Casse di previdenza, svolta negli investimenti: priorità all’Italia

Un deciso cambio di rotta nella gestione del patrimonio degli enti previdenziali dei professionisti. È quanto prevede il nuovo decreto firmato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e dal Ministero del Lavoro, che disciplina in modo puntuale le strategie di investimento delle casse di previdenza, titolari di un patrimonio complessivo che a fine 2024 ha superato i 124 miliardi di euro.

Il principio guida della riforma è chiaro: gli investimenti dovranno essere orientati prioritariamente a sostenere lo sviluppo economico e produttivo del Paese. In particolare, viene indicata l’opportunità di privilegiare interventi nel settore infrastrutturale, energetico, ambientale e nella rigenerazione urbana.

Una strategia che si inserisce in un più ampio tentativo del governo, dei mercati e degli operatori finanziari di convogliare parte delle ingenti risorse delle casse nell’economia reale, sia attraverso partecipazioni in società quotate che in asset privati. Un indirizzo che riguarda enti di peso come Enpam (medici), Enasarco (agenti di commercio), Cassa Forense (avvocati), Inarcassa (architetti e ingegneri), che già oggi detengono quote rilevanti in colossi come Generali e operano attraverso gestori specializzati.

Il decreto, atteso da anni, rappresenta una cornice normativa unitaria in un settore finora privo di regole comuni, dove ogni cassa si muoveva secondo criteri propri. Le nuove regole definiscono modalità di gestione, criteri di investimento, obblighi di trasparenza, strumenti di controllo, politiche sulla gestione dei conflitti di interesse e incompatibilità.

Le casse potranno optare per una gestione diretta del patrimonio, purché dotate di strutture professionali adeguate, oppure affidarsi a soggetti esterni, selezionati attraverso gare, sulla base di convenzioni che dovranno includere linee guida coerenti con la strategia definita dal consiglio di amministrazione.

I principi fondamentali richiamano la “sana e prudente gestione”, la trasparenza, la protezione dell’interesse collettivo degli iscritti e la ricerca della migliore combinazione rischio-rendimento, con un’adeguata diversificazione del portafoglio e attenzione al contenimento dei costi.

Viene inoltre ribadita la preferenza per strumenti negoziati nei mercati regolamentati: ogni eventuale scelta diversa dovrà essere motivata in modo puntuale. Il documento sulla politica degli investimenti, che ogni ente sarà tenuto a redigere e pubblicare, dovrà essere aggiornato almeno ogni tre anni e includere l’asset allocation attesa e i relativi profili di rischio.

Tra le altre novità, l’obbligo di predisporre un prospetto annuale aggiornato a valori correnti e l’adozione di misure ragionevoli per prevenire e gestire eventuali conflitti di interesse, che potrebbero compromettere la tutela degli iscritti.


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Professioni, verso una riforma globale: al via il restyling degli ordinamenti

Un anno dopo l’incontro a Palazzo Chigi promosso dal sottosegretario Alfredo Mantovano, torna in primo piano la riforma degli ordinamenti delle libere professioni. Il 31 luglio 2024, infatti, le rappresentanze delle categorie professionali erano state convocate per un confronto sul loro ruolo nello sviluppo economico e sociale del Paese. Oggi, secondo quanto riferito da fonti interne al mondo ordinistico, quella discussione è stata riaperta, con l’obiettivo di avviare un vero e proprio restyling globale del settore.

Al centro della riflessione vi è la possibilità di intervenire in profondità sul DPR 137 del 2012, la norma che regola i principali istituti comuni alle professioni ordinistiche: dall’accesso all’esercizio, passando per il tirocinio e la formazione continua. Il ministro del Lavoro, Marina Calderone, aveva già indicato in quell’occasione la necessità di un aggiornamento, anche alla luce del potenziale ancora inespresso del principio di sussidiarietà tra professionisti e pubblica amministrazione, oggi applicato in modo disomogeneo e con ampi margini di espansione.

