linee guida per affrontare l'emergenza coronavirus

Ministero e CNF emettono le linee guida per affrontare l’emergenza Coronavirus

Lo scorso 28 febbraio 2020 il Ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, e il presidente del Consiglio Nazionale Forense, Andrea Mascherin, hanno firmato un documento contenente le linee guida per affrontare l’emergenza Coronavirus e assicurare il corretto funzionamento degli uffici giudiziari.
Il documento è destinato a tutte le sedi giudiziarie, non solo quelle site nelle Zone Rosse, le aree più colpite dai contagi da COVID-19.

Le linee guida si rifanno alle ordinanze e alle circolari emanate dal Ministero della Salute e dal Ministero della Giustizia, e si compongono di 7 articoli. 

LE LINEE GUIDA PER AFFRONTARE L’EMERGENZA CORONAVIRUS


ART. 1 – Norme igienico-sanitarie

Si invita a diffondere nelle sedi e tra gli iscritti nell’Albo, negli elenchi e nei registri, le norme igienico-sanitarie emesse dal Ministero della Salute.

ART. 2 – Svolgimento delle udienze e degli altri incombenti a cui partecipa l’avvocatura

Si invitano i Capi degli Uffici giudiziari e i Consigli dell’Ordine degli Avvocati a collaborare al fine di evitare assembramenti non solo nelle aule di udienza, ma anche negli spazi d’attesa e negli altri locali delle sedi, in modo da evitare assembramenti che potrebbero favorire il diffondersi del coronavirus.

Viene data la possibilità di modificare il calendario delle udienze, rinviando quelle non differibili.

Si suggerisce di considerare anche la modalità da remoto (smart working).

ART.3 – Sostituzioni

Si comunica che il Consiglio dell’Ordine formerà un elenco di iscritti disponibili – a titolo di solidarietà – a sostituire in udienza colleghe e colleghi provenienti da altri circondari o distretti.

ART. 4 – Attività amministrative, funzioni di cancelleria e altri adempimenti

Si comunica che verranno promosse modalità di esercizio delle attività amministrative e di cancelleria anche facendo ricorso a strumenti telematici.

ART. 5 – Sportello per il cittadino e informazioni utili

Lo Sportello per il cittadino è a disposizione per favorire la diffusione di una corretta informazione sull’accesso alla giustizia

ART. 6 – Rapporti con le prefetture

Viene sottolineata l’importanza della condivisione degli aggiornamenti e delle informazione utili a favorire un corretto funzionamento degli uffici giudiziari.

ART. 7 – Pubblicazione

Si ricorda che le Linee guida per affrontare il Coronavirus, tutti i provvedimenti adottati in attuazione delle medesime e ogni ulteriore aggiornamento sono pubblicati sui siti del Consiglio dell’Ordine e degli uffici giudiziari, e sono inoltre affissi nelle relative sedi.

Alleghiamo il documento originale riportante le Linee Guida per affrontare l’emergenza Coronavirus.

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L’esercizio del diritto all’oblio: requisiti, limitazioni e procedura di cancellazione delle informazioni

Il diritto alla cancellazione dei dati personali appartenenti alle persone fisiche, meglio noto come diritto all’oblio, è stato positivizzato con l’introduzione dell’art. 17 del Regolamento europeo 16/679, in tema di Protezione dei dati personali.

La norma prevede che l’interessato ha diritto di ottenere la cancellazione dei dati personali riguardanti la propria persona se sussiste almeno uno dei seguenti requisiti:

i dati personali non sono più necessari per le finalità per i quali sono stati raccolti;
– l’interessato ha revocato il consenso prestato;
– vi è stata opposizione al trattamento e non sussistono motivi legittimi per effettuarlo;
– il trattamento dei dati è illegittimo;
– è stato effettuato il trattamento dei dati di soggetti minori in relazione all’offerta diretta di servizi di informazione.

In questi casi il Titolare del Trattamento ha l’obbligo di cancellare i dati trattati e di procedere anche all’eliminazione di ogni link, copia o riproduzione degli stessi.

Limitazioni all’esercizio del diritto all’oblio

Il diritto alla cancellazione deve tuttavia essere posto in bilanciamento con alcune necessità pubbliche specifiche quali:
– il diritto all’informazione e alla libertà di espressione,
– la necessità di divulgazione dei dati per interesse pubblico nel settore sanitario,
l’archiviazione nell’interesse pubblico di ricerca scientifica, storica o a fini statistici,
– l’accertamento di un diritto e/o la difesa in ambito giudiziario.

