Autovelox illegittimi: ecco la sentenza della Cassazione

La Cassazione ha stabilito, con l’ordinanza 25544/2023 la nullità delle multe elevate con autovelox, nel caso in cui il cartello che riporta il limite di velocità si trovi a meno di 1 km dalla postazione della polizia.

Dunque, se l’apparecchio di controllo della velocità è presente a ridosso della segnaletica stradale, non consentendo al conducente di rallentare, si potrà presentare ricorso.

Si tratta di una vera e propria novità, visto che fino ad oggi la Cassazione si è sempre basata soltanto sulla distanza presente tra autovelox e cartello con avviso preventivo, ovvero Attenzione: controllo elettronico della velocità.

In particolare, la Corte ha sottolineato come non ci sia alcuna legge ad imporre uno spazio prestabilito tra l’avviso e l’autovelox. Dunque, dovrà essere rispettata soltanto ad una “ragionevole distanza”, che dev’essere valutata caso per caso, a seconda della strada e del limite di velocità.

E questo per permettere all’automobilista di fare una dolce frenata, visto che questo è lo scopo dell’avvertenza, non certo di consentire agli imprudenti di evitare le multe, ma di fare in modo che questi non frenino all’improvviso, determinando un gran rischio per la circolazione.

La prima cosa da tenere in considerazione è la riforma del 2017 introdotta con la direttiva Minniti, che ha disciplinato gli autovelox. Non si tratta di una circolare, ma di un decreto ministeriale: dunque, vincolante.

Al punto 7.5 del decreto leggiamo che la distanza minima tra il cartello e il limite di velocità non può essere inferiore ad 1 km. Questo a patto che:

  • La postazione dell’autovelox sia fuori dai centri abitati;
  • Il limite di velocità sia inferiore a quello consentito dal codice della strada per quel determinato tipo di strada.

Il limite minimo di 1 km tra la segnaletica e l’autovelox deve essere calcolato a partire dal secondo cartello.

La Cassazione ribadisce l’obbligo di apporre un cartello con velocità minima inferiore al limite legale, con l’avviso del controllo elettronico della velocità dopo ogni intersezione. Se tutte le prescrizioni non vengono rispettate la contravvenzione non è valida.

Tra il cartello con l’autovelox e l’avviso preventivo ci devono essere almeno 4 km di distanza.


LEGGI ANCHE:

Un contratto è valido se viene firmato con un pollice emoj?

25 anni di Google: da un garage ha conquistato tutto il mondo

Un contratto è valido se viene firmato con un pollice emoji?

Gli emoji sono dei simboli pittografici divenuti famosi in Giappone alla fine dello scorso secolo. La maggior parte di noi li utilizza, per esempio, su WhatsApp.

Tra gli emoji maggiormente utilizzati troviamo il pollice in alto che, nonostante non abbia un’attribuzione univoca, viene spesso utilizzato per indicare consenso oppure accettazione.

Sulla base di questo emoji, un agricoltore canadese si è ritrovato obbligato ad eseguire un contratto sottoscritto proprio con il pollice in alto. L’agricoltore, visto il mancato adempimento del contratto, è stato condannato al pagamento di 56mila euro, ovvero 82.000 dollari.

Per il giudice canadese, infatti, l’emoji del pollice in su risulta sufficiente per la determinazione dell’accettazione di un accordo, con lo stesso valore di una firma. Il giudice ha dichiarato che i Tribunali devono adeguarsi alla nuova realtà di oggi, dunque, anche alle nuove forme di comunicazione.

Una cooperativa agricola, la South West Terminal, nel 2021 avrebbe inviato un sms all’agricoltore Chris Achter richiedendo la fornitura di una partita di lino di 87 tonnellate. L’sms si concludeva con: «Per favore conferma il contratto di lino».

Achter avrebbe risposto al messaggio con il famoso emoji con il pollice in su; ma quando la cooperativa ha tentato di ottenere l’adempimento dell’agricoltore, questo si sarebbe opposto, dichiarando di non aver mai sottoscritto contratti con la South West Terminal.

