Like su post razzisti, è istigazione all’odio

Mettere “mi piace” a contenuti di carattere antisemita sui social corrisponde a istigazione all’odio?

Mettere un “mi piace” a un post razzista sui social network è reato di istigazione all’odio (604 bis)? Forse non sempre, ma si sa che leggere il pensiero e la personalità di qualcuno online diventa sempre più facile. Di conseguenza, risulta semplice anche capire il soggetto dietro la tastiera, specialmente considerando tutte le attività a cui si lega. Ecco quindi il caso di specie che coinvolge la Cassazione con la sentenza n. 4534.

Like su post razzisti è istigazione all’odio se l’attività social dell’indagato è specifica

Il primo passo che l’investigazione compie nella verifica della questione è proprio il semplice “like” a post dal chiaro intento razziale. In effetti, il gradimento dimostra non solo quello che un individuo pensa, ma anche che ci tiene che più persone leggano tale post e approvino il suo messaggio. Difatti, ricordiamo che l’algoritmo di Facebook prevede una crescente diffusione del post se più e più persone vanno a interagire con esso.

Successivamente, l’indagine al caso deve proseguire e allargare sempre più gli orizzonti sino a prendere in considerazione l’attività generale del soggetto. Innanzitutto, nel caso in questione l’individuo condivideva idee fondate sulla superiorità della razza sulle piattaforme:

  • Facebook;
  • VKontacte;
  • Whatsapp.

Inoltre, gli investigatori rilevano il rilancio di tali messaggi da diversi account e su diverse altre piattaforme, e tutti riconducevano all’indagato. Per di più, verificano l’avvenire di alcuni incontri fisici con gli “adepti” di tale individuo.

Cosa ne pensa la difesa, il ricorso e la sentenza della Cassazione

Al proposito, la difesa sosteneva che:

  • contatti fisici con chi presumibilmente aderiva all’organizzazione non poteva considerarsi indice valido nel giudizio di un reato di propaganda di idee on line;
  • like sono semplici espressioni di gradimento. Ergo, non potevano dimostrare né l’appartenenza al gruppo né la condivisione degli scopi immorali e illeciti.

Inoltre, la difesa insisteva sul fatto che tali azioni non sfociavano comunque mai nell’antisemitismo né andavano oltre la libera manifestazione del pensiero.

A questo punto, la Cassazione contesta le motivazioni della difesa con la sentenza n. 4534. Infatti, la Suprema Corte fa notare anzitutto che l’adesione e condivisione riguardava proprio contenuti discriminatori e negazionisti. Ossia, dicevano che gli ebrei sono nemici indiscussi e che la Shoah è una semplice invenzione.

Infine, non giudicano scontata la diffusione di tali messaggi sui social network, dove è risaputo sia molto facile divenire virali se lo si vuole. Al proposito, nella sentenza si legge che:

“La funzionalità newsfeed, ossia il continuo aggiornamento delle notizie e delle attività sviluppate dai contatti di ogni singolo utente è, infatti, condizionata dal maggior numero di interazioni che riceve ogni singolo messaggio”.

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Magistrati: un nuovo concorso per 400 posti

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Anomalie servizi PCT – Terza PEC

Si comunica che a causa di anomalie da parte del sistema Ministeriale (non di Servicematica), si riscontrano ritardi nella ricezione della terza pec.

Non ci sono comunicazioni da parte del Ministero sulla procedura da eseguire.

Consiglio: contattare la cancelleria di riferimento e verificare se è arrivato il deposito telematico.

Whistleblowing nuove direttive UE: a che punto è l’Italia

L’Italia non recepisce la direttiva della Commissione europea sui segnalatori di illeciti

La Commissione europea intende avviare una procedura d infrazione nei confronti dell’Italia rispetto al non recepire la direttiva sul whistleblowing. Ossia, a causa del suo ignorare l’impegno a portare alla luce fatti corruttivi o sospetti di illeciti che possono minacciare l’interesse pubblico. Effettivamente, il termine per il recepimento di tale direttiva era dicembre 2021, ma sembra che il governo italiano ancora non voglia curarsene.

Whistleblowing: Italia non recepisce direttiva UE e Commissione europea vuole aprire una procedura d’infrazione

Si tratterebbe di un passaggio fondamentale, in quanto tale direttiva va anzitutto a integrare la Legge 30 novembre 2017, n. 179. Così, si disporrebbe di uno strumento fondamentale e utile alla lotta alla corruzione. A tal proposito, sorgono molte critiche principalmente da parte di The Good Lobbyorganizzazione non governativa che si occupa di trasparenza.