Nel frattempo, alcuni ordini professionali hanno avviato autonomamente un percorso di revisione statutaria. È il caso, ad esempio, di avvocati e commercialisti, i cui Consigli nazionali hanno approvato testi di riforma da sottoporre ora all’esame del Parlamento. Il presidente del Consiglio Nazionale Forense, Francesco Greco, lo scorso 15 maggio ha espresso forte apprezzamento per le parole del ministro della Giustizia Carlo Nordio, che in Senato aveva manifestato l’intenzione di accompagnare il nuovo testo forense con un disegno di legge delega. Un percorso legislativo che tuttavia non è stato ancora formalmente avviato.

Più avanti sembra invece la categoria dei commercialisti. Il presidente Elbano de Nuccio ha definito la riforma varata dal Consiglio nazionale «una nuova carta d’identità» per la professione, a vent’anni dall’entrata in vigore del Decreto legislativo 139 del 2005, giudicato ormai superato. Il progetto mira a rilanciare la categoria nel segno della modernità e della maggiore integrazione con le sfide del futuro.

Tra i temi oggetto di discussione nel nuovo disegno di legge in preparazione al ministero del Lavoro figurerebbe anche la questione dell’“approdo tardivo” alle professioni, spesso rallentato da percorsi formativi lunghi e non sempre coerenti con le esigenze del mercato del lavoro. Un nodo che Calderone ha già avuto modo di sottolineare in più occasioni.

Infine, sul versante degli incarichi tecnici giudiziari, si avvicina l’uscita del testo preparato dalla Commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per la revisione dei compensi dei consulenti tecnici d’ufficio (CTU). Secondo quanto anticipato dal viceministro Francesco Paolo Sisto, la rivalutazione dovrebbe aggirarsi intorno al 61% degli importi attualmente riconosciuti, come confermato dal presidente del Consiglio nazionale dei geometri, Paolo Biscaro.


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Interruzione dei servizi informatici del settore civile per tutti gli Uffici giudiziari del territorio nazionale

Per attività di manutenzione straordinaria si procederà all’interruzione dei sistemi civili al servizio di tutti gli Uffici giudiziari di merito dei distretti di Corte di Appello dell’intero territorio nazionale

dalle ore 14:30 del 17 luglio 2025 e fino al termine delle attività alle ore 20:00 di tale giorno

E’ fatta eccezione per il distretto di Lecce il cui fermo si prolungherà fino alle ore 19:00.

Durante l’esecuzione delle attività di manutenzione, rimarranno attivi i servizi di posta elettronica certificata e saranno, quindi, disponibili le funzionalità relative al deposito telematico del settore civile da parte degli avvocati, dei professionisti e degli altri soggetti abilitati esterni anche se i messaggi relativi agli esiti dei controlli automatici potrebbero pervenire solo al riavvio definitivo di tutti i sistemi.

Ricordiamo che sarà possibile depositare telematicamente con Service1 seguendo l’apposita guida disponibile al seguente LINK GUIDE

Non sarà invece possibile consultare in linea i fascicoli degli uffici dei distretti coinvolti dal fermo dei sistemi e procedere alla pubblicazione di una nuova inserzione sul Portale delle Vendite Pubbliche per le vendite di tipo giudiziario.


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Criminalità informatica, la UE dice sì alla Convenzione ONU

La Commissione europea compie un passo decisivo nella lotta globale alla criminalità informatica. In una proposta presentata oggi, l’esecutivo comunitario ha raccomandato all’Unione Europea di firmare e ratificare la Convenzione delle Nazioni Unite sulla criminalità informatica, primo trattato internazionale vincolante che affronta i reati digitali su scala globale.

Il nuovo strumento multilaterale, che integra disposizioni in materia di diritto penale sostanziale e cooperazione giudiziaria, rappresenta una svolta storica nella regolamentazione dei crimini informatici, con una particolare attenzione ai reati che colpiscono i soggetti più vulnerabili.