Per l’agricoltore, l’emoji utilizzata comunicava semplicemente la presa visione della proposta: «Non era una conferma che ero d’accordo con i termini del contratto di fornitura lino. I termini e le condizioni completi del contratto di lino non mi sono mai stati inviati e ho capito che il contratto completo sarebbe seguito via fax o e-mail da rivedere e firmare».

Leggi anche: Meglio WhatsApp o Telegram?

Il nostro ordinamento, secondo la dottrina più tradizionale, probabilmente sarebbe improntato sul principio di libertà della forma del contratto, salvo il caso in cui la legge richieda espressamente una determinata forma, in cui le parti decidano il mezzo idoneo con il quale manifestare il consenso.

Anche lo schema dell’articolo 1327 del codice civile prevede questo tipo di ipotesi, laddove sia permessa la conclusione del contratto in maniera indipendente dalla conoscenza dell’accettazione da parte del proponente.

Il contratto, in questo caso, dovrà ritenersi concluso se viene richiesta l’esecuzione urgente del contratto. L’accettante dovrà quindi procedere all’esecuzione senza fornire risposta alla proposta ricevuta, ma soltanto avvisando l’altro che inizieranno le attività che richiede il contratto.

Dunque, sembra ragionevole pensare che una pronuncia con tenore simile o uguale a quella della corte canadese possa essere presente anche nella giurisprudenza italiana.

Nonostante tutto, l’ordinamento ha determinato alcuni strumenti giuridici, che mirano ad evitare che un soggetto si ritrovi vincolato, senza volerlo, a clausole onerose. Questo è il caso della doppia sottoscrizione presente nell’articolo 1341 del codice civile e della nullità di protezione prevista dal codice del consumo.

In ogni caso, utilizzare la messaggistica veloce per trattare temi contrattuali è un rischio: canali più formali, come le mail, invitano a valutare più attentamente i contenuti del messaggio.


LEGGI ANCHE:

25 anni di Google: da un garage ha conquistato tutto il mondo

Quanto inquina l’intelligenza artificiale?

25 anni di google

25 anni di Google: da un garage ha conquistato tutto il mondo

È il 25esimo compleanno di Google, colosso tecnologico che ha rivoluzionato il nostro approccio alla ricerca e all’accesso delle informazioni.

Il 4 settembre 1998, in un garage di Menlo Park, due studenti universitari, Sergey Brin e Larry Page fondarono Google, risolvendo una delle esigenze più urgenti dell’epoca, ovvero fare un po’ di ordine alla confusione presente online.

La rete, in quegli anni, si stava popolando di informazioni di tutti i generi, rendendo molto complesso per gli utenti trovare quello di cui avevano bisogno. Anche se esisteva già un motore di ricerca, questo non era capace di fornire dei risultati che seguissero dei criteri specifici.

Allora i due ebbero un’intuizione, ovvero la creazione di un algoritmo capace di analizzare la rete e ordinare le varie pagine web, basandosi sulla qualità e sul numero dei link ricevuti. Gli utenti, dunque, ricevevano dei risultati precisi e validi, partendo da quello più importante.

Fu un’idea di enorme successo, che rese Google, sin da subito, il motore di ricerca preferito dagli utenti, che convinse i proprietari delle pagine web a fare qualsiasi cosa, anche investire grandi somme di denaro, pur di apparire nelle prime posizioni dei risultati.

Page e Brin, poco dopo aver fondato la società, decisero di ampliare le possibilità di monetizzare, andando ad introdurre nel motore di ricerca degli annunci pubblicitari targettizzati, che si basavano sulle ricerche degli utenti.

Nacque Google AdWords, piattaforma pubblicitaria, che si rivelò un booster per la crescita del progetto. L’azienda infatti guadagnò migliaia di dollari dalla pubblicità, ed ora è uno dei principali colossi tech.

Senza Gmail, Maps e YouTube, molto probabilmente, ci sentiremmo persi. Auguri Google!


LEGGI ANCHE:

Quanto inquina l’intelligenza artificiale?

A che punto siamo con l’identità digitale delle persone giuridiche?

inquinamento intelligenza artificiale

Quanto inquina l’intelligenza artificiale?

Una delle contraddizioni poco esplorate in tema di intelligenza artificiale riguarda l’impronta ambientale e l’impatto energetico di questo tipo di tecnologia.

