Esiste il principio di uguaglianza in carcere?

Corte: diverso trattamento per diversi detenuti non lede il principio di uguaglianza

Il 25 gennaio la Corte Costituzionale pubblica la sentenza n. 20/2022 con la quale si esprime in merito al principio di uguaglianza in carcere. In particolare, ritiene che trattare i detenuti in maniera differente in base a come questi collaborano con la giustizia non leda a tale principio. Dunque, se un detenuto richiede un permesso premio ma non collabora con la giustizia avrà diverso trattamento rispetto a colui che non lo fa perché oggettivamente impossibilitato.

Permesso premio e distinzione tra detenuti senza ledere il principio di uguaglianza

La vicenda coinvolge il Magistrato di sorveglianza di Padova il quale solleva questioni di legittimità costituzionale con gli articoli:

In particolare, ci si chiede se i permessi premio possano concedersi a quei condannati che siano impossibilitati alla collaborazione. Indubbiamente, questo vale solo per quei detenuti per i quali si accerta l’assenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata.

Successivamente, il remittente si muove dal presupposto della sentenza n. 253 del 2019, della Corte Costituzionale. Qui, la giurisprudenza riconosce in tema di accesso al permesso premio l’esistenza di un doppio regime di giudizio per i diversi detenuti che non collaborano e sono condannati per reati ostativi.

Difatti, come si accennava ci si comporta in maniera diversa se il detenuto:

  • Non collabora per una scelta consapevole;
  • Manca di collaborare per impossibilità o inesigibilità della cooperazione con la giustizia.

In merito, il remittente sottolinea come l’atteggiamento soggettivo delle due tipologie di detenuti possa essere identico. Ma che, nel caso in cui il detenuto sia accertato come impossibile alla collaborazione potrebbe invece essere maggiormente pericoloso. In effetti, il condannato che volontariamente sceglie di rimanere in silenzio lo potrebbe fare in quanto preoccupato per la propria o altrui incolumità.

Detenuti diversi e principio di uguaglianza: non fondata la questione di illegittimità costituzionale

Precedentemente, il sistema condizionava l’accesso a tutti i benefici e alle misure dei permessi premio all’utile collaborazione con la giustizia ai sensi dell’art. 58-ter dell’Ord. Penit. Effettivamente, si assumeva questa come unica condotta idonea a dimostrare l’intervenuta rescissione dei collegamenti del detenuto con la criminalità organizzata.

In seguito, l’art. 4-bis, comma 1, ord. penit. si dichiara costituzionalmente illegittimo. Questo perché non prevedeva che ai detenuti per i delitti ricordati potesse concedersi il beneficio in questione, anche in assenza di utile collaborazione con la giustizia.

Quindi, per poter presentare una richiesta di permesso premio, il soggetto condannato per reati ostativi deve sottostare a regole dimostrative più o meno severe. Questo a seconda dei motivi per cui non ha collaborato con la giustizia:

  • Più rigide: se sceglie di non voler collaborare;
  • Meno rigide: se non collabora in quanto impossibilitato.

Ciò detto, i giudici delle leggi escludono che tale differenziazione determini una lesione del principio di uguaglianza. Infatti, è corretto distinguere colui che:

  • oggettivamente può ma soggettivamente non vuole collaborare;
  • soggettivamente vorrebbe ma oggettivamente non può collaborare.

Perciò, la Corte Costituzionale dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma 1-bis, della legge 26 luglio 1975, n. 354. E inoltre, dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della medesima norma in riferimento all’art. 3 della Costituzione.

 

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Il piano Italia a 1 Giga ha il fine di sviluppare reti a banda ultra larga nelle zone del Paese in cui si registrano carenza d’investimenti in merito. Così, Infratel pubblica un bando il 15 gennaio scorso per la concessione di contributi pubblici per la diffusione della fibra in Italia. Ora, vediamo se anche col supporto del PNRR si riusciranno a colmare le diseguaglianze territoriali.

