industrial Index sarebbe sceso di ben 85 punti per quattro minuti, prima di ritornare verso l’alto.

Ma bastava osservare bene l’immagine per comprendere che l’edificio bianco in questione non somigliava poi così tanto al quartier generale della difesa statunitense. Se si ingrandisce la foto, inoltre, si notano benissimo i segni prodotti da un’immagine creata da un’AI generativa, come Dall-E 2 e Midjourney.

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Le finestre dell’edificio esploso sembravano essere sovrapposte in certi punti. Molti dettagli presentavano un certo grado di disordine e di lacune, e di solito questo significa che sono stati generati da una macchina.

La rivoluzione nei confronti della spunta blu su Twitter è senza subbio un gran problema per le aziende, per gli utenti e per gli investitori. Metterla a pagamento, quando prima era riservata a celebrità, politici e giornalisti dopo un’attenta verifica dell’identità, ha generato una confusione che ha condotto, in certi casi, a gravi danni economici.

Per esempio, una multinazionale che ne ha fatto le spese, di recente, è stata Eli Lilly, che ha perso il 6% delle sue azioni dopo un tweet falso pubblicato a nome dell’azienda farmaceutica che parlava di distribuzione di insulina gratuita.


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“La Terra è un bel posto e vale la pena lottare per essa.”

Ernest Hemingway

Entrare a far parte del mondo dell’energia rinnovabile è sempre stata una priorità per Servicematica, ed ora possiamo dire che questo sogno è diventato realtà! Abbiamo installato i pannelli solari, quindi ora produciamo energia pulita, senza emissioni di CO2.

Conoscete tutti i pro dei pannelli solari?

Il ridotto impatto ambientale è il punto forte dei pannelli solari, che non inquinano, visto che trasformano l’energia del sole in energia elettrica. Ridurre o azzerare le emissioni di CO2 nell’ambiente è il loro scopo principale.

Non possiamo non citare il risparmio in bolletta: è un bel taglio secco alle spese destinate alla corrente elettrica. I pannelli sfruttano l’energia del sole per trasformarla in energia pulita a costo zero. Dunque, gli elettrodomestici funzioneranno senza costi in bolletta.

I pannelli solari sono un sistema di produzione energetica green. L’energia solare è infatti disponibile in ogni momento, è rinnovabile e può essere sempre sfruttata, contrariamente alle fonti energetiche non rinnovabili. Inoltre, sono poco soggetti all’usura. Coloro che se ne servono dovranno semplicemente preoccuparsi della pulizia e della sostituzione dell’inverter.

Se ci affidiamo all’energia solare significa che ridurremo l’importazione delle materie prime per scopi energetici. L’emancipazione corrisponde a spendere di meno e soprattutto meglio.

Un immobile indipendente a livello energetico, poi, sarà un immobile con un prezzo commerciale più elevato. L’installazione dei pannelli solari ha anche questo vantaggio economico indiretto. Oltre all’aumento del valore commerciale, aumenterà anche la classe energetica.

Abitudini green per salvare il Pianeta

Ognuno di noi, comunque, può fare la sua parte e adottare comportamenti più green, per contribuire alla salvaguardia del Pianeta in cui viviamo. Si tratta di semplicissime azioni quotidiane, che magari sottovalutiamo, ma fanno una grandissima differenza.

Non comprare bottiglie di plastica – le bottiglie di plastica contribuiscono alla creazione di montagne di discariche. Ogni minuto vengono utilizzate più di un milione di bottiglie di plastica, ma soltanto il 9% di queste è idoneo al riciclo: il restante 91% viene accumulato nelle discariche, e spesso finisce dritto nei nostri oceani. Per gli esperti, entro il 2050 ci sarà più plastica che pesci. Ebbene, un’alternativa eco-compatibile è l’utilizzo di una borraccia, da riempire con l’acqua del rubinetto. Sulla tavola, mettiamo delle bottiglie in vetro.

Riciclare è fondamentale – ed è fondamentale anche insegnarlo ai più piccoli. Secondo Legambiente, riciclando la metà dei rifiuti riduciamo l’anidride carbonica e i gas inquinanti che vengono emessi nell’atmosfera di circa 150/200 kg all’anno.

Piantare un albero – se decidiamo di piantare un albero nel nostro giardino, contribuiremo tantissimo alla riduzione dell’inquinamento atmosferico. Gli alberi, infatti, producono ossigeno e assorbono diossido di carbonio, migliorando tantissimo l’aria della città e impattando positivamente sulla nostra salute. Più alberi, più aria pulita!

Risparmiare acqua – l’acqua è preziosa, e non è illimitata, anche se oggi possiamo purificarla e riutilizzarla. Cerchiamo di fare docce più brevi e di chiudere il rubinetto mentre ci laviamo i denti. Basta veramente poco per ridurre i consumi d’acqua. È possibile anche installare un aeromiscelatore nei rubinetti della nostra casa, riducendo moltissimo il flusso dell’acqua e risparmiando sino al 50%.