In tutte queste ipotesi la tutela della riservatezza, ed in particolare, il diritto all’oblio del singolo soggetto devono essere valutati in relazione alle specifiche esigenze pubbliche.

Il diritto alla notizia

La stampa, in particolare, costituisce una delle maggiori esplicitazioni del diritto all’informazione e della libertà di espressione tanto che, tale libertà, è sancita costituzionalmente dall’art. 21.

È necessario dunque porre in bilanciamento l’esigenza del singolo alla tutela della propria riservatezza, eliminando alcune notizie o informazioni, siano esse vere o false, pubblicate sul proprio conto, con il diritto all’informazione e alla libertà di espressione.

Con la diffusione delle notizie tramite il web, detta esigenza trova la propria maggiore limitazione.

È risaputo infatti che la diffusione in internet e tramite social rende molto difficoltosa la totale cancellazione dei propri dati personali presenti nel web, ricordando che per dati personali si intendono anche le immagini e le videoriprese.

Fatto salvo il caso in cui la pubblicazione di immagini, post o video venga spontaneamente effettuata da parte dell’interessato, caso in cui sarà comunque difficile procedere alla cancellazione del dato, ormai capillarmente diffuso nel web, la facoltà di cancellare i dati personali resta comunque sottoposta a numerose verifiche.

Risulta pertanto imprescindibile un’analisi dei dati di cui si chiede la cancellazione al fine di verificare se le informazioni possano rispondere alle esigenze di limitazione al diritto all’oblio e se tali necessità siano prioritarie rispetto alla riservatezza del singolo.

Nel caso in cui nello specifico i dati personali siano stato pubblicati da un quotidiano cartaceo o online e pubblicato nel web, spesso la cancellazione lascia il posto all’oscuramento della notizia.

Ciò significa, che le esigenze di libertà di espressione non consentono la integrale eliminazione della notizia che comunque resta presente nel web, a volte anche se risalente, perché rispondente ad esigenze di pubblico interesse per ricerca scientifica o storica.

La richiesta di cancellazione

Le procedure per la richiesta di cancellazione dei dati presenti nel web sono spesso lunghe e complesse, ma ciononostante consentono di ottenere la tutela dei dati personali.

I motori di ricerca infatti prescrivono di contattare il proprietario del sito affinché provveda alla cancellazione del dato all’interno della propria “vetrina” così da non essere più reperibile tramite semplice ricerca sul web.

Una volta che il Web Master – proprietario del sito – fornisce le proprie motivazioni in merito alla possibilità di procedere o meno alla cancellazione, è comunque opportuno prendere contatti con il motore di ricerca affinché verifichi che la notizia è stata eliminata e/o proceda all’eventuale ulteriore oscuramento delle informazioni, che pertanto, non vengono cancellate dal web, bensì vengono “coperte” in modo da non essere più rinvenibili con determinati criteri di ricerca.

La procedura peraltro necessita di un’ulteriore richiesta, lì dove la notizia si ritrovi anche mediante l’uso di altri canali e/o altre parole chiave.

In conclusione la tutela della riservatezza dei dati personali consente a tutti coloro che ne ritengano lesa l’integrità, o illegittimo il trattamento, di richiedere e ottenere il rispetto dei propri di diritti, previa valutazione in bilanciamento con specifiche esigenze pubbliche.


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Dott.ssa Isabella Albrizzi

Laureata in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Padova, collabora nel settore legale di UpLex di Treviso dal 2014, avendo maturato competenze professionali in ambito giudiziale e stragiudiziale nel settore civile, commerciale e fallimentare.
Principalmente orientata al profilo di assistenza aziendale, predispone percorsi di adeguamento aziendali in qualità di consulente Privacy.

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Qualche statistica sul Processo Telematico

Le statistiche sono un’ottima fonte di informazioni utili a comprendere meglio lo stato del processo telematico e come si sta evolvendo il rapporto di avvocati e magistrati con il digitale.

A fine 2019 il Ministero della Giustizia ha pubblicato sul proprio sito un report che fotografa l’evoluzione da ottobre 2018 a settembre 2019.

Abbiamo estrapolato alcuni dati interessanti e li condividiamo con voi.

