Un contratto è valido se viene firmato con un pollice emoji?

Gli emoji sono dei simboli pittografici divenuti famosi in Giappone alla fine dello scorso secolo. La maggior parte di noi li utilizza, per esempio, su WhatsApp.

Tra gli emoji maggiormente utilizzati troviamo il pollice in alto che, nonostante non abbia un’attribuzione univoca, viene spesso utilizzato per indicare consenso oppure accettazione.

Sulla base di questo emoji, un agricoltore canadese si è ritrovato obbligato ad eseguire un contratto sottoscritto proprio con il pollice in alto. L’agricoltore, visto il mancato adempimento del contratto, è stato condannato al pagamento di 56mila euro, ovvero 82.000 dollari.

Per il giudice canadese, infatti, l’emoji del pollice in su risulta sufficiente per la determinazione dell’accettazione di un accordo, con lo stesso valore di una firma. Il giudice ha dichiarato che i Tribunali devono adeguarsi alla nuova realtà di oggi, dunque, anche alle nuove forme di comunicazione.

Una cooperativa agricola, la South West Terminal, nel 2021 avrebbe inviato un sms all’agricoltore Chris Achter richiedendo la fornitura di una partita di lino di 87 tonnellate. L’sms si concludeva con: «Per favore conferma il contratto di lino».

Achter avrebbe risposto al messaggio con il famoso emoji con il pollice in su; ma quando la cooperativa ha tentato di ottenere l’adempimento dell’agricoltore, questo si sarebbe opposto, dichiarando di non aver mai sottoscritto contratti con la South West Terminal.

Per l’agricoltore, l’emoji utilizzata comunicava semplicemente la presa visione della proposta: «Non era una conferma che ero d’accordo con i termini del contratto di fornitura lino. I termini e le condizioni completi del contratto di lino non mi sono mai stati inviati e ho capito che il contratto completo sarebbe seguito via fax o e-mail da rivedere e firmare».

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Il nostro ordinamento, secondo la dottrina più tradizionale, probabilmente sarebbe improntato sul principio di libertà della forma del contratto, salvo il caso in cui la legge richieda espressamente una determinata forma, in cui le parti decidano il mezzo idoneo con il quale manifestare il consenso.

Anche lo schema dell’articolo 1327 del codice civile prevede questo tipo di ipotesi, laddove sia permessa la conclusione del contratto in maniera indipendente dalla conoscenza dell’accettazione da parte del proponente.

Il contratto, in questo caso, dovrà ritenersi concluso se viene richiesta l’esecuzione urgente del contratto. L’accettante dovrà quindi procedere all’esecuzione senza fornire risposta alla proposta ricevuta, ma soltanto avvisando l’altro che inizieranno le attività che richiede il contratto.

Dunque, sembra ragionevole pensare che una pronuncia con tenore simile o uguale a quella della corte canadese possa essere presente anche nella giurisprudenza italiana.

Nonostante tutto, l’ordinamento ha determinato alcuni strumenti giuridici, che mirano ad evitare che un soggetto si ritrovi vincolato, senza volerlo, a clausole onerose. Questo è il caso della doppia sottoscrizione presente nell’articolo 1341 del codice civile e della nullità di protezione prevista dal codice del consumo.

In ogni caso, utilizzare la messaggistica veloce per trattare temi contrattuali è un rischio: canali più formali, come le mail, invitano a valutare più attentamente i contenuti del messaggio.


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