Riforma Cartabia, reati a querela: sì della Cassazione all’interlocuzione delle Procure

La Cassazione ritorna sugli effetti causati dalla Riforma Cartabia per quanto riguarda i procedimenti per i reati con procedibilità a querela. Con la sentenza 22641 del 24 maggio 2023 viene accolto il ricorso di un uomo che è stato accusato di furto aggravato durante la sua permanenza in comunità per espiazione di una pena.

La V Sezione penale, dopo essersi interrogata riguardo l’esistenza di una condizione di procedibilità valida, ha rilevato che la querela/denunzia agli atti non aveva tutti i requisiti necessari. L’atto, infatti, era stato firmato da un’operatrice che lavorava nella comunità, che si occupava della delega alla presentazione della denuncia del rappresentante legale della Cooperativa sociale e che possedeva l’autovettura rubata, ma senza che la firma fosse autenticata.

La Cassazione ricorda che «in luogo dell’avente diritto, la querela può essere presentata dal suo procuratore speciale, ma la procura speciale che legittima quest’ultimo deve essere rilasciata con le formalità suddette» (33162/2018). Si tratta delle formalità indicate dall’art. 337 del codice di procedura penale, formalità della querela.

Quest’ultimo, al comma 1, dice che la dichiarazione di querela debba essere proposta con le forme stabilite dall’art. 333, comma 2 del codice di procedura penale. A sua volta, questo stabilisce che la denuncia potrà essere presentata per iscritto oppure oralmente, personalmente o dal procuratore speciale.

Al comma 2 dell’art 337 si prevede anche che la querela che viene presentata oralmente potrebbe anche essere sottoscritta, sia personalmente dall’interessato ma anche dal procuratore speciale. La norma di riferimento in questione di tema di procura speciale si trova all’art. 122 del codice di procedura penale, per il quale «quando la legge consente che un atto sia compiuto per mezzo di un procuratore speciale, la procura deve, a pena di inammissibilità, essere rilasciata per atto pubblico o scrittura privata autenticata».

La Cassazione, con la decisione 22658, fa riferimento ad una condanna per furto aggravato, rispetto al quale sussisteva una «mera denuncia» che non si accompagnava ad alcuna richiesta di punizione e che ha accolto il ricorso dell’imputato.

Per la V sezione penale, il «silenzio legislativo esclude uno stringente dovere di svolgere accertamenti, quanto alla sopravvenuta presentazione di una querela, accertamenti che peraltro possono solo indicativamente essere delineati, in assenza di un puntuale percorso normativo».

Ne consegue «che appare ragionevolmente sostenibile la sussistenza di un onere in capo alla pubblica accusa di introdurre atti sopravvenuti che, come detto, valgano a documentare la persistente procedibilità dell’azione penale esercitata».

Continua: «Tutto ciò non esclude che il giudice di legittimità, nel tentativo di porre rimedio alle carenze normative, attivi prassi finalizzate a impedire che ritardi, da parte delle Procure della Repubblica, nella trasmissione delle querele sopravvenute possano condurre ad epiloghi decisori di improcedibilità nonostante la sopraggiunta presentazione di istanze punitive».

«Ma, si ripete, si tratta di modelli organizzativi che, in assenza di puntuali indicazioni normative, rappresentano uno scrupolo istituzionale finalizzato all’avanzamento della tutela garantita dall’ordinamento alle persone offese con riguardo alla facoltà di sporgere querela».

Nel caso in questione, «una interlocuzione con la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pescara ha consentito di accertare che non risulta essere stata presentata alcuna querela, a seguito dell’originaria denuncia». La sentenza, dunque, deve essere annullata senza rinvio.


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