I DEPOSITI


Nell’arco di tempo considerato sono stati depositati quasi 10 milioni di atti. Per essere precisi, 9.270.688.

Rispetto al periodo precedente (ottobre 2017-settembre 2018), la media mensile dei depositi ha segnato un +1%.

Il mese con il più alto numero di depositi da parte di avvocati e professionisti, 919.048, è stato ottobre 2018. Il mese con il più basso numero, 247.257, è stato agosto 2019.

processo telematico
Immagine tratta da “Processo Telematico. Stato dell’arte al 30/09/2019” di DGSIA.

GLI ATTI


Di tutti gli altri depositati:
408.793 sono ricorsi per decreto ingiuntivo,
6.815.982 sono atti interni ai procedimenti,
2.045.913 sono atti introduttivi di costituzione.

Quasi 6 milioni di atti (5.937.104) sono nativi digitali depositati dai magistrati, il 9,71% in più rispetto al periodo precedente.

Di questi:
1.858.933 sono verbali di udienza,
412.793 sono decreti ingiuntivi,
377.512 sono sentenze,
2.453.049 sono decreti,
834.817 sono ordinanze.

processo telematico atti nativi digitali
Immagine tratta da “Processo Telematico. Stato dell’arte al 30/09/2019” di DGSIA.

CONSULTAZIONI E COMUNICAZIONI


La media giornaliera di consultazioni online è stata di circa 12 milioni di accessi.

Le comunicazioni effettuate esclusivamente in via telematica da Tribunali, Corti d’Appello e dalla Corte di Cassazione sono state 19.606.436, con una media mensile di 1.633.870.

PAGAMENTI TELEMATICI


I pagamenti telematici sono stati 496.937 per un importo totale di 68.749.081 euro.

Il mese con il più alto incasso è stato luglio 2019 con 7.643.601 euro. Il mese con l’incasso più basso è stato agosto 2019 con 2.817.059 euro.

processo telematico pagamenti telematici
Immagine tratta da “Processo Telematico. Stato dell’arte al 30/09/2019” di DGSIA.

ISCRIZIONE AI PUBBLICI REGISTRI


I soggetti attivi iscritti al ReGIndE sono 1.171.530, di cui 263.654 sono avvocati (il 95% dei quali è iscritto con indirizzo PEC).

Le amministrazioni iscritte al Registro PEC delle Pubbliche Amministrazioni sono 1.848, di cui il 65% con PEC.

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PAT, ultime novità giurisprudenziali 2020

Vi riportiamo due recenti novità giurisprudenziali relative alle pratiche del PAT, processo amministrativo telematico.

PAT E NOTIFICA DEL RICORSO

Con l’ordinanza 209/2020 il Tar di Napoli ha stabilito la nullità della notifica di ricorso per motivi aggiunti – in difetto di costituzione in giudizio del Comune, eventualmente rilevante ex art 44 comma 3 c.p.a. – eseguita all’indirizzo PEC di un Comune tratto dall’Indice iPA* e non all’indirizzo PEC del difensore dell’amministrazione comunale resistente comunicato nella memoria di costituzione in giudizio (in conformità alle indicazioni dell’art. 43 comma 2 c.p.a che recita: «le notifiche alle controparti costituite avvengono ai sensi dell’articolo 170 del codice di procedura civile»).

*iPA non più considerato tra i registri pubblici da cui trarre gli indirizzi PEC della P.A. a seguito delle modifiche apportate all’art. 16 ter della l. 221/ 2012 dall’art. 45 bis, comma 2, lett. a, del d.l. n. 90/2014.

PAT E FIRMA DIGITALE

Sempre il TAR di Napoli, con la sentenza 369/2020, ha spiegato che tutti gli atti allegati tramite il Modulo di Deposito non sottoscritti ex ante si ritengono firmati nel momento della sottoscrizione dell’invio del deposito stesso, come suggerisce l’art. 6, comma 5, dell’All. A al D.P.C.M. n. 40/2016 in cui si dice che «la firma digitale PADES si intende estesa a tutti i documenti contenuti (nel Modulo n.d.r)».

L’assenza della sottoscrizione digitale e altre violazioni della normativa PAT non configurano ipotesi di nullità ma di irregolarità “sanabili”entro il termine disposto dal giudice. È irrilevante che la regolarizzazione venga effettuata in via preventiva in assenza dell’ordine del Giudice. Questo è quanto disposto dalla sentenza n. 369/2020 del T.A.R. Campania Napoli.