Tra le novità più rilevanti, la Convenzione qualifica per la prima volta come reati penali internazionalmente riconosciuti la distribuzione di materiale pedopornografico, l’adescamento di minori a fini sessuali e la diffusione non consensuale di immagini intime — fenomeni in drammatica crescita negli ultimi anni.

Una risposta concreta alle minacce digitali globali

Il trattato include anche misure concrete di cooperazione transnazionale, come l’estradizione dei sospetti, lo scambio di prove elettroniche e la collaborazione investigativa tra autorità giudiziarie. Un elemento fondamentale, soprattutto alla luce dell’incremento di attacchi ransomware, frodi online e crimini digitali transfrontalieri, spesso condotti da attori basati in paesi terzi che colpiscono cittadini e aziende dell’UE.

La cooperazione prevista dalla Convenzione si fonda sul pieno rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, inclusi i diritti alla privacy e alla protezione dei dati personali, elementi centrali per garantire un bilanciamento tra sicurezza e tutela delle persone.

Le parole della Commissione

Facciamo un passo importante nella protezione delle persone online, in particolare dei minori”, ha dichiarato Henna Virkkunen, vicepresidente esecutiva per la Sovranità tecnologica e la sicurezza. “L’accordo rafforza la cooperazione internazionale e inserisce tra i reati atti dannosi come l’adescamento e la diffusione di materiale pedopornografico, in linea con la nostra strategia ProtectEU”.

Sulla stessa linea anche Magnus Brunner, commissario per gli Affari interni e la migrazione: “La criminalità informatica non conosce frontiere. Con questa convenzione dimostriamo il nostro impegno a proteggere i più vulnerabili e a portare i criminali informatici davanti alla giustizia”.

I prossimi passi

Ora la parola passa al Consiglio dell’UE, che dovrà adottare le decisioni formali per autorizzare la Commissione a firmare la Convenzione a nome dell’Unione. La ratifica finale sarà subordinata all’approvazione del Parlamento europeo.

Anche gli Stati membri saranno chiamati a procedere alla firma e alla ratifica secondo le rispettive procedure nazionali, rendendo così effettivo l’ingresso dell’UE in un quadro giuridico condiviso per contrastare la criminalità informatica in tutte le sue forme.


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Concordato fallimentare: niente compenso al professionista se la consulenza è inefficace

La prestazione del professionista va valutata anche nei risultati: senza utilità concreta per il cliente, il compenso può svanire. Con la sentenza n. 19174 depositata il 14 luglio 2025, la Corte di Cassazione ha chiarito un principio destinato ad avere un impatto rilevante nel contenzioso tra professionisti e imprese in crisi: non basta l’aver svolto un’attività per fondare il diritto al compenso, se questa si rivela inefficace o addirittura dannosa rispetto agli obiettivi per cui è stata richiesta.

Al centro della vicenda giudiziaria vi è un commercialista che aveva chiesto l’ammissione al passivo fallimentare per un credito professionale pari a quasi 300mila euro, vantato nei confronti di una società che aveva assistito durante una procedura di concordato preventivo, poi conclusasi con il fallimento.

Pagamenti irregolari e danno ai creditori

Il Tribunale aveva rigettato la richiesta del professionista, rilevando che la sua attività non solo non aveva portato beneficio alla massa dei creditori, ma aveva concorso a comprometterne gli interessi, consentendo alla società debitrice ingenti pagamenti, per circa 2 milioni di euro, in favore di creditori chirografari durante il corso della procedura. Pagamenti che avrebbero dovuto essere invece sottoposti all’autorizzazione giudiziale ai sensi dell’art. 182-quinquies della legge fallimentare.

Secondo i giudici di merito, l’advisor era venuto meno all’obbligo di informare correttamente gli amministratori sulle limitazioni operative della procedura concordataria, in particolare sul divieto di effettuare pagamenti se non autorizzati.