Infatti, quest’ultima esordisce con “Il mancato recepimento è una bella figuraccia a livello internazionale”. E continua: “Nulla è stato fatto. Non male per un governo che si trova ad affrontare la più importante fetta del PNRR e che la trasparenza è più capace a predicarla che applicarla”. Infine, da il colpo di grazia: “E spiace notare che il governo italiano, oggi preso a modello da altri paesi e dalla stampa internazionale, risulti totalmente disinteressato all’argomento a differenza di Francia, Spagna e Portogallo”.

A tale scia di disappunto si unisce anche il Centro Studi Enti Locali (CSEL) che realizza un dossier con dati scoraggianti. Infatti, qui si evince che nel periodo tra il 2018 e il 2021 c’è un preoccupante calo del 45% del numero di segnalazioni di illeciti inviate all’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC). Tra l’altro, proprio il Presidente dell’Anac a inizio anno denunciava l’inadempienza dell’Italia in questo modo:

“I whistleblower svolgono un ruolo essenziale nel portare alla luce fatti corruttivi o fondati sospetti di illeciti che possono minacciare l’interesse pubblico. In tutti i paesi che riconoscono questo istituto, le segnalazioni hanno permesso la protezione di interessi comuni fondamentali, nonché il recupero di ingenti risorse pubbliche”.

Direttiva UE whistleblower: chi riguarda e quali sono le sue caratteristiche

Nello specifico, la direttiva UE di cui si parla include nella definizione di whistleblower anche quei soggetti che sono fuori dalla tradizionale relazione lavorativa. Come:

  • Consulenti;
  • Membri dei consigli direttivi;
  • Ex dipendenti;
  • Candidati a posizioni lavorative.

Inoltre, la direttiva possiede queste caratteristiche:

  • Fornisce protezione a coloro che assistono i whistleblower;
  • Considera irrilevanti le motivazioni che spingono alla segnalazione;
  • Permette ai whistleblower di denunciare illeciti direttamente nel luogo di lavoro oppure alle autorità competenti;
  • Introduce il divieto di ogni tipo di ritorsione;
  • Prevede sanzioni per coloro che ostacolano il diritto a segnalare;
  • Attuano ritorsioni o non rispettano l’obbligo di mantenere la confidenzialità;
  • Richiede agli Stati membri di garantire l’accesso a un servizio gratuito, comprensivo e indipendente di assistenza all’interno del settore pubblico. Quindi, compresa anche l’assistenza legale e finanziaria;
  • Introduce l’obbligo di prendere in carico le segnalazioni e di mantenere il whistleblower informato entro un tempo ragionevole.

Whistleblowing: Italia non recepisce direttiva UE e non applica altre leggi come il lobbying

Data la sua importanza messa in luce dalle specifiche sopra indicate, The Good Lobby e Transparency International lanciavano l’allarme già da un mese. Così, invitavano il governo italiano a prestare attenzione alla direttiva, a muoversi e porre rimedio. Quindi, The Good Lobby continua a sottolineare:

“è un tassello fondamentale per evitare che le risorse europee del Recovery Fund finiscano in mano al malaffare. È essenziale per garantire maggiori tutele contro le ritorsioni perché permetterà di scegliere fra diversi canali di segnalazione, anche al di fuori della propria azienda o amministrazione. Un aspetto fondamentale che, in futuro, potrebbe prevenire il ripetersi di tragedie come quelle della funivia del Mottarone. Sappiamo infatti che un ex dipendente aveva segnalato internamente il guasto dell’impianto e aveva subito minacce di licenziamento. Se solo la Direttiva europea fosse stata in vigore, avrebbe potuto segnalare anonimamente la mancanza di sicurezza della funivia tramite un canale esterno e si sarebbe potuta evitare una tragedia in cui hanno perso la vita 14 persone”.

Tuttavia, da parte del governo italiano giunge solo un assordante silenzio. Tra l’altro, questo si scontra col buon risultato che l’Italia raggiunge nell’indice annuale 2021 del Cpi. Cionondimeno, anche qui si evidenziava che rimangono nel Bel Paese delle criticità sul whistleblowing e regolamentazione del lobbying. Infatti, l’Italia non risulta ancora in linea con le direttive europee.