[Fonti: “PAT: la firma digitale sul modulo di deposito si estende a tutti gli atti processuali allegati” e “PAT: notifica del ricorso per motivi aggiunti alla PA costituita a indirizzo PEC dell’Indice IPA]

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riforma delle intercettazioni

Riforma delle intercettazioni. Cosa cambia per avvocati e assistiti.

Il 25 febbraio 2020 la Camera ha confermato la fiducia al governo sul decreto legge n. 161/2019 relativo alla riforma delle intercettazioni.

LA STORIA DELLA RIFORMA DELLE INTERCETTAZIONI

Quella della riforma delle intercettazioni è una storia lunga.

Iniziata nel 2015 con la riforma penale di Andrea Orlando, continua poi col D. Lgs. 216 del 2017 e l’aggiunta di un ulteriore comma all’art. 103 c. p. p., (in cui è scritto che «non è consentita l’intercettazione relativa a conversazioni o comunicazioni dei difensori») in cui si precisa che il contenuto delle intercettazioni non può essere trascritto neanche sommariamente.

Al decreto vengono ora aggiunte alcune novità nel tentativo di rafforzare la tutela della riservatezza anche se, in realtà, manca l’esplicito divieto di spiare e ritrasmettere le conversazioni tra avvocati e assistiti.

LE NOVITÀ

Fermo restando la validità del divieto di trascrivere le intercettazioni, ecco alcune delle novità inserite nella riforma delle intercettazioni.

– Le intercettazioni tra avvocato e assistito sono ammesse in due casi:
   – quando i soggetti hanno deposto sui fatti in oggetto alle intercettazioni o li abbiano già divulgati in altro modo;
– quando costituiscono il corpo del reato.

– Viene ammesso l’uso delle intercettazioni in procedimenti penali diversi rispetto a quello nel quale l’intercettazione è stata autorizzata, a patto che si tratti di acquisizioni «indispensabili» e che i reati in questione prevedano l’arresto in flagranza o siano riconducibili a condotte più gravi (mafia, terrorismo, corruzione con pena non inferiore a 5 anni, reati legati alle sostanze stupefacenti), sempre che le intercettazioni vengano considerate anche rilevanti per l’accertamento della responsabilità penale.

– Viene rafforzato il dovere di vigilanza del pubblico ministero che dovrà assicurarsi che nei verbali non compaiano espressioni che possano compromettere la riservatezza dei soggetti o dei loro dati personali, oppure ledere la reputazione delle persone.

– Le intercettazioni ambientali tramite l’utilizzo del trojan, già consentite per i delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A., vengono estese anche ai delitti degli incaricati di pubblico servizio contro la P.A.
Sono esclusi i delitti contro la P.A. per i quali sia necessario indicare «i luoghi e il tempo, anche indirettamente determinati, in relazione ai quali è consentita l’attivazione del microfono».
Per questi delitti, l’intercettazione tramite trojan presso il domicilio dovrà essere accompagnata esplicitamente dalle ragioni che ne giustificano l’utilizzo.

LE REAZIONI

In un comunicato del 2018 il presidente del CNF Andrea Mascherin apprezzava le modifiche della riforma Orlando, sottolineando però l’esigenza di vietare senza alcuna eccezione l’ascolto delle conversazioni tra avvocati e assistiti.
Oggi commenta così il decreto e l’uso del trojan:
«Il tema delle intercettazioni si sposa con l’altro, molto delicato, del diritto costituzionale alla tutela del domicilio e, aggiungo, della libertà di pensiero e parola in casa propria. La tecnologia del trojan è così avanzata da rischiare di sfuggire di mano. Non dimentichiamo che invadere il domicilio è come limitare la libertà personale, beni supremi. Bisognerebbe iniziare a riflettere sulla possibilità di non ritorno nell’utilizzo di certe tecnologie. È questione culturale e di democrazia prima che di rimedi di natura penale».

Il presidente dell’Unione delle Camere Penali Italiane Giandomenico Caiazza fa invece notare che nel decreto «non sono previste sanzioni per l’eventuale mancato rispetto» delle nuove regole, mentre «viene strapotenziato il potere invasivo dello Stato nella privacy dei cittadini: io ti intercetto per un reato e poi posso molto più di prima utilizzarlo per un altro».