Infratel pubblica bando Italia a 1 Giga per diffusione banda ultralarga

È dal 2015 che si persegue la Strategia per la banda ultralarga con cui si intendeva colmare il gap infrastrutturale e di mercato. Inoltre, la Strategia vuole anche soddisfare gli obiettivi dell’Agenda Digitale UE 2020 che prevede un preciso obiettivo. Ossia, lo sviluppo di una connettività di almeno 30 megabit per secondo per tutta la popolazione.

Poi, tale obiettivo si traduce nella strategia italiana con la copertura di almeno l’85% della popolazione con una connettività maggiore a 100 megabit per secondo. Si tratta di un obiettivo in linea con la Comunicazione Gigabit Society del 2016. Questa prevede entro il 2025 connettività in fibra con capacità fino a 1 Gbps per i principali motori socioeconomici e per le imprese ad alta intensità digitale.

Inoltre, prevede una copertura 5G ininterrotta in tutte le aree urbane e su tutti i principali assi di trasporto terrestre. Inoltre, l’accesso ad almeno 100 Mbps per tutte le famiglie europee quindi compresi i nuclei che vivono nelle zone rurali.

Infine, questi obiettivi si rivedono nel marzo del 2021 dalla Commissione con la comunicazione “2030 Digital Compass: the European way for the Digital Decade”. Quest’ultima prevede per il 2030:

  • Connessioni gigabit per tutti;
  • 5G.

Al proposito, l’Italia punta in alto: prevede infatti di raggiungere una velocità di connessione delle reti fisse ad almeno 1 gigabit per secondo su tutto il territorio nazionale entro il 2026.

Il ruolo e valore del PNRR verso la trasformazione digitale dell’Italia

Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza si definiscono tra le altre cose le azioni che servono per raggiungere gli obiettivi di trasformazione digitale. Il fine è ottenere un mercato unico digitale europeo Gigabit Society e adempiere ai principi del Digital Compass. Complessivamente, sono 7 le azioni da attuare, delle cui due già in atto. Ovvero:

In aggiunta, questi gli altri Piani da attuarsi in futuro:

  • “Italia a 1 Giga”;
  • “Scuole connesse”;
  • “Italia 5G”;
  • “Sanità connessa”;
  • “Isole Minori”.

Nel merito del bando infratel con termine presentazione offerte al 16 marzo

Come si accennava in precedenza, il 15 gennaio Infratel pubblica un bando di assegno di contributi per un totale di 3,7 milioni di euro. Essi si suddividono in 15 lotti territoriali, tra le quali Sardegna, Puglia, Abruzzo, Molise, Marche e Umbria sono coloro che ne usufruiranno maggiormente. Il termine per presentare le offerte si fissa al prossimo 16 marzo.

L’attuazione del progetto di investimento inizia a decorrere dalla data di sottoscrizione della Convenzione e si conclude entro il 30 giugno 2026. A questa deadline si aggiungono:

  • Serie di obiettivi semestrali;
  • Sistema di garanzie e penali in caso di mancata copertura dei civici e ritardo dei tempi di realizzazione dei lavori.

Invece, tra i criteri di assegnazione il bando individua i seguenti:

  • Offerta economica;
  • Caratteristiche delle reti che si vanno a impiegare;
  • Architettura e dimensionamento della rete;
  • Qualità dei piani di assunzione e formazione del personale e di gestione del progetto;
  • Impegni relativi a: inclusione, diversità di genere, persone con disabilità e sostegno a categorie svantaggiate.

Inoltre, chiunque voglia proporsi quando presenta l’offerta dovrà anche proporre un Progetto d’investimento che si articoli in:

  • Una parte tecnico-progettuale;
  • Una sezione economico-finanziaria.

Quest’ultima dovrà esplicitare:

  • I costi operativi;
  • Gli investimenti infrastrutturali;
  • I ricavi sulla base della penetrazione che si ipotizza per i servizi e i relativi costi di manutenzione.