Risparmiare elettricità – per evitare sia lo spreco che il consumo eccessivo di energia, perché non preferire le lampadine a led al posto di quelle tradizionali? Si tratta di un piccolo investimento per salvaguardare l’ambiente, che abbasserà anche le bollette, poiché consumano circa il 75% di energia in meno. Oltre a questo, ricordiamoci di spegnere sempre tutte le luci, i dispositivi e gli elettrodomestici se non vengono utilizzati.

Viva l’autoproduzione – cibo fatto in casa, marmellate, conserve, saponi naturali, tisane e creme per il corpo: una scelta fondamentale per il risparmio e per poter vivere in maniera più sostenibile è l’autoproduzione. Si pensi soltanto alle emissioni di CO2 che si evitano rinunciando al percorso in auto per andare al supermercato per cercare quello che in realtà potremmo benissimo autoprodurre! Poi, se sottraiamo il viaggio dei prodotti, che magari provengono da posti molto lontani, e agli imballaggi risparmiati, l’ambiente non farà altro che ringraziarci.

Ben venga la mobilità sostenibile – per poter eliminare o ridurre la propria impronta di carbonio, scegliamo il treno al posto della macchina, evitiamo le crociere e se possibile, spostiamoci in bicicletta. È sempre preferibile scegliere i mezzi pubblici per potersi spostare ed evitare un inutile inquinamento atmosferico. Se questo non è possibile, organizziamo o partecipiamo ad un carpooling, che rende gli spostamenti non soltanto più green, ma anche un po’ più divertenti, con l’occasione di conoscere nuove persone.

Attenzione alla spesa – ogni anno, nei Paesi Occidentali, vengono gettati circa 670 milioni di tonnellate di cibo, ancora impacchettato. Quantità esagerate: dobbiamo imparare a fare la spesa, a scegliere le quantità di cibo necessarie, senza lasciarsi influenzare dalle offerte ed imparando ad evitare gli sprechi. Non riempiamo il frigorifero, perché i consumi dell’elettrodomestico aumentano. Scegliamo prodotti locali, biologici, per contribuire alla riduzione delle emissioni di CO2. Se abbiamo un mercato contadino vicino a casa…beh, che cosa aspettiamo? Andiamo lì, non al supermercato!

Usiamo oggetti di seconda mano – ogni cosa ha una seconda vita. Ci troviamo in una società consumistica, nella quale buttiamo via immediatamente le cose che si rompono per poi acquistare un nuovo prodotto. Ma se provassimo a dare una nuova vita alle cose? Gli scarti di frutta e verdura sono compost per il nostro giardino. Una vecchia maglietta di cotone? Un panno per raccogliere la polvere. Hai bisogno di un nuovo paio di jeans? Andiamo al mercatino dell’usato!

Non c’è un altro Pianeta tanto bello quanto il nostro! Tutti possiamo fare la nostra parte per aiutarlo a respirare: noi di Servicematica abbiamo scelto di installare i pannelli solari proprio per questo. Servicematica guarda al futuro: abbiamo l’obbligo di lasciare un Pianeta pulito, migliore, per i nostri figli.

Diamo una chance al futuro. Diamo una chance al nostro Pianeta.

Su WhatsApp potremo modificare i messaggi dopo l’invio

WhatsApp consentirà di modificare i messaggi dopo l’invio. La novità, appena rilasciata, consentirà agli utenti di correggere eventuali errori, o di cambiare idea, ma entro 15 minuti dall’invio del messaggio.

La società, che fa parte del gruppo Meta, recentemente raggiunto da una super multa per aver violato le norme europee in materia di privacy, annuncia le nuove opzioni attraverso un post pubblicato sul blog ufficiale: «Quando ti capita di fare un errore o semplicemente di cambiare idea, ora hai la possibilità di modificare i messaggi inviati».

Dunque, sia che si tratti della correzione di un refuso o di aggiungere contesto ai messaggi inviati, poco cambia: con questa novità, WhatsApp consente agli utenti di avere maggior controllo sulle chat.

Spiega l’azienda:

«Fino a 15 minuti dopo l’invio, ti basterà tenere premuto un messaggio inviato e scegliere “Modifica” dal menu. Accanto a questi messaggi comparirà “Modificato”. In questo modo, i destinatari sapranno della correzione senza visualizzare la cronologia delle modifiche. Come per tutti i messaggi personali, i file multimediali e le chiamate, anche i messaggi modificati sono protetti da crittografia end-to-end. Abbiamo iniziato a implementare questa funzione a livello globale e la renderemo disponibile per tutti gli utenti nelle prossime settimane».

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