CONCLUSIONI

La riforma delle intercettazioni non risolve la difficoltà di conciliare le attività di indagine e il rispetto della privacy e del segreto professionale.

Un assistito deve infatti poter parlare liberamente col proprio legale, in modo da poter definire la linea difensiva più adeguata, e con la certezza che quanto dirà non influenzerà la pubblica accusa o non verrà usato da questa a proprio vantaggio.

Anche se le trascrizioni non entreranno mai nel fascicolo (a meno che siano il corpo del reato), rimarranno sempre a disposizione del pm e nulla vieta a questo di utilizzarle in contrasto al principio di parità fra accusa e difesa.

La riforma delle intercettazioni verrà applicata a partire dal 1° maggio 2020 e solo ai procedimenti penali iscritti da tale data. Pertanto, ai procedimenti già in corso si applicherà la disciplina attuale.

[Alcune informazioni sono tratte da articoli pubblicati su Il Dubbio]

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Cosa lega il Coronavirus alla tutela dei dati personali? Semplice.

Mentre giornali, web e tv rigurgitano articoli e servizi a non finire su salute, regole di igiene basilari, attività economiche che si fermano e supermercati svuotati, il Covid-19 sta silenziosamente impattando anche su una parte della nostra vita di cui spesso siamo poco consapevoli, sebbene ricopra una certa importanza: la nostra privacy.

Il confine tra diritto alla riservatezza e necessità di assicurare la sicurezza – in questo caso sanitaria – è labile e foriero di scontri di opinioni.

Ecco cosa sta succedendo.

LA TUTELA DEI DATI PERSONALI: LA SITUAZIONE ATTUALE

All’inizio dell’epidemia un medico di Codogno, ha chiesto la pubblicazione di nomi e foto dei malati come «unico modo per sapere se si è stati in contatto con loro e arginare virus», concludendo la sua richiesta con un «bisogna abolire la legge sulla privacy».

Una frase un po’ forte, forse, ma che spiega le difficoltà di far combaciare due esigenze estremamente diverse.

Difficilmente il Coronavirus o altre minacce alla salute riusciranno a cancellare la tutela dei dati personali, ma è possibile che questa venga in parte ridotta.

Del resto, è già così: il Garante per la Privacy ha concesso alla Protezione Civile di poter scambiare dati sensibili con altri soggetti (forze dell’ordine, comuni, enti, ma anche privati) per tentare di arginare i contagi.
In un’intervista a Business Insider Italia, Luca Bolognini, presidente dell’Istituto Italiano per la Privacy e la Valorizzazione dei Dati, spiega così la decisione: «In questo caso può prevalere la protezione della salute di cui ci parla la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, all’articolo 35. La stessa Carta difende il rispetto della vita privata e della vita familiare (art. 7) e la protezione dei dati di carattere personale (art.8). Tuttavia, non essendo un diritto assoluto, la privacy deve bilanciarsi con altre libertà e altri interessi pubblici. Per questo motivo, il Garante dice sì alla Protezione Civile che tenta di gestire l’emergenza anche attraverso lo scambio di dati con altri soggetti. […] All’articolo 9 paragrafo 2 lettera i del Regolamento europeo GDPR è previsto il caso della gestione di dati sensibili nelle situazioni di emergenza: prevale comunque la salute delle persone».

COSA SUCCEDE NEGLI ALTRI PAESI

Si potrebbe pensare che la momentanea erosione della tutela dei dati personali davanti al Coronavirus riguardi solo l’Italia per l’alto numero di contagiati, o la Cina per il forte controllo esercitato normalmente dal suo governo.
Non è così.

Per esempio, l’emittente statunitense ABC ha riportato che le autorità australiane hanno ottenuto dagli operatori telefonici nazionali i tracciati relativi agli spostamenti di una coppia cinese risultata positiva al virus.
I dati hanno permesso di porre in quarantena un discreto numero di persone con le quali la coppia era venuta in contatto, arginando il contagio.
Le autorità hanno agito nel pieno della legalità grazie a un articolo della Legge nazionale sulla privacy che concede alcune deroghe in caso di minacce alla pubblica sicurezza.