Ma quali sono gli elementi da prendere in considerazione per riuscire a valutare la situazione?

Certamente, l’energia che viene utilizzata per mettere in moto tutto il sistema è strettamente connessa alla potenza dell’hardware. La stessa quantità di energia viene poi utilizzata al fine di educare l’algoritmo o per alimentare i data server.

Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale generativa, quella che troviamo alla base di ChatGPT, ha bisogno di una grandissima potenza di calcolo. Dobbiamo tenere conto che l’intelligenza artificiale generativa usa alcune architetture che si basano su delle reti neurali, quindi prevede tantissimi parametri che dovranno essere in qualche modo addestrati.

In questa fase di addestramento, il consumo di energia è ai massimi livelli, visto che all’algoritmo dovranno essere forniti tantissimi esempi affinché possa apprendere.

È noto che l’industria ITC abbia generato delle emissioni di carbonio pari a quelle emesse dal sistema di aviazione. Sappiamo bene, inoltre, che l’utilizzo di acqua fredda per raffreddare i data center e l’utilizzo di metalli rari per la costruzione dei componenti degli hardware rendono le nuove tecnologie non così green.

Alcune ricerche testimoniano come i data center cinesi vengano alimentati per il 73% da elettricità generata da carbone. Tutto questo rende evidente come la fonte energetica abbia un peso importante sull’impronta ecologica complessiva della tecnologia digitale.

È stato calcolato il consumo per l’addestramento di ChatGPT-3, ovvero 700.000 litri di acqua soltanto per raffreddare i server. Si pensi che scambiare 20 messaggi con ChatGPT equivale al consumo di mezzo litro d’acqua.

Leggi anche: ChatGPT e lo scenario Terminator: le IA uccideranno il lavoro dell’avvocato?

Visto che l’intelligenza artificiale sta gradualmente diventando sempre più importante per lo svolgimento delle nostre attività, misurare l’impatto ambientale di tali meccanismi diviene fondamentale.

L’intelligenza artificiale, senza dubbio, comporta parecchi vantaggi, anche a livello ambientale. Per esempio, questo strumento può essere utilizzato nel settore petrolifero, migliorandone la sicurezza e le prestazioni operative, fornendo anche modelli di tipo predittivo.

Tuttavia si corre il rischio di andare incontro a contraddizioni, visto che l’intelligenza artificiale, nonostante i potenziali scopi positivi, diventa una lama a doppio taglio in assenza di una corretta valutazione dell’impronta ecologica e del reale fabbisogno energetico.


LEGGI ANCHE:

A che punto siamo con l’identità digitale delle persone giuridiche?

Sospensione per l’avvocato che non paga debiti verso terzi

A che punto siamo con l’identità digitale delle persone giuridiche?

Sin dalla loro prima definizione normativa, le identità CIE e SPID sono state pensate dal legislatore per identificare sia le persone fisiche che quelle giuridiche. Tutto questo si evince anche dalle notificazioni da parte della Commissione UE di entrambe le identità.

Nella proposta di regolamento eIDAS2 si prevede come il wallet UE debba identificare persone fisiche e giuridiche, oltre a persone fisiche che rappresentano persone giuridiche.

Il concetto di persona giuridica a livello europeo risulta più ampio rispetto a quello nazionale. Nelle norme Ue, infatti, per persona giuridica vengono intese le varie entità conformi al diritto di uno Stato membro oppure disciplinate da questo.

Vengono considerate persone giuridiche anche le entità che vengono normalmente escluse dalla definizione nazionale, in quanto prive di personalità giuridiche, come associazioni non riconosciute, società di persone e ditte individuali con partita iva.

Dunque, un professionista che ha partita iva è una persona giuridica e per questo dovrebbe operare non solo con l’identità personale ma con una che viene attribuita ad una persona giuridica.

In Italia oggi troviamo soltanto uno Spid professionale, che può essere rilasciato ad un professionista oppure ad un rappresentante di persona giuridica. Non c’è alcun modo per dichiarare di essere una persona giuridica oppure rappresentante di questa con CIE.