La Suprema Corte conferma: obblighi violati, niente onorario

La Prima sezione civile della Cassazione ha confermato la pronuncia del Tribunale, sottolineando che, anche se quella del professionista non è un’obbligazione di risultato in senso stretto, la sua attività deve comunque essere “concretamente ed effettivamente idonea” a conseguire lo scopo per il quale è stata richiesta.

Nel caso di specie, non solo il risultato non è stato raggiunto (la società è fallita), ma il comportamento del professionista avrebbe anche ostacolato l’accesso a una regolazione ordinata della crisi d’impresa, provocando danni agli altri creditori e pregiudicando la parità di trattamento.

Ignoranza giuridica come causa di inadempimento

La Corte ha sottolineato che il professionista, pur non potendo garantire il successo della procedura, è tenuto a svolgere la sua prestazione con diligenza, rispettando i vincoli di legge e informando correttamente il cliente sui limiti imposti dal concordato. La mancata segnalazione del divieto di effettuare pagamenti dopo la presentazione del ricorso è stata valutata come imperizia professionale e inadempimento contrattuale.

Di conseguenza, il comportamento del commercialista ha determinato il totale fallimento dell’obbligazione contrattuale, con la conseguenza che non matura alcun diritto al compenso, nemmeno in presenza di una richiesta o insistenza del cliente per adottare scelte rivelatesi poi dannose.

Una sentenza con effetti pratici rilevanti

La decisione ribadisce che il compenso professionale non è automatico, e che l’attività consulenziale deve sempre essere coerente, informata e conforme alla normativa vigente. Per commercialisti e legali che operano nell’ambito della crisi d’impresa, si tratta di un richiamo netto alla responsabilità tecnica e deontologica del loro ruolo.

Chi assiste le aziende in difficoltà, avverte la Cassazione, non può agire da semplice esecutore: deve fornire consulenza consapevole e orientata alla legalità, pena la perdita del diritto a essere retribuito.


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Cassazione: “Anche chi è al 41-bis ha diritto all’affettività”

Il diritto all’affettività non si spegne dietro le sbarre, nemmeno quando si tratta del regime detentivo più severo previsto dall’ordinamento penitenziario italiano. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con una decisione destinata a fare giurisprudenza, confermando che un boss mafioso, recluso al 41-bis da oltre 25 anni, ha diritto a un colloquio visivo con una donna con cui ha intrattenuto una relazione epistolare dal 2008, trasformata nel tempo in un legame sentimentale.

Nonostante il carcere duro limiti drasticamente i contatti con l’esterno, riservando i colloqui visivi esclusivamente ai familiari, la Suprema Corte ha accolto il principio secondo cui l’affettività è un diritto soggettivo che può estendersi anche a legami non formalizzati, purché non rappresentino un pericolo concreto per la sicurezza pubblica.

Una lunga relazione nata da parole scritte

Il caso riguarda un detenuto mafioso, arrestato nel 1993 e da oltre due decenni sottoposto al 41-bis. Nel tempo ha intrattenuto uno scambio epistolare con una donna estranea agli ambienti criminali. Un’amicizia nata sulle pagine, evolutasi in affetto profondo. Quando il direttore dell’istituto penitenziario ha negato il colloquio in presenza, il detenuto ha fatto ricorso al Tribunale di sorveglianza, che ha accolto la sua istanza.

Il Ministero della Giustizia ha impugnato quella decisione, ma la Cassazione ha confermato la legittimità dell’ordinanza. I giudici hanno chiarito che il diniego a un colloquio simile deve essere sempre motivato, valutando in modo puntuale e bilanciato il diritto all’affettività del detenuto e le esigenze di sicurezza pubblica.

Affetto sì, ma solo se non mette a rischio la sicurezza

Nel caso specifico, il Tribunale aveva verificato che la donna non era coinvolta in attività criminali né rappresentava un rischio per l’ordine pubblico, pur avendo un precedente penale e intrattenendo rapporti epistolari anche con un altro detenuto al 41-bis. La Direzione Distrettuale Antimafia aveva escluso pericoli concreti, anche alla luce dell’analisi della lunga corrispondenza tra i due.

