Premi dedicati agli avvocati

Premi dedicati agli avvocati: risorsa o inganno?

Prendiamo spunto da un’interessante conversazione che si è sviluppata a partire dai post dell’Avv. Andrea Lisi su LinkedIn a proposito dei premi dedicati agli avvocati e sulla reazione del Consiglio Distrettuale di Disciplina della Corte d’Appello di Milano a tal proposito.

Il Consiglio, ancora nel novembre del 2019, si è espresso sui numerosi post che gli avvocati pubblicano sui loro social, molto spesso proprio su LinkedIn, mostrando l’assegnazione di premi “qualificanti capacità professionali in singoli campi di operatività”.

A contorno di questi post, altri in cui gli avvocati parlano apertamente di incarichi ricevuti e di chi glieli ha commissionati.

Questo tipo di condotta è in linea con i principi di veridicità, correttezza, onestà e discrezione indicati dal codice deontologico?

I PREMI DEDICATI AGLI AVVOCATI: COSA NON FUNZIONA

Il guaio di utilizzare l’assegnazione di premi come leva della comunicazione di un avvocato nasce dalla loro natura dei premi stessi.

Per prima cosa, sono assegnati da istituzioni che non sembrano essere oggettivamente abilitate a valutare l’operato professionale degli avvocati: come vengono scelti i finalisti? Quali sono i parametri utilizzati per stabilire chi è meritevole di un premio e chi no? Chi li stabilisce? In base a quale analisi? E, poi, è davvero possibile stabilire in modo oggettivo se un avvocato è bravo o meno?

Poi, alla mancanza di una procedura di valutazione trasparente si aggiunge il fatto che, a quanto pare, spesso vengono rilasciati solo a seguito della partecipazione a costosissime cerimonie di premiazione che, in qualche modo, ne inficia la validità. Infatti, se non si partecipa alla cerimonia, non si può ritirare il premio. Insomma, il premio è il risultato di un pagamento.

Infine, proprio il costo di tali cerimonie taglia fuori gli studi più piccoli o gli avvocati più giovani, imponendo una selezione che non ha nulla a che fare con la qualità del lavoro.

È proprio l’aspetto economico a rendere i premi dedicati agli avvocati una leva pubblicitaria ingannevole.
A dir la verità, non lo sono solo per il settore legale, ma per tutti.

Pensiamoci un attimo: se un macellaio o un cantante ricevesse un premio che celebra le sue competenze semplicemente perché ha versato una certa somma e poi usasse questo premio come leva di marketing, chiaramente omettendo di aver pagato, potremmo considerarla una forma di comunicazione onesta? Decisamente no.

Lo stesso discorso vale anche per articoli, interviste, pubblicazioni su riviste scientifiche e partecipazioni a convegni come relatori, se a pagamento e se tale pagamento viene omesso nel contenuto utilizzato a fini di marketing.

LA DELIBERA DEL CONSIGLIO DISTRETTUALE DI DISCIPLINA DELLA CORTE D’APPELLO DI MILANO

La conclusione indicata nella delibera è che i post pubblicati da avvocati in cui si pubblicizza il ricevimento di premi si configurano come una possibile violazione al codice deontologico (in particolare degli articoli 35 comma 8 e 37). Il Consiglio pertanto chiede ai presidenti degli ordini distrettuali della corte di appello di Milano di valutare possibili procedimenti disciplinari verso quegli avvocati che sfruttano questo tipo di pubblicità considerata occulta se non, addirittura, scorretta.

GLI ARTICOLI 35 E 37 DEL CODICE DEONTOLOGICO

L’art 35, “Dovere di corretta informazione”, al comma 8 dispone che:
«Nelle informazioni al pubblico l’avvocato non deve indicare il nominativo dei propri clienti o parti assistite, ancorché questi vi consentano.
»

L’art 37, “Divieto di accaparramento della clientela” dispone che:
«L’avvocato non deve acquisire rapporti di clientela a mezzo di agenzie o procacciatori o con modi non conformi a correttezza e decoro.
»

Il codice deontologico impone trasparenza, correttezza, decoro, veridicità, e informazioni non comparative e non suggestive. È possibile far coincidere questi dogmi con le nuove spinte a cui è soggetta la professione?

Perché bisogna affrontare la realtà: la pubblicità sta diventando importante anche per gli avvocati, soprattutto sul web. La sfida è dunque capire come gestirla: che il codice deontologico necessiti di ulteriori revisioni per adeguarsi a un contesto che cambia velocemente? O è importante cercare di preservare le specificità della figura dell’avvocato, mantenendola distante dalle più scomode regole del mercato, della domanda e dell’offerta e, quindi, del marketing?

Leggi qui la delibera.

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riforma previdenziale forense

La pensione dell’avvocato e la riforma previdenziale forense 2021

La riforma previdenziale forense entrerà in vigore nel 2021: cosa cambierà per la pensione dell’avvocato?
Prima di preoccuparvi, sappiate che la riforma non si attuerà dal giorno alla notte, ma attraverso un graduale
aumento dei requisiti minimi di età e di contribuzione previsti fino a giungere alla situazione “ottimale” che impone il raggiungimento dei 70 anni di età e la maturazione di 35 anni di anzianità contributiva

Indipendentemente dalla riforma, i requisiti da soddisfare perché un avvocato possa andare in pensione sono stabiliti dalla Cassa Forense.

Vediamo meglio cosa ci aspetta.