La stipula della convenzione deve avvenire entro 15 giorni dall’aggiudicazione con conclusione a giugno 2026. Infine, secondo quanto scrive il bando chi si propone dovrà assumersi l’obbligo di offrire accesso in conformità con quanto si indica dagli Orientamenti e dalla delibera Agcom n. 406/21/CONS.

Linee Guida Agcom su accesso alle reti internet

L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) comunica la delibera n. 406/21/CONS con cui adotta delle Linee Guida in merito. Nello specifico, esse indentificano le condizioni di accesso wholesale alle reti a banda ultralarga destinatarie di contributi pubblici mediante il modello di intervento a incentivo.

In particolare, qui si definiscono:

  • L’insieme minimo di servizi di accesso wholesale all’infrastruttura di rete che i beneficiari del contributo pubblico devono offrire;
  • I relativi prezzi da applicare;
  • La procedura per l’approvazione del listino dei servizi offerti dall’aggiudicatario (Listino);
  • Modalità di applicazione del principio di non discriminazione.

 

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Camera dei Deputati per nuove leggi di contrasto alla pirateria di internet

Attualmente, la Camera dei Deputati sta esaminando tre proposte di Legge sul rapporto tra le reti internet e i contenuti col diritto d’autore. Lo fa nelle Commissioni riunite VII Cultura e IX Trasporti e Comunicazioni e ha un obiettivo preciso. Ovvero, il contrasto ai fenomeni di pirateria digitale ancora in attivo colmando di conseguenza l’assenza di una posizione legislativa italiana nel merito.

Leggi contro la pirateria: quali sono e quali aggiunte si prevedono?

In realtà, esiste una normativa anche piuttosto sostanziosa nei riguardi della pirateria online. Di seguito, elenchiamo le disposizioni più importanti:

  • Il Regolamento per la promozione dell’offerta legale e la tutela del diritto d’autoreAgcom emana tale normativa con la delibera n. 680/13/CONS del 12 dicembre 2013, cui successivamente si integra la delibera n. 490/18/CONS. Qui, si prevedono delle procedure di contrasto alla fruizione illegale di opere col copyright in rete;
  • Le Linee Guida che Agcom promulga per rendere efficace il Regolamento di cui sopra si parlava. Con esse gli Operatori nazionali potevano agire in condizioni di certezza e collaborare nel modo migliore con l’Autorità ai fini di tutelare gli interessi dei titolari dei diritti;
  • Direttiva 19/790/CE detta “Copyright”. Questa risponde all’esigenza di trovare un punto d’equilibrio tra le diverse istanze di tutti gli stakeholder;
  • Il D. lgs. N. 177 che recepisce la direttiva copyright nell’ordinamento italiano;
  • La Direttiva quadro dell’Unione Europea sul commercio elettronicodirettiva 2000/31/CE, recepita in Italia con d. lgs. 70/2003Si tratta del punto di partenza per qualsiasi discorso sulle regole della rete internet in Europa.

Il cambiamento che le proposte di legge comporterebbe nella lotta alla pirateria digitale

Con i risultati che eventualmente le proposte di Legge comporterebbero ve n’è una fondamentale. Ossia, il disegno di un sistema che riconosce ai titolari dei diritti il potere di stabilire cosa sia illecito nella circolazione dei contenuti online. Di conseguenza, si discendono gli obblighi degli Operatori di reti e servizi di accesso a internet.

Dunque, sono gli Operatori delle Telecomunicazioni che in questo contesto hanno un ruolo centrale per la lotta alla pirateria digitale. Questi dovranno disabilitare l’accesso ai siti che ospitano contenuti illeciti nell’immediato.

A tal proposito, è interessante anche notare come cambia lo stile e le motivazioni nel tempo dietro alla volontà di pirateria. Infatti, inizialmente si trattava di una comunità di utenti che lo faceva più che altro per svago. Invece, oggi esistono veri e propri soggetti che organizzano servizi illeciti con lo scopo di lucro.