Il pronunciamento segna un passaggio importante sul fronte dei diritti all’interno degli istituti di pena: la Cassazione ribadisce che anche nei regimi più restrittivi l’umanità del detenuto non può essere ignorata.

Un altro precedente sul diritto alla lettura

Lo stesso detenuto, in passato, era finito alla ribalta per il diniego – da parte della stessa direzione carceraria – alla lettura del romanzo Il nome della rosa di Umberto Eco. Anche in quel caso, la decisione aveva sollevato polemiche: il libro era stato vietato non per il contenuto, ma per via della rilegatura in copertina rigida, considerata inadatta per motivi di sicurezza.


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Carceri, svolta possibile sulla liberazione anticipata: l’ipotesi di legge unitaria prende forma

Una misura concreta per affrontare l’emergenza carceraria attraverso la leva della liberazione anticipata, ampliando in via temporanea e retroattiva le maglie della legge Gozzini. È questa la proposta al centro dell’intervista rilasciata all’Huffington Post dal deputato di Italia Viva, Roberto Giachetti, promotore dell’ipotesi di una “liberazione anticipata speciale” che, nei prossimi giorni, potrebbe essere trasformata in una legge condivisa da un ampio arco parlamentare.

La proposta, che fino a pochi mesi fa sembrava accantonata, ha ricevuto nuova linfa grazie all’apertura del presidente del Senato, Ignazio La Russa. Una svolta che – osserva Giachetti – «assicura il sostegno non solo della seconda carica dello Stato, ma anche di una parte significativa di Fratelli d’Italia».

Un intervento a tempo per svuotare carceri al collasso

La misura prevede un rafforzamento temporaneo della normativa esistente: attualmente la legge Gozzini concede 45 giorni di sconto ogni sei mesi di detenzione per buona condotta. L’idea di Giachetti è di portare lo sconto a 75 giorni, con efficacia retroattiva per chi è stato detenuto negli ultimi dieci anni, anche se nel percorso di mediazione si valuta di restringere la retroattività a cinque anni e di ridurre lo sconto a 70 giorni. La proposta avrebbe durata biennale e sarebbe riservata ai detenuti in carcere durante tale periodo.

Un elemento centrale, spiega l’ex vicepresidente della Camera, è l’efficacia immediata della norma. «Se lo sconto viene calcolato solo a partire da oggi, non si incide sull’emergenza. Serve retroattività per liberare subito migliaia di posti e ridurre il sovraffollamento», ha dichiarato.

Dal laboratorio di Rebibbia ai tavoli parlamentari

L’ipotesi ha preso forma in un recente incontro organizzato da Nessuno tocchi Caino nel carcere di Rebibbia. Da lì è emersa una convergenza politica trasversale: presenti esponenti di Fratelli d’Italia come Marco Scurria, della Lega con Simonetta Matone, di Forza Italia con Andrea Orsini, del Partito Democratico con Walter Verini, insieme a Maria Elena Boschi e Giachetti per Italia Viva, e Valentina Grippo per Azione. Anche l’Alleanza Verdi e Sinistra ha aderito per voce del deputato Devis Dori.

Il solo dissenso ufficiale, per ora, arriva da Movimento 5 Stelle e Lega, anche se all’interno del Carroccio – secondo Giachetti – si sarebbe aperta una riflessione più pragmatica.

Più garanzie, ma serve agire presto

Per facilitare l’approvazione, sono allo studio modifiche ulteriori. In particolare, La Russa avrebbe chiesto che non basti la buona condotta, ma sia necessario che il detenuto non abbia avuto alcun comportamento violento, neppure quelli giudicati compatibili dai magistrati. Saranno dunque esclusi i condannati per aggressioni, in particolare verso la polizia penitenziaria.

Quanto al nome della legge, Giachetti è disposto a fare un passo indietro: «Chiamatela come volete, anche legge Pippo, o meglio ancora legge Nessuno tocchi Caino. Togliere il mio nome farà contenti in tanti, anche fuori dal centrodestra».