Tutti noi accediamo ai vari servizi online in diversi modi: ci sono account personali o aziendali. Nel caso di quest’ultimi si possono utilizzare due sistemi: il primo è quello di chiedere se l’utente ha intenzione di accedere con l’account personale oppure con quello aziendale.

In tal modo, viene identificata con certezza tale persona, pur mantenendo la responsabilità sul device provider di accedere al servizio in veste di rappresentante aziendale.

Nel service provider, dunque, confluiscono gli oneri amministrativi per riuscire ad identificare una persona giuridica collegata alla persona fisica, determinando se la persona fisica, effettivamente, abbia titolo per accedere in quanto rappresentante della persona giuridica.

È necessario, dunque, oltre allo SPID professionale, una reale identità elettronica della persona giuridica.

Leggi anche: Referendum 2024: si firma online esclusivamente con SPID

La proposta di Regolamento eIDAS2, nei confronti dell’identità elettronica delle persone giuridiche sembra essere maggiormente dettagliata rispetto all’attuale regolamento eIDAS.

Stabilisce inoltre l’equivalenza tra l’identità elettronica e quella della persona che la può rappresentare. E già questo potrebbe essere un bel problema, visto che le persone giuridiche possono avere più rappresentanti, che spesso non hanno gli stessi poteri.

Tuttavia sembra che si stia aprendo la porta per i servizi integrativi del wallet, normalmente associati all’utilizzo da parte della persona giuridica. Le caratteristiche che mancano della persona giuridica dovrebbero essere integrate dalle piattaforme che meglio declinano le attribuzioni dell’identità da parte della persona giuridica.

Il wallet, infatti, ha valenza UE, e per questo motivo potrebbe divenire un elemento molto importante per le varie transazioni commerciali transfrontaliere.


LEGGI ANCHE:

Sospensione per l’avvocato che non paga debiti verso terzi

Atti processo civile: guida ai nuovi criteri di redazione

Sospensione per l’avvocato che non paga debiti verso terzi

Il Cnf ha stabilito, con sentenza 116/2023, la conferma della sospensione per due mesi inflitta dal Cdd dal professionista.

Una linea dura quella del Cnf nei confronti dell’inadempimento delle obbligazioni pecuniarie da parte dell’avvocato nei confronti di terzi. Con la sentenza 116 del 7 giugno 2023, il Cnf conferma la sospensione di due mesi inflitta all’avvocato da parte del Cdd di Catanzaro. Il legale, infatti, non aveva pagato le obbligazioni dei propri clienti.

Secondo il Consiglio Distrettuale di Disciplina, «proprio in ragione della professione svolta, l’incolpato disponeva di mezzi a sufficienza per comprendere la portata vincolante della obbligazioni assunte». Di conseguenza, «aveva determinato una violazione dei doveri di lealtà, probità, correttezza e decoro, nonché una compromissione dell’affidamento dei terzi nella capacità dell’avvocato di rispettare i propri doveri».

L’avvocato avrebbe dovuto tenere un comportamento «adeguato al prestigio della classe forense, che impone comportamenti individuali ispirati a valori positivi, immuni da ogni possibile giudizio di biasimo, etico, civile o morale».

Commette illecito deontologico chi non adempie alle proprie obbligazioni nei confronti di terzi. Questo indipendentemente dalla natura del debito, vista lo scopo di tutela dell’affidamento di terzi nella capacità dell’avvocato rispetto ai propri doveri professionali e la pubblicità negativa derivante da tale inadempimento, che si riflette sulla reputazione stessa del professionista ma soprattutto sull’immagine della classe forense.

Il mancato adempimento degli obblighi che vengono assunti nei confronti di terzi «costituisce illecito disciplinare ai sensi dell’art. 64 del CDF».

Nella norma sono contenuti due precetti: «uno di ampia portata, che impone l’obbligo di adempiere alle obbligazioni assunte nei confronti di terzi sempre e comunque, e l’altro, di portata più ridotta, che sanziona l’inadempimento delle obbligazioni estranee all’esercizio della professione, quando per modalità o gravità sia tale da compromettere la dignità della professione e l’affidamento dei terzi».