Ora, si ritiene che la vera sconfitta della pirateria possa raggiungersi solo con un’azione corale da parte di tutti gli attori dell’ecosistema. Quindi, è necessario un approccio nuovo che crei un sistema in grado di scovare l’illecito così come chi lo commette. E dunque, non si tratterebbe solo di bloccare la circolazione dei contenuti online in violazione. Ma utilizzare le informazioni disponibili per arrivare ad individuare e arrestare l’attività di chi gestisce le piattaforme illegali.

 

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Durante questo periodo di ancora piena pandemia ci si potrebbe porre la seguente domanda. Ovvero, cosa fare se il test di un tampone perde validità nel corso dell’orario di lavoro? Lo chiarisce il Governo nelle proprie FAQ del merito.

Scadenza del Green Pass per il lavoratore in sede: linee guida di comportamento

Come dicevamo, il Governo emana specifiche rispetto all’ipotesi che un green pass da tampone negativo scada durante la giornata lavorativa. In questo caso, il datore di lavoro non può allontanare il dipendente dal luogo lavorativo. Infatti, nel momento in cui il lavoratore effettua l’accesso in loco con la propria Certificazione Verde valida, è autorizzato a rimanere lì.

Dunque, soltanto a fine giornata avrà l’obbligo di recarsi nuovamente in un centro che abbia l’abilitazione a effettuare un nuovo test di verifica. Dunque, l’iter di controllo del datore ha valenza solo nel momento dell’accesso del professionista nella struttura o comunque nel luogo lavorativo. Di conseguenza, è solo in questo caso che il lavoratore potrà essere allontanato per ragioni di sicurezza e normativa vigente.

Al contrario, non si prevede alcun controllo nel corso delle ore lavorative. Infatti, il professionista deve avere la possibilità di esercitare liberamente la propria professione. Pertanto, se nel corso dell’orario lavorativo giungesse un controllo non si potrebbe applicare alcuna sanzione.

Questo discorso vale sia per il lavoratore con la certificazione verde scaduta magari da qualche ora, sia per il datore di lavoro. Sarà sufficiente che quest’ultimo ottemperi all’obbligo di verifica del certificato al momento di ingresso dei lavoratori.

Ovviamente, al termine del proprio orario di lavoro il lavoratore dovrà provvedere al rinnovo della certificazione. Altrimenti, non avrà più l’autorizzazione a rientrare a lavoro: ad ogni ingresso ha l’obbligo di esibire il green pass valido.

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PATCH DAY gennaio 2022 – Interruzione settore civile, penale e Portale dei servizi telematici.

Per attività di manutenzione evolutiva programmata si procederà all’interruzione dei sistemi civili al servizio di

tutti gli Uffici giudiziari dei distretti di Corte di Appello dell’intero territorio nazionale, nonché del Portale dei Servizi Telematici, incluso il Portale del Processo Penale Telematico, con le seguenti modalità temporali:

dalle ore 19:00 di venerdì 28 gennaio sino alle ore 08:00 di lunedì 31 gennaio c.a., salvo conclusione anticipata delle operazioni.

Durante l’esecuzione delle attività di manutenzione, rimarranno attivi i servizi di posta elettronica certificata e saranno, quindi, disponibili le funzionalità relative al deposito telematico del settore civile da parte degli avvocati, dei professionisti e degli altri soggetti abilitati esterni anche se i messaggi relativi agli esiti dei controlli automatici potrebbero pervenire solo al riavvio definitivo di tutti i sistemi.
Non sarà invece possibile consultare in linea i fascicoli degli uffici dei distretti coinvolti dal fermo dei sistemi.