Per concludere, si attendono anche snodi legislativi in merito al recepimento della direttiva UE 2019/37 sul whistleblowing, anche in tema di antiriciclaggio. Nello specifico, manca all’appello la pubblicazione del registro dei titolari effettivi. Così come si attende l’approvazione del Senato alla legge sul lobbying.

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Riforma della giustizia: niente toga dopo incarichi di governo

Oggi si convoca il Consiglio dei Ministri per discutere e mettere un punto alla riforma del Consiglio Superiore della Magistratura e ordinamento giudiziario. Se il premier Mario Draghi sembra voler chiudere la questioneM5S e Lega sollevano diversi dubbi sulla questione. Tra il pacchetto di proposte messe a punto dalla Ministra della Giustizia Marta Cartabia figura “niente toga per tre anni dopo incarichi al governo”.

Riforma della Giustizia: news per politici dal pacchetto di proposte di Marta Cartabia

Fino ad oggi, se un magistrato prendeva parte ad incarichi politici poteva in seguito tornare tranquillamente a ricoprire la carica. Invece, tra le proposte più significative nel merito troviamo un no turning back. Così recita la proposta:

i magistrati che hanno ricoperto cariche elettive di qualunque tipo o incarichi di governo (da parlamentare nazionale ed europeo, consigliere e presidente di giunta regionale, a consigliere comunale e sindaco) al termine del mandato, non possono più tornare a svolgere alcuna funzione giurisdizionale”.

Cosa accade invece dopo l’approvazione della Riforma? I magistrati ordinari si collocheranno fuori ruolo presso il Ministero di appartenenza. E “i magistrati amministrativi e contabili presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, ovvero sono destinati allo svolgimento di attività non direttamente giurisdizionali, né giudicanti né requirenti”.

Cosa prevede la Riforma della Giustizia per le categorie di magistrati

Proseguendo nell’analisi di questa riforma troviamo invece che per alcune categorie di magistrati si riserva un altro futuro. Ci riferiamo ai magistrati:

  • Ordinari;
  • Amministrativi;
  • Contabili;
  • Militari.

Se questi svolgevano incarichi apicali nei ministeri o incarichi di governo non elettivi, al termine dell’attività non svolgeranno funzioni giurisdizionali per tre anni. Poi, la loro collocazione si individuerà dai rispettivi organi di autogoverno. Inoltre, la medesima disciplina si applicherà ai magistrati con candidatura in politica ma senza elezione.

Riforma della Giustizia: news per politici e Sistema elettorale misto

A questo punto, non possiamo tralasciare la questione del sistema elettorale misto, ossia che si basa su collegi binominali. Questi eleggono ciascuno due componenti del Csm e anche una distribuzione proporzionale di 5 seggi a livello nazionale. Quindi, non ci sono liste, ma candidature individuali. Ora, i componenti del Consiglio dei Ministri tornano come un tempo a 30, così suddivisi:

  • 20 con toga;
  • 10 laici.

Inoltre, il Cms prevede che nello spazio per il sistema elettorale misto ci sia possibilità di sorteggio. In effetti, questo servirà a:

  • Assicurare che in ogni collegio binominale si raggiunga il minimo di 6 candidati;
  • Riequilibrare le candidature del genere meno rappresentato.

La riforma al Consiglio dei Ministri è un pilastro della Riforma della Giustizia, che già modificava il processo penale e civile. Inoltre, è frutto dell’impegno dell’Italia nel trovare e ottenere fondi del Recovery Fund. Poi, si tratta di una riforma ambita anche per contrastare il potere politico interno alla magistratura.

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#ioapro il giudice disapplica il Dpcm

Cena in pieno lockdown: Tribunale annulla la multa di 800 euro al ristoratore #ioapro

Come tutti ricorderete bene il 15 gennaio 2021 eravamo in pieno lockdown: se non si poteva uscire dal proprio comune, figuriamoci permettersi una cena fuori. Eppure, quella sera si svolgeva una classica rimpatriata di una trentina di persone in un ristorante nei pressi di Pesaro.

Quindi, all’epoca la polizia assegnò una multa di 800 euro al ristorante; ma il Tribunale di Pesaro non è d’accordo.