Ritornando ai fatti contestati al legale, questi rientrano nel primo comma art. 64, visto che le obbligazioni che vengono assunte nei confronti di terzi «non possono dirsi estranee all’esercizio della professione forense, essendo state contratte spontaneamente dall’avv. in favore del suo cliente, confondendo, peraltro, il rapporto professionale con quello personale con il medesimo soggetto».

Secondo il Collegio la sanzione è inoltre adeguata «in relazione alla misura edittale, alla reiterazione del comportamento e alla condotta complessiva dell’incolpato» e non si può ritenere mitigata dalla prescrizione accertata dei fatti relativi ad uno dei due capi d’imputazione.

Conclude: «La pronuncia di prescrizione non giustifica l’applicazione della sanzione attenuata della censura».


LEGGI ANCHE:

Atti processo civile: guida ai nuovi criteri di redazione

Referendum 2024: si firma online esclusivamente con SPID

Atti processo civile: guida ai nuovi criteri di redazione

L’obiettivo principale della Riforma della Giustizia Cartabia è la velocizzazione e la digitalizzazione della giustizia. Per questo, il nuovo codice di procedura ha introdotto dei principi generali per la redazione degli atti processuali, ovvero il principio di chiarezza e quello di sinteticità.

In particolare:

Art. 121 c.p.c.

Gli atti del processo, per i quali la legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo. Tutti gli atti del processo sono redatti in modo chiaro e sintetico.

Art. 46 disp. att. c.p.c.

I processi verbali e gli altri atti giudiziari debbono essere scritti in carattere chiaro e facilmente leggibile […] Il Ministro della giustizia, sentiti il Consiglio superiore della magistratura e il Consiglio nazionale forense, definisce con decreto gli schemi informatici degli atti giudiziari con la strutturazione dei campi necessari per l’inserimento delle informazioni nei registri del processo. Con il medesimo decreto sono stabiliti i limiti degli atti processuali, tenendo conto della tipologia, del valore, della complessità della controversia, del numero delle parti e della natura degli interessi coinvolti. Nella determinazione dei limiti non si tiene conto dell’intestazione e delle altre indicazioni formali dell’atto, fra le quali si intendono compresi un indice e una breve sintesi del contenuto dell’atto stesso. Il decreto è aggiornato con cadenza almeno biennale. Il mancato rispetto delle specifiche tecniche sulla forma e sullo schema informatico e dei criteri e limiti di redazione dell’atto non comporta invalidità, ma può essere valutato dal giudice ai fini della decisione sulle spese del processo. Il giudice redige gli atti e i provvedimenti nel rispetto dei criteri di cui al presente articolo.

Tutti i nuovi criteri per la scrittura di un atto giudiziario nel processo civile si applicano ai procedimenti che vengono instaurati dopo il 1° settembre 2023. Non è necessario rispettare i limiti di battute, visto che nel decreto viene detto esplicitamente che non sono causa di inammissibilità e invalidità.

Rispetto all’art. 125 c.p.c. e all’art. 342 c.p.c. non ci sono particolari novità, se non l’introduzione di una stringa di 20 parole chiave: è consigliato l’utilizzo delle voci del C.E.D. della cassazione o l’utilizzo dei template del dipartimento.

Se la causa è molto complessa e l’importo è elevato si può superare il limite di battute. Infatti, i limiti dimensionali non si devono applicare a cause di valore superiore a 500.000,00 euro.

Leggi anche: Atti processo civile: dal 1° settembre nuove regole di redazione

Si possono utilizzare schemi e immagini nel corpo dell’atto, visto che il decreto non li vieta. Nel conteggio delle battute non sarà obbligatorio l’inserimento di contenuti obbligatori per legge, ex art. 125 e 164 c.p.c. Quando si conteggiano le battute, infatti, queste parti restano escluse. La funzione per il conteggio delle battute deve essere utilizzata escludendo queste componenti dell’atto.

Nelle chiamate di terzo e negli atti in cui è necessario riportare anche gli atti di altre parti o provvedimenti del giudice non viene applicato il limite delle battute. Il limite delle battute si applica agli atti giudiziari ma anche per le note scritte sostitutive dell’udienza.