Si rammenta che l’attività di manutenzione del Portale dei Servizi Telematici renderà indisponibili tutti i servizi informatici ivi esposti e, in particolare:

  • l’aggiornamento (anche da fuori ufficio) della consolle del magistrato;
  • il deposito telematico di atti e provvedimenti da parte dei magistrati;
  • tutte le funzionalità del portale dei servizi telematici;
  • tutte le funzioni di consultazione da parte dei soggetti abilitati esterni;
  • i pagamenti telematici compreso il pagamento del contributo di pubblicazione di un’inserzione sul Portale delle Vendite;
  • l’accesso al Portale Deposito atti Penali per il deposito con modalità telematica di atti penali;
  • l’accesso al Portale di consultazione dei SIUS distrettuali per Avvocati;
  • l’accesso agli avvisi degli atti penali depositati in cancelleria.

DNSH: clausole green nel piano PNRR

Do No Significant Harm, il monito per rispettare l’ambiente con gli interventi del PNRR

DNSH letteralmente significa “non arrecare un danno significativo all’ambiente”: ecco il monito che si legge nei documenti tecnici in merito al PNRR. Fa parte di una Guida Operativa di 300 parole che il Governo pubblica per aiutare a rispettare con efficienza il Regolamento europeo 2020/852. Quest’ultimo riguarda gli obiettivi climatici e ambientali che tra l’altro ci si erano prefissati con l’accordo di Parigi e il Green Deal.

DNSH: clausole green nel piano PNRR per rispettare l’ambiente e il fragile clima

La clausola DNSH rivela la sua importanza in quanto riguarda in maniera diretta ben oltre 150 interventi del PNRR. Ora, quali sono gli elementi di novità rispetto alla normativa vigente? Ecco alcuni esempi concreti per capire:

  • Per quanto riguarda le costruzioni, la domanda di energia primaria negli edifici finanziati deve essere inferiore del 20% alla domanda di energia primaria risultante dai requisiti Nzeb (ossia, “edificio a energia quasi zero”);
  • Obbligo di avere come base l’Eu Green Public Procurement per acquistare le forniture e le attrezzature elettriche ed elettroniche che si usano nel settore sanitario;
  • Certificazioni sulle prestazioni energetiche necessarie per i data center.

La Guida si rivolge ai soggetti attuatori e precisa che dovrà essere cura dell’impresa proponente tenere conto dei vincoli DNSH. Questo in caso di procedimenti preliminari per le autorizzazioni ambientali, come ad esempio ViaVas o Aia.

Transizione ecologica, valutazione di conformità, biodiversità: l’attenzione green nel PNRR

Innanzitutto, rispetto al capitolo sulla transizione ecologica si comincia con la produzione di elettricità da pannelli solari. Inoltre, questa svolgersi con adeguati livelli di efficienza, come inclinazioneassolazione e ampiezza. Infine, è necessario limitare l’uso del suolo.

Una specifica: se gli impianti hanno ubicazione in aree sensibili per quanto riguarda biodiversità si deve procedere a una valutazione di conformità. Si tratta di un’accortezza che va estesa anche per l’eolico. Infatti, se gli impianti si trovano in aree sottoposte a vincoli paesaggisticiambientali e idrogeologici, si dovranno acquisire i relativi nulla osta.

Infine, si deve sempre tenere in mente della cura e rispetto delle aree protette, così come assicurarsi che eventuali suoni non danneggino la flora e fauna circostante.

DNSH: clausole green nel piano PNRR sulla produzione e stoccaggio dell’idrogeno

Ora, per quanto riguarda la produzione e stoccaggio dell’idrogeno, il documento sottolinea l’esclusione di “ogni processo che utilizzi il gas naturale come materia prima della reazione (steam methane reforming)”. Il discorso vale per:

  • Interventi in aree industriali dismesse;
  • Decarbonizzazione dei settori industriali “hard to abate”.

Inoltre, alla luce della lotta al cambiamento climatico, bisogna garantire che la riduzione delle emissioni di CO2 deve essere di almeno il 74,3% in entrambi i casi.