Cena fuori ad un ristorante di Pesaro: il giudice disapplica il dpcm per #ioapro

Il ristorante in causa si chiama la Grande Bellezza, è a Mombarocchio e il suo proprietario è anche il fondatore dell’iniziativa di carattere nazionale #ioapro. Si tratta della protesta sorta contro i vari divieti del Dpcm del 3 dicembre 2020, tra i quali figurava l’obbligo che i ristoranti e attività simili chiudessero alle ore 18:00. Ciononostante, Umberto Carriera – proprietario del ristorante nei pressi di Pesaro – permise ugualmente una cena di una trentina di persone, tra cui Vittorio Sgarbi.

La serata del 15 gennaio 2021 richiamò l’attenzione di diverse persone e anche della polizia, che diede loro appunto una multa di 800 euro. Tuttavia, il ristornante si tiene fedele alle proprie convinzioni anche nei giorni a venire. Infatti, la Grande Bellezza continuò ad offrire la possibilità di cenare in un ancora maggiore segno di protesta.

Proprio oggi arriva la sentenza di annullamento dell’ingiunzione di pagamento con la disapplicazione del Dpcm del 3 dicembre 2020. È il Tribunale Civile di Pesaro ad annullarlo segnando così la vittoria di Umberto Carrera davanti al giudice Flavia Mazzini. Ora, non resta che aspettare le motivazioni esplicative, che dovrebbero arrivare tra un mese. Intanto, l’avvocato difensore di Carrera – il fiorentino Lorenzo Nannelli – commenta così: “la verità si fa strada, sta trionfando la giustizia”.

 

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Inps: nuove indicazioni sul riconoscimento della pensione di reversibilità al coniuge separato

Il 1° febbraio 2022 l’Inps fornisce con la Circolare n.19 nuove indicazioni operative in merito al riconoscimento del diritto alla pensione. Nello specifico, la pensione riguarda i superstiti in favore del coniuge separato per colpa o con addebito della separazione.

Con ciò, aderisce alla giurisprudenza della Suprema Corte, che affermava il principio secondo cui non esiste differenza di trattamento per il coniuge separato in ragione del titolo della separazione.

Nuove dall’Inps su pensione di reversibilità per coniugi separati, i requisiti

Pertanto, nell’ipotesi di separazione (con o senza addebito) si deve applicare l’art. 22 della Legge n. 903/1965Essa richiede con riferimento al coniuge superstite il solo requisito di dimostrare l’esistenza del rapporto con il coniuge defunto, con pensione o assicurazione. Di conseguenza, tale orientamento porta alla modifica del paragrafo 2 della Circolare n. 185/2015.

Questo prevedeva la corresponsione della pensione di reversibilità solo in caso di titolarità dell’assegno alimentare.

Nello specifico, l’Inps dichiara che le domande inoltrate a seguito della Circolare, devono definirsi in base a questi criteri. Inoltre, si riesamineranno anche le domande respinte.

Poi, una specifica che riguarda il caso di una pensione che si liquida in favore di un’altra categoria di superstiti con diritto concorrente. Ossia, non compatibile con quello del coniuge superstite da cui ci si separava. In merito a questo, il riconoscimento a favore di quest’ultimo comporterà la ricostituzione e la revoca della prestazione già erogata.

In queste ipotesi, non si procederà al recupero degli importi, in applicazione dei criteri generali in materia di indebiti come da determinazione presidenziale n. 123 del 26 luglio 2017.

Alcune specifiche dal Comunicato

Inoltre, nelle ipotesi di giudizi in corso (in primo grado o in appello) le Strutture territoriali Inps dovranno accogliere e liquidare le relative istanze di parte. E, farlo nei limiti della prescrizione quinquennale da calcolarsi a ritroso dalla data della domanda iniziale.

Invece, per quanto concerne i ricorsi amministrativi pendenti le strutture territoriali dovranno verificare se sia possibile modificare il provvedimento di diniego. E successivamente, provvedere alla liquidazione in autotutela del trattamento pensionistico ai superstiti. Se il provvedimento risulta pienamente soddisfacente della pretesa sollevata con il ricorso, quest’ultimo si definirà per cessata materia del contendere.

I ricorsi già inoltrati al Comitato non ancora nell’ordine del giorno, si restituiranno alla Strutture per le relative verifiche. Invece, per quelli già inseriti nell’ordine del giorno si richiede la comunicazione. Questo per dichiarare l’emissione del provvedimento di liquidazione del trattamento in autotutela.

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Danno da vacanza rovinata, chi è il responsabile?