I criteri redazionali non valgono solamente per gli avvocati ma anche per i Giudici che dovranno redigere provvedimenti soggetti ad impugnazione per punti, al fine di facilitare l’individuazione del capo di cui chiede la riforma.

Cause con valore inferiore a 500.000,00 euro

Secondo l’art. 3 del Regolamento, vengono esclusi dal conteggio:

  • l‘intestazione dell’Atto;
  • l’indicazione delle Parti;
  • le parole chiave;
  • l’indice e la sintesi dell’atto;
  • gli estremi del provvedimento impugnato;
  • le indicazioni, le dichiarazioni e gli avvertimenti previsti dalla legge;
  • le conclusioni;
  • la data e il luogo;
  • le sottoscrizioni delle parti e dei difensori;
  • le relazioni di notifica e le relative richieste e dichiarazioni;
  • i riferimenti giurisprudenziali riportati nelle note.

Tali limiti potranno poi esser disapplicati nei casi in cui ci sia:

  • particolare complessità della controversia per: tipologia, valore, numero delle parti, interessi coinvolti;
  • domanda riconvenzionale;
  • chiamata del terzo;
  • integrazione del contraddittorio;
  • atto di riassunzione;
  • impugnazione incidentale.

In breve, l’atto dovrà essere predisposto con un font di tipo corrente (Word, Open Office) di dimensioni di 12 punti, con interlinea di 1,5 e con margini di 2,5 centimetri. Non sono consentite le note, tranne per l’indicazione dei precedenti giurisprudenziali e dei riferimenti dottrinari

Per consultare le Linee Guida per la Redazione degli Atti del Processo Civile

cliccare sopra questo link.


LEGGI ANCHE:

Ocf, atti processo civile: le regole in vigore dal 1° settembre vanno riviste

Intelligenza artificiale: ecco Ernie Bot, il rivale cinese di ChatGpt

referendum con spid

Referendum 2024: si firma online esclusivamente con SPID

Ci sono dei nuovi referendum ai quali si può sottoscrivere sino al 30 settembre 2023. E per la prima volta in Italia si firma esclusivamente online, attraverso SPID. Per poter sottoscrivere ai 14 quesiti basterà accedere con SPID online sul sito del comitato promotore.

Per poter firmare basterà pagare 1,65 euro, a prescindere dal numero di quesiti sottoscritti. Il contributo viene richiesto dal comitato promotore per sostenere la comodità di una firma in pochi clic, dove e quando si desidera, senza doversi necessariamente spostare fisicamente.

Riferisce il Comitato Promotore: «Le firme saranno solo online perché la pratica è molto più semplice con questa modalità, altrimenti bisogna arrivare a Roma con furgoni di carta. Però se qualcuno volesse si potrebbero fare banchetti esplicativi. Dipende se si crea un movimento di volontari, che auspichiamo. Ma si tratterebbe in ogni caso di banchetti solo esplicativi, per aiutare in loco i cittadini a firmare online, spiegando come adoperarsi con lo SPID e il pagamento del contributo».

Il contributo di 1,65 euro per poter sottoscrivere online con SPID i referendum è necessario per la copertura dei costi della gestione tecnica del processo referendario. Si tratta di costi che rappresentano anche l’autenticazione per l’apposizione delle feq e per apporre le necessarie marche temporali per la validità legale.

L’esigenza della copertura di tali costi esiste a causa della mancanza di una piattaforma tecnologica pubblica, che possa utilizzare la raccolta digitale delle firme. Una piattaforma online statale è prevista anche dalla Legge di Bilancio 2021, anche se ancora non è stata realizzata.

Dunque, per riuscire ad assicurare ai cittadini la possibilità della sottoscrizione online dei referendum, il comitato promotore ha dovuto rivolgersi ad un operatore privato accreditato presso AgID, mettendo a disposizione una piattaforma privata.

Leggi anche: Ma quindi, quale sarà il destino di SPID?

Per sottoscrivere i referendum bisogna, prima di tutto, registrarsi alla piattaforma, inserendo la propria mail, il Comune di Residenza e accettare l’informativa privacy. Dopo aver cliccato sul tasto “Invia”, ci arriverà una mail che ci permetterà di sottoscrivere i referendum.