PENSIONE DI VECCHIAIA RETRIBUTIVA

La pensione di vecchiaia retributiva consente all’avvocato di abbandonare la professione a patto che abbia compiuto 69 anni di età e abbia versato almeno 34 anni di contributi.

Come già anticipato, a partire dal 2021, con l’entrata in vigore della riforma previdenziale forense, l’avvocato dovrà aver compiuto 70 anni e aver versato almeno 35 anni di contributi.

PENSIONE DI VECCHIAIA CONTRIBUTIVA

La pensione di vecchiaia contributiva è destinata all’avvocato che, pur avendo raggiunto l’età pensionabile, non ha maturato sufficienti contributi.

Per ottenere questo tipo di pensione l’avvocato deve aver compiuto 69 anni di età e aver versato almeno 5 anni di contribuzione, ma meno di 34.

Con la riforma pensionistica forense, l’avvocato dovrà aver compiuto 70 anni e aver versato almeno 5 anni di contributi, ma meno di 35.

PENSIONE DI ANZIANITÀ

La pensione di anzianità è un’opzione per l’avvocato che ha compiuto 58 anni e ha versato almeno 35 anni di contributi.

A partire dal 2021, per ottenere la pensione di anzianità sarà necessario aver compiuto i  62 anni e aver versato almeno 40 anni di contributi.

PENSIONE ANTICIPATA

La riforma ammette la possibilità di anticipare il pensionamento, a patto che l’avvocato abbia un’età compresa tra i 65  e i 70 anni. È stata stabilita l’applicazione di un coefficiente di riduzione dell’importo della pensione pari allo 0,41% per ogni mese di anticipo rispetto all’età anagrafica prevista, sempre che si rispetti il requisito minimo dell’anzianità contributiva prevista, in via ordinaria, dallo scaglione di pensionamento. 

L’avvocato può ottenere la pensione anticipata senza alcuna riduzione dell’importo nel caso in cui abbia raggiunto i 40 anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa e non abbia meno di 65 anni

Va segnalato che la Riforma della Previdenza Forense non prevede più la pensione minima in caso di pensione di vecchiaia. Al suo posto viene istituito un meccanismo di integrazione al trattamento minimo (art. 5 del Regolamento per le Prestazioni Previdenziali), applicabile a patto che i redditi complessivi dell’avvocato e dell’eventuale coniuge (non legalmente ed effettivamente separato) non siano superiori al triplo della pensione minima dell’anno di maturazione del diritto.

Infine, va ricordato che la pensione non è compatibile con l’iscrizione all’albo, pertanto l’avvocato dovrà provvedere alla cancellazione del proprio nominativo.

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avvocato minacciato

24 gennaio, giornata internazionale dell’avvocato minacciato

Il 24 gennaio di ogni anno si celebra la giornata internazionale dell’avvocato minacciato.

Questa ricorrenza è stata istituita nel 2009 per richiamare l’attenzione delle istituzioni e dell’opinione pubblica sulle violenze, le intimidazioni, le aggressioni e le ingiuste condanne alle quali sono sottoposti molti avvocati nel mondo, avvocati che sfidano i poteri forti e cercano di operare rimanendo indipendenti e autonomi.

Eppure, l’autonomia, l’indipendenza e anche la sicurezza degli avvocati sono ufficialmente riconosciute a livello internazionale. Basti pensare che nel 1990 le Nazioni Unite hanno adottato i Principi di Base sul Ruolo degli Avvocati in cui viene stabilito che è compito dei Governi assicurare che gli avvocati svolgano la loro professione senza incontrare intimidazioni, molestie, ostacoli o interferenze.

Sfortunatamente, la realtà è ben diversa.

PERCHÈ LA GIORNATA INTERNAZIONALE DELL’AVVOCATO MINACCIATO CADE IL 24 GENNAIO

La data è stata scelta in ricordo del massacro di Atocha, Madrid, del 1977.

All’epoca la Spagna si trovava in un periodo di transizione dalla dittatura franchista alla democrazia. Anzi, lo stesso massacro ha segnato un punto di svolta nel percorso sociale e politico del paese.

Quella sera, un commando di estrema destra suonò al numero 55 di via Atocha in cerca di Joaquín Navarro, dirigente comunista (all’epoca il partito comunista spagnolo era illegale) e segretario generale del Sindacato dei Trasporti delle commissioni operaie, che aveva organizzato diversi scioperi capaci di colpire la cosiddetta “mafia franchista dei trasporti”.

Navarro però era già uscito, pertanto il commando decise di uccidere chiunque fosse nell’ufficio in quel momento.

A morire furono gli avvocati Enrique Valdelvira Ibáñez, Luis Javier Benavides Orgaz, Francisco Javier Sauquillo Pérez del Arco, lo studente di giurisprudenza Serafín Holgado e l’impiegato Ángel Rodríguez Leal. Altre 4 persone furono gravemente ferite.

Due giorni dopo migliaia di cittadini scesero in piazza in segno di dolore, protesta e rifiuto verso tale massacro, ma anche per chiedere libertà e democrazia.

Il massacro di Atocha tocca anche l’Italia: nel 1984 esce su Il Messaggero la notizia che a partecipare all’attentato vi furono anche i neofascisti italiani.

L’avvocato minacciato è una questione di interesse per il CNF che, tra le varie iniziative, ha deliberato di proclamare il 2020 “anno dell’avvocato in pericolo nel mondo”.