Una riforma urgente, tra speranze e tensioni

Giachetti sottolinea che questa volta lo scenario politico sembra più favorevole. Dopo l’affossamento della proposta nel 2024 – motivato dal varo del “decreto carceri” poi rivelatosi inefficace sul piano strutturale – oggi ci sono condizioni nuove: l’interesse esplicito del presidente del Senato, la sensibilità del vicepresidente del CSM Fabio Pinelli, e i reiterati appelli del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

La speranza è che Giorgia Meloni non ostacoli un’iniziativa parlamentare autonoma, evitando di intestare la questione al governo con un decreto.

Un’estate esplosiva dietro le sbarre

Il tempo stringe. «Nei penitenziari italiani c’è una rivolta al giorno», avverte Giachetti. In alcune strutture, come in Lombardia e Puglia, il tasso di sovraffollamento ha raggiunto il 230%. La carenza di personale, unita alla mancanza di spazi e servizi, fa sì che molti detenuti rimangano 18 ore al giorno in cella, senza nemmeno l’ora d’aria.

«Anche gli animali in quelle condizioni si imbestialiscono», afferma. E denuncia i primi effetti della nuova norma sul reato di resistenza passiva: a Marassi, è già stata applicata contro detenuti saliti sui tetti in segno di protesta non violenta dopo episodi di violenze subite.

Serve coraggio e responsabilità, conclude Giachetti.


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Separazione carriere, conto alla rovescia per la riforma: due CSM, una sola Alta Corte e una maggioranza determinata a cambiare

Slitta al 22 luglio il voto finale al Senato sulla riforma della giustizia che introduce la separazione delle carriere tra magistratura requirente e giudicante. La decisione è arrivata dalla conferenza dei capigruppo che ha accolto la proposta del presidente del Senato Ignazio La Russa: cinque giorni in più per completare l’esame dei circa 450 emendamenti ancora sul tavolo, nonostante il ricorso alla tecnica del “canguro” da parte della maggioranza per accelerare i tempi.

«Ci interessa l’appuntamento con la storia, non quello con la cronaca», ha dichiarato il capogruppo di Forza Italia Maurizio Gasparri, a sottolineare la determinazione della maggioranza a portare a termine una riforma definita “costituzionale” e destinata a incidere profondamente sull’assetto della magistratura.

Il cuore della riforma: due CSM e una nuova Alta Corte

Nella giornata di ieri è stato approvato il terzo degli otto articoli che compongono il testo: si tratta del passaggio chiave che prevede l’istituzione di due Consigli superiori della magistratura, uno per i magistrati requirenti e uno per quelli giudicanti, entrambi con componenti sorteggiati. Una soluzione pensata per superare il sistema delle correnti interne alla magistratura, ma che secondo l’opposizione rischia di generare nuovi squilibri e problemi applicativi.

Secondo il Partito Democratico, questa scelta rappresenta un vulnus alla Carta. Il senatore Francesco Giacobbe ha parlato di «riforma che umilia la Costituzione e i suoi equilibri interni», mentre Giuseppe De Cristofaro (AVS) ha denunciato «un disegno complessivo della destra per riscrivere i rapporti tra i poteri dello Stato, indebolendo l’autonomia del potere giudiziario».

Alta Corte disciplinare: il nodo politico

Particolarmente divisivo l’articolo 4, che istituisce un’Alta Corte con funzioni disciplinari, attualmente esercitate dal CSM. Con l’entrata in vigore della riforma, i due nuovi CSM manterranno solo funzioni amministrative, come le nomine e le assegnazioni, mentre ogni intervento sanzionatorio sarà affidato a questo nuovo organo.

«L’Alta Corte è la vendetta del governo contro i magistrati», ha attaccato il senatore del Movimento 5 Stelle Roberto Cataldi, evidenziando come la riforma possa compromettere la capacità della magistratura di esercitare un controllo interno indipendente.