Nello specifico, i referendum saranno i seguenti:

Referendum sulla cannabis, per:

  • alzare al 6% i limiti di THC nelle piante di canapa;
  • allargare la deroga alla coltivazione della canapa per usi consentiti dalle norme UE;
  • eliminare il divieto di coltivare la cannabis;
  • depenalizzare le coltivazioni non autorizzate.

Referendum sull’immigrazione, per:

  • introdurre lo Ius Soli per i figli di cittadini stranieri nati in Italia;
  • facilitare l’assunzione di cittadini stranieri in Italia, semplificando l’iter dei contratti di lavoro;
  • dare piena autonomia al Presidente della Repubblica nel concedere la cittadinanza italiana a cittadini stranieri.

Referendum sulla politica, per:

  • prevedere anche per i partiti già in Parlamento l’obbligo di raccogliere le firme per presentarsi alle elezioni successive;
  • prevedere più tempo per la raccolta delle firme per i referendum (attualmente 3 mesi) e consentire la richiesta di referendum anche nell’anno che precede l’elezione di Camera o Senato;
  • abbassare all’1% la soglia di sbarramento alla Camera, attualmente al 3%.

Gli ultimi referendum riguardano:

  • legalizzazione della maternità surrogata
  • abolizione del decreto rave
  • riapertura delle case di piacere
  • abrogazione dell’obbligo di rimessa per il trasporto privato NCC (noleggio con conducente).

Hai bisogno di attivare SPID?

Vieni nei nostri uffici: ci trovi in Via Trieste 158/C, oppure chiamaci allo 041 309 4509 🙂

I nuovi referendum molto probabilmente si terranno nel giugno 2024, ovvero nei giorni delle elezioni europee. Per arrivare alla fase del voto, tutti i quesiti dovranno raggiungere le 500mila firme richieste per legge. Probabilmente, come già avvenuto nel 2021, la possibilità di firma con SPID permetterà ad ogni quesito di superare il quorum.

Dopo il raggiungimento delle 500mila firme, tutti i quesiti dovranno superare il vaglio della Corte Costituzionale.


LEGGI ANCHE:

Violenza sulle donne, Giulia Bongiorno: “Under 14 siano imputabili”

Intelligenza artificiale: ecco Ernie Bot, il rivale cinese di ChatGpt

daspo giulia bongiorno

Violenza sulle donne, Giulia Bongiorno: “Under 14 siano imputabili”

Giulia Bongiorno, presidente della commissione Giustizia al Senato dichiara in un’intervista a Libero: «La Lega sta lavorando a una serie di proposte sulla violenza dei minori. Tra queste, voglio ricordare quella del Daspo per i minori di 14 anni. Oggi i ragazzi crescono molto in fretta e attraverso la rete e i social acquisiscono in giovanissima età nozioni che un tempo di acquisivano dopo. Il tema è complesso e dovremmo anche pensare alla possibilità di abbassare la soglia di imputabilità, che oggi è fissata a 14 anni».

Prosegue la senatrice: «I casi di violenza sulle donne che in questi giorni riempiono le cronache rappresentano la punta di un iceberg: in tantissime, per i motivi più diversi, scelgono di non denunciare. Non si deve pensare che il fenomeno riguardi solo i casi seguiti dai media, il problema è drammaticamente più ampio».

«La violenza sulle donne, comunque, c’è sempre stata ed è trasversale; investe tutte le classi sociali e tutte le fasce d’età. Per combatterla bisogna comprenderla, e innanzitutto distinguerla dalla violenza comune individuandone la specificità: affonda le radici nella discriminazione, in una concezione della donna come essere inferiore, oggetto, preda; ci sono uomini per i quali il consenso della donna è una questione del tutto irrilevante, anzi inesistente. La violenza sulle donne riguarda anche i più giovani, che a volte sembrano presumere una specie di “diritto all’amplesso”. Credo che in questo siano influenzati dall’uso di internet e dei social network».