In Corea del Sud, altro paese particolarmente colpito dall’emergenza, sviluppatori privati hanno creato delle app che mostrano il diffondersi del virus grazie a delle mappe costantemente aggiornate.
I dati su cui sono costruite le mappe vengono dal governo stesso che emana bollettini dettagliati indicando non solo il numero degli infetti ma anche sesso, zona di residenza e percorsi abituali.
Se, da un lato, ciò aiuta i cittadini sani a evitare le zone potenzialmente pericolose, dall’altro c’è da chiedersi se la raccolta e la condivisione di queste informazioni, anche se pseudonimizzate o anonimizzate, siano fatte nel rispetto della tutela dei dati personali.

Quello che davvero conta è che una volta passata l’emergenza la riservatezza dei cittadini venga ripristinata in toto e che il caso del Coronavirus non si trasformi in un espediente per future nuove, magari ingiustificate, erosioni della privacy.

 

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atto in pdf da scansione è valido ai fini della notifica

L’atto in pdf da scansione è valido ai fini della notifica

La terza sezione civile della Corte di Cassazione ha emesso una sentenza, la 532/2020, particolarmente interessante ai fini del processo telematico poiché indica che un atto in pdf da scansione è valido ai fini della notifica.

Ricordiamo che un pdf da scansione è cosa ben diversa da un pdf creato a partire da un documento nativo digitale.

PCT E ATTI NATIVI DIGITALI

Uno dei pilastri del processo telematico è l’invio di atti che siano documenti nativi digitali e non riproposizioni digitali di documenti cartacei.

A spiegare bene il concetto ci pensa l’art.12 comma 1 delle regole tecniche del processo civile telematico, in cui vengono elencate le caratteristiche che gli atti devono rispettare.
Tra queste:

  • – devono essere in formato pdf,
  • – non devono contenere elementi attivi,
  • – non devono essere scansioni, al contrario devono nascere come file di testo,
  • – devono essere firmati digitalmente.

Come si può intuire, nessun atto in pdf da scansione è valido ai fini della notifica.
Almeno nella teoria.

COSA HA DETTO LA CASSAZIONE

Il caso in oggetto della sentenza della Cassazione è incentrato su un ricorso per il quale i controricorrenti hanno formulato alcune eccezioni di inammissibilità.

In particolare, questi hanno fatto notare che il ricorso era stato notificato telematicamente mediante PEC, ma l’atto si presentava in formato pdf non firmato digitalmente e frutto di una scansione.
Secondo loro, l’atto non sarebbe stato quindi «conforme ai criteri e alle modalità previsti per il perfezionamento della notificazione telematica, in quanto la firma digitale utile a caratterizzare il formato pdf p7m non può essere apposta su scansioni di documenti analogici, ma solo su file word convertito in pdf attraverso la procedura di conversione funzionale all’apposizione di firma digitale prima dell’apposizione della firma digitale».

Secondo la Cassazione, invece, tale eccezione è infondata.
La stessa Corte si era pronunciata in maniera simile con la sentenza n. 13857 del 18/06/2014, stabilendo che «lo scopo della notificazione, in qualsiasi forma essa avvenga, è portare l’atto da notificare a conoscenza del destinatario, non certo consentire a quest’ultimo il “copia e incolla”, sicché la conoscibilità dell’atto notificato costituisce il solo parametro in base al quale valutare il raggiungimento dello scopo (Cass. 16/02/2018, n. 3805); in aggiunta alla considerazione generale che il processo telematico deve essere svincolato da quei formalismi fini a se stessi che, in quanto tali, impediscono a detto processo di realizzare la funzione di mezzo per la tutela dei diritti (in ossequio al disposto dell’art. 111 Cost.) (Cass. 15/03/2018, n. 18324).»

PERCHÈ L’ATTO IN PDF DA SCANSIONE È VALIDO AI FINI DELLA NOTIFICA

In altre parole, la sentenza della Cassazione dice questo: tra il rispetto delle regole formali e il principio del raggiungimento dello scopo della notifica, cioè portare l’atto a conoscenza del destinatario, è quest’ultimo a prevalere

Vi alleghiamo il testo originale della sentenza 532/2020.

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Esame per diventare avvocato: ammessi i codici commentati

Manca ancora molto a dicembre, mese durante il quale si terranno le prove d’esame per diventare avvocato. Eppure, l’argomento è più vivo che mai grazie ad alcune novità.

A essere sinceri, più che di novità si tratta di non-novità.