Un’ordinanza della Cassazione chiarisce di chi sia la responsabilità da vacanza rovinata

Recentemente, la Corte di Cassazione emana l’ordinanza n. 3150/2022 con cui chiarisce dubbi di responsabilità da “vacanza rovinata”. La vicenda coinvolgeva una coppia che richiese un pacchetto di viaggio “tutto compreso” tramite un’agenzia. Dunque, tale coppia conviene dinanzi al Giudice di Pace e chiede la condanna al risarcimento del danno “da vacanza rovinata”. Vediamo assieme il caso.

Chi è responsabile della vacanza rovinata? La parola a Giudice di Pace e d’Appello

Come si anticipava, il caso coinvolge una coppia che acquista un pacchetto vacanze all inclusive in all’agenzia viaggi Alfa s.p.a. In seguito, i due espongono al Giudice di Pace che:

  • Acquistavano presso l’agenzia viaggi un pacchetto turistico tutto compreso con oggetto un soggiorno di una settimana in Tunisia;
  • L’organizzazione del viaggio e il soggiorno nella struttura non erano eccezionali. Nello specifico, i due riscontrano le seguenti carenze: disinformazione sulla lunghezza delle operazioni di controllo dei passaporti all’arrivo, protrattesi per varie ore; assenza del servizio di transfert privato già acquistato e pagato; Scarsa pulizia e qualità dei servizi della stanza;

A questo punto, la società Alfa s.p.a. alla quale la coppia si appoggiava, risponde che la colpa non è loro essendo meri intermediari. Infatti, il pacchetto vacanze apparteneva alla società Delta s.p.a. e dunque i problemi organizzativi del viaggio riguardavano loro.

Ora, mentre il Giudice di Pace accoglie la domanda, il Tribunale quale giudice di appello la rigetta. In effetti, ritiene che il GdP confondesse la posizione giuridica del tour operator con quella dell’intermediario di viaggi. Così facendo, condannava il secondo per un tipo di responsabilità che si ascrive solo al primo.

L’ordinanza della Corte di Cassazione

Dunque, la coppia ricorre in Cassazione che tuttavia lo rigetta ritenendo che la legislazione non ammette dubbi sul fatto che:

  • L’organizzatore dei viaggi e vacanze è colui che combina gli elementi e li offre poi al pubblico sotto forma di pacchetto “tutto compreso”;
  • Il venditore di tali viaggi-vacanza è invece colui che distribuisce i pacchetti realizzati da terzi;
  • L’intermediario è infine un semplice sinonimo di venditore.

Quindi, alla luce della giurisprudenza in materia si evince che l’intermediario di viaggi/venditore deve rispondere alle obbligazioni tipiche di un mandatario. Ad esempio:

  • Scegliere con oculatezza l’organizzatore;
  • Trasmettere tempestivamente le prenotazioni;
  • Incassare il prezzo o restituirlo in caso di annullamento.

Di conseguenza, non è responsabile degli inadempimenti dell’organizzatore o della non corrispondenza dei servizi. Con un’eccezione: è responsabile qualora si attesti che conosceva l’inaffidabilità del servizio da lui offerto. Infatti, l’art. 1176 comma 2 del Codice Civile stabilisce le regole in materia di diligenza nell’adempimento a cui si deve rapportare.

 

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Cos’è e come funziona la nuova Posta Elettronica Certificata europea, requisiti e specifiche

Il 31 gennaio scorso si avvia l’inchiesta pubblica sulla PEC europea che vedrà la sua conclusione il prossimo 4 novembre. Questa data coincide con la pubblicazione della nuova versione dello standard ETSI per la creazione del servizio PEC conforme agli standard e-IDAS. La valenza di tale aggiornamento? Sarà possibile uno scambio di posta elettronica tra cittadini e imprese di tutti gli Stati Membri.

PEC Europea: nuova versione standard ETSI, il regolamento e i requisiti

Innanzitutto, vediamo qual è la normativa attuale nei confronti della PEC in suolo italiano. Il 14 giugno 2021 AgID pubblica il documento per i servizi di recapito certificato qualificato e-IDAS. Si chiama “REM SERVICES – Criteri di adozione degli standard ETSI – Policy IT” ed è frutto di un lavoro di gruppo tra:

  • Agenzia per l’Italia digitale;
  • Gestori PEC;
  • Uninfo;
  • Assocertificatori.