Bongiorno, comunque, dice di essere favorevole sia all’educazione sessuale che all’educazione alla prevenzione. «E sono favorevole anche a quello che io chiamo “diritto penale preventivo”: parlare in modo chiaro ai ragazzi delle conseguenze delle loro condotte. Naturalmente, bisogna educarli al rispetto e all’idea che uomini e donne sono diversi ma uguali quando si parla di capacità, diritti e doveri».

La Lega, dopo i recenti fatti di Caivano e Palermo, ha lanciato alcune proposte finalizzate al contrasto della violenza giovanile, come la legge sulla castrazione chimica per coloro che commettono violenze sessuali. Il testo, firmato da Mara Bizzotto, è già stato depositato in Senato, e prevede due ipotesi, ovvero un trattamento obbligatorio e uno volontario.

Precisa la Lega: «I tempi sono maturi per passare dalle parole ai fatti. Sia chiaro: non è prevista alcuna violazione dei diritti delle persone». Ma non sono d’accordo né le opposizioni né Forza Italia. Infatti, il leader di Fi Antonio Tajani spiega come la castrazione chimica non sia affatto nel programma del governo: «Agire sul corpo di una persona non è la soluzione giusta, io sono contrario anche alla pena di morte».

Il disegno di legge prevede inoltre «daspo per i minori di 14 anni e sanzioni per i genitori, multe salate per chi non manda i figli a scuola, inasprimento delle pene, lavori socialmente utili subito o processo senza sconti per chi commette reati».


LEGGI ANCHE:

Intelligenza artificiale: ecco Ernie Bot, il rivale cinese di ChatGpt

Sanzione per l’avvocato-mediatore se non separa la sede dell’organismo dallo studio

ernie bot intelligenza artificiale cinese

Intelligenza artificiale: ecco Ernie Bot, il rivale cinese di ChatGpt

Baidu, il principale motore di ricerca cinese, paragonabile a Google, ha lanciato Ernie Bot, ovvero la risposta cinese a ChatGpt. Tutto questo rappresenta un gran passo in avanti per il settore tecnologico cinese.

Ernie Bot è la primissima app di Intelligenza Artificiale domestica disponibile in Cina e non all’estero. Afferma Baidu in una nota: «Siamo entusiasti di poter condividere che Ernie Bot è ora completamente pronta per il pubblico a partire dal 31 agosto».

Pechino, ad agosto, ha deciso di introdurre delle nuove norme per gli sviluppatori di IA, con lo scopo di aiutarli a tenere il passo con rivali quali OpenAi e Microsoft, pur mantenendo una stretta sulle informazioni online.

Leggiamo ancora nella nota: «Oltre a Ernie Bot, Baidu lancerà una suite di nuove app native per l’intelligenza artificiale che consentiranno agli utenti di sperimentare appieno le quattro capacità principali dell’intelligenza artificiale generativa: comprensione, generazione, ragionamento e memoria».

Leggi anche: GiuriMatrix: in Italia il primo assistente legale basato sull’intelligenza artificiale

Baidu, rendendo Ernie Bot disponibile, consentirà di ottenere un gran ritorno di pareri, per riuscire a migliorare l’app velocemente.

Le app che si basano sull’intelligenza artificiale generativa si basano su grandi quantità di dati, e sulle varie interazioni con gli utenti, affinché questi possano rispondere a qualsiasi tipo di domanda con un linguaggio simile a quello umano.

Il successo che ha avuto ChatGpt, vietato in Cina, ha comportato una vera e propria corsa allo sviluppo di app rivali, così come un allarme diffuso su potenziali abusi e disinformazioni.

Secondo le linee guida recenti, tutte le app cinesi di intelligenza artificiale generativa dovranno «aderire ai valori fondamentali del socialismo», evitando di minacciare la sicurezza nazionale e soprattutto evitando di promuovere terrorismo, odio etnico e violenza.


LEGGI ANCHE:

Sanzione per l’avvocato-mediatore se non separa la sede dell’organismo dallo studio

Ocf, atti processo civile: le regole in vigore dal 1° settembre vanno riviste

Iso 27017
Iso 27018
Iso 9001
Iso 27001
Iso 27003
Acn
RDP DPO
CSA STAR Registry
PPPAS
Microsoft
Apple
vmvare
Linux
veeam
0
    Prodotti nel carrello
    Il tuo carrello è vuoto