Per quanto riguarda il primo punto, non si dovrà mai ricorrere alla miscelazione (blending) con il gas naturale o altro di origine fossile. Invece, per quanto riguarda la seconda si ammette un mix di almeno il 10% di idrogeno con altri fluidi di origine fossile.

Per concludere, ricordiamo che il principio del DNSH è fondamentale per accedere ai finanziamenti del RRF. Esso si basa su quanto specificato nella “Tassonomia per la finanza sostenibile”. Inoltre, i piani devono includere interventi che concorrono per il 37% delle risorse alla transizione ecologica.

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Se la domanda di condono edilizio viene respinta?

Condono edilizio respinto, quando avviene la prescrizione per la restituzione delle somme versate

Con la sentenza 00682/2022 il Tar Lazio si esprime in merito al calcolo della prescrizione per la restituzione di quelle somme che si versavano per un condono edilizio. Qualora quest’ultimo venga negato, gli importi che si corrispondono per oblazione si restituiranno entro dieci anni. Invece, tali importi si devono restituire entro tre anni solo nel caso di conguaglio per silenzio d’assenso. Vediamo assieme la vicenda processuale.

Quando avviene la restituzione degli importi corrisposti in caso di condono edilizio negato?

La vicenda coinvolge una donna che fa ricorso per “l’accertamento del diritto alla restituzione delle somme versate, quale erede del coniuge, a titolo di oblazione in relazione a due pratiche di condono edilizio presentate dal defunto marito”. Le due domande alla quale si riferisce risalgono una al 1986 e l’altra al 2004, entrambe respinte nel 2005.

A questo punto, c’è un ricorso al Tar Lazio. E si prosegue con la:

  • Impugnazione dei due provvedimenti;
  • Demolizione dei manufatti che si ritenevano non sanabili dal Comune;
  • Rinuncia all’impugnativa che si proponeva.

Successivamente, nel 2014 tale signora richiede la restituzione delle somme versate a titolo di oblazione, così come gli interessi. Poi, la donna decide di interpellare il Tar Lazio sostenendo che si debba applicare il termine di prescrizione decennale anziché quello triennale. Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate costituita in giudizio chiede il rigetto del ricorso.

Cosa stabiliscono i giudici in merito al calcolo della prescrizione

Al contrario, per i giudici si deve accogliere il ricorso della donna. In effetti, portano all’attenzione che il termine triennale di prescrizione si possa applicare solo nel caso “di somme dovute a conguaglio, scaturenti dal silenzio-assenso sulla domanda di sanatoria.”. Dunque, “ne discende, attesa la sostanziale specialità della norma, l’inapplicabilità del termine breve ai casi in cui, come quello in esame, il procedimento di condono si sia definiti con provvedimento di rigetto.”

In aggiunta, affermano che: “in tali ipotesi, in cui il diniego importa l’insorgere di un diritto al rimborso di oneri indebitamente versati, l’azione per la ripetizione di quanto versato si prescrive nell’ordinario termine decennale”. Quindi, questo termine decorre “ordinariamente, dal momento in cui l’Amministrazione adotta il provvedimento di rigetto del condono”.

Per concludere, ecco ciò che stabiliscono i giudici in merito al calcolo della prescrizione:

Il termine di prescrizione decennale, che aveva quindi cominciato a decorrere dal marzo 2011 non era evidentemente decorso al momento della presentazione della relativa domanda all’agenzia delle Entrate, avvenuta in data 22 maggio 2015”.

 

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Italia avanza di dieci posizioni nella classifica Transparency International del 2021

Nella classifica dell’anno appena passato sull’Indice di percezione della corruzione dei vari Paesi l’Italia sale di una decina di posizioni. Dunque, il ranking di Transparency International che dimostra qual è la percezione in merito di 180 Paesi posiziona l’Italia al 42esimo posto. Ne consegue che sta crescendo la fiducia internazionale nei confronti del Bel Paese, che rimane tuttavia ancora lontano dalla media dei “colleghi” dell’UE.