Il succo della questione è che la posta certificata sia conforme alla qualificazione e-IDAS nella garanzia di mittenti e destinatari. Ebbene, la nuova versione dello standard ETSI EN 319 532-4 si inserisce proprio in questo processo di regolamentazione a livello europeo. E, individua come elemento tecnologico un’interfaccia di servizio comune definita Common Service Interface (CSI). Su di essa si appoggeranno i vari gestori del servizio di posta elettronica certificati.

Poi, c’è il Regolamento (UE) n. 910/2014 del 23 luglio 2014 in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno. Esso individua come essenziale prevedere un quadro giuridico per agevolare il riconoscimento transfrontaliero tra gli ordinamenti giuridici nazionali. La caratteristica essenziale di tali servizi è quella di consentire la trasmissione di dati fra terzi per via elettronica, fornendo prove come:

  • Invio avvenuto;
  • Avvenuta ricezione dei dati;
  • Protezione dei dati trasmessi dal rischio di perdita, furto, danni o modifiche non autorizzate.

Tutti i requisiti e specifiche della nuova Posta Elettronica Certificata europea

È l’art. 44 del Regolamento a individuare i requisiti per l’individuazione di quei servizi elettronici certificati, i quali:

  • Si forniscono da parte di uno o più prestatori di servizi fiduciari qualificati;
  • Garantiscono l’identificazione del mittente con accuratezza e sicurezza;
  • Assicurano l’identificazione del destinatario prima della trasmissione dei dati;
  • Invio e ricezione dei dati si garantiscono grazie ad una firma elettronica avanzata. Oppure, da un sigillo elettronico avanzato di un prestatore di servizi fiduciari. Quest’ultimo avrà una qualifica tale da escludere la possibilità di modifiche non rilevabili dei dati;
  • Qualsiasi modifica ai dati necessaria per inviarli o riceverli si indica al mittente e al destinatario dei dati stessi;
  • Data e l’ora di invio e di ricezione e qualsiasi modifica dei dati si indicano da una validazione temporale elettronica qualificata.

PEC: com’è lo standard europeo nella nuova versione ETSI

Lo standard europeo ETSI EN 319 532-4 V1.1.7 (2022-01) è ora in discussione. Esso chiarisce come il regolamento e-IDAS definisca un insieme di principi atti a promuovere le direzioni dell’Agenda digitale dell’UE e le conclusioni del Consiglio europeo. inoltre, gli obiettivi di tali principi riguardano il contrasto la mancanza di interoperabilità. Così come l’aumento della criminalità informatica e lo fa attraverso l’uso transfrontaliero dei servizi online.

Così, si creano le condizioni idonee per riconoscere reciprocamente abilitatori chiave attraverso le frontiere. Tra gli altri, i servizi di consegna elettronica. Poi, l’infrastruttura da realizzarsi si fonda sui seguenti due elementi:

Il REM baseline specifica un insieme minimo di requisiti per garantire la massima interoperabilità nel settore. E, in particolare, nell’uso transfrontaliero dei servizi REM. La conformità con la base REM mira alla semplificazione del supporto tecnico del REM da parte delle autorità cui compete degli Stati membri. Nello specifico, le caratteristiche principali dell’aggiornamento saranno le seguenti:

  • Sistema non chiuso poiché l’insieme dei partecipanti non è limitato né predefinito;
  • Disponibili metodi di verifica semplici;
  • Con chiari punti di accesso e regole per l’interoperabilità.

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Il 3 febbraio scorso il Tar Lazio conferma l’opportunità delle specializzazioni forensi pubblicando la sentenza n. 1278/2022, con la quale conferma appunto il Decreto del Ministero della Giustizia del 2020. Così, respinge il ricorso che alcuni Coa proponevano e dichiara legittimo il conseguire e mantenere il titolo di avvocato specialista. A tal proposito, il Cnf si mostra pienamente favorevole alle specializzazioni, opportunità uniche per l’avvocatura.

Tar Lazio conferma l’opportunità delle specializzazioni forensi del decreto n. 163/2020

Si tratta del decreto n. 163/2020: grazie all’intervento del Giudice amministrativo la specializzazione è parte fondamentale della professione legale. Quindi, gli avvocati possono ambire all’alta formazione e hanno la possibilità di offrire servizi specializzati. Così, le scuole di formazione ripartiranno, così come i procedimenti per il riconoscimento del titolo di avvocato specialista.