La volontà del Consiglio Nazionale Forense è “sensibilizzare maggiormente l’opinione pubblica e le istituzioni su tali temi”.


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DAC 6

Direttiva DAC 6: gli avvocati dovranno denunciare gli assistiti?

Ancora nel maggio del 2018 veniva approvata la Direttiva Europea 2018/822, detta DAC 6, che impone ai soggetti intermediari che partecipano a determinate transazioni sospette di comunicare tali transazioni all’Agenzia delle Entrate. In parole più semplici, commercialisti, tributaristi, notai, consulenti del lavoro, fiduciari, persino banche e anche avvocati dovranno segnalare i clienti che intendono evadere il fisco.

Gli stati membri dell’Unione Europea erano tenuti a recepire la direttiva DAC 6 entro il 31 dicembre 2019 e ad applicarla dal 1° luglio 2020.

Per il momento, la direttiva DAC 6 e l’obbligo di segnalazione si applicano solo alle operazioni transfrontaliere di aziende medio-grandi

L’obiettivo è sempre la lotta all’evasione incrementando la collaborazione tra le autorità fiscali dei vari Paesi UE.

DAC 6: EVASIONE, SEGRETO PROFESSIONALE E SANZIONI

In un’intervista a Libero, il commercialista Federico Grigoli ha spiegato che «il recepimento della direttiva DAC 6 stravolge la funzione del professionista che deve rispettare delle regole deontologiche tra le quali l’obbligo di riservatezza verso le attività dei clienti. Ma non solo, perché la stessa normativa europea riconosce a chiunque il “diritto al silenzio” ovvero la possibilità di non “autodenunciarsi” e questo è in contrasto con la legge in corso di recepimento. Del resto chi ha intenzione di fare nero di solito non va da un commercialista o un tributarista. Il vero problema è che a causa di questa normativa anche l’avvocato che dà un consiglio al proprio cliente per fargli pagare meno tasse rispettando la legge potrebbe essere sanzionato per mancata comunicazione all’Agenzia delle Entrate. Non è un segreto per nessun operatore del diritto, infatti, che i confini con l’elusione sono sempre molto labili e difficili da dimostrare in giudizio».

L’obbligo alla denuncia non rientra certamente tra i compiti di avvocati, i commercialisti e altri intermediari i quali, peraltro, sono spesso vincolati dal segreto professionale. La Direttiva DAC 6 rischia quindi di porli in conflitto con i codici deontologici.

Inoltre, come sarà possibile stabilire se il consiglio di un professionista volto a far risparmiare il proprio cliente in modo legale sia, appunto, un consiglio onesto o volontà di evadere il fisco?

CONTENUTI DELLA DIRETTIVA DAC 6

I soggetti intermediari devono verificare la presenza di almeno uno dei seguenti potenziali elementi di rischio fiscale:

1. elementi distintivi generici,  tipicamente presenti negli schemi potenzialmente aggressivi, e, cioè:

    – la condizione di riservatezza che può comportare la non comunicazione ad altri intermediari o alle autorità fiscali delle modalità con cui il meccanismo potrebbe garantire un vantaggio fiscale;
    –  il pagamento di una commissione (o un interesse, una remunerazione per i costi finanziari e altre spese) per il meccanismo o la serie di meccanismi e tale commissione è fissata in riferimento;
    – la commercializzazione di schemi che sono replicabili e facilmente utilizzabili da più contribuenti e che comportano l’uso di documentazione standardizzata;

2. elementi distintivi specifici che potrebbero essere collegati al criterio del vantaggio principale;

3. elementi distintivi specifici collegati alle operazioni transfrontaliere;

4. elementi distintivi specifici riguardanti gli accordi di scambio automatico di informazioni nell’Unione;

5. elementi distintivi specifici relativi ai prezzi di trasferimento.

La presenza del fattore di rischio dovrebbe far scattare l’obbligo di comunicazione ma, poiché non implica la presenza di una vera strategia di pianificazione fiscale aggressiva, né di comportamenti volti all’elusione e/o all’evasione fiscale è necessario valutare altri due parametri:

l’esistenza di un vantaggio fiscale derivante dal comportamento che il soggetto sta mettendo in atto;
considerare se il vantaggio fiscale è maggiore o minore rispetto ad altri benefici (per esempio, la necessità di proteggere segreti industriali).
Solo se il vantaggio fiscale dovesse prevalere rispetto agli alti vantaggi ottenibili, la comunicazione sarà obbligatoria.

Sono previsti casi in cui l’intermediario è esonerato dalla comunicazione:
– se la denuncia è effettuata da un altro intermediario;
– se si è in presenza di segreto professionale ma solo quando la posizione giuridica del cliente è sotto esame;
– in caso di atti di difesa o di rappresentanza del cliente in un procedimento dinanzi l’autorità giudiziaria.

Le sanzioni vanno dai 2000 ai 21000 euro, con un aumento in caso di mancata comunicazione o di  comunicazione incompleta o inesatta.

La Direttiva DAC 6 contiene altre disposizioni, molte delle quali suscitano perplessità e confusione.
Al momento preferiamo non addentrarci oltre, poiché solo 4 Stati membri hanno già recepito pienamente la direttiva e tra questi non figura l’Italia (Ungheria, Lituania, Polonia e Slovenia lo hanno già fatto).
Attendiamo quindi la pubblicazione del Decreto Legislativo di recepimento della DAC 6 per capire meglio la situazione.

[Fonte: Fiscopiù]

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riconoscere costituzionalmente il ruolo dell'avvocato

L’importanza di riconoscere costituzionalmente il ruolo dell’avvocato

Già da tempo il CNF ha avanzato la proposta di riconoscere costituzionalmente il ruolo dell’avvocato modificando l’art.111 della nostra Carta fondamentale.
Al momento, l’articolo recita così:

«La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge.
Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata.

Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo.

Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore.

La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell’imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita.

Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati [cfr. artt. 13 c.2 , 14 c.2 , 15 c.2 , 21 c.3].

Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale [cfr. art. 13], pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge [cfr. art. 137 c.3]. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra [cfr. art. 103 c.3 , VI c.2].

Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione [cfr. art. 103 c.1,2].»

La richiesta del CNF è quella di aggiungere che «nel processo le parti sono assistite da uno o più avvocati» e che solo «in casi straordinari, tassativamente previsti dalla legge, è possibile prescindere dal patrocinio dell’avvocato, a condizione che non sia pregiudicata l’effettività della tutela giurisdizionale», specificando che «l’avvocato esercita la propria attività professionale in posizione di libertà e di indipendenza, nel rispetto delle norme di deontologia forense»

Della proposta fa parte anche l’idea che «la funzione giurisdizionale sugli illeciti disciplinari dell’avvocato» debba essere gestita «da un organo esponenziale della categoria forense, eletto nelle forme e nei modi previsti dalla legge, che determina anche le sue altre attribuzioni» e contro le cui decisioni sia ammesso il ricorso per Cassazione. 

L’importanza di riconoscere costituzionalmente il ruolo dell’avvocato è stata al centro dell’intervento del presidente del CNF Mascherin durante il convegno dedicato ai 70 anni del Consiglio d’Europa e ai 60 anni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo tenutosi a Venezia lo scorso dicembre 2019.
Ecco un riassunto dei punti salienti del suo discorso. 

L’AVVOCATO IN COSTITUZIONE COME ELEMENTO EQUILIBRATORE

Mascherin ha ricordato ciò che diceva Hegel: che la giurisdizione è il riflesso della società e non una funzione dello Stato.

Nella nostra Costituzione quando si parla di giurisdizione si parla di magistratura.
E se vogliamo che questa sia una vera garanzia per i cittadini, dobbiamo assicurarci che sia forte e indipendente dalla politica e da ogni altro potere.
Ciò è ancora più importante in questo periodo storico, caratterizzato da minacce alla democrazia che rischiano di comprimere l’autonomia e l’indipendenza della giurisdizione non solo in paesi totalitari, ma anche in Italia.

Si vede, per esempio, una crescente aggressione alla discrezionalità dei magistrati, sotto forma di normative che già contengono in qualche modo in sé la decisione finale a cui si vuole puntare (come nel caso della legittima difesa), stringendo la libertà del giudice.    

Un’altra forma di aggressione viene dalla pressione mediatica. Basti pensare al dibattito sulla prescrizione e alla tendenza a semplificare la materia che ha portato però alla sua banalizzazione. Ciò che sta succedendo è che non si fanno più norme guardando alla Costituzione, ma puntando al consenso, basandosi sui sondaggi.

Mascherin ha ricordato che la giurisdizione è maestra della dialettica, del confronto, del rispetto delle opinioni e della disponibilità a cambiare tali opinioni. Pertanto, i conflitti andrebbero affrontati con la mediazione e non con la forza.

E se la giurisdizione è lo specchio di una società, allora le aggressioni attuali sono il sintomo di una fase critica di questa, durante la quale viene privilegiata la forza, sotto forma di violenza del linguaggio. Questa è una deviazione rispetto a ciò che prescrive la Costituzione.

L’impegno a salvaguardare la giurisdizione è quindi non solo tecnico, ma anche culturale e sociale.

Per giungere a una magistratura davvero indipendente e forte è necessario un elemento equilibratore del suo potere, un elemento tecnico che non sia esterno alla magistratura, che non sia un soggetto politico o economico e che non sia il popolo.

Può essere solo l’avvocatura, il cui potere deriva dall’applicazione delle regole.

Se vogliamo una Magistratura costituzionalmente forte, ci vuole quindi un’Avvocatura costituzionalmente forte.

Il presidente del CNF ha concluso il suo intervento sull’importanza di riconoscere costituzionalmente il ruolo dell’avvocato con queste parole: «l’idea che vorremmo inserire in Costituzione è che il cittadino ha diritto al giudice non condizionabile e forte, ma deve aver diritto anche a un avvocato non condizionabile, autonomo e indipendente.

Ed è anche necessario blindare la riserva dell’avvocato nel processo, cosa che oggi è gestita con una sola legge ordinaria.

La presenza in costituzione creerebbe un ombrello per qualsiasi normativa di aggressione dell’autonomia dell’avvocato, anche economica.

In questo momento la magistratura è piuttosto neutra sull’idea dell’avvocato in costituzione, ritenendo forse che non la riguardi, quando invece è così.

Gandhi diceva che è impossibile non aver paura, ma se la causa è giusta bisogna saperla vincere.

È importante aver chiaro che avvocati e magistrati, quindi la giurisdizione, sono il  simbolo di giusta causa e quindi non c’è bisogno di temere la costruzione di una giurisdizione capace di far fronte agli attacchi alle nostre democrazie evolute».

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Pubblichiamo qui sotto la tabella che riassume le nuove specializzazioni forensi.

Lo scorso 19 dicembre, il Consiglio di Stato ha depositato il parere 03185/2019 relativo al nuovo schema di decreto del ministero della giustizia con oggetto “regolamento concernente modifiche al decreto del ministro della giustizia 12 agosto 2015, n. 144, recante disposizioni per il conseguimento e il mantenimento del titolo di avvocato specialista, ai sensi dell’articolo 9 della Legge 31 dicembre 2012, n. 247“.

Il precedente decreto 144 era infatti stato giudicato illegittimo e in parte annullato con la  sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 5575/2017 del 28 novembre 2017, in particolare per le parti relative all’elenco dei settori di specializzazione e alla disciplina del colloquio finalizzato ad accertare che il candidato possegga l’esperienza necessaria all’ottenimento del titolo di specialista.

I NUOVI SETTORI DELLE SPECIALIZZAZIONI FORENSI

Le nuove specializzazioni forensi sono state scelte a partire dall’analisi della domanda e dell’offerta di servizi legali, per rispondere meglio alle esigenze attuali del mercato e favorire un aumento della qualità degli stessi.

Anche l’incasellamento delle nuove specializzazioni in settori è stato eseguito secondo modalità diverse da quelle usate all’epoca del precedente decreto.

IL COLLOQUIO

Il nuovo regolamento ha definito meglio gli obiettivi e i contenuti del colloquio e ha rafforzato la terzietà della Commissione esaminatrice.

La Commissione è formata da 5 elementi3 avvocati iscritti all’albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori e da 2 professori universitari di ruolo in materie giuridiche e con qualificazione documentata nel settore di specializzazione oggetto del soggetto sottoposto a valutazione. Dei 5 esaminatori, 4 sono di nomina ministeriale e 1 è scelto dal CNF.

Va sottolineato che il colloquio non è un esame per valutare quanto il candidato sia competente nelle materie di specializzazione, ma il modo attraverso il quale verificare che i titoli e la documentazione a supporto della domanda siano completi e coerenti con il/i settore/i di specializzazione.

REQUISITI FORMATIVI

È possibile ottenere il titolo di specialista anche in mancanza di specifici percorsi formativi completamente conclusi.

L’art.14 del regolamento spiega che: “l’avvocato che ha conseguito nei cinque anni precedenti l’entrata in vigore del presente regolamento un attestato di frequenza di un corso almeno biennale di alta formazione specialistica conforme ai criteri previsti dall’articolo 7, comma 12, organizzato da una delle articolazioni di cui al comma 1 del medesimo articolo, ovvero dal Consiglio nazionale forense, dai consigli dell’ordine degli avvocati o dalle associazioni specialistiche maggiormente rappresentative di cui all’articolo 35, comma 1, lettera s), della legge 31 dicembre 2012, n. 247, può chiedere al Consiglio nazionale forense il conferimento del titolo di avvocato specialista previo superamento di una prova scritta e orale. All’organizzazione e alla valutazione della prova di cui al periodo precedente provvede una commissione composta da docenti rientranti nelle categorie di cui all’articolo 7, comma 8, nominati dal Consiglio nazionale forense”.

La medesima disciplina si applica anche a coloro che hanno iniziato un corso (avente i requisiti richiesti) prima della data di entrata in vigore del presente regolamento e alla medesima data non sia ancora concluso.

specializzazioni forensi
Tabella delle nuove specializzazioni forensi

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La ricetta di Davigo per processi più brevi che ha suscitato polemiche

Il 15 gennaio 2020, la commissione Giustizia alla Camera ha approvato la soppressione della proposta di legge Costa che puntava a bloccare la riforma della prescrizione Bonafede.

Ma, indipendentemente da quanto successo, Piercamillo Davigo, Presidente della II Sezione Penale presso la Corte di Cassazione e membro del Consiglio superiore della magistratura, pensa ci siano altri interventi utili a ottenere processi più brevi.

In un’intervista rilasciata a Il Fatto Quotidiano, il magistrato ha espresso le sue idee. Tra queste, stabilire pene più alte per chi ostacola la giustizia e rendere responsabili gli avvocati.   

Vediamo più in dettaglio quanto ha detto.

ABOLIRE IL DIVIETO DI REFORMATIO IN PEIUS IN APPELLO

Un punto importante per avere processi più brevi, secondo Davigo, è abolire il divieto di reformatio in peius in appello prendendo come riferimento la Francia, paese in cui il divieto già non sussiste.

L’abolizione avrebbe un effetto deterrente, poiché, se si viene condannati e ci si appella, lo si fa con la consapevolezza di una possibile condanna più alta. In altre parole, prima di ricorrere in appello al solo scopo di rallentare la conclusione del processo, ci si penserebbe due volte.
«Il fatto che in Italia chi ricorre in appello non rischi nulla e, anzi, possa beneficiare di un’eventuale prescrizione, è un incentivo a provarci e, quindi, contribuisce ad allungare i tempi dei processi».

IL PATTEGGIAMENTO

Davigo l’ha spiegato chiaramente: «qui [in Italia] patteggiano in pochissimi e negli Usa quasi tutti: lì, se l’imputato si dichiara innocente, sceglie il rito ordinario e poi si scopre che era colpevole, lo rovinano con pene così alte che agli altri passa la voglia di provarci. In Italia puoi patteggiare senza dirti colpevole e poi financo ricorrere in Cassazione contro il patteggiamento che hai concordato».

LA RESPONSABILITÀ IN SOLIDO DELL’AVVOCATO

Contro i ricorsi pretestuosi Davigo propone di rendere responsabile in solido l’avvocato:«così, quando il cliente gli chiede di ricorrere, gli fa depositare fino a 6 mila euro e poi, in caso di inammissibilità del ricorso, verserà lui la somma al posto del cliente».
Questo stratagemma permetterebbe di superare il limite della sanzione pecuniaria (2000,6.000 euro) che quasi nessuno paga.

L’OLTRAGGIO ALLA CORTE

Un altro passaggio per avere processi più brevi consisterebbe nel lasciare al giudice la possibilità di valutare se un impugnazione è portata avanti al solo scopo di perdere tempo e, conseguentemente, di aumentare la pena.

IL GRATUITO PATROCINIO

Davigo ha avuto modo di parlare anche del gratuito patrocinio.

Secondo lui, uno dei problemi del gratuito patrocinio, così come organizzato oggi, risiede nel concetto di ‘non abbienza’:«La non abbienza è una categoria fantasiosa, perché molti imputati risultano nullatenenti [NdR: anche se non lo sono]».

Lo Stato paga gli avvocati del gratuito patrocinio in base agli atti compiuti, pertanto questi cercano di compiere più atti possibile per far aumentare la propria parcella. La soluzione di Davigo è il forfait:«fissare un forfait una tantum secondo i tipi di processo: così gli avvocati perdono interesse a compiere atti inutili. E lo Stato, con i risparmi, può difendere gratis le vittime che invece la dichiarazione dei redditi la presentano e di rado accedono al gratuito patrocinio».

LE REAZIONI ALLA RICETTA DAVIGO PER PROCESSI PIÙ BREVI

Le dichiarazioni rilasciate dal magistrato hanno sollevato diverse perplessità.

L’Avv. Giovanni Malinconico, presidente dell’Organismo congressuale forense, ha dichiarato ad Adnkronos che «Il discorso di Davigo è un racconto giustizialista che avvalora la concezione della giurisdizione come potere, non sistema di tutele per i cittadini».

Sulla stessa linea, l’Avv. Antonino Galletti, presidente del Consiglio degli avvocati di Roma: «La ricetta di Davigo si risolve in una formula molto semplice ed inaccettabile: ridurre i diritti e le garanzie per abbreviare i processi».

Anche il presidente del CNF Mareschin ha commentato le tesi di Davigo parlando del giusto processo che «non è fatto di sanzioni a carico di chi si difende, non è fatto di strumenti a compressione del diritto di difesa, compreso quello delle parti lese, non è fatto di durata indeterminata e indeterminabile dei procedimenti, e che si fonda sul riconoscimento del ruolo costituzionale dell’avvocato oltre che sulla necessaria autonomia e indipendenza della magistratura.
Ora, l’avvocatura per vocazione e convinzione rispetta le tesi di chiunque, nella rigorosa applicazione del principio dialettico, e quindi anche quelle del consigliere Davigo, che propongono un’idea di giurisdizione e di società che pare essere fondata sulla presunzione di colpevolezza, sulla funzione esclusivamente retributiva della pena, sulla superfluità dell’esercizio del diritto alla difesa.
Una tesi astrattamente legittima […] impossibile da condividere da parte dell’avvocatura italiana, che vede ogni giorno uccisi, imprigionati, scomparsi, centinaia di colleghi che nel mondo si battono per le libertà.
In definitiva, non va sanzionata la difesa dell’imputato, come quella della parte lesa, che al contrario vanno gelosamente tutelate tramite un sistema giustizia all’altezza di una democrazia evoluta, senza rischiare di far pagare ai cittadini le eventuali carenze statali
».

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donna con salvadanaio

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fatturazione elettronica

Un anno di fatturazione elettronica

Poco più di 12 mesi sono passati dall’introduzione della fatturazione elettronica e più di 2 miliardi di documenti sono stati già trasmessi.

Sebbene il sistema non possa ancora dirsi a pieno regime, vogliamo condividere con voi alcuni dati utili a valutare l’efficienza di questa novità.

L’EVOLUZIONE DELLA FATTURAZIONE ELETTRONICA

La prima cosa da ricordare è che l’introduzione della fattura elettronica il 1 gennaio 2019 è stata solo l’ultima tappa di un percorso iniziato nel giugno 2014, quando fu introdotto l’obbligo di fatturazione elettronica verso la PA Centrale. Tale obbligo fu puoi ampliato nel 2015 verso le PA locali e, poi, nel luglio 2018 alle imprese limitatamente ad alcune categorie.

La fatturazione elettronica è stata assimilata con più facilità dalle aziende più grandi e più propense (per cultura aziendale e per risorse disponibili) alla digitalizzazione. Diversa la situazione delle imprese più piccole, che affrontano le innovazioni con più lentezza e difficoltà.

Al di là dei problemi che naturalmente sorgono quando una qualsiasi novità viene introdotta, la fatturazione elettronica ha dei pro e dei contro.

In particolare, i pro sono la velocizzazione di alcune procedure grazie all’uso del computer, sempre accessibile, e la semplificazione nella gestione di documenti del tutto dematerializzati.

I contro, invece, si configurano soprattutto come un aumento dei costi (software, assistenza e servizi accessori), il vincolo all’uso dei mezzi tecnologici (ostico per coloro che non hanno sufficienti competenze tecniche) e anche alcune incertezze in tema di tutela della privacy

UN PO’ DI NUMERI RELATIVI AL PRIMO ANNO DI FATTURAZIONE ELETTRONICA

I dati ufficiali rilasciati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (fine dicembre 2019) dicono che:

  • il Sistema di Interscambio ha gestito una media giornaliera di 5,5 milioni di file;
  • Questi file sono stati generati da quasi 4 milioni di soggetti emittenti (3865710);
  • dei 2 miliardi totali di file inviati (2.020.766.169), solo il 2,42% è stato scartato;
  • le fatture memorizzate ammontano a 1.969.949.652 unità. Di queste:
    – il 54,34% tra aziende,
    – il 44,17% da aziende a consumatori e
    – l’1,49% da aziende a istituzioni.
  • L’importo totale è di 2926 miliardi di euro, inclusa l’IVA.

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Avvocati! Ultimi giorni per partecipare ai bandi per il rimborso dei percorsi formativi e dell’acquisto di strumenti informatici

Il 16 gennaio 2020 scade il termine entro il quale gli avvocati possono partecipare a due interessantissimi bandi.
Il primo, il bando 9/2019, assegna rimborsi per l’acquisto di strumenti informatici.
Il secondo, il bando 10/2019, rimborsi per percorsi di formazione specialistica.

1) IL BANDO 9/2019 PER L’ACQUISTO DI STRUMENTI INFORMATICI

Cassa Forense ha stanziato 2.650.000 € per sostenere gli studi legali che hanno acquistato nuovi strumenti informatici.

Il contributo erogato è pari al 50% della spesa complessiva documentata, al netto dell’iva, sostenuta nel 2018 e nel 2019. Tale spesa non può essere inferiore a 300 € netti e il contributo erogato non può essere superiore ai 1500 €.

SPESE RIMBORSABILI

Sono rimborsabili gli acquisti di un singolo strumento di una o più categorie tra quelle qui indicate:

computer fisso;
computer portatile;
monitor;
stampante, anche multifunzione;
scanner;
tablet;
fotocopiatrice, anche multifunzione;
• licenze di software per la gestione degli studi legali e relativi applicativi;
• strumenti per la conservazione e protezione dei dati dello studio.

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DESTINATARI E REQUISITI

Il richiedente: 

  • alla data di presentazione della domanda deve essere iscritto a Cassa Forense o all’Albo con procedimento di iscrizione alla Cassa in corso;
  • deve essere in regola con le prescritte comunicazioni reddituali alla Cassa;
  • deve avere dichiarato un reddito professionale inferiore a € 50.000,00;
  • se non era tenuto all’invio del Mod. 5/2019, deve aver prodotto un reddito netto dall’attività forense inferiore ad € 50.000,00;
  • deve fornire la documentazione richiesta all’art. 5 del bando;
  • non deve aver goduto del medesimo contributo erogato col bando n. 9/2018.

2) IL BANDO 10/2019 PER L’ASSEGNAZIONE DI BORSE DI STUDIO

Cassa Forense ha stanziato un fondo di 1 milione di euro destinato a giovani avvocati che nel corso del 2019 hanno intrapreso percorsi di formazione specialistica (master, scuole di specializzazione, corsi di perfezionamento).

Gli avvocati potranno godere di un contributo pari al 50% della spesa sostenuta, al netto dell’iva, per il singolo master o corso, a patto che questo si sia concluso nel 2019 e che abbia avuto una durata non inferiore alle 20 ore.

Per i corsi frequentati in Italia, Città del Vaticano e San Marino, l’ammontare massimo a cui si può ambire è di 3.000 €. Per quelli all’estero è di 7.000 €.

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REQUISITI PER PARTECIPARE AL BANDO

L’avvocato:

  • deve essere iscritto a Cassa Forense o essere iscritto all’Albo con procedimento di iscrizione alla Cassa in corso;
  • deve essere in regola con le comunicazioni reddituali alla Cassa;
  • non può avere più di 45 anni alla data di pubblicazione del bando (18 giugno 2019);
  • deve comprovare l’avvenuta frequenza al percorso formativo, la durata e la data di conclusione;
  • non può aver già vinto il medesimo bando ottenendo rimborsi per il medesimo master/scuola/corso nelle precedenti annualità.

COME PARTECIPARE AI BANDI

La domanda va inviata entro la mezzanotte del 16 gennaio 2020 tramite sito di Cassa Forense, entrando nella sezione WELFARE, cliccando sul bando di interesse e poi su “Modulo Domanda”.

Insieme alla domanda deve essere fornita tutta la documentazione richiesta (es. fatture).
Domande incomplete o irregolari possono essere rigettate o seguite dalla richiesta di integrazioni. 

Il contributo viene rilasciato in base a una graduatoria stabilita in modo inversamente proporzionale al reddito netto dichiarato dal richiedente.
In caso di parità di reddito, la priorità è data all’avvocato iscritto da più tempo a Cassa Forense.

La graduatoria verrà pubblicata nel sito di Cassa Forense.
Non compariranno i nominativi degli avvocati, ma il numero di protocollo della domanda, il reddito netto dichiarato per la partecipazione, la data di nascita e da quanti anni si è iscritti a Cassa.

Per ulteriori informazioni, qui le versioni complete del bando 9/2019 per l’acquisto di strumenti informatici e del bando 10/2019 per la formazione.

requisiti per eseguire il processo civile telematico

I requisiti per eseguire il processo civile telematico

La digitalizzazione della giustizia è in corso da diversi anni, ma chi vi si avvicina per la prima volta potrebbe avere dei dubbi su quali siano i requisiti per eseguire il processo civile telematico.

In questo articolo cercheremo di darvi una panoramica generale, sia dal punto di visto tecnico che organizzativo, nonché offrirvi le nostre soluzioni.

UNA CASELLA DI POSTA ELETTRONICA CERTIFICATA

La mail PEC è indispensabile per le procedure del PCT, poiché è l’unico mezzo attraverso il quale è possibile comunicare con la Cancelleria ed è anche necessaria per l’iscrizione al ReGIndE.

Le mail PEC hanno lo stesso valore legale delle raccomandate con ricevuta di ritorno.

Per saperne di più sulle caselle di posta elettronica certificata o per ottenerne una, clicca qui.

ISCRIZIONE AL REGINDE

Il ReGIndE è il Registro Generale degli Indirizzi Elettronici ed è gestito dal Ministero della Giustizia.

Questo registro contiene i dati essenziali (nome e cognome, codice fiscale e indirizzo PEC) dei SAE, i soggetti abilitati esterni.

Ai fini del Processo Telematico, l’iscrizione al ReGIndE è indispensabile per rapportarsi agli uffici giudiziari e ricevere le notifiche da parte della Cancelleria.

Gli avvocati vengono iscritti al ReGIndE direttamente dagli Ordini, mentre gli altri SAE devono procedere autonomamente.

Iscriversi è facile, gratuito ed è possibile farlo attraverso il portale https://pst.giustizia.it.

Una volta registrati è bene verificare periodicamente la correttezza dei dati.

ISCRIZIONE A UN PUNTO DI ACCESSO

Un altro dei requisiti per eseguire il processo civile telematico è l’iscrizione a un PDA, Punto di Accesso.

Il Punto di Accesso permette di entrare nel portale dei servizi telematici, di vedere e consultare il fascicolo processuale, di effettuare i pagamenti telematici, di fare richiesta di copie di atti e molto altro.

Il già citato portale http://pst.giustizia.it è un PDA, ma ce ne sono altri offerti dagli Ordini degli Avvocati, da Enti pubblici o da società private.

È possibile visionare l’elenco completo di tutti i PDA qui.

UNA FIRMA DIGITALE

La firma digitale è il corrispettivo informatico della firma autografa ed è indispensabile per firmare gli atti telematici da inviare tramite PCT, per accedere al ReGIndE e per consultare i fascicoli telematici.

La firma digitale è composta da un dispositivo fisico USB, detto token, e da un certificato digitale rilasciato da un ente certificatore dopo aver accertato l’identità del proprietario.

Con Servicematica puoi acquistare il kit di firma completo di tutto oppure Token e Certificato separatamente. Leggi di più

IL REDATTORE ATTI

Nel Processo Civile Telematico, gli atti vengono depositati tramite l’invio di una busta telematica che altro non è che un file xml.

Per creare la busta è indispensabile procurarsi un software, detto redattore atti.

Un redattore atti, come Service1, permette non solo di depositare rispettando le disposizioni tecniche previste dalla legge, ma possiede anche altre funzioni che facilitano il lavoro di avvocati e CTU.

Scopri Service1.

COMPUTER E HARDWARE

Tutto ciò che abbiamo appena elencato è realizzabile solo se si hanno degli strumenti informatici performanti.
Tra questi:
– un computer,
– uno scanner,
– una stampante.

Scanner e stampante possono essere scelti con assoluta libertà.
Per quanto riguarda il computer, i requisiti per eseguire il processo civile telematico sono preferibilmente i seguenti:
sistema operativo: Windows 7 o successivi, macOS 10.12 o successivi,
RAM: minimo 2 GB,
– spazio libero in memoria: 10 GB,
– una porta USB libera.

È anche indispensabile avere una connessione internet stabile.

SOFTWARE

Oltre al redattore atti, per eseguire le procedure del PCT c’è bisogno di:
– un buon browser: suggeriamo Firefox,
Java aggiornato all’ultima versione,
– un antivirus che non interferisca con il Redattore Atti (qui trovate la nostra offerta),
– un programma di elaborazione testi: suggeriamo OpenOffice che è gratuito è molto buono,
Acrobat Reader per aprire file pdf.

Se vuoi migliorare le prestazioni del tuo computer, puoi affidarti alla nostra assistenza tecnica informatica oppure scegliere uno dei nostri pc creati ad hoc per il PCT.

ATTENZIONE: questo articolo è stato scritto al solo scopo di darvi alcune informazioni indicative sui requisiti per eseguire il processo civile telematico. Per una corretta valutazione di quali siano le vostre esigenze, vi preghiamo di contattarci.

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Servicematica

Nel corso degli anni SM - Servicematica ha ottenuto le certificazioni ISO 9001:2015 e ISO 27001:2013.
Inoltre è anche Responsabile della protezione dei dati (RDP - DPO) secondo l'art. 37 del Regolamento (UE) 2016/679. SM - Servicematica offre la conservazione digitale con certificazione AGID (Agenzia per l'Italia Digitale).

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