Verso il voto finale

Il calendario prevede che il Senato concluda tra oggi e domani le votazioni sugli emendamenti. Poi, da venerdì, una pausa per il weekend prima della ripresa dei lavori martedì 22 luglio, data fissata per il voto finale sul testo.

Una volta approvato a Palazzo Madama, il disegno di legge passerà all’esame della Camera.


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L’altra bilancia commerciale: gli Stati Uniti incassano in Europa con i servizi, tra big tech e alta finanza

Mentre la retorica politica continua a concentrarsi sul deficit statunitense nei beni, spesso agitato come arma nelle dispute commerciali con Bruxelles, i dati raccontano una storia più complessa. E assai più favorevole agli Stati Uniti.

Nel 2024, a fronte di un disavanzo di 236 miliardi di dollari nell’interscambio di merci con l’Unione Europea, Washington ha registrato un surplus nei servizi di oltre 76 miliardi di dollari, che secondo stime europee sale addirittura a 148 miliardi di euro. Risultato: il disavanzo commerciale complessivo Usa con la UE si riduce a circa 50 miliardi di euro, meno del 3% del volume degli scambi bilaterali.

Una cifra sorprendente, in grado di ridimensionare l’immagine di un’America perdente sul piano commerciale con l’Europa. E che rivela la forza degli Stati Uniti in settori strategici a forte valore aggiunto: tecnologia, finanza, assicurazioni, consulenza e proprietà intellettuale.

Europa, cliente d’oro dei servizi Made in USA

Le grandi aziende americane trovano nel Vecchio continente una miniera di ricavi. Meta ottiene dall’Europa oltre il 17% dei suoi introiti globali. Alphabet, casa madre di Google e YouTube, ha visto crescere del 12,2% i ricavi dalla regione EMEA (Europa, Medio Oriente e Africa) nel primo semestre 2025. Netflix, pioniere dello streaming, ha incassato 3,4 miliardi di euro nel solo primo trimestre di quest’anno dalla stessa area, con un +15% rispetto al 2024.

Anche i colossi della finanza non sono da meno. Goldman Sachs attribuisce all’EMEA il 23% del suo fatturato. Morgan Stanley ne trae oltre l’11%. JP Morgan non dettaglia più per aree geografiche, ma continua a segnalare «robusti risultati» dall’Europa.

Secondo la BCE, circa un terzo dell’avanzo commerciale europeo nei beni è in realtà generato dalle vendite di filiali europee di aziende statunitensi, che contribuiscono al surplus americano nei servizi.

Il ruolo cruciale dei servizi nell’economia americana

Negli Stati Uniti, i servizi sono il vero motore dell’economia: rappresentano l’84% dell’occupazione e sono la principale fonte di innovazione e crescita. Solo nel 2024, hanno generato un attivo di 293 miliardi di dollari nella bilancia commerciale.

L’Europa rappresenta il 25% di tutto l’interscambio di servizi statunitense, con il 42% su scala globale. Una centralità che supera nettamente quella dell’Asia-Pacifico, del Canada o del Messico.

Il valore delle esportazioni americane verso l’UE è impressionante: 100 miliardi di dollari nei servizi professionali e tecnici, quasi 50 miliardi per la proprietà intellettuale (esclusa l’informazione), oltre 33 miliardi da finanza e assicurazioni, circa 20 miliardi dal comparto viaggi, e più di 16 miliardi dai servizi informativi.

Europa strategica anche nei numeri societari

Secondo l’American Chamber of Commerce presso l’Unione Europea, nel 2024 oltre il 54% dei profitti esteri delle imprese statunitensi è arrivato dall’Europa, per un totale che supera i 300 miliardi di dollari. La metà delle vendite globali delle controllate Usa avviene nel Vecchio continente, dove si concentra anche il 63% degli asset d’oltreconfine.

