Sospensione per l’avvocato che non paga debiti verso terzi

Il Cnf ha stabilito, con sentenza 116/2023, la conferma della sospensione per due mesi inflitta dal Cdd dal professionista.

Una linea dura quella del Cnf nei confronti dell’inadempimento delle obbligazioni pecuniarie da parte dell’avvocato nei confronti di terzi. Con la sentenza 116 del 7 giugno 2023, il Cnf conferma la sospensione di due mesi inflitta all’avvocato da parte del Cdd di Catanzaro. Il legale, infatti, non aveva pagato le obbligazioni dei propri clienti.

Secondo il Consiglio Distrettuale di Disciplina, «proprio in ragione della professione svolta, l’incolpato disponeva di mezzi a sufficienza per comprendere la portata vincolante della obbligazioni assunte». Di conseguenza, «aveva determinato una violazione dei doveri di lealtà, probità, correttezza e decoro, nonché una compromissione dell’affidamento dei terzi nella capacità dell’avvocato di rispettare i propri doveri».

L’avvocato avrebbe dovuto tenere un comportamento «adeguato al prestigio della classe forense, che impone comportamenti individuali ispirati a valori positivi, immuni da ogni possibile giudizio di biasimo, etico, civile o morale».

Commette illecito deontologico chi non adempie alle proprie obbligazioni nei confronti di terzi. Questo indipendentemente dalla natura del debito, vista lo scopo di tutela dell’affidamento di terzi nella capacità dell’avvocato rispetto ai propri doveri professionali e la pubblicità negativa derivante da tale inadempimento, che si riflette sulla reputazione stessa del professionista ma soprattutto sull’immagine della classe forense.

Il mancato adempimento degli obblighi che vengono assunti nei confronti di terzi «costituisce illecito disciplinare ai sensi dell’art. 64 del CDF».

Nella norma sono contenuti due precetti: «uno di ampia portata, che impone l’obbligo di adempiere alle obbligazioni assunte nei confronti di terzi sempre e comunque, e l’altro, di portata più ridotta, che sanziona l’inadempimento delle obbligazioni estranee all’esercizio della professione, quando per modalità o gravità sia tale da compromettere la dignità della professione e l’affidamento dei terzi».

Ritornando ai fatti contestati al legale, questi rientrano nel primo comma art. 64, visto che le obbligazioni che vengono assunte nei confronti di terzi «non possono dirsi estranee all’esercizio della professione forense, essendo state contratte spontaneamente dall’avv. in favore del suo cliente, confondendo, peraltro, il rapporto professionale con quello personale con il medesimo soggetto».

Secondo il Collegio la sanzione è inoltre adeguata «in relazione alla misura edittale, alla reiterazione del comportamento e alla condotta complessiva dell’incolpato» e non si può ritenere mitigata dalla prescrizione accertata dei fatti relativi ad uno dei due capi d’imputazione.

Conclude: «La pronuncia di prescrizione non giustifica l’applicazione della sanzione attenuata della censura».


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