Ranking nella classifica mondiale sulla percezione della corruzione

Il 42esimo posto che si guadagna l’Italia corrisponde ad un punteggio di 56 per la classifica di Transparency international14 punti in totale conquista il Bel Paese nel giro di dieci anni, mentre gli altri Paesi dell’UE la distaccano con 64 punti.

A tal proposito, Transparency afferma che il progresso “è il risultato della crescente attenzione dedicata al problema della corruzione nell’ultimo decennio e fa ben sperare per la ripresa economica del Paese dopo la crisi generata dalla pandemia”. Ciononostante, evidenzia che non ci sono stati cambiamenti sconvolgenti a causa del periodo: il livello di percezione della corruzione rimane fermo.

Ecco chi sono i primi in classifica:

  • Danimarca, Nuova Zelanda, Finlandia: 88 punti;
  • Germania: 80 punti;
  • Regno Unito: 78.

Invece, in coda alla classifica si trovano Siria, Somalia, Sud Sudan.

Ora, specifichiamo che l’indice che si va ad elaborare ogni anno si basa sulla percezione del livello di corruzione nel settore pubblico. Inoltre, l’analisi si compie attraverso l’impiego di 13 strumenti di analisi e di sondaggi che si rivolgono a delle persone esperte in materia.

In particolare, secondo l’analisi un punteggio inferiore a 50 rappresenterebbe l’evidenza di importanti problemi di corruzione. E di conseguenza, il rischio è quello di un arretramento della tutela dei diritti umani, la libertà d’espressione e la crisi della democrazia.

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DPR contro squilli molesti anche ai numeri di cellulare: la fine del telemarketing selvaggio

È in arrivo il decreto che permetterà di evitare la ricezione delle chiamate indesiderate sul telefono mobile. Lo annuncia il 21 gennaio 2022 un comunicato stampa del Consiglio dei Ministri in cui si afferma l’estensione del “registro delle opposizioni”. Inoltre, la Legge di Conversione n. 205/2021 interviene anche in materia di dati personali. Vediamo le novità nel dettaglio.

Stop al telemarketing selvaggio su mobile e modifica del Codice sui dati personali

Nel Comunicato Stampa del Consiglio dei Ministri si legge che:

“Il testo attua l’estensione, prevista dalla nuova normativa, della disciplina del registro pubblico delle opposizioni a tutte le numerazioni nazionali fisse e mobili, comprendendo anche quelle non riportate negli elenchi telefonici, cartacei o elettronici, che fino ad oggi ne erano escluse.”

Invece, per quanto riguarda il recente decreto legge n. 139/2021 si comprende ciò che comporta la modifica del codice sui dati personali per:

“Nuove disposizioni in materia di iscrizione e funzionamento del registro delle opposizioni e istituzione di prefissi nazionali per le chiamate telefoniche a scopo statistico, promozionale e di ricerche di mercato.”

Chi può iscriversi al Registro delle opposizioni e quali sono gli obblighi per gli operatori di telemarketing?

Dunque, possono iscriversi al registro delle opposizioni “tutti gli interessati che vogliano opporsi al trattamento delle proprie numerazioni telefoniche”. Tale trattamento si effettua “mediante operatore con l’impiego del telefono”. Allo stesso tempo, ci si può iscrivere “ai fini della revoca di cui al comma 5”.

Ovvero, sancendo la fine di chiamate prive di operatore ma con sistemi automatizzati per l’invio di materiale pubblicitario o per vendita diretta. In particolare, gli operatori di questo sistema hanno l’obbligo di consultare mensilmente il registro pubblico delle opposizioni e di provvedere all’aggiornamento delle proprie liste.

Infine, tutti gli operatori che svolgono attività di call center per chiamate con o senza operatore hanno un ulteriore obbligo. Ossia, presentare “l’identificazione della linea chiamante e il rispetto di quanto previsto dall’articolo 7, comma 4, lettera b), del codice di cui al decreto legislativo n.196 del 2003.”