È un traguardo importante, dato che l’iter per raggiungere la normativa in dettaglio è durato circa dieci anni. In quest’arco di tempo si susseguono una serie di interventi diversi in sede giurisdizionale e amministrativa.

A questo punto, numerosi Ordini degli Avvocati presentano ricorso contro il Ministero della Giustizia e nei confronti del Cnf (non costituito in giudizio). invece, sono ben 12 le associazioni forensi che partecipano come opposizione e al sostegno del Decreto. Di seguito, ne elenchiamo alcune:

  • Unione nazionale delle Camere civili (Uncc);
  • Cammino;
  • Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia (Ondif);
  • Avvocati giuslavoristi italiani (Agi);
  • Unione delle Camere penali italiane (Ucpi);
  • Unione nazionale Camere minorili (Uncm).

Consiglio Nazionale Forense favorevole alle specializzazioni: valore aggiunto per i cittadini

Per il Cnf si tratta di un valore fondamentale e la stessa norma primaria fa parte della Legge ProfessionaleOssia, corrisponde all’art. 9 della Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense (Legge 247/2021) in vigore dal 2 febbario 2013. Inoltre, il Comitato fa notare come sia un ottimo riconoscimento fregiarsi di un titolo specialistico.

In merito, membri del Comitato evidenziano come le specializzazioni siano un valore aggiunto specialmente per il cittadino. Infatti, quest’ultimo potrà così trovare un orientamento migliore nella selezione del professionista. Sarà proprio il Cnf a farsi garante di un’accurata selezione del personale, che dovrà essere “seria e rigorosa”.

Per concludere, riportiamo una delle testimonianze favorevoli al decreto, il parere dell’Unione nazionale delle Camere civili al riguardo:

In forza della decisione del Tar Lazio, le associazioni specialistiche proseguiranno nel determinante ruolo loro riconosciuto per l’avvio delle scuole di specializzazioni forensi, mentre i singoli Consigli degli Ordini dovranno accordarsi con le associazioni per stipulare convenzioni con le facoltà di giurisprudenza”.

 

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Nella giornata di ieri la Camera dei Deputati approva il disegno di legge che fa sì che la tutela ambientale e la biodiversità siano parte della Costituzione. Tra l’altro, tale proposta era già stata approvata un paio di volte al Senato e una volta alla Camera. Inoltre, non è necessario un referendum popolare, dato che sono state fatte le quattro letture necessarie per l’approvazione definitiva della legge.

Tutela ambientale e biodiversità in Costituzione: le aggiunte agli articoli 9 e 41

Con 468 voti a favore, 1 contrario e 6 astenuti (tutti di Fratelli d’Italia) il testo del disegno di legge riceva la sua approvazione. Tale testo prevede la modifica degli artt. 9 e 41 della Costituzione i quali trattano appunto del benessere paesaggistico e della sua cura e garanzia.

In particolare, l’art. 9 precisa che “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”. Ad esso si aggiunge che “tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”.

Invece, per quanto riguarda l’art. 41, esso sostiene che “l’iniziativa economica è libera ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Ad esso si aggiunge anche “alla salute, all’ambiente”.

Comunque, tale testo corrisponde alla sintesi di altre proposte che in precedenza facevano i seguenti partiti politici:

  • Liberi e Uguali;
  • Partito Democratico;
  • Forza Italia;
  • Movimento 5 Stelle;
  • +Europa.

Lega non è d’accordo: perché?

Tempo addietro, quando tali proposte di disegno di legge si diffondevano in vie ufficiali, la Lega emanava di risposta ben 250 mila emendamenti contrari. Ognuno di questi apportava la firma di leghisti quali: Roberto Calderoli; Luigi Augussori; Ugo Grassi; Daisy Pirovano e Alessandra Ricciardi. Precisamente, la loro critica riguardava il contenuto del testo, che consideravano troppo generico.

Nello specifico, secondo gli oppositori il testo dovrebbe fare distinzione tra: animali da compagniaselvatici, di allevamento e animali pericolosi. Infatti, in una nota i senatori della Lega scrivevano che: “Serve differenziare con ragionevolezza per evitare in futuro paradossi nella sua applicazione”. Insomma, il loro timore si inserisce nel contesto di caccia e pesca e la preoccupazione principale è quella che ci saranno troppe limitazioni e vincoli in difesa di animali non domestici.

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