Relazioni solide, ma non esenti da rischi

Nonostante questi legami profondi, il rischio di tensioni commerciali resta elevato. La retorica protezionista e le minacce di nuovi dazi — come emerse nuovamente con Donald Trump in campagna elettorale — potrebbero incrinare un equilibrio basato su rapporti consolidati e altamente profittevoli per le imprese a stelle e strisce.

Mark Zandi, capo economista di Moody’s, ha recentemente ricordato come «i servizi siano l’ingrediente segreto della crescita americana». E l’Europa, in questo schema, è l’alleato silenzioso ma indispensabile di una macchina economica che sa incassare anche quando sembra perdere.


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Controlli fiscali, il Parlamento cambia rotta: ispezioni in azienda solo con motivazioni chiare e documentate

Basta accessi “a sorpresa” nelle imprese da parte di Guardia di Finanza e Agenzia delle Entrate: d’ora in avanti, ogni verifica dovrà essere puntualmente motivata. È questa una delle novità principali introdotte dagli emendamenti al decreto fiscale presentati alla Commissione Finanze della Camera dal relatore Vito De Palma (Forza Italia), su cui è atteso oggi il voto definitivo.

Il correttivo – inserito direttamente nello Statuto del contribuente – risponde alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 6 febbraio scorso, che ha condannato l’Italia per le scarse garanzie previste in caso di controlli aziendali. Secondo il nuovo testo, negli atti autorizzativi e nei verbali redatti dagli organi di verifica dovranno essere «espressamente e adeguatamente indicate le circostanze e le condizioni che giustificano l’accesso».

Una risposta a Strasburgo

La modifica normativa mira ad aumentare la trasparenza e la tutela dei contribuenti, stabilendo un principio di proporzionalità già al momento dell’autorizzazione all’accesso. Il contribuente dovrà anche essere informato in anticipo sulle finalità della verifica e potrà avvalersi dell’assistenza di un professionista, esercitando una piena difesa anche in sede giurisdizionale.

L’applicazione della nuova norma sarà però solo “in avanti”: la disposizione si applicherà agli atti emessi dopo l’entrata in vigore della legge di conversione. Tutti i procedimenti già avviati o conclusi continueranno a essere regolati dalla normativa vigente al momento dell’accesso.

Cartelle rottamate, lite estinta dopo la prima rata

Tra le altre misure inserite negli emendamenti compare un’importante novità per il contenzioso fiscale: sarà considerata estinta la lite relativa a cartelle oggetto della cosiddetta rottamazione quater già dopo il pagamento della prima o unica rata, senza attendere il completamento del piano di versamenti fino al 2027.

La misura, esclusa dalla versione pubblicata in Gazzetta Ufficiale, è stata reintrodotta nel testo in conversione anche su sollecitazione del Consiglio superiore della magistratura, nell’ottica di ridurre l’arretrato giudiziario e aiutare la Corte di Cassazione a centrare gli obiettivi previsti dal PNRR.

Forfettario: più flessibilità sulle partecipazioni

Tra i correttivi figura anche una parziale apertura al regime forfettario per coloro che detengono partecipazioni in società semplici. La deroga sarà consentita solo se le attività svolte non sono collegate – né direttamente né indirettamente – a quelle esercitate con la partita Iva individuale, e a condizione che non generino la medesima categoria di reddito.

Altre modifiche in arrivo

Nel pacchetto degli emendamenti già approvati figura inoltre la soppressione del riferimento, considerato ridondante, alle agenzie per il lavoro tra i soggetti esclusi dal reverse charge, la cosiddetta inversione contabile dell’Iva, che resta circoscritta al settore del trasporto merci e dei servizi logistici.

L’iter parlamentare

Con il probabile via libera della Commissione Finanze previsto per oggi, il decreto fiscale approderà in Aula alla Camera la prossima settimana, per poi passare al vaglio del Senato. Sullo sfondo resta anche il nodo della riproposizione del ravvedimento speciale, la sanatoria per i periodi d’imposta pregressi, per chi aderirà al nuovo concordato preventivo biennale 2025-2026.


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