Quindi, il registro pubblico delle opposizioni è un servizio (gratuito) grazie al quale l’utente si può opporre all’utilizzo del suo numero per il telemarketing. Così, il proprio telefono e indirizzo negli elenchi pubblici non verrà preso in considerazione per scopi pubblicitari.

Stop al telemarketing selvaggio su mobile: come funziona il registro pubblico delle opposizioni

In altre parole, chiunque voglia fare del telemarketing ora dovrà consultare il registro delle opposizioni prima di passare alle chiamate. Qui, si indica chiaramente se il soggetto in questione ha dato o meno il suo consenso a ricevere chiamate di pubblicità.

Dunque, gli utenti che vogliono iscriversi al registro dovranno aggiornare i dati e revocare l’iscrizione al RPO. A tal proposito, si può procedere in questi diversi modi:

  • Via web, con la compilazione di un modulo elettronico;
  • Telefonicamente, dalla linea telefonica per la quale si chiede l’iscrizione nel registro;
  • Mediante posta elettronica.

 

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Residenza virtuale, cosa dice la legge?

Come richiedere la residenza virtuale, collegamento tra territorio e soggetti senza fissa dimora

La residenza virtuale assicura un collegamento tra il territorio e i soggetti, qualora questi ultimi si trovino in condizioni particolari. Ovvero, quelle persone che per scelta o difficoltà economiche si trovano in uno stato di senza fissa dimora. La residenza virtuale permette di rintracciare e dare a queste persone i diritti che spettano loro.

Residenza virtuale: cos’è e come richiederla ai sensi della Legge

Innanzitutto, ricordiamo che la Legge n. 1228/1954 stabilisce che l’iscrizione all’anagrafe del Comune è un diritto soggettivo. Quindi, esso spetta a tutti i cittadini che ne abbiano facoltà. Di conseguenza, ogni Comune ha l’obbligo di tenere l’anagrafe della popolazione residente e di registrare anche le posizioni di coloro che sono senza fissa dimora lì domiciliate.

A loro volta, ogni domiciliato ha l’obbligo di registrarsi al proprio comune e di comunicare ogni suo cambiamento, come il trasferimento (art. 2). A questo punto, la Circolare Istat n. 29/1992 stabilisce che quando il Comune riceve un’iscrizione anagrafica da senza fissa dimora dovrà provvedere ad attribuire loro una residenza in via fittizia. Ossia, una residenza che non esiste ma che ha comunque un valore giuridico.

A cosa serve questa residenza in via fittizia? Si tratta di una soluzione indispensabile per la richiesta di documenti come carta d’identitàpermesso di soggiorno e tessera sanitaria. Se tale soluzione non viene riconosciuta, il Comune viola importanti diritti e doveri di rango costituzionale come:

  • Il dovere di solidarietà politica, economica e sociale;
  • Diritto all’uguaglianza formale e sostanziale;
  • Lavoro;
  • Libertà personale;
  • Inviolabilità del domicilio;
  • Libertà di fissare la propria residenza nel territorio dello Stato;
  • Difesa in giudizio;
  • Salute, assistenza e previdenza sociale;
  • Voto.

Registro nazionale delle persone che non hanno fissa dimora e residenza virtuale

Successivamente, la Legge del 15 luglio 2009 n. 94 modifica l’art. 2 della Legge n. 1228/1954. Con essa si istituisce presso il Ministero dell’Interno il Registro nazionale delle persone che non hanno fissa dimora. Questo funziona attraverso l’utilizzo del sistema INA-SAIA.

Tale sistema viene tenuto dal Dipartimento per gli affari interni e territoriali – Direzione centrale per i servizi demografici. Nello specifico, solo il Ministero accede in via esclusiva a tale registro. E, lo fa attraverso un’apposita funzione di ricerca col fine di tenere e conservare il registro.

 

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