ESAME PER DIVENTARE AVVOCATO: LA RIFORMA CHE NON ARRIVA MAI

Lo avrete già letto.

Tra le tante cose, il Decreto Milleproroghe, D.L. n. 162/2019, va a toccare anche la riforma dell’esame per diventare avvocato, stabilendo una nuova proroga alla sua entrata in vigore.

Nello specifico, il decreto modifica l’art.49, comma 1 della legge 247/2012, spostando l’applicazione delle nuove regole in avanti da 7 a 9 anni dall’entrata in vigore della medesima legge.

Ciò significa che per altri due anni gli esaminandi potranno affrontare le prove scritte di diritto civile e penale, nonché la redazione dell’atto giudiziario a scelta, utilizzando i codici commentati con la giurisprudenza.

COSA PREVEDE LA RIFORMA

La legge 247/2012 prevede diverse modifiche alle modalità di esame di abilitazione forense.
Le principali sono:

-il divieto di utilizzare i codici commentati,
-la riduzione a 6 ore della prova d’esame,
-l’ottenimento dell’idoneità in tutte e tre le prove scritte (parere civile, parere penale, atto civile-penale-amministrativo)
-l’obbligatorietà all’esame orale di civile, penale, procedura civile e procedura penale.

MEGLIO COSÌ? FORSE NO

L’idea di affrontare l’esame per diventare avvocato avvalendosi ancora dei codici commentati sicuramente allevia le pene degli esaminandi più ansiosi, ma c’è chi fa notare come la mancata entrata in vigore della riforma possa, in realtà, giocare a sfavore di tutta la categoria.

Sulla pagina Facebook ufficiale, il Coordinamento Giovani Giuristi Italiani fa notare che questo continuo slittamento (4 proroghe finora) porta con sé alcune conseguenze negative:

  • la disarmonia tra i corsi di preparazione, che da alcuni anni sono ormai costruiti tenendo conto delle nuove modalità d’esame, e l’esame stesso che invece continua a essere organizzato nel vecchio modo;
  • la necessità di continuare ad acquistare codici commentati, i cui prezzi non sono certo irrisori, a tutto favore delle case editrici.

Oltre a ciò, i Giovani Giuristi fanno anche notare l’assenza di riforme strutturali per l’accesso e il rilancio della professione forense che servirebbero a far fronte ai problemi della professione, come i redditi in calo, le difficoltà del ricambio generazionale, la conciliazione vita-lavoro, la condizione del mercato e l’efficienza del sistema giudiziario.

 

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proposta di legge costa soccombenza nel penale

Il principio di soccombenza anche nel penale: la pdl Costa

La proposta di legge Costa, al vaglio della commissione giustizia della Camera, implementa il principio della soccombenza nel processo penale.

Tale principio prevede che, in presenza di determinate condizioni, sia lo Stato a coprire le spese legali e di giustizia se il giudizio si conclude con il proscioglimento o l’assoluzione dell’imputato con la formula più ampiamente liberatoria.

Al momento, nel penale il principio della soccombenza non è presente e le spese legali sono a carico dell’imputato anche quando questo viene prosciolto o assolto con la formula più ampiamente liberatoria.

Ciò significa che persino quando il giudizio viene portato avanti senza una valida base probatoria, quando sia stata dimostrata estraneità dell’imputato o quando il fatto non ha alcuna rilevanza penale, è l’imputato a dover pagare le spese.

La proposta di legge Costa e l’introduzione del principio della soccombenza hanno dunque come obbiettivo garantire una maggiore tutela di quei soggetti che vengono erroneamente trascinati in giudizio (con tutto ciò che comporta).

IL PRINCIPIO DELLA SOCCOMBENZA. COSA CAMBIA.

La proposta va a modificare l’art.74 del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (d.P.R. 115/2002), che recita così:

«1. È assicurato il patrocinio nel processo penale per la difesa del cittadino non abbiente, indagato, imputato, condannato, persona offesa da reato, danneggiato che intenda costituirsi parte civile, responsabile civile ovvero civilmente obbligato per la pena pecuniaria.

2. E’, altresì, assicurato il patrocinio nel processo civile, amministrativo, contabile, tributario e negli affari di volontaria giurisdizione, per la difesa del cittadino non abbiente quando le sue ragioni risultino non manifestamente infondate.»

La riforma aggiungerebbe un nuovo comma, il 2 bis, in cui viene stabilito quanto segue:

«In ogni caso, se il fatto non sussiste, se l’imputato non lo ha commesso, se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, l’imputato ha diritto di ripetere dallo Stato tutte le spese sostenute per il giudizio».

Nel testo della proposta si invita il Governo ad adottare, entro 3 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi che disciplinino le condizioni e le forme di riconoscimento e di esercizio di quanto previsto nel nuovo comma, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:
a) garantire modalità celeri e trasparenti per ottenere la ripetizione delle spese sostenute per il giudizio;
b) prevedere idonee modalità per assicurare anche il pagamento dell’onorario e delle spese del difensore.

Non è la prima volta che si tenta di introdurre il principio della soccombenza anche nel penale.
Lo stesso CNF, per anni, ha spinto in una direzione simile.
La proposta del Consiglio prevede la detraibilità al 19% delle «spese legali sostenute in un procedimento giudiziale ovvero per l’assistenza stragiudiziale, certificate dalla fattura del difensore».
Nel penale la detraibilità diventerebbe integrale poiché «l’attività difensiva ha un costo che ricade sempre sull’indagato e/o imputato, sebbene l’assistenza tecnica sia obbligatoria e non gratuita, salvo l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato»

Qui trovate il testo completo della proposta di legge Costa n. 2186.

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notificazione non viene consegnata perché la casella pec è piena

Quando una notificazione non viene consegnata perché la casella pec è piena

La mail PEC è uno strumento indispensabile per la gestione delle pratiche del processo telematico. È infatti attraverso la casella di posta certificata che è possibile esaminare  le ricevute di deposito.
Oltre a ciò, la PEC è dotata di valore legale esattamente come una raccomandata ed è pertanto il mezzo ideale per comunicazioni ufficiali e rilevanti.

notificazione non viene consegnata perché la casella pec è piena
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Cosa succede quando una notificazione non viene consegnata perché la casella pec è piena? Può considerarsi perfezionata o no?

COSA SUCCEDE SE LA NOTIFICAZIONE NON VIENE CONSEGNATA PERCHÉ LA CASELLA PEC È PIENA

La Cassazione, con l’ordinanza 2755/2020, offre diverse interpretazioni.
Il riferimento è un caso di ricorso notificato via PEC accettato dal sistema ma non consegnato a causa della casella di destinazione piena.

Ecco dunque le 3 possibilità prospettate dalla Cassazione.

1) La notificazione non è perfezionata.
Se il primo tentativo non va a buon fine è obbligo del notificante procedere nuovamente nel rispetto di quanto indicato negli articoli 137 e seguenti cpc. Il secondo tentativo deve essere eseguito in un tempo contenuto tenendo conto del principio della ragionevole durata del processo.

2) La notificazione è perfezionata.
La mancata consegna della PEC è da imputarsi al titolare delle casella, ma la consegna è perfezionata perché la mail è entrata nella casella.
Infatti, il titolare di una casella mail PEC non è tenuto solo a leggere i messaggi che riceve ma anche a mantenere la casella funzionante. Lasciarla piena può essere interpretato come volontà di non ricevere notifiche via PEC, in modo simile a a quanto indicato nell’art 138 comma 2 cpc.
Se avete una casella PEC con Servicematica, vi invitiamo a visionare la nostre guide PEC.

3) Ordine di rinnovo giudiziale.
La notifica non è andata a buon fine e il giudice può disporre il rinnovo della notificazione sempre nel rispetto del principio di ragionevole durata del processo.

Vi alleghiamo il testo originale dell’ordinanza 2755/2020.

LE PEC NEL DEPOSITO TELEMATICO

Ci teniamo a concludere questo articolo ricordandovi che la procedura di deposito di un atto tramite PCT prevede la generazione di 4 mail PEC, dette anche ricevute, che contengono informazioni molto importanti per il buon esito dell’iter.

– la prima PEC attesta che l’atto è stato inviato ed accettato dal sistema;

– la seconda PEC certifica che l’invio è stato consegnato nella casella PEC del destinatario;

– la terza PEC indica l’esito dei controlli automatici effettuati dal sistema. Potete approfondire il tema leggendo l’articolo dedicato agli errori terza pec.

– la quarta PEC attesta l’esito del controllo da parte del Cancelliere.

[Fonte: Studio